Mauro Graziani

Il Riverbero
1a parte

Il fenomeno della riverberazione che si sperimenta normalmente ascoltando i suoni in una grande sala è ben noto alla maggior parte delle persone, tuttavia pochi sanno come è perché questo fenomeno si verifichi in natura. Molti ignorano, inoltre, che la riverberazione non è un semplice effetto da usare in sala per rendere un suono più carino o realistico, ma un fenomeno strettamente legato alla natura del suono e al contesto ambientale al punto da essere un'importante sorgente di informazioni per il nostro sistema percettivo.
In musica, il riverbero contribuisce notevolmente a formare la sensazione di realtà acustica del suono. Se pensiamo che, in genere, le sorgenti sonore naturali non sono direttive, ma irradiano energia in un largo angolo, possiamo renderci conto che solo una piccola parte di essa ci arriva come suono diretto, mentre la maggior parte finisce nel riverbero che viene a costituire, così, una caratteristica percettiva molto importante nel determinare l'atmosfera emozionale collegata ai vari suoni. Una riverberazione accurata, quindi, è essenziale soprattutto quando si usano fonti sonore sintetiche che, per loro natura ed anche a causa del tipo di diffusione mediante casse acustiche, sono spesso molto fredde e direzionali. Dobbiamo, quindi, fabbricare, attorno al suono, il riverbero in modo non solo realistico, ma anche corretto e dotato di senso.
Se, per esempio, ascoltiamo un suono all'interno di una sala, anche se siamo ad occhi bendati o comunque non in grado di vedere direttamente la sorgente sonora, riusciamo a valutare con buona precisione la localizzazione e la distanza di quest'ultima e otteniamo indicazioni sulle dimensioni della sala in cui ci troviamo.
Come è possibile questo? Tutti questi dati vengono dedotti dal nostro sistema orecchio cervello basandosi essenzialmente sul complesso dei segnali acustici ricevuti e sul fatto che noi abbiamo due orecchie e non a caso: così come sono necessari due occhi per avere una visione del mondo tridimensionale e non semplicemente piatta, è indispensabile possedere due orecchie per localizzare correttamente la sorgente di un suono, capire la direzione da cui proviene e valutare le dimensioni della sala.
Queste considerazioni, comunque, ci guidano direttamente alla spazializzazione, argomento di cui ci occuperemo in dettaglio in una delle prossime puntate. Prima di poterlo affrontare, infatti, occorre avere una certa conoscenza di fenomeni come l'eco e il riverbero che ne è una diretta conseguenza. In questa puntata vi invitiamo ad un viaggio all'interno del riverbero mediante una sorta di microscopio acustico in grado di evidenziarne le caratteristiche principali.

La riverberazione e la percezione dell'ambiente acustico

Supponiamo, quindi, di entrare in una grande sala portandoci portandoci una macchina capace di emettere suoni impulsivi di durata molto breve, tipo battimani, e di piazzarla a una certa distanza da noi. Tale macchina, detta sparkle machine (macchina che genera scoppi) viene utilizzata spesso in acustica ambientale per lo studio del riverbero in quanto, emettendo suoni molto brevi, permette di generare una riverberazione pura, non sovrapposta al suono originale.
Nell'immediatezza percettiva, la riverberazione ci apparirà come un tutto unico: una sorta di alone che circonda il suono e gli sopravvive estinguendosi lentamente. Attiviamo ora il nostro microscopio acustico e andiamo a vedere in dettaglio l'evoluzione di questo suono nel tempo dal punto di vista dell'ampiezza.
Risposta all'impulso di una grande sala: in rosso il suono diretto, in blu i primi echi e in verde il riverbero diffuso
Questa figura mostra la variazione in ampiezza della riverberazione in una grande sala così come arriva alle orecchie di un ascoltatore, con un singolo suono impulsivo come eccitazione di partenza: il grafico visualizza, in pratica, la risposta all'impulso della sala mostrandoci come la sala stessa reagisce alla produzione di un impulso acustico (un singolo 'toc' di circa 1/100 di secondo, in rosso nel grafico). L'intero grafico rappresenta, sull'asse orizzontale, un tempo totale di circa 1 secondo e mezzo.
Come si può ben vedere, il riverbero non è uniforme, ma composto da una serie di impulsi che all'inizio sono ben separati fra loro diventando, via via, sempre più fitti fino a generare una linea pressoché uniforme. Questo dato è molto importante per il nostro sistema percettivo in quanto apporta una notevole quantità di informazioni che ora vedremo, tanto da spingerci a descrivere il fenomeno più in dettaglio.
