Iniziamo, con questo articolo, una
serie dedicata agli effetti, intesi non tanto come dispositivi per
crearli, quanto come fenomeni acustici veri e propri.
Questo non significa che ci
occuperemo semplicemente di acustica.
Quello che vogliamo darvi, invece, è qualche nozione sui vari tipi di
effetti, sul loro uso e sul modo di ottenerli e gestirli.
Per fare
questo, dovremo parlare un po' anche di acustica e di percezione
dell'ambiente acustico. Da tempo, tutti i sintetizzatori e i software
di sintesi e/o
elaborazione del suono offrono la possibilità di generare echi,
riverberi, chorus, phaser e altre diavolerie di questo tipo. Inoltre,
sia nelle sale di registrazione che dal vivo, i processori per effetti
sono largamente usati. Generalmente tutti questi effetti vengono
utilizzati per arricchire il suono e migliorare il suo impatto sonoro,
ma, nella pratica, vi sono molti casi in cui gli effetti contribuiscono
a creare determinate situazioni sonore e a caratterizzare un brano.
Alcuni esempi tipici tratti da una comune attività professionale: in
fase di missaggio è necessario portare in primo piano un determinato
strumento rispetto alla massa sonora sottostante, oppure si desidera
creare un effetto di suono che sfuma in distanza come accade spesso
nelle colonne sonore filmiche o teatrali. Uno sprovveduto può risolvere
entrambi i problemi utilizzando semplicemente il volume ottenendo nel
primo caso l'effetto di uno strumento che suona più forte degli altri e
nel secondo una semplice sfumatura che non dà, però, la sensazione di
allontanamento. In realtà è con un accorto uso degli effetti che si
risolvono questi problemi.
In questa serie prenderemo in esame molti tipi di effetti alcuni dei
quali sono simulazioni di fenomeni acustici che si manifestano anche in
natura (eco, riverbero, chorus), altri, invece, sono puramente
sintetici. Certamente, fra i primi, l'eco è, insieme al riverbero, uno
dei più utilizzati a tutti i livelli ed è di lui che ci occuperemo in
questa prima puntata nella quale vi spiegheremo come e perché questo
fenomeno si genera in natura. Per arrivarci in modo comprensibile,
però, dobbiamo partire da alcune fondamentali nozioni di acustica che
vi esporremo in modo sufficientemente rigoroso, pur senza entrare in
dettagli matematici. Tenete conto, inoltre, che quanto vi diciamo qui
risulterà essenziale per la comprensione di altri effetti, come il
riverbero, che dell'eco sono una diretta conseguenza e dei quali
parleremo più avanti.
L'eco
Tutti sanno che cos'è
un'eco. E non scandalizzatevi per l'apostrofo: la parola, in origine,
è femminile essendo il nome di una ninfa dei boschi e delle
sorgenti, invano innamorata del bel Narciso a tal punto da struggersi
per lui fino a scomparire e diventare una voce che ripete le ultime
sillabe delle parole che vengono pronunciate (anche se molti
dizionari non disdegnano l'indicazione di 'femminile o maschile'
perché
ormai di uso comune).
La spiegazione
scientifica dell'eco, invece, è assai meno poetica.
Il
suo
verificarsi, infatti, dipende essenzialmente dal fatto che la
velocità del suono nell'aria è molto bassa: solo 344
metri al secondo (a 20°, perché la velocità dipende
anche dalla temperatura e dalla densità). Ora, il suono si
sposta nell'aria sotto forma di onda che, se trova un ostacolo viene
- in parte riflessa,
- in parte assorbita,
- in piccola parte trasmessa al
di là dell'ostacolo.
Il suono che ritorna,
quindi, è una versione del suono originale indebolito in
ampiezza e filtrato sulle frequenze alte.
Perché filtrato sulle frequenze alte? Per due ragioni:
- quasi tutti i materiali assorbono di più le frequenze alte
rispetto a quelle basse;
- l'aria assorbe un po' di frequenze alte.
