Dal comunicato di Federculture:
Questa volta non si tratta solo di tagli, pur molto consistenti – circa 280 milioni tra tagli diretti al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, decurtamento del Fus e dei trasferimenti statali agli enti culturali, cui si aggiungono le riduzioni a carico delle amministrazioni locali che, secondo prime stime, potrebbero pesare sul settore per circa 800 milioni di euro nel prossimo biennio -, ma di un combinato di articoli contenuti nella legge, la cui applicazione disegnerà un quadro generale nel quale l’intervento pubblico dovrà fare totalmente marcia indietro, rinunciando di fatto alla possibilità di attuare politiche culturali, sia a livello nazionale che regionale e locale.
Avranno in particolare conseguenze disastrose sul sistema culturale italiano le norme che dispongono un tetto di spesa per l’organizzazione delle mostre pari al 20% di quanto speso dall’amministrazione nel 2009, tagliando di fatto dell’80% le risorse (Art. 6, commi 7, 8, 9, 12 e 13), quelle che obbligano i comuni sotto i 30.000 abitanti allo scioglimento delle società dagli stessi costituite (Art. 14, comma 32) ed infine quelle che fissano limiti alla composizione dei consigli di amministrazione, ostacolando la partecipazione dei privati alla gestione delle aziende culturali (Art. 6 commi 5 e 6).
La legge 122/2010 renderà impossibile per amministrazioni pubbliche, aziende e fondazioni e tutti gli organismi, che gestiscono i servizi e le attività culturali nel Paese, continuare a svolgere il loro compito istituzionale di promozione e diffusione della cultura. Una vera mannaia che si abbatterà indiscriminatamente su musei, teatri, biblioteche, colpendo anche quelle realtà virtuose che sono state l’elemento di maggiore innovazione e modernizzazione degli ultimi anni nei servizi resi ai cittadini e al territorio e riconosciute anche a livello internazionale.
Alcune norme, inoltre, potrebbero ledere le prerogative di autonomia degli enti territoriali e delle società private che gestiscono i servizi pubblici culturali, così come garantite dalla Costituzione. Per questo alcune Regioni hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente ad alcuni articoli della manovra, così come Federculture aveva già evidenziato nei mesi scorsi.
L’obiettivo della protesta è denunciare il pressoché totale disimpegno statale nel garantire la sopravvivenza del settore, già da anni falcidiato dal progressivo rarefarsi delle risorse e degli investimenti. Nel prossimo anno il budget del Mibac crollerà a 1,5 miliardi di euro, ormai circa lo 0,21% del bilancio statale, come dire che lo Stato spende 21 centesimi in cultura ogni 100 euro e, parametrato alla popolazione italiana equivale ad una spesa procapite di 25 euro. Cifre irrisorie per l’ampiezza e la complessità del nostro patrimonio e le esigenze di conservazione, valorizzazione e promozione cui bisognerebbe assolvere, che ci fanno sfigurare anche nel confronto internazionale: la Francia, ad esempio, ha una spesa statale procapite per la cultura di 46 euro, quasi il doppio della nostra.
Con investimenti di tale esiguità è impensabile non solo la sopravvivenza ma lo sviluppo del settore culturale che pure ha enormi potenzialità, tanto che potrebbe essere uno dei comparti sul quale puntare per uscire dalla crisi e restituire competitività al sistema economico nazionale. Il potenziale anche economico della cultura è d’altronde ampiamente dimostrato dai dati che ci dicono, ad esempio, che in Italia ci sono oltre 900mila imprese operanti in attività legate al settore culturale e creativo e che, ancora nel 2009 in piena crisi, la spesa delle famiglie italiane per la cultura ha rappresentato il 7% della loro spesa complessiva. Si andrà, invece, come chiaramente segnalano gli organizzatori della mobilitazione, verso un’ulteriore perdita di offerta, servizi e occupazione. Se non si interviene per tempo nel Paese non ci sarà una politica culturale da parte dello Stato, né delle amministrazioni locali, né tantomeno dei privati.
Una politica superficiale e miope sta colpendo nel profondo il diritto dei cittadini alla cultura, l’accesso alla conoscenza e alla fruizione del nostro immenso patrimonio collettivo, che è alimento essenziale per il benessere e la crescita.
Per questo il 12 novembre si chiuderanno le porte, ma per accendere i riflettori sulla cultura italiana e sul suo futuro a rischio.