Come si può vedere, il riverbero non è uniforme, ma
composto da una serie di impulsi che all'inizio sono separati fra loro
diventando, via via, sempre più fitti fino a generare una linea
pressoché uniforme con densità superiore a 1000 echi al
secondo. Il fenomeno, quindi, ha uno sviluppo temporale ben preciso
che, come abbiamo già visto nella precedente puntata, fornisce
al nostro sistema percettivo quelle informazioni che creano la
sensazione di ambiente. L'intero sviluppo della riverberazione deve
essere simulato accuratamente per produrre, alle orecchie
dell'ascoltatore, sensazioni simili a quelle reali.
Reti di Riverberazione
Un primo problema può essere quello della densità: 1000
echi al secondo sono molti e non possono certo essere prodotti da una
singola unità di ritardo come quelle già viste nel caso
dell'eco. La soluzione consiste nell'utilizzarne più di una con
un collegamento in serie.
In questa immagine, la rete di riverberazione è schematizzata
con un grafo in cui ogni freccia rappresenta una unità d'eco che
ha l'input alla sua sinistra e l'output alla destra. In una rete di
questo tipo ogni unità crea degli echi a tutto ciò che
proviene da quella precedente, così, se l'unità C1, a
partire da un singolo impulso, genera 4 echi e la C2 ne genera 5,
all'uscita dell'unità C2 avremo 20 echi
(4 x 5 = 20) perché quest'ultima avrà
generato 5 echi per ognuno dei 4 che arrivano da C1. Se, poi,
l'unità, C3 genera, a sua volta, 9 echi, alla sua uscita avremo
180 echi (20 x 9) e infine, regolando la C4 a 11 echi,
arriveremo a 1980, quantità sufficiente a creare la sensazione
di un riverbero diffuso.
Il problema sembrerebbe risolto, ma non è
così. Il riverbero creato con questo sistema, infatti, non
è naturale per varie ragioni. In primo luogo, infatti, le
unità d'eco di cui abbiamo parlato nella prima puntata hanno un
effetto filtrante che è secondario nell'uso come eco singolo ma,
nell'utilizzo in serie, colora troppo il segnale con un effetto
innaturale. Queste unità, infatti, vengono chiamate "comb" che
significa pettine perché la loro risposta in frequenza non
è piatta ma contiene un certo numero di picchi regolarmente
spaziati, la cui posizione dipende dall'entità del ritardo
(figura a sin.).
Per risolvere questo problema sono state create delle unità
d'eco apposite chiamate "allpass" (passa‑tutto) dotate di risposta in
frequenza piatta e in grado di generare degli echi senza nessun effetto
filtrante. Si possono, quindi, utilizzare queste unità nella
rete di figura 2, ma rimangono altri problemi. Con una rete di questo
tipo, infatti, è impossibile differenziare sufficientemente i
primi echi dal riverbero diffuso e creare un processo graduale di
accrescimento dai primi al secondo. Nel corso di anni di esperimenti
è risultata evidente, invece, la necessità di
differenziare queste due fasi utilizzando reti collegate, ma distinte,
per la prima e per la seconda fase.
Riverberatori Classici
Ecco quindi i primi riverberatori impiegati anche nei processori
commerciali: i più noti sono i modelli dello studioso americano
J. A. Moorer e quello di Schroeder che hanno trovato impiego in vari
effect processor qualcuno dei quali è sicuramente a casa vostra
o nel vostro studio. Nella figura seguente sono visibili gli schemi di
questi due riverberatori classici sotto forma di grafi. Le linee
contrassegnate con C indicano i comb, quelle con A, gli allpass.
Entrambi si basano sugli stessi presupposti: l'idea è quella di
creare i primi echi con un certo numero di comb in parallelo, ognuno
con un ritardo leggermente diverso, per poi aumentare la densità
del segnale con gli allpass. Abbiamo, quindi, due reti distinte, ma
collegate.
In questo caso, si possono usare i comb perché le unità
non sono in serie, ma in parallelo: gli effetti filtranti, quindi, non
si sommano e rimangono entro limiti accettabili, anzi, un po' di
colorazione fa bene al segnale, differenziando il timbro dei primi echi
da quello del segnale diretto.
