Ho il mal di gola e la febbre, quindi sono particolarmente caustico. La storia che vi racconto stasera non ha un lieto fine e ha qualche aspetto strano.
Una notte d’aprile del 1996, un uomo uscì da una casa immersa in una tranquilla foresta nelle vicinanze del villaggio di Gechi-Ču, a una trentina di chilometri da Groznyj, in Cecenia.
Quell’uomo era Džochar Dudaev, capo dell’esercito ceceno. L’uomo più ricercato dell’intera Russia. Il Bin-Laden di Mosca.
Cinquantadue anni, Dudaev era una figura eccezionale, per i suoi. Primo ceceno a raggiungere il grado di generale di divisione dell’esercito sovietico, aveva comandato una unità di bombardieri in Estonia fino al 1990. Rientrato in Cecenia, era entrato nelle file del movimento indipendendista e, nel 1993, aveva proclamato l’indipendenza del paese divenendone il primo presidente e un signore della guerra molto temuto. Sfuggito a numerosi attentati, per anni era sempre stato un passo avanti rispetto all’esercito russo, pur avendo una vita pubblica e concedendo interviste a tutti i corrispondenti stranieri.
Dudaev camminò fino al centro della radura, portando con sè il suo telefono satellitare Inmarsat. La telefonata che stava per fare era molto importante. La guerra, per i russi, stava andando male e Boris El’cin aveva lanciato un’iniziativa negoziale. Nonostante le assicurazioni, Dudaev non si fidava a incontrare i russi a Mosca o a Groznyj e intendeva condurre le trattative tramite intermediari, per telefono.
Quella notte, Dudaev si accingeva appunto a chiamare il suo mediatore, Konstantin Borovoij, parlamentare russo di tendenze liberali. Il telefono satellitare Inmarsat era ingombrante, ma gli permetteva di comunicare da qualsiasi luogo. Sviluppato per le comunicazioni marittime (Inmarsat = International Maritime Satellite), disponeva di una lunga antenna e di un proprio trasmettitore con cui agganciava direttamente il satellite che ritrasmetteva il segnale a terra, raggiungendo qualsiasi apparecchio.
Dudaev piazzò l’antenna e aspettò che il sistema agganciasse il satellite. Poi formò il numero. Mentre parlava, sentì il rumore di un aereo. Immediatamente dopo, due missili aria-terra colpirono la radura, diretti verso di lui, o meglio, verso il suo telefono. Uno cadde un po’ più avanti, l’altro esplose a pochi metri da lui.
Si dice che Dudaev morì con una scheggia piantata in testa. Non si sono mai viste foto del suo cadavere.
Se questo omicidio avvenisse oggi, non ci sarebbe niente di strano, ma nel 1996 gli attentatori di Dudaev dovettero dapprima usare un satellite di sorveglianza per identificare il segnale del suo telefono, poi collegarsi con un GPS per determinare la posizione del segnale. Poi allertare un aereo perché programmasse i missili in modo da usare come guida la frequenza del segnale e li lanciasse nella direzione corretta.
Il fatto strano è che nel 1996 i russi non disponevano di una tale tecnologia.