Ovviamente, non tutti i
materiali sono ugualmente riflettenti. Come molti di voi sapranno,
infatti, esistono anche materiali che assorbono quasi tutte le onde
sonore che intercettano e sono utilizzati per l'insonorizzazione
ambientale. A titolo di curiosità, vi diamo i coefficienti di
assorbimento di alcuni materiali a diverse frequenze: quasi tutti i
materiali, infatti, assorbono più le frequenze alte rispetto a
quelle basse, il che spiega perché, nell'insonorizzare un
ambiente, sia tanto facile attutire gli acuti, ma più
difficile eliminare i bassi.
Coefficienti di
assorbimento di vari materiali a diverse frequenze
Materiale
|
125
Hz
|
500
Hz
|
4000
Hz
|
Cemento
a vista
|
0.01
|
0.02
|
0.04
|
Mattoni
a vista
|
0.02
|
0.03
|
0.06
|
Marmo
|
0.01
|
0.01
|
0.01
|
Vetro
|
0.008
|
0.008
|
0.01
|
Legno
a vista
|
0.01
|
0.04
|
0.04
|
Linoleum
|
0.02
|
0.03
|
0.05
|
Tappeto
pesante
|
0.09
|
0.21
|
0.31
|
Tappezzeria
in velluto
|
0.05
|
0.35
|
0.36
|
Truciolato
assorbente
|
0.20
|
0.64
|
0.69
|
Pannello in fibra di vetro - max
|
0.60
|
0.90
|
0.90
|
Detto in breve, tutto
questo significa che se un suono a 500 Hz. e volume 100 colpisce una
parete di marmo, si origina un eco a volume 99 (lo 0.01, cioè
1, viene assorbito, il resto riflesso), mentre se la parete è
in velluto, l'eco ha volume 65 (lo 0.35 è assorbito, il resto
riflesso). Con un materiale come il truciolato forato, il suono
restituito è solo lo 0.36 dell'originale, ma oggi esistono
materiali sintetici ancora più assorbenti.
A tutto ciò
bisogna aggiungere altri due fattori che contribuiscono a ridurre il
volume dell'eco rispetto alla sorgente: il primo è
l'assorbimento dell'aria che è sensibile soprattutto alle alte
frequenze; il secondo è il fatto che l'intensità
dell'onda sonora diminuisce notevolmente con la distanza percorsa
nello spazio essendo, per la precisione, inversamente proporzionale
al quadrato di quest'ultima (ovvero, se un suono ha una certa
intensità a una certa distanza, al raddoppiarsi di
quest'ultima l'intensità diventa un quarto, al triplicarsi, un
nono e così via).
La simulazione
L'eco, quindi, è sempre di intensità minore del suono originale e di
timbro più cupo. Per simularlo, i processori di segnale, ormai tutti
digitali, usano un meccanismo software chiamato "delay line" (linea di
ritardo) o più semplicemente "delay". Senza entrare in particolari di
programmazione un delay può essere visto come una scatola nera che
campiona il segnale in input, lo immagazzina in memoria e lo manda in
uscita con un certo ritardo rispetto al suo arrivo. Tale ritardo è
regolabile tramite il parametro "delay time" (tempo di ritardo,
generalmente in millisecondi) che esiste su tutte le apparecchiature di
questo tipo e corrisponde alla distanza dell'ostacolo riflettente che
genera l'eco.
La lunghezza del ritardo dipende dall'apparecchiatura: è intuibile che,
per ottenere ritardi più lunghi serve una quantità di memoria maggiore.
In effetti, la memoria necessaria dipende dal tempo di ritardo e dalla
frequenza di campionamento: se, per esempio, tale frequenza è di 44100
campioni al secondo, per ottenere 1 secondo di ritardo sarà necessario
memorizzare, appunto, 44100 numeri. Se ogni campione occupa 2 bytes (16
bit), la quantità di memoria necessaria per un ritardo di 1 secondo è
88100 bytes.
Un secondo parametro disponibile è quello di "feedback" (rigenerazione)
che controlla la quantità di ripetizioni dell'eco. Una linea di ritardo
singola, come quella che abbiamo visto visto finora genera una sola
eco. Per ottenere il classico effetto d'eco a molte ripetizioni basta
prendere l'uscita, cioè il segnale già ritardato e rimetterlo in input.