Generalmente, quando questi riverberatori sono utilizzati nei
processori, l'utente non può accedere ai parametri di controllo
delle singole unità (sarebbe troppo complicato), ma pilota
l'apparecchio con pochi valori di tipo più generale come il
tempo di riverbero che in genere varia fra 0,1 e 10 o 20 secondi. Nel
regolarlo, si deve considerare che il riverbero di una sala da concerto
varia fra 1 e 2 secondi, 4 secondi è quello di un grande
auditorium e oltre i 5 passiamo alla cattedrale.
Il tempo di riverbero, comunque, è definito, per convenzione,
come il periodo di tempo impiegato dal segnale a scendere di 60 dB
sotto alla sua ampiezza di ingresso. Ora, 60 deciBel sono molti e
corrispondono a dimezzare per 10 volte l'ampiezza di ingresso, quindi,
se il segnale è già a basso volume, considerate che
è probabile che il tempo di riverbero impostato vi sembri in
reltà più breve.
Un altro valore importante, quando è disponibile, è
quello del predelay che è il ritardo fra il segnale diretto e il
riverbero vero e proprio. Esso controlla, in pratica, lo spazio dato ai
primi echi, prima della formazione dell'alone riverberante, e concorre
a creare l'effetto di vastità della sala. Si misura in
millisecondi e dovrebbe aumentare proporzionalmente alla durata del
riverbero andando da 40 o 60 msec per un salone fino a 100 o 150 per un
grande auditorium o una cattedrale.
Questi valori sono quelli tipici di ambienti normali, ma, con
combinazioni appropriate di predelay e tempo di riverbero, si possono
creare anche ambienti di altro tipo. Per esempio, la combinazione
predelay lungo con riverbero breve suggerisce un ambiente molto vasto
ma poco riflettente (grande sala con pareti tappezzate o spazio
parzialmente aperto), mentre la combinazione inversa crea la sensazione
di uno spazio piccolo ma molto riflettente.
Ora prendiamo un microscopio e andiamo a vedere cosa succede quando si
butta un impulso (un singolo 'tac', come un battito di mani)
all'interno di uno di questi riverberatori. Le due immagini seguenti
riproducono la risposta all'impulso del riverberatore di Schroeder, con
tempo di riverbero pari a un secondo, in due istanti temporali distinti.
Nella prima immagine, il campione va da zero (l'istante di emissione
del suono diretto che non è visibile in figura e deve intendersi
come una singola linea di ampiezza 60 dB all'istante zero) a 55
millisecondi: potete vedere chiaramente il processo di accrescimento
che porta dai primi echi (in blu) alla riverberazione continua. Il
primo fra i primi echi arriva dopo 30 msec. che corrispondono a un
percorso del suono nell'aria di circa 10 metri; gradualmente, poi, gli
echi si intersecano, sommandosi anche fra loro, mentre il suono diventa
via via più denso e continuo.
Nella seconda figura, il campione è preso dopo 100 msec.,
quando, ormai, il suono assume già le caratteristiche di un
riverbero diffuso. Potete notare come i singoli echi che formano la
riverberazione arrivino in piccole serie la cui configurazione è
sempre più regolare con il passare del tempo (da destra a
sinistra). Ogni serie, però, non è mai perfettamente
uguale alla precedente, anzi, l'uguaglianza deve essere assolutamente
evitata pena la produzione di una riverberazione falsa. Nella
realtà, invece, il riverbero si evolve in modo sensibile
conservando sempre, a livello microscopico, piccole differenze da un
istante all'altro.
Per ottenere questa evoluzione evitando le ripetizioni, è vitale
regolare in modo accurato i tempi di ritardo delle singole unità
che fanno parte della rete di riverberazione (in questo caso, i 4 comb
e i 2 allpass) ed è per questo che, nelle unità in
commercio, questi parametri non sono accessibili all'utente. La regola
generale, comunque, è quella di scegliere dei ritardi che siano
assolutamente primi fra loro, cioè privi di divisori comuni: i
ritardi dei 4 comb, per esempio, non dovrebbero mai essere numeri tipo
30, 40, 50 e 60, perché questi valori hanno almeno tre divisori
comuni (10, 5 e 2) e sono a distanza regolare fra loro, con il
risultato di produrre degli echi a distanza sempre uguale, ma piuttosto
31, 39, 45 e 53 che, essendo privi di divisori comuni e irregolari
producono dei primi echi più realisti (per maggiori particolari,
il lettore interessato può consultare un famoso articolo
considerato come la bibbia sull'argomento: "Moorer J. A.,
About This Reverberation Business, Computer Music Journal, Vol. 3, Num.