Le tre distinte fasi della formazione del riverbero
Guardiamo la figura qui sopra: essa rappresenta una sala vista dall'alto nella quale si trovano una sorgente sonora (in alto a sinistra) e un ascoltatore (al centro) e schematizza la formazione del riverbero dividendola in tre distinte fasi, da sinistra a destra. Quando la sorgente sonora emette un suono, il primo "pacchetto" di onde sonore che colpisce le orecchie dell'ascoltatore è il suono diretto che viaggia nell'aria alla solita velocità di circa 344 metri al secondo (velocità che dipende anche dalla temperatura e dalla densità dell'aria) andando in linea retta verso l'ascoltatore. È il suono più fedele dato che è soggetto soltanto all'assorbimento dell'aria alle alte frequenze (ne abbiamo già parlato nel caso dell'eco) e ci permette di localizzare la sorgente sonora rispetto alla nostra posizione e nel caso di suoni conosciuti, una prima indicazione della distanza (come avvenga in dettaglio la localizzazione lo vedremo quando parleremo di olofonia, per ora occupiamoci solo del riverbero).
Un breve inciso. Generalmente non ci pensiamo, ma in realtà non sentiamo mai un suono nel momento stesso in cui viene emesso, ma alcuni istanti dopo. La stessa cosa avviene anche per la luce, ma la velocità di quest'ultima è incommensurabilmente superiore a quella del suono e tale da annullare, di fatto, la distanza di qualsiasi fenomeno che si trovi a portata di vista: l'effetto è sensibile solo sulle grandi distanze. La luce del sole, per esempio, ci arriva circa 8 minuti dopo essere stata emessa e quando l'ultimo pezzettino di sole scompare dietro le montagne, in realtà è se ne è già andato da 8 minuti.
Nel caso del suono, però, l'effetto è tale che due musicisti che si trovino a soli 30 metri di distanza non riusciranno mai a suonare a tempo perché tale distanza corrisponde a circa 1/10 di secondo di ritardo che è tantissimo in termini musicali (se riprendete la tabella pubblicata nell'articolo sull'utilizzo musicale dell'eco, noterete che corrisponde a una semicroma a metronomo 150: in ogni caso, anche a metronomo più lento, è sufficiente per sentire uno sfasamento, come ben sanno i registi che, nella messa in scena di lavori teatrali con musica dal vivo, a volte cercano di porre alcuni strumenti lontano dagli altri per creare particolari effetti e poi si chiedono come mai non siano perfettamente sincronizzati; in questi casi sono assolutamente necessari un direttore e la capacità di ignorare gli altri strumenti oppure si ricorre alle cuffie). Fine inciso: torniamo alla riverberazione.
Subito dopo il suono diretto, all'ascoltatore arrivano i primi echi dovuti alle riflessioni del suono sulle pareti della stanza. Ogni riflessione comporta una perdita di energia da parte del suono perché
  1. come abbiamo già visto, le pareti non restituiscono il 100% del segnale, ma ne assorbono una parte e
  2. il fatto di seguire un percorso più lungo comporta anche una perdita dovuta alla maggiore distanza, per cui l'intensità sonora dei riflessi è minore rispetto a quella del suono diretto.
Da questa differenza di intensità, il nostro sistema percettivo ricava delle indicazioni sulla capacità di assorbimento della sala.
Ben più importante, però, è il tempo che separa il suono diretto dai primi echi che fornisce precise informazioni sulla grandezza della sala: esso, ovviamente, è funzione della lunghezza del percorso che le onde sonore devono coprire per arrivare alle pareti e rimbalzare fino all'ascoltatore, quindi, in definitiva, dipende strettamente dalle dimensioni della sala.
A titolo di esempio, possiamo quantizzare, in linea di massima, questo ritardo per la stanza della nostra figura misurando le linee dei primi echi e mettendole in rapporto con la distanza fra sorgente e ascoltatore. Il rimbalzo sulla parete sinistra, per esempio, è circa 2.5 volte la distanza diretta: supponendo che quest'ultima sia di 10 metri (con il lato più lungo della stanza pari a circa 40 metri), la distanza percorsa dal suono nel primo rimbalzo sarà di 25 metri. A 344 m/sec., il suono diretto impiegherà circa 0.029 secondi per arrivare all'ascoltatore, mentre l'eco ne impiegherà circa 0.072: una differenza di 0.043 sec. (quasi mezzo decimo di secondo) non è poco in assoluto, tanto più se si considera che questo è solo il primo eco ad arrivare. Il rimbalzo più lungo, per esempio, è circa 5 volte la distanza diretta il che equivale, nel nostro esempio, a 50 metri con un tempo di 0.145 e un ritardo di 0.116 (più di 1/10 di secondo).
In modo del tutto automatico, la combinazione orecchio cervello trasforma le differenze di intensità e i ritardi temporali in un senso delle dimensioni e delle caratteristiche di assorbimento della sala.
Ma le onde sonore non muoiono una volta raggiunto l'ascoltatore e continuano a viaggiare rimbalzando sulle pareti e perdendo, via via, di intensità. In tempi brevi la densità dei riflessi cresce al punto che questi ultimi non sono più distinguibili singolarmente nemmeno da un sistema percettivo raffinato come il nostro, arrivando da tutte le direzioni e formando quello che viene percepito come un riverbero diffuso che circonda la sorgente sonora con un caldo alone ambientale. La soglia percettiva fra la fase dei primo echi e quella del riverbero percepibile come un suono continuo è stata stimata in una densità dei riflessi pari a circa 1000 echi al secondo.
Anche il riverbero, comunque, viene utilizzato dal nostro sistema percettivo per ottenere altre indicazioni sulle dimensioni della sala e sulla distanza della fonte sonora. Quest'ultimo dato è particolarmente interessante: la sensazione di distanza in un ambiente chiuso, infatti, dipende anche dal rapporto di volume fra il suono diretto e quello riverberato e dalle loro differenze timbriche dovute al fatto che le pareti e l'aria si comportano come un filtro passa basso, attenuando maggiormente le alte frequenze rispetto alle basse (lo abbiamo già visto nel caso dell'eco).
Due sorgenti sonore A e B piazzate a diversa distanza dall'ascoltatore
A tale proposito, osservate questa figura. Abbiamo due sorgenti sonore A e B, che supponiamo uguali, piazzate a diversa distanza dall'ascoltatore. Supponiamo anche che le due sorgenti emettano, l'una dopo l'altra, lo stesso suono alla stessa intensità di partenza; solo la distanza, dunque, è diversa: che cosa cambia, per l'ascoltatore, nei due casi?
Ebbene, una prima considerazione è che il volume del suono diretto percepito da chi ascolta sarà maggiore nel caso B rispetto al caso A: la sorgente, infatti, è più vicina e il suono deve viaggiare meno nell'aria, perdendo meno energia.
Anche la configurazione dei primi echi sarà diversa nei due casi: il ritardo fra il suono diretto e i primi echi sarà maggiore nel caso B rispetto al caso A. Per verificarlo, osservate la figura seguente e comparate i rappoti di lunghezza fra le frecce che rappresentano il percorso dei suoni diretti e quelle dei relativi echi.
Le frecce rappresentano il percorso dei suoni diretti e quelle dei relativi echi
Abbiamo, infine, il riverbero diffuso. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, quest'ultimo sarà identico nei due casi: una volta che è stata superata la soglia dei 1000 echi al secondo, infatti, non esiste più alcun senso di direzione collegato al suono riverberato che sembra provenire da ogni luogo. Anche la sua intensità sarà più o meno la stessa: il riverbero è la risposta dell'ambiente al suono e se quest'ultimo rimane immutato, la risposta dell'ambiente sarà la stessa, in qualsiasi posizione sia stato emesso. Quest'ultimo dato è, però, molto importante per il sistema percettivo che confronta le differenze di intensità fra il suono diretto e quello riverberato per completare la sensazione di distanza.
Il dato di fatto è che, in un ambiente chiuso, il volume del suono diretto decresce rapidamente con la distanza (è inversamente proporzionale al quadrato della distanza) mentre quello del suono riverberato rimane identico anche se la distanza dalla sorgente sonora cambia. Facendo i debiti confronti, quindi, il sistema percettivo è in grado di stimare la distanza della sorgente sonora e distinguere anche casi ambigui, come, per esempio, quello di una sorgente vicina che emette un suono a basso volume e la stessa lontana che suona forte. Ne consegue che, per dare una sensazione di distanza in un missaggio, è necessario regolare attentamente il rapporto fra il suono vero e proprio e il riverbero; ne consegue anche che, per dare la sensazione di un suono che si allontana in distanza, il volume del suono diretto deve abbassarsi più rapidamente rispetto al riverbero.
Abbiamo visto, quindi, come una cosa che viene considerata dai più come un semplice effetto abbia conseguenze notevoli sulla percezione e sulla sensazione di realtà e di posizionamento di un suono rispetto all'ascoltatore. Nella prossima parte vedremo come viene creato il riverbero nei processori per effetti e nel software.
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