Removed

Non stanno giocando a carte. Removed è un progetto del fotografo americano Eric Pickersgill in cui la pervasività del cellulare si evidenzia attraverso la sua assenza. Normalissime immagini di un quotidiano in cui l’oggetto centrale, quello su cui si fissa l’attenzione di tutti, è rimosso e in questo modo la scena appare in tutta la sua assurdità.

Lo stesso Pickersgill commenta

La famiglia che siede accanto a me nel caffé Illium a Troy, NY, è così scollegata. Non si parla molto. Il padre e le due figlie guardano i loro cellulari. La mamma non ne ha uno o sceglie di non usarlo. Fissa fuori dalla finestra, triste e sola, in compagnia della sua famiglia. Papà guarda gli altri ogni tanto per annunciare qualche oscuro pezzo di informazioni trovato on-line. Per due volte parla di un grosso pesce che è stato catturato. Nessuno risponde. Sono addolorato nel vedere una tecnologia creata per l’interazione usata per non interagire. Una cosa del genere non è mai accaduta prima e dubito che abbiamo scalfito la superficie dell’impatto sociale di questa nuova esperienza. Adesso anche la mamma ha tirato fuori il suo telefono…
[trad. mia]

Il sito del progetto Removed è qui, con molte altre immagini.

La tecnologia ha sempre inciso profondamente sulla vita delle persone e sui rapporti sociali. Basti pensare al frigorifero, all’automobile, alla televisione. Ma mai come oggi ci siamo trovati di fronte a qualcosa che incide così duramente sulla comunicazione. È interessante notare come, a causa del (o grazie al) cellulare, le persone non si trovino mentalmente nel luogo in cui sono fisicamente. Ora, è normale che questo accada in certe situazioni. Io passo circa 5/6 ore alla settimana in treno ed è ovvio che, in questo caso, la gente impieghi il tempo leggendo qualcosa, lavorando o, al limite, dormendo, ma con il cellulare, questo accade sempre. Vedo gente che sale in autobus digitando o parlando; continua per tutto il tragitto e prosegue anche quando scende. Si parla o si digita anche mentre si cammina per strada e mentre si guida.

Quello che accade è che questo oggetto e in ultima analisi, internet, ci inseriscono in un flusso continuo di comunicazione che ci astrae dal “qui e ora” inserendoci in una chat room virtuale permanente. E la tecnologia va in questa direzione sviluppando oggetti che tendono a incorporare il flusso direttamente nel nostro corpo, come i google glass, ovvero la realtà aumentata che, se da un lato è molto comoda quando sto cercando un certo negozio in una zona poco conosciuta della città, alla fine ci costringerà ad avere sempre un cellulare acceso davanti agli occhi. E, come alcuni di voi avranno sperimentato, è inutile dire che basta lasciarlo spento o non averlo. Presto sarà praticamente obbligatorio, così come è diventata letteralmente obbligatoria una connessione internet.

L’effetto mi sembra quello di annullare qualsiasi possibilità di restare soli con sé stessi, che invece è una condizione che mi piace. E mi sconvolge il fatto che sembra far paura alla maggior parte della gente…

EURion

Il post € Banknotes Bombing ha sollevato qualche interrogativo. Alcune persone mi hanno scritto segnalando che Photoshop si rifiutava di scannerizzare le banconote (non solo Euro), mentre altre mi dicevano che erano riusciti a fare lo scan senza problemi, ma poi la stampante si rifiutava di stamparle.

Effettivamente esiste un sistema sviluppato dal Central Bank Counterfeit Deterrence Group (CBCDG) che permette di identificare le immagini delle banconote al fine di rendere la vita difficile ai falsari. Il nome ufficiale del sistema è Counterfeit Deterrence System (CDS) ed è stato messo a punto su commissione del CBCDG dalla Digimark Corporation, una azienda che si occupa di watermarking.

Il CDS esiste dalla fine degli anni ’90 (circa 1996) e il suo funzionamento non è mai stato reso noto ufficialmente. È stato incorporato da alcuni produttori di software. Quelli attualmente noti sono Adobe, a partire da Photoshop CS (nei precedenti non c’è) e da Jasc (Paint Shop Pro). Entrambi affermano di aver ricevuto le routine sotto forma di codice precompilato e quindi di non essere a conoscenza del suo funzionamento.

Molti di più sono i produttori di hardware che lo hanno inserito nel firmware delle loro macchine. Si trova, infatti, in molte fotocopiatrici a colori Xerox e in alcune stampanti HP.

L’esistenza del CDS è stata scoperta nel 2002 da Markus Kuhn. Investigando il funzionamento di una fotocopiatrice Xerox che si rifiutava di stampare una immagine contenente banconote, Kuhn ha identificato un simbolo costituito da uno schema di cinque cerchietti gialli, verdi o arancio, schema ripetuto in aree delle banconote con diversi orientamenti. Andrew Steer più tardi notò un semplice rapporto intero tra il quadrato delle distanze dei cerchietti vicini, che dà ulteriori informazioni su come lo schema dovrebbe essere individuato efficientemente dal software di elaborazione delle immagini.

EURionLa forma dello schema è visibile nella figura a fianco, ma può essere presente anche con varie rotazioni. Data la sua vaga somiglianza con la costellazione di Orione e il fatto che il suo utilizzo ha ricevuto un forte impulso con la creazione dell’Euro, allo schema è stato attribuito il nome di EURion.

Le nazioni che hanno adottato l’EURion sono molte. Oltre a essere presente in tutte le banconote in Euro è stampato anche su lev bulgaro, dollaro canadese, corona danese, norvegese e svedese, fiorino ungherese, yen giapponese e altri (qui tabella completa alla data attuale)

In alcune fotocopiatrici a colori, la sola presenza di cinque di questi cerchietti in un’immagine è sufficiente per rifiutarsi di stampare, mentre altre stampano ma sovrappongono all’immagine la scritta “specimen” o “fac-simile” anche se l’immagine prodotta ha dimensioni o colori sensibilmente diversi dall’originale. Per esempio, io ho un notes le cui pagine sono biglietti da 100.000 Lire su cui è stampato “Fac-Simile” ma la dimensione è nettamente diversa dal biglietto reale e la stampa è su una sola faccia. Inoltre, l’EURion, a volte, è fonte di problemi anche per gli utenti onesti. I grafici pubblicitari, per esempio, si sono spesso lamentati per l’impossibilità di scannerizzare le banconote in Photoshop, tanto che alcune banche centrali permettono di scaricare immagini di banconote ad alta risoluzione con qualche particolare modificato.

È interessante, poi, vedere come l’EURion è stato incorporato nella banconote. Generalmente non è individuabile immediatamente. A volte lo diventa quando si sa cosa cercare.

Il caso più evidente è quello della banconota da € 10 (a sin, click to enlarge) in cui sono presenti molti cerchietti, alcuni dei quali formano l’EURion. In altre lo schema è meno visibile. In realtà, a volte, i cerchietti sono ben visibili, ma non vengono notati perché fanno parte di un disegno più esteso. Per esempio, nei $20, varie copie dello schema, con diversa rotazione, si creano usando gli zeri della scritta “20” continuamente ripetuta, mentre nelle vecchie £20, dedicate a Elgar, lo schema si ottiene unendo le note di un frammento di partitura.