2, 1979").
In linea di massima, il riverbero prodotto da questa rete è
buono anche se, quando è applicato a suoni molto brevi e
impulsivi, si producono alcune fluttuazioni dinamiche nella risposta e
la parte finale è, a volte, un po' metallica. Per ovviare a
questi inconvenienti, Moorer ha proposto la seconda rete già
vista in figura, anch'essa ampiamente utilizzata in unità
commerciali, composta di 6 comb che però incorporano un leggero
filtro passa‑basso sul segnale in retroazione, come nella figura
seguente.
Si tratta di un banale filtro del primo ordine, con poca pendenza, che
si limita ad attenuare in misura sempre maggiore le alte frequenze come
accade nella realtà a causa dell'assorbimento dell'aria
(risposta in frequenza in figura).
Per quanto riguarda l'uscita stereofonica, infine, è bene
differenziare leggermente il riverbero sui due canali. Ciò si
ottiene semplicemente differenziando l'ultima unità della catena
e assegnando alle due unità ritardi leggermente diversi, come in
figura. Naturalmente, sarebbe bene differenziare stereofonicamente
anche i primi echi, ma ciò comporta l'utilizzo di reti ben
più complesse che ora vedremo.
Riverberatori a più canali
Le reti di riverberazione multichannel, definite da Stautner e Puckette
nel 1982 (Stautner J., Puckette M. ,Designing Multi-Channel
Reverberators, Computer Music Journal, Vol. 6, Num. 1, 1982),
costituiscono un deciso passo avanti verso una simulazione più
realistica del riverbero. Esse tentano di ricostruire il fenomeno con
un modello che si avvicina maggiormente a ciò che avviene nella
realtà. Il riverbero, in effetti, è costituito
semplicemente dalla somma degli echi generati dalle onde sonore che
viaggiano nell'ambiente e ogni qualvolta incontrano una parete
rimbalzano perdendo di intensità e proseguendo il viaggio fino
ad incontrare altre pareti.
In questa figura si vede una rete di questo tipo. Il segnale in input
viene inviato a 4 linee di ritardo di lunghezza diversa, il cui output
costituisce i primi 4 echi. Fin qui non c'è niente di diverso
dai riverberatori classici. La differenza fondamentale risiede nel modo
in cui viene gestito il segnale in feedback: nei riverberatori
classici, ogni unità ha il suo feedback; in questo modello,
invece, ogni unità riceve un feedback da tutte le altre con
ampiezze controllate da appositi valori di guadagno (i vari Gxx
visibili in figura in quella che viene chiamata matrice di
distribuzione).
In altre parole, per esempio, l'output dell'unità di ritardo
numero 1 viene inviato in retroazione all'unità num. 1 con
ampiezza .1, alla 2 con ampiezza .3, alla 3 con ampiezza .3 e alla 4
con ampiezza .2. In questo modo gli echi ricircolano continuamente nel
sistema in modo analogo a quanto avviene nella realtà. Per
simulare l'assorbimento alle alte frequenze basta aggiungere 4 filtri
passa‑basso di primo ordine (come quello già visto) nei loop.
Queste reti danno risultati migliori rispetto a quelle classiche, ma
sono anche più difficili da controllare. Nelle reti classiche,
per esempio nel riverberatore di Schroeder, si tratta di fornire alla
rete un totale di 12 valori di controllo (ci sono 6 unità ognuna
delle quali ha 1 delay time e 1 guadagno di feedback) e sono stati
messi a punto dei validi algoritmi per calcolare questi valori a
partire dal tempo di riverbero desiderato. In realtà i delay
times sono preimpostati per ogni tipologia di riverbero (room, hall,
big hall, etc.) e la lunghezza dell'alone viene controllata agendo sui
guadagni dei feedback, quindi i valori che cambiano sono solo 6.
La rete di figura 10, invece, necessita di ben 20 valori, cioè 4
delay time e 16 guadagni di feedback e analogamente al caso precedente,
sono questi ultimi che controllano il tempo di riverbero e devono
essere ricalcolati ogni volta che il tempo cambia.