A questo punto, tale segnale verrà a sua volta ritardato e, ri‑immesso
in entrata produrrà un segnale a sua volta ritardato e così via.
Serve, naturalmente, un controllo di volume, che costituisce il
cosiddetto guadagno del feedback, in modo da reintrodurre il suono a un
volume leggermente inferiore a quello in uscita altrimenti la
ripetizione si riprodurrebbe all'infinito.
In tal modo, se il controllo del feedback è regolato opportunamente, si
ottiene una serie di ripetizioni a volume via via calante fino alla
scomparsa del segnale. Il limite rispetto al fenomeno naturale è,
forse, la regolarità estrema tipica della macchina dell'intervallo fra
le varie ripetizioni, cosa che non sempre accade in natura. Questo non
è, però, un limite nel caso di un uso musicalmente strutturato dell'eco
in cui, per esempio, le ripetizioni devono seguire il tempo musicale in
modo regolare.
Un buon modo per
studiare il comportamento di una unità
di questo tipo e capire che eco genera è quello della risposta
all'impulso: si manda in entrata un singolo, semplice 'toc' (l'impulso,
in rosso), di durata minimale e si vede che tipo di eco ne viene fuori.
Il primo grafico mostra la risposta all'impulso per questa unità, con
fattore di feedback uguale a 80%, mentre, nel secondo, il guadagno è
ridotto al 40%. Come si vede, otteniamo una serie di echi regolarmente
spaziati nel tempo e con ampiezza decrescente.
La densità degli echi, poi, è facilmente controllabile agendo sul
fattore di feedback: se esso è pari a uno, avremo una ripetizione
infinita (opzione presente su molti processori in commercio e nota come
"infinite repeat"), se, invece, è zero, avremo una sola ripetizione.
Per valori intermedi, possiamo regolare accuratamente la lunghezza del
repeat.
Un altro controllo che molte unità mettono a disposizione è quello sul
filtro passa‑basso. Abbiamo già visto come, in natura, gli echi abbiano
un timbro più cupo del segnale originale. Si spiega, così, perché, in
molte linee di ritardo, i programmi per creare degli echi includano un
filtro passa‑basso (LPF: low pass filter), regolabile dall'utente, che
serve, appunto, a filtrare le componenti alte rendendo il segnale
ritardato più cupo rispetto all'originale.
Notare la posizione del passa-basso. Esso è
posto subito dopo il delay
e non nel loop. In tal modo, anche il primo echo viene filtrato. Questa
unità è generalmente un filtro del primo ordine la cui curva di
risposta decresce con una certa regolarità su quasi tutto il campo
frequenziale da 0 a SR/2, con pendenza maggiore sugli alti ma senza mai
tagliare del tutto, se non a frequenze molto alte. In tal modo, ad ogni
ripetizione, le alte frequenze risultano sempre più attenuate mentre le
basse restano tali a simulare l'assorbimento dell'aria che è quasi
nullo sui bassi, ma ben pronunciato sugli alti. Questo effetto dipende
dalla temperatura e dall'umidità. A 2 kHz, l'assorbimento è tipicamente
di 0.5 dB per ogni 100 metri percorsi dall'onda sonora con umidità
relativa del 20% e temperatura do 20° C, ma, con le stesse condizioni,
raggiunge i 2 dB/100m per frequenze di 4 kHz.
Per ottenere un'eco realistica, dunque, l'azione del filtro dovrebbe
essere tanto più accentuata quanto più il ritardo è lungo. Il tempo di
ritardo, infatti, dipende solo dalla distanza dell'ostacolo
riflettente: indipendentemente dalla sua natura, più esso è lontano,
più il suono deve viaggiare nell'aria che, di per sè, attenua le alte
frequenze.
Abbiamo fin qui delineato le caratteristiche e i controlli di un
programma di eco molto semplice dotato dei soli tre controlli che
possono essere considerati essenziali. Normalmente i programmi di eco
che si trovano sui processori di effetti sono più complessi (tipo dual
echo, ping‑pong echo e così via). A volte, però, la semplicità aiuta ad
ottenere degli effetti più caratterizzati e incisivi (soprattutto in
musica). Vedremo nella prossima parte vari esempi di utilizzo musicale
di un eco di questo tipo.