Ultimamente, comunque, ricerche più accurate mostrano come l’EURion non sia l’unico schema di riconoscimento delle banconote. Mentre le fotocopiatrici continuano a basarsi sull’EURion, i software come Photoshop e Paint Shop Pro utilizzano anche altri sistemi, come dimostrato da questa ricerca.

€ Banknotes Bombing

L’artista greco stefanos ha elaborato un modo interessante per esprimere la propria insoddisfazione nei confronti delle istituzioni europee.

Il suo intervento consiste nel modificare le banconote, dipingendo in inchiostro nero figure angoscianti, emblematiche della situazione in cui versa il suo paese. Le banconote così modificate vengono poi scannerizzate per documentazione e rimesse in circolazione.

In una intervista ha dichiarato

Observing the euro banknote landscapes one notices a lack of any reality, whatsoever for the last five years the crumbling greek economy has hatched violence and social decay – so, I decided to fuse these two things. Through hacking the banknotes I’m using a european a document, that is in cross-border circulation, including greece – thus, the medium allows me to ‘bomb’ public property from the comfort of my home.

 

Altri esempi sono visibili qui.

I tempi sono cambiati

Bologna. Il 23 giugno del 1643, su richiesta dei professori e studenti dell’Università fu avanzata al Comune una perentoria protesta affinché fosse fatto divieto al transito per i carri attorno all’Archiginnasio per consentire agli studenti di studiare nel dovuto silenzio. L’istanza fu accolta.
[Tratto da Sounday Times, Il rumore e la città – considerazioni sul convegno la città nel rumore il rumore nella città]

Questo non per fare un elogio dei bei tempi andati, ma solo per sorridere un po’ 🙂 . In fondo parliamo di quasi 400 anni fa.

Insecam

Nel 2006 ho pubblicato un post intitolato L’Universo non è user friendly, dedicato alle webcam non protette e in generale, a tutti quelli che non si rendono conto che internet ha delle regole di comportamento ed è bene seguirle per non trovarsi nei guai. Il post spiega come trovare e guardare le webcam non protette che operano su internet. Tecnicamente non si commette nessun reato perché non si forza nulla. Non essendo la pagina protetta, si accede semplicemente a un sito individuato da un indirizzo ip, come tutti gli altri.

Faccio un esempio: tutti sanno che il mio sito è www.maurograziani.org e che all’indirizzo www.maurograziani.org/wordpress c’è il mio blog. Pochi, però, sanno che all’indirizzo www.maurograziani.org/non-ve-lo-dico c’è il calendario delle mie lezioni in Conservatorio. Ovviamente non è una pagina così privata. L’orario delle mie lezioni è noto in Conservatorio e anche se qualcun altro lo vede, non mi dà fastidio. Non lo pubblicizzo semplicemente perché non è una cosa di interesse pubblico, ma se qualcuno ci arriva non mi preoccupo. Se volessi nasconderlo, metterei una password alla pagina.

Per le webcam e per molte altre cose su internet è lo stesso: se sono liberamente visibili significa che al proprietario non interessa tenerle segrete. E se succede perché uno non ci pensa o non lo sa, beh, l’ignoranza non è una scusante. Bastava leggere il manuale.

Ora qualcuno ha espanso questa idea e creato un sito in cui sono raccolti gli indirizzi di migliaia di webcam non protette. Si tratta del progetto insecam, dove insecam ovviamente sta per insecure webcam. Il tutto ha fini “didattici”. Serve a spingere i proprietari a proteggere le proprie webcam e in ogni caso, quelle giudicate troppo invasive della privacy altrui non sono state listate.

Però, se volete vedere qualche frammento di vita nel mondo, fateci un giro (e se avete una webcam, controllate che non ci sia). L’elenco è ordinato geograficamente.

E se vi interessa spiare il mondo, sempre legalmente, andate su questa mia pagina.

E’ un virus

Tom WaitsAnni fa, Tom Waits, che notoriamente non è mai accomodante verso le corporation, ha scritto una bella lettera polemizzando con i musicisti che permettono che le loro canzoni vengano inserite negli spot commerciali in cambio di una manciata di soldi.

La lettera, pubblicata, fra gli altri da Dangerous Visions, Letters of Note e The Nation, contiene alcuni concetti non banali, che a una prima lettura del fenomeno possono sfuggire. Per esempio:

  • quando vendete alle aziende la vostra musica, vendete anche il vostro pubblico perché loro la useranno per convincere la gente ad acquistare automobili, drink e biancheria;
  • le corporation sperano di dirottare i ricordi di una cultura verso i loro prodotti (che invece non ne sono per nulla collegati);
  • loro vogliono il pubblico di un artista, la sua credibilità, la sua reputazione e tutta l’energia che le sue canzoni hanno concentrato con il passare degli anni.

Mi rendo conto che parlare di etica nel 2014 può sembrare perfino da bacchettoni, ma la realtà è che un musicista che raggiunge la notorietà è portatore di un certo grado di potere sulla gente e non deve permettere che venga utilizzato per qualsiasi cosa in cambio di denaro. È il lato bello del copyright: la possibilità che il compositore ha di vietare che la propria musica venga utilizzata in determinati contesti. E non è detto che ci si perda, come Ligeti e lo stesso Tom Waits insegnano: a volte le corporation sono così sfacciate che, chiamandole in causa, si vince (Ligeti ha vinto contro i produttori do 2001 Odissea dello Spazio che avevano smontato e usato il suo brano Atmosphères, mentre Tom Waits ha ottenuto 2.6 milioni di $ da Frito-Lay che aveva rifatto una sua canzone).

Ecco la lettera originale, già ripubblicata qui

Thank you for your eloquent “rant” by John Densmore of The Doors on the subject of artists allowing their songs to be used in commercials [“Riders on the Storm,” July 8]. I spoke out whenever possible on the topic even before the Frito Lay case (Waits v. Frito Lay), where they used a sound-alike version of my song “Step Right Up” so convincingly that I thought it was me. Ultimately, after much trial and tribulation, we prevailed and the court determined that my voice is my property.

Songs carry emotional information and some transport us back to a poignant time, place or event in our lives. It’s no wonder a corporation would want to hitch a ride on the spell these songs cast and encourage you to buy soft drinks, underwear or automobiles while you’re in the trance. Artists who take money for ads poison and pervert their songs. It reduces them to the level of a jingle, a word that describes the sound of change in your pocket, which is what your songs become. Remember, when you sell your songs for commercials, you are selling your audience as well.

When I was a kid, if I saw an artist I admired doing a commercial, I’d think, “Too bad, he must really need the money.” But now it’s so pervasive. It’s a virus. Artists are lining up to do ads. The money and exposure are too tantalizing for most artists to decline. Corporations are hoping to hijack a culture’s memories for their product. They want an artist’s audience, credibility, good will and all the energy the songs have gathered as well as given over the years. They suck the life and meaning from the songs and impregnate them with promises of a better life with their product.

Eventually, artists will be going onstage like race-car drivers covered in hundreds of logos. John, stay pure. Your credibility, your integrity and your honor are things no company should be able to buy.

TOM WAITS

Space Oddity nello spazio (davvero)

Space Oddity è del 1969. Chissà se Bowie, all’epoca, avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata cantata nello spazio, davvero (forse sì, visto che eravamo in piena era spaziale).

Questo video è stato registrato sulla stazione spaziale internazionale (ISS) dall’astronauta canadese Chris Hadfield, che se la cava anche non male come cantante, e in un solo anno ha avuto circa 23 milioni di visualizzazioni. Poi, però, è sparito per le solite e in questo caso, a mio avviso, molto stupide questioni di copyright: l’editore, titolare dei diritti sulla canzone, ne aveva concesso l’uso per un anno e Hadfield, fedele al contratto, l’aveva rimosso.

Tuttavia, visto il successo, Bowie e il suo editore si sono affrettati a prolungare la concessione per altri due anni e il video è tornato visibile.

Alcune considerazioni su questa faccenda del copyright:

  1. Ma che testa hanno gli editori? Lo dico proprio dal punto di vista squisitamente commerciale. Chi può pensare che un video come questo possa far perdere dei soldi ai titolari dei diritti (ovvero che questo video possa far calare le vendite dell’originale)? Casomai una canzone dedicata all’esplorazione spaziale eseguita sulla ISS è una pubblicità incredibile e del tutto gratuita!
  2. Sotto l’aspetto giuridico la cosa è dubbia. La ISS è una stazione internazionale. Una fettina di territorio di 15 paesi in cui sono in vigore leggi sul copyright completamente diverse, basti pensare alla Russia, dove il diritto d’autore praticamente non esiste. Inoltre la ISS fluttua costantemente su tutto l’orbe terracqueo. Quale giurisdizione deve essere applicata? (gli interessati possono leggere una dissertazione sull’argomento pubblicata sull’Economist).
  3. Ma gli avvocati non erano stati tutti sterminati durante il Grande Risveglio del 2023? [tratto da una parodia di Star Trek]

Ok. Ecco il video.

Un modello matematico delle storie d’amore

Le storie d’amore sono processi dinamici nei quali i coinvolgimenti sentimentali (i “sentimenti”) evolvono nel tempo, partendo, in generale, da uno stato di indifferenza. Per questo motivo, esse possono essere collocate, almeno come principio, all’interno della struttura formale della teoria dei sistemi dinamici, dove si utilizzano modelli matematici per descrivere l’evoluzione nel tempo delle variabili di riferimento. I modelli più frequentemente usati si basano sulle equazioni differenziali ordinarie (ODE).

Questo l’incipit di un articolo non recente (risale a Luglio di quest’anno) ma affascinante tratto da Popinga, un bel blog di scienza e letteratura che ogni tanto seguo. So che anche la sola idea di formalizzare gli elementi che determinano l’attrazione fra due individui e regolano l’evoluzione del loro rapporto può apparire ripugnante a molti perché ha a che fare con i sentimenti e questi ultimi, per la massa, sono a-matematici (α privativo), ma per qualcuno che è avvezzo alla matematica, la cosa non è così strana. Al limite è solo difficile.

L’articolo originale è questo: Le storie d’amore come sistemi dinamici.

PS: un minimo di familiarità con le equazioni differenziali costituisce un pre-requisito per apprezzarlo.

Primarie centro-sinistra: risposte sulla scienza

In occasione delle primarie del centro-sinistra, il gruppo Facebook “Dibattito Scienza” ha posto sei domande ai candidati.

Le domande sono:

  1. Quali politiche intende perseguire per il rilancio della ricerca in Italia, sia di base sia applicata, e quali provvedimenti concreti intende promuovere a favore dei ricercatori più giovani?
  2. Quali misure adotterà per la messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista sismico e idrogeologico?
  3. Qual è la sua posizione sul cambiamento climatico e quali politiche energetiche si propone di mettere in campo?
  4. Quali politiche intende adottare in materia di fecondazione assistita e testamento biologico? In particolare, qual è la sua posizione sulla legge 40?
  5. Quali politiche intende adottare per la sperimentazione pubblica in pieno campo di OGM e per l’etichettatura anche di latte, carni e formaggi derivati da animali nutriti con mangimi OGM?
  6. Qual è la sua posizione in merito alle medicine alternative, in particolare per quel che riguarda il rimborso di queste terapie da parte del SSN?

Le risposte dei cinque candidati sono pubblicate sul sito de Le Scienze.

Non esprimo nessuna opinione personale, dato che devo ancora leggerle anch’io perché in questo mese sono ingolfato dalla partenza dell’anno accademico, visto che mi ritrovo a gestire il triennio di Musica Elettronica, alcuni studenti rimasti al corso tradizionale di Musica Elettronica, il Biennio di Musica e Nuove Tecnologie, i corsi di Informatica Musicale per tutti gli altri trienni più varie attività personali.

Il 2012 profetizzato dagli scrittori di fantascienza

Nel 1987, il sito Writers of The Future, legato al discusso Ron Hubbard, invitò vari scrittori di fantascienza a fare una predizione cercando di immaginare il mondo a 25 anni distanza. Una capsula del tempo da aprire dopo 25 anni e vedere quante delle predizioni fatte da persone abituate a immaginare il futuro si sono avverate. Ora, 1987 + 25 = 2012, cioè oggi, per cui è il momento di verificare.

In realtà, nella media, anche qui vale la legge della predizione: più è precisa, meno è azzeccata.

Alcuni fra i più famosi hanno toppato clamorosamente. Per esempio, Zelazny che prevede una società trasformata dalla robotica e dall’automazione, con spese militari diminuite, rallentamento della crescita della popolazione, medicina trasformata dalle biotecnologie e un mondo un po’ più conservatore, ma mediamente più sano, con più tempo libero e una più ampia gamma di opzioni educative e ricreative di cui godere.

Fra quelli che hanno più o meno indovinato spiccano i pessimisti:

Jack Williamson

Vi preghiamo di perdonarci. Vi abbiamo gravato di debiti impossibili, sprecato e inquinato il pianeta che avrebbe dovuto essere il vostro ricco patrimonio, lasciandovi invece una terribile eredità di ignoranza, povertà, e guerra.

Orson Scott Card

Dobbiamo ritenerci fortunati se qualcuno avrà abbastanza tempo libero nel 2012 per aprire questa capsula del tempo e preoccuparsi di ciò che contiene. Nel 2012 gli americani vedranno il crollo dell’Impero Americano, la Pax Americana, perché abbiamo chiuso con la nostra perdita di volontà nazionale e altruismo nel 1970. Il collasso economico mondiale costerà all’America il suo ruolo dominante, ma non si tradurrà in egemonia russa

Un nuovo ordine mondiale emergerà da carestie, malattie, e dislocazione sociale: la ri-tribalizzazione d’Africa, la distruzione dell’illusione di unità islamica, la lotta tra aristocrazia e proletariato in America Latina, senza il sostegno finanziario dei paesi industrializzati, il vecchio ordine finirà.
I cambiamenti saranno grandi come quelli che emersero dalla caduta di Roma

L’omogeneità di Israele probabilmente gli permetterà di sopravvivere, Messico e Giappone potranno cambiare governanti, ma saranno ancora forti.

Si fa notare per lucidità Sheldon Lee Glashow, forse proprio perché non è uno scrittore, ma un fisico, premio Nobel nel 1979 insieme a Steven Weinberg e Abdus Salam per aver teorizzato il quarto quark (charm) che ha permesso di completare la costruzione della teoria unificata delle interazioni elettromagnetiche e deboli (teoria elettrodebole).

Non ci sarà alcuna guerra nucleare.

Il Giappone sarà la principale potenza economica del mondo, in possesso o in controllo di una parte significativa delle industrie europee e americane. Questa “dittatura economica” sarà utile agli stati clienti del Giappone, dal momento che lo stesso Giappone ricava benefici dal mantenere i propri clienti sani e ricchi.

Molte malattie saranno curabili: il diabete e la gotta, per esempio, saranno trattati con tecniche di ‘ingegneria genetica’. La sclerosi multipla e il morbo di Parkinson saranno effettivamente curabili. Tuttavia, l’AIDS non sarà ancora sotto controllo.

L’economia americana registrerà un calo graduale ma implacabile. I nostri figli non vivranno una vita così comoda come noi. Il differenziale tra ricchi e poveri crescerà e la criminalità si diffonderà al punto da minacciare il tessuto sociale. I ricchi e i poveri formeranno 2 campi armati. La maggior parte delle automobili e dei mezzi di trasporto saranno prodotti in enclaves di proprietà giapponese situate in America. Tuttavia, l’agricoltura e l’istruzione superiore saranno le nostre esportazioni di maggior successo. Non ci saranno treni veloci che collegano le città americane, ma una rete di treni levitati superconduttori sarà in costruzione in Europa occidentale e in Giappone.

Tutto sommato, non male, se allarghiamo il Giappone alle tigri asiatiche (la Corea del Sud soprattutto) che comunque stanno nella stessa area geografica. La sclerosi multipla e il morbo di Parkinson non sono attualmente curabili, ma in molti casi possono essere tenuti sotto controllo. L’AIDS è effettivamente ancora fuori controllo in gran parte del pianeta.

Quasi tutta l’ultima parte è sostanzialmente corretta. Qui in Europa non stiamo costruendo una rete di treni levitati superconduttori, ma una più tradizionale alta velocità.

Colpisce, invece, l’assenza della Cina, che, fra tutti, è citata una sola volta e marginalmente. Sembra che, nel 1987, nessuno potesse pensare che la Cina sarebbe stata in grado di cambiare il proprio sistema al punto da poter entrare fra le grandi potenze economiche mondiali. Eppure già numerosi studi dell’epoca ne avevano parlato.

Frederick Pohl, infine, dà un saggio di sarcasmo, ma in fondo ha toppato anche lui. Il suo intervento inizia dicendo:

Voi vivete in un mondo in pace. Qualcosa di simile a una Corte di Giustizia Mondiale, emanazione delle Nazioni Unite, dirime le controversie internazionali e ha il potere di applicare le proprie decisioni anche con la forza. Per questa ragione vivete in un mondo praticamente senza armi e proprio grazie al fatto che i singoli paesi non hanno bisogno di spendere per mantenere eserciti, voi avete un tenore di vita paragonabile a quello dei miliardari odierni.

E continua prevedendo esplorazione dello spazio, fine della deforestazione, inquinamento sotto controllo, in una parola, Utopia.

Ma poi aggiunge:

Come so tutto questo? Non perché ho fatto una valutazione probabilistica delle attuali tendenze. Anzi, al contrario. Tutto ciò che sta accadendo nel mondo di oggi porta a concludere che nessuna di queste buone cose sta per accadere, perché il nostro paese, la nazione più ricca e potente della storia del mondo (e, ho sempre pensato, la migliore) si sta mandando in rovina per reclutare e addestrare i terroristi in America Latina, dare armi ai terroristi in tutto il mondo, sviluppare ed impiegare eserciti, flotte e sistemi d’arma che non hanno scopo se non di sconfiggere qualsiasi paese che non sia disposto a sottomettersi. Dal momento che, purtroppo per noi, le persone che sono in disaccordo con noi hanno terroristi, flotte, eserciti e propri armamenti, lo scenario futuro più plausibile è una guerra nucleare.

E conclude (riassumo)

Di conseguenza, se potete leggermi, significa che avete risolto i problemi di cui sopra e vivete nella prima ipotesi. In caso contrario, non ci sarà nessuno in grado di leggermi. Quindi ho vinto in ogni caso.

No, Frederick. Non ci sono solo le alternative estreme. L’umanità ha sviluppato la capacità di camminare verso il baratro spingendo l’orlo sempre più in là, sopravvivendo anche alle proprie teorie. Il problema è che questa sopravvivenza ha un costo.

Citando scherzosamente Douglas Adams

La storia di tutte le maggiori civiltà galattiche tende ad attraversare tre fasi distinte ben riconoscibili, ovvero le fasi della Sopravvivenza, della Riflessione e della Decadenza, altrimenti dette fasi del Come, del Perché e del Dove. La prima fase, per esempio, è caratterizzata dalla domanda ‘Come facciamo a procurarci da mangiare?’, la seconda dalla domanda ‘Perché mangiamo?’ e la terza dalla domanda ‘In quale ristorante pranziamo oggi?’

Spesso il prezzo della sopravvivenza è il ritorno a una fase precedente.

Se volete leggere tutte le profezie, le trovate qui.

Città private

Visto che parlavamo di nuove città, questa notizia riportata da Adnkronos, è, come minimo, interessante.

Honduras, nascono le città ‘private’ gestite da multinazionali Usa

ultimo aggiornamento: 08 settembre, ore 14:32

Tegucigalpa – (Adnkronos/WashingtonPost) – Saranno tre e avranno legislazione autonoma su ordine pubblico e tasse. L’esperimento è del gruppo d’investitori statunitense Mgk

Tegucigalpa, 8 set. (Adnkronos/WashingtonPost) – Città “private”, con leggi autonome in materia di ordine pubblico, amministrazione e sistema fiscale, “create” per favorire lo sviluppo dell’Honduras. L’esperimento del gruppo d’investitori statunitense Mgk, che stanzierà 15 milioni di dollari per porre le basi del progetto, avrà luogo vicino Puerto Castilla, sul versante caraibico del Paese. Qui sorgerà la prima delle tre “città artificiali”, che seguirà solo in parte l’ordinamento legislativo honduregno.

La città “privata”, scrive infatti il Washington Post, sarà inizialmente amministrata da un team di “nove membri indipendenti”. Solo in un secondo momento i cittadini interverranno con il voto nelle decisioni amministrative, che potranno riguardare tra l’altro anche la firma di propri accordi internazionali sul commercio e autonome politiche di immigrazione. “Il futuro ricorderà questo momento come il giorno in cui l’Honduras è diventato un Paese sviluppato”, ha dichiarato Michael Strong, Ceo della Mgk dopo che il Congresso honduregno ha dato il via all’esperimento.

Non manca, tuttavia, chi si oppone all’iniziativa. Il popolo indigeno dei Garifuna e alcuni gruppi civici di Puerto Castilla hanno manifestato la loro ferma opposizione al progetto. Oscar Cruz, un ex procuratore costituzionale, ha presentato istanza alla Corte Suprema definendo l’idea delle città privatizzate incostituzionale e “una catastrofe per l’Honduras”.

Secondo le stime presentate dal presidente del Congresso honduregno, Juan Hernandez, la “città modello”, che sorgerà dopo l’autorizzazione definitiva del governo agli investimenti sulle infrastrutture, creerà 5.000 posti di lavoro nei primi sei mesi e 200.000 opportunità avorative nel futuro. Dopo Puerto Castilla, gli altri due “siti privatizzati” sorgeranno rispettivamente nella Sula Valley e nel sud del Paese.

[neretti di Adnkronos]

È vero che situazioni simili esistono già, però si tratta quasi sempre di basi militari o di rimasugli coloniali, tipo la vecchia Hong Kong o Macao. Questo, invece, è diverso. Da quel che si legge non sembra essere extra-territorialità, nel senso che queste città non dovrebbero diventare parte di un altro stato, ma sembra trattarsi piuttosto di una forma di autonomia che prima non esisteva. Al massimo si avvicina al caso delle micronazioni.

Città autonome, con proprie leggi, possedute da una multinazionale. Mi sembra un serio passo verso un mondo alla Gibson.

Abbiamo più auto degli USA

Ogni tanto, spulciando le statistiche, saltano fuori cose che non immaginavo (almeno io; non so voi).

Dunque, secondo Wikipedia, la nazione che ha il più alto numero di auto pro capite è gli USA con una media di 812 ogni 1000 abitanti, preceduta solo dal Principato di Monaco, il che è comprensibile, visto che si tratta di uno stato con circa 35.000 abitanti tutti piuttosto danarosi. La statistica, in realtà, si riferisce ai veicoli a motore, puntualizzando che “include automobiles, SUVs, vans, and commercial vehicles; and exclude motorcycles and other motorized two-wheelers” (vedi qui). Notate che questi dati includono i veicoli commerciali cioè bus e minibus con più di 9 posti (incluso l’autista), camion, furgoni adibiti al trasporto cose e (probabilmente) taxi (dati mediamente del 2010).

Già in questa lista, l’Italia si piazza ad un molto onorevole (??) decimo posto, ed è prima in Europa con 690/1000, se si escludono Monaco, Liechtenstein, Lussemburgo (tutti stati minimali come popolazione) e Islanda che comunque ha 320.000 abitanti, come una media città.

Se, però, si vanno a vedere le analoghe statistiche della Banca Mondiale (aggiornate al 2009), si nota che le posizioni sostanzialmente non cambiano se si includono i veicoli commerciali, ma cambiano se si escludono questi ultimi e si considerano solo i veicoli che potremmo chiamare personali. In questo caso gli USA precipitano e l’Italia è preceduta solo da Monaco, Lussemburgo, Islanda e Nuova Zelanda. Siamo il primo stato europeo e praticamente il primo nel mondo per numero di autoveicoli personali (esclusi quelli commerciali e le moto), almeno fra le nazioni con una certa densità abitativa (la Nuova Zelanda ha solo 4 milioni e mezzo di abitanti).

Ecco un grafico che mostra la nostra posizione in Europa. In vert. il numero di auto pro capite, in oriz. gli anni. Fonte: tutti i veicoli; solo passeggeri.

Auto pro capite

Lasciamo indietro tutti di gran lunga, il che mi colpisce, se pensiamo che da noi il mantenimento dell’auto (benzina e assicurazione in primis) è il più alto d’Europa e fra i più alti nel mondo. Farebbe pensare a un paese con un reddito pro capite altrettanto alto, ma sappiamo che non è così.

Ovviamente mi vengono in mente le quasi inesistenti politiche di trasporto pubblico del nostro paese (vivo in quartiere in cui passa un autobus ogni 30 minuti e ogni 60 dopo le 20) che praticamente ci obbligano ad avere un’auto. Il bello è che io lo considero un dato sostanzialmente negativo, ma senz’altro qualcuno lo vedrà come un segnale positivo.

Karl Marx Credit Card

Karl Marx Credit CardIn uno stato che una volta si chiamava Germania Est, in una città un tempo chiamata Karl-Marx-Stadt (oggi Chemnitz), una banca chiamata Sparkasse Chemnitz fa un sondaggio online per decidere quale immagine mettere sulla propria carta di credito, fra 10 immagini comprendenti 3 castelli, 2 municipi, un monumento, un fiume, una pista, una torre, un museo (lista completa qui in un pdf in tedesco).

E chi vince? Il monumento a Karl Marx. E non di poco: vince alla grande prendendosi il 35% dei consensi.

Non solo. Il fenomeno non è locale. La banca ha poi ricevuto numerose richieste da cittadini di altri stati della Germania, che chiedevano di aprire un conto solo per avere la carta di credito con l’effigie di Marx.

Nostalgia? Un sondaggio del 2008 ha rivelato che il 52% degli abitanti dell’ex Germania Est considerava l’economia di libero mercato “inadeguata” e il 43% diceva di rivolere il socialismo. Probabilmente le stesse percentuali che 30 anni fa sognavano di passare all’ovest.

Via Reuters

I cani della metro di Mosca

Quello dei cani randagi che vivono nella metropolitana di Mosca è uno dei più strani e interessanti ecosistemi urbani esistenti.

Anche a causa della durezza dell’inverno russo, nel sistema di gallerie della metro moscovita, che attualmente si estende per circa 300 km, girano ormai più di 500 cani randagi che sopravvivono chiedendo cibo ai passanti. Contrariamente a quanto si può pensare, non ci sono stati casi di attacco agli esseri umani, anzi, qualche volta è accaduto il contrario.

Alcuni anni fa, per esempio, Yulia Romanova, una modella 22enne, stava rientrando a casa con il suo staffordshire terrier quando, nella stazione Mendeleyevskaya ha incontrato Melchik, un randagio nero che, alla vista dell’altro cane, ha iniziato ad abbaiare per difendere il proprio territorio perché, per lui, quella era la sua stazione. Invece di scansarlo come facevano tutti, Yulia Romanova si è diretta con decisione verso Melchik e lo ha accoltellato, uccidendolo. Di conseguenza è stata arrestata e la sua unica possibilità di evitare il carcere è stata di sottoporsi a un anno di trattamento psichiatrico.

Una statua bronzea di Melchik (nella foto a fianco), pagata da donazioni spontanee, è state eretta all’entrata della Mendeleyevskaya, a testimonianza della simpatia dei moscoviti (Update: è nata una usanza secondo la quale accarezzare il naso di Melchik porta fortuna).

Ma, al di là di queste storie folkloristiche, l’organizzazione sociale dei randagi della metropolitana ha dei tratti di adattamento unici, tali da essere oggetto di studi.

È risultato, infatti, che alcuni cani sono diventati più abili di altri nell’individuare le persone da cui è più probabile ottenere qualcosa e nell’evitare quelle potenzialmente ostili. Questo fatto, in sé, non è così sorprendente, i cani sono intelligenti.

La cosa interessante, però, è che, secondo Andrei Poyarkov, ricercatore presso l’ A.N. Severtsov Institute of Ecology and Evolution, che studia i 35.000 randagi di Mosca ormai da 30 anni, nel caso dei cani della metropolitana sembra essere cambiato il modo in cui nei piccoli branchi si afferma un capo, cioè il cane alfa. Quest’ultimo, normalmente, è il più forte, il che, in campo aperto, equivale anche a una maggiore efficacia nella caccia. Però, in questo caso, sembra invece essere diventato il più abile nel procurarsi il cibo, indipendentemente dalla sua forza fisica.

Il punto più importante è proprio questo: questi cani, che in base al loro comportamento Poyarkov classifica nella categoria dei “mendicanti”, hanno realizzato che, in questo ambiente, la forza fisica non equivale a una maggiore sicurezza di nutrimento, ma, al contrario, un piccolo, ma grazioso esemplare ha più possibilità di ottenere qualcosa avvicinandosi a chi, magari, sta tornando a casa dopo aver fatto la spesa, rispetto a un grosso cane che può anche fare paura.

Notevole è anche il fatto che alcuni di questi cani hanno sviluppato la capacità di muoversi da una stazione all’altra prendendo i treni. Non è ancora chiaro come riconoscano la stazione a cui scendere, ma si presume che si basino su qualche odore particolare e che abbiano imparato a riconoscere l’annuncio della fermata (nella metro russa il conduttore annuncia sempre la prossima fermata). In questo modo, alcuni cani incorporano più stazioni nel proprio territorio e si spostano regolarmente dall’una all’altra a orari precisi. È normale, quindi, vedere un cane, da solo, che aspetta il treno sempre a quell’ora in una certa stazione, come nell’immagine di apertura di questo post.

C’è anche un sito dedicato ai cani della metro di Mosca (in russo): metrodog.ru

Berlusconi ha vinto le elezioni?

  1. Andate sul traduttore di Google (cliccate qui)
  2. Selezionate da Italiano a Inglese
  3. Nella casella a sin. (italiano) scrivete “Berlusconi non ha vinto le elezioni” senza le virgolette e con la lettera maiuscola, come è scritto qui (att.ne: scrivetelo, non fate copia/incolla).
  4. Guardate cosa appare da me (immagine qui sotto – click per ingrandire)
  5. Adesso, nella casella in italiano, cancellate Berlusconi e scrivete un nome qualsiasi: la traduzione diventa giusta.
  6. Rimettete Berlusconi (sempre con la maiuscola): la traduzione ritorna errata.
  7. Basta cancellare una qualsiasi lettera dal nome Berlusconi e la traduzione ritorna giusta.

Qualcuno me lo spiega?

 

UPDATE

È più di un anno che questo chiamiamolo bug è qui. Francamente mi chiedo se sia proprio un bug, visto che basta scrivere una qualsiasi altra parola al posto del nome del nostro, oppure metterlo in minuscolo e la traduzione diventa d’incanto giusta.

Dopo quella di fine 2010 in cui ha attribuito il tutto al classico errore informatico, Google non ha più dato spiegazioni e il bug è ancora lì.

La maledizione del 39

Da ieri in Afghanistan circa 2000 leader di comunità locali, generalmente rappresentanti anziani delle tribù ma anche capi religiosi e militari, sono riuniti a Kabul nella tradizionale Loya Jirga, l’assemblea consultiva in cui si discute delle questioni importanti per il Paese.

Quest’anno sono due i temi principali su cui il presidente afghano, Hamid Karzai, ha incentrato i quattro giorni di lavori:

  1. I futuri rapporti da stabilire con gli Stati Uniti a partire dal 2014, ovvero dal momento in cui verrà completato il ritiro ritiro delle truppe Nato
  2. Come proseguire nei negoziati con i talebani dopo il fallimento dei colloqui di pace.

Ebbene, i 2000 delegati sono stati suddivisi il 40 comitati, ma i membri del comitato numero 39 si sono rifiutati di riconoscere questa assegnazione per via di una credenza popolare molto diffusa secondo cui il 39 sarebbe un numero maledetto.

La superstizione arriva al punto che gli automobilisti rifiutano le targhe quando hanno un numero 39, e sono disposti anche a pagare una mazzetta per ottenerne un’altra. Lo stesso accade per i numeri di telefono dei cellulari.

È interessante ricordare che, per chiamare l’Italia dall’Afghanistan, come da ogni altro stato, si fa +39… Immagino l’atteggiamento dei funzionari pubblici e privati quando viene loro ordinato di contattare qualcuno in Italia.

Per la cronaca, nella Loya Jirga l’impasse è stata superata soltanto saltando il numero maledetto e assegnando a quel comitato il numero 41. Così l’assemblea  è stata suddivisa in 40 comitati numerati da 1 a 41.

Trattandosi di folklore, queste notizie passano in secondo piano. Qui le fonti sono: BBC News, il Journal, Ticino News. Ma, secondo me, queste cose sono indicative delle difficoltà di trattare con altri paesi, difficoltà che derivano dalle differenze culturali.

Restando sempre in Afghanistan, sentite questa.

Un anno fa, si era deciso di intavolare delle trattative di pace con i Talebani. Il punto è che i Talebani non hanno un governo e sono clandestini, perciò non possono mandare un ambasciatore con tanto di credenziali unanimemente riconosciute e verificabili. Ne consegue che, dopo aver investito nei colloqui di pace per mesi credendo di essere riusciti a parlare con uno dei più alti comandanti dei talebani, tale Mullah Akhtar Muhammad Mansour considerato il numero due della gerarchia talebana, secondo solo al Mullah Omar, si è scoperto che la persona con cui si negoziava non era Mansour, ma un impostore, un semplice negoziante pakistano, anche se molti sospettano sia stato inviato dai servizi segreti di quel paese.

Un diplomatico occidentale ha candidamente dichiarato: “Non è lui, e gli abbiamo dato un sacco di soldi”. E un ufficiale americano a Kabul ha ribadito: “D’altra parte, anche se incontrassimo il Mullah Omar in persona travestito da commerciante, sono sicuro che i nostri maghi dell’intelligence non se ne accorgerebbero”.

Fonte: Washington Post.

Un nuovo Monopoli

Questo enorme tabellone di un monopoli in versione crisi è apparso fra le tende degli attivisti di Occupy Wall Street.

Si dice che a crearlo sia stato il famoso artista di strada Bansky. Altre e più grandi immagini qui.

Procrastinazione strutturata

Se cercate “procrastinazione” su Google, troverete una sfilza di siti che insegnano ad evitarla dipingendola come una pessima abitudine.

Tutto ciò mi ha sempre provocato una certa quantità di sensi di colpa, perché io ho sempre tirato tardi. Sono uno di quelli che invia il 31 il modulo che scade il 31 (fa fede il timbro postale), che finisce alla notte il pezzo da presentare al concerto del giorno dopo (ecco perché non scrivo volentieri musica strumentale), che prepara la notte prima la lezione per il giorno seguente.

Ho sempre pensato, però, di aver bisogno di procrastinare. Non posso semplicemente fare una cosa. Devo aspettare che, dentro di me, scatti qualcosa. Devo aver esaminato ogni aspetto di quello che devo fare e io penso alle cose complesse mentre faccio cose semplici, tipo fare solitari al computer, passeggiare con il cane, guardare fuori dalla finestra…

Finalmente ho trovato qualcuno che mi sostiene e teorizza la procrastinazione strutturata e ci ha vinto un Ig-Nobel. Leggete qui. Questo è il primo paragrafo.

I have been intending to write this essay for months. Why am I finally doing it? Because I finally found some uncommitted time? Wrong. I have papers to grade, textbook orders to fill out, an NSF proposal to referee, dissertation drafts to read. I am working on this essay as a way of not doing all of those things. This is the essence of what I call structured procrastination, an amazing strategy I have discovered that converts procrastinators into effective human beings, respected and admired for all that they can accomplish and the good use they make of time. All procrastinators put off things they have to do. Structured procrastination is the art of making this bad trait work for you. The key idea is that procrastinating does not mean doing absolutely nothing. Procrastinators seldom do absolutely nothing; they do marginally useful things, like gardening or sharpening pencils or making a diagram of how they will reorganize their files when they get around to it. Why does the procrastinator do these things? Because they are a way of not doing something more important. If all the procrastinator had left to do was to sharpen some pencils, no force on earth could get him do it. However, the procrastinator can be motivated to do difficult, timely and important tasks, as long as these tasks are a way of not doing something more important.

[da J. Perry, Structured procrastination]

NB: John Perry is a professor of philosophy at Stanford University.

Tsunami in soggettiva

Questo impressionante video, ritrovato in un’auto, mostra lo tsunami giapponese dal punto di vista del cittadino qualunque.

Yu Muroga è un autista giapponese. Era al lavoro l’11 marzo 2011. Come altre persone in quell’area, non si sentiva minacciato da uno tsunami, essendo abbastanza lontano dalla costa, così, nonostante il terremoto, ha continuato a fare il suo lavoro. Ma si sbagliava.

La telecamera ad alta risoluzione montata sull’auto, lasciata accesa, ha filmato il momento del sisma e il successivo arrivo delle onde…

In realtà, data la diffusione di videocamere in Giappone, i video di questo tipo sono moltissimi. Date un’occhiata anche a questo.

Tre mesi dopo

ll Giappone, tre mesi dopo il terremoto. Queste immagini accostate, prese, la prima poco dopo lo tsunami (12/3) e la seconda 20 giorni fa (4/6) a Miyako, mostrano una incredibile trasformazione.

Naturalmente non è andato così ovunque, ma in tutti i luoghi colpiti, eccetto, ovviamente Fukushima, la rimozione dei detriti prosegue a velocità sorprendente (almeno per noi; in effetti, è così che dovrebbe andare in un paese normale).

Click per ingrandire.

Il Giappone è lontano

Tokyo, 10-05-2011

Il primo ministro giapponese Naoto Kan ha annunciato che rinuncera’ al suo stipendio fino a quando non sara’ terminata la crisi nucleare a Fukushima. Il taglio dell’appannaggio mensile e del bonus versato due volte l’anno iniziera’ dal mese di giugno, riferisce l’agenzia stampa Kyodo.

L’annuncio e’ giunto durante una conferenza stampa nella quale Kan si e’ scusato con gli elettori per non aver saputo prevenire la crisi nucleare scoppiata all’impianto nucleare di Fukushima, in seguito al sisma e lo tsunami dell’11 marzo.

Il primo ministro giapponese ha anche riferito che il Giappone rinuncera’ all’aumento dal 30 al 50% della percentuale di elettricita’ elettrica [sic] prodotta da centrali nucleari, originariamente previsto entro il 2030.

Intanto la Tepco, societa’ che gestisce l’impianto di Fukushima, ha chiesto formalmente al governo di Tokio un aiuto finanziario per affrontare gli enormi costi dei risarcimenti alle vittime del disastro nucleare.

Assieme alla richiesta, riferisce l’agenzia Kyodo, e’ stato presentato un piano per un taglio dei costi della societa’ che comprende anche la restituzione degli stipendi del presidente della Tepco, Mastaka Shimizu, del chairman Tsunehisa Katsumata e di sei vicepresidenti.

Fonte: RAInews24

Ci spiano a fin di bene?

Le foto digitali contengono un sacco di dati, quasi tutti di carattere tecnico. Il formato utilizzato dalle fotocamere digitali, infatti, va sotto il nome di Exif (Exchangeable image file format). La specifica utilizza i formati esistenti JPEG, TIFF Rev. 6.0, e RIFF, con l’aggiunta di specifiche etichette (tag) di metadati.

Questi metadati, in genere, sono utili perché permettono, anche a distanza di tempo, di visualizzare i valori di tempo, diaframma, risoluzione, data e ora, nonché tutte le impostazioni con cui è stata scattata la foto.

Per vederli, aprite questa pagina e caricate una foto oppure scaricate l’ottimo ExifTool.

Fra questi dati, però, almeno uno può essere utile o dannoso in base alle intenzioni. È il numero di serie della fotocamera, che è unico e quindi, in qualche modo, permette di risalire all’acquirente. Quindi ricordate di eliminare i metadati se, per es., mettete una immagine in internet e non volete essere identificati.

D’altra parte, proprio il serial number può avere un altro utilizzo, più interessante. Supponete che vi rubino la fotocamera e che, alla fine, vada in mano a qualcuno che fa qualche foto e la mette in internet.

Ebbene guardando il serial number di quelle immagini, voi potete dimostrare che sono state scattate con la vostra fotocamera (peraltro il numero dovrebbe essere anche riportato sulla garanzia).

È proprio quello che fa il sito stolencamerafinder che ha raccolto un database di più di un milione di fotocamere. Vi basta avere una immagine non modificata scattata con la vostra fotocamera ormai perduta e il sito può aiutarvi a identificare altre immagini scattate con la stessa, a patto che siano state imprudentemente messe in rete.

Se, poi, per curiosità, volete vedere i dati Exif contenuti in una immagine, ecco qui:

Exif Byte Order                 : Little-endian (Intel, II)
Image Description               : OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Make                            : OLYMPUS IMAGING CORP.
Camera Model Name               : SP800UZ
Orientation                     : Horizontal (normal)
X Resolution                    : 72
Y Resolution                    : 72
Resolution Unit                 : inches
Software                        : Version 1.0
Modify Date                     : 2010:10:15 09:15:56
Y Cb Cr Positioning             : Co-sited
Exposure Time                   : 0.3
F Number                        : 4.1
Exposure Program                : Program AE
ISO                             : 400
Exif Version                    : 0221
Date/Time Original              : 2010:10:15 09:15:56
Create Date                     : 2010:10:15 09:15:56
Components Configuration        : Y, Cb, Cr, -
Compressed Bits Per Pixel       : 2
Exposure Compensation           : 0
Max Aperture Value              : 2.8
Metering Mode                   : Multi-segment
Light Source                    : Unknown
Flash                           : Off, Did not fire
Focal Length                    : 36.7 mm
Special Mode                    : Normal, Sequence: 0, Panorama: (none)
Camera ID                       : OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Equipment Version               : 0100
Camera Type 2                   : D4434
Focal Plane Diagonal            : 7.665 mm
Body Firmware Version           : 77
Camera Settings Version         : 0100
Preview Image Valid             : No
Preview Image Start             : 1644
Preview Image Length            : 0
Macro Mode                      : Off
Flash Mode                      : Off
White Balance 2                 : Auto
Drive Mode                      : Single Shot
Panorama Mode                   : Off
Image Processing Version        : 0112
Distortion Correction 2         : Off
Face Detect                     : Off; Unknown (0)
Face Detect Area                : (Binary data 383 bytes, use -b option to extract)
Quality                         : SQ (Low)
Macro                           : Off
Black & White Mode              : Off
Digital Zoom                    : 1.0
Resolution                      : 1
Camera Type                     : D4434
Pre Capture Frames              : 0
White Board                     : 0
One Touch WB                    : Off
White Balance Bracket           : 0
White Balance Bias              : 0
Scene Mode                      : Standard
Serial Number                   : 000JAJ248048
Data Dump                       : (Binary data 2540 bytes, use -b option to extract)
User Comment                    :
Flashpix Version                : 0100
Color Space                     : sRGB
Exif Image Width                : 2560
Exif Image Height               : 1920
Interoperability Index          : R98 - DCF basic file (sRGB)
Interoperability Version        : 0100
File Source                     : Digital Camera
Scene Type                      : Directly photographed
Custom Rendered                 : Normal
Exposure Mode                   : Auto
White Balance                   : Auto
Digital Zoom Ratio              : 0
Focal Length In 35mm Format     : 204 mm
Scene Capture Type              : Standard
Gain Control                    : High gain up
Contrast                        : Normal
Saturation                      : Normal
Sharpness                       : Normal
Compression                     : JPEG (old-style)
Thumbnail Offset                : 9216
Thumbnail Length                : 4452
Image Width                     : 2560
Image Height                    : 1920
Encoding Process                : Baseline DCT, Huffman coding
Bits Per Sample                 : 8
Color Components                : 3
Y Cb Cr Sub Sampling            : YCbCr4:2:2 (2 1)
Aperture                        : 4.1
Image Size                      : 2560x1920
Scale Factor To 35 mm Equivalent: 5.6
Shutter Speed                   : 0.3
Thumbnail Image                 : (Binary data 4452 bytes, use -b option to extract)
Circle Of Confusion             : 0.005 mm
Field Of View                   : 10.1 deg
Focal Length                    : 36.7 mm (35 mm equivalent: 204.0 mm)
Hyperfocal Distance             : 60.77 m
Light Value                     : 3.7

Come al solito ci spiano

In questi giorni sta facendo un certo rumore la scoperta che la nuova generazione di cellulari ci spia sistematicamente. Non mi riferisco al fatto, ormai noto a tutti, che i nostri spostamenti e contatti vengono tracciati dalle compagnie telefoniche grazie alle celle che il nostro cellulare aggancia, ma al fatto che i nostri movimenti vengono salvati in un file conservato all’interno del telefono e a volte anche sul computer a cui il telefono viene connesso.

Tutto ciò appare grave perché, se alle registrazioni conservate dalle aziende si può accedere solo dietro richiesta di un magistrato, questo file può essere consultato da chiunque sappia come arrivarci. E non è difficile, soprattutto per Apple.

La cosa vale sia per l’iOS di Apple che per Android. con qualche piccola distinzione che vado a riferirvi:

mappa realizzata a partire dai dati conservati su iPhoneiOS Apple (iPhone e iPad 3G)

Cory Doctorow riporta qui la scoperta di alcuni ricercatori che si occupano di sicurezza presentata alla conferenza Where 2.0. È stato scoperto un file nascosto (invisibile all’utente) che contiene tutti gli spostamenti del telefono desunti dalle celle, dagli access point wi-fi e dal GPS, ognuno accompagnato dal relativo time-stamp (data e ora). Il file viene anche scaricato sul computer a cui il telefono si connette.

A quanto pare, la registrazione di tali dati è iniziata con l’upgrade a iOS 4 datata Maggio 2010. Di conseguenza,  in alcuni telefoni, si può trovare quasi un anno di spostamenti completi di coordinate, data e ora. Il file non è criptato e la lettura è possibile anche a non geek utilizzando l’apposita applicazione, iPhone Tracker, che si scarica qui.

Finora Apple non ha spiegato perché questi dati vengono raccolti, né fornito un modo per bloccarli. L’utente viene tracciato, che lo voglia o no. In pratica, Apple ha reso possibile ottenere informazioni dettagliate sui vostri spostamenti a chiunque abbia accesso al vostro iPhone (un partner geloso, un detective privato, i genitori, etc.).

La cosa divertente è che Apple ha il diritto di raccogliere tali dati. Fra le 15200 parole che formano i terms and conditions for its iTunes program, un paragrafo di 86 parole dice

Apple and our partners and licensees may collect, use, and share precise location data, including the real-time geographic location of your Apple computer or device. This location data is collected anonymously in a form that does not personally identify you and is used by Apple and our partners and licensees to provide and improve location-based products and services. For example, we may share geographic location with application providers when you opt in to their location services.

La notizia è finita anche sul Guardian con dovizia di particolari.

Android

Gli utenti Android sono relativamente più fortunati. Quello di Android, infatti, non è un file, ma una cache. Ne consegue che è più difficile accedervi (serve un informatico dotato di una certa perizia, vedere qui), ma soprattutto vengono conservate solo le ultime 50 celle e gli ultimi 200 wi-fi access point. La profondità dei dati, quindi, è più limitata rispetto a iOS.

In entrambi i casi, non si sa se i dati vengano inviati rispettivamente a Apple e a Google. Vari rappresentanti di entrambe le aziende si stanno affrettando a negare qualsiasi utilizzo fraudolento.

La foto del giorno

Considerato quello che sta accadendo al là del mare e vista la mia “affezione” nei confronti della rete, questa per me è l’immagine del giorno. (click per ingrandire)

È stata scattata da Paula Nelson e pubblicata sul Boston Globe insieme ad altre 39 foto. Mostra alcuni bloggers egiziani anti-governativi che lavorano con laptop e cellulari in un angolo di Piazza Tahrir, dopo essersi procurati la corrente e aver collegato una catena di ciabatte.

Non so se afferrate la forza di questa immagine. Questi tizi, nel mezzo del casino, fanno quello che sentono di dover fare e bloggano, sia pure con grande difficoltà. Ricordiamo che, in quel famoso 27 Gennaio, il governo ha imposto alle telco il blocco delle linee adsl e wireless, cellulari compresi. Ciò nonostante, dopo qualche giorno, internet ha ripreso funzionare a singhiozzo grazie ai radioamatori e ai vecchi modem su linea telefonica fissa collegati a French Data Network che ha fornito connessioni gratuite sulle linee analogiche internazionali.

Il 2 Febbraio i collegamenti sono stati, almeno parzialmente, ripristinati (qui i dati del RIPE).

In Egitto l’età media è 24 anni e più dei 2/3 della popolazione ha meno di 30 anni. È impossibile dire adesso che cosa succederà in questo paese e nel resto del Medio Oriente, ma questo è un bel segnale che fa piazza pulita degli stereotipi culturali sulle masse arabe e delle teorie del “portare la democrazia”. La democrazia non si porta; se ce la fa, arriva (e poi non è detto che resti).

Il video che segue è Sout Al Horeya صوت الحريه “The sound of freedom” (con sottotitoli in inglese), accreditata a Moustafa Fahmy, Mohamed Khalifa, and Mohamed Shaker (ma altre fonti citano altri nomi), una delle tante canzoni nate in questi giorni e messe in rete.

 

Sito non raggiungibile

La delibera Agcom 668/2010 pone in consultazione un testo che mira ad introdurre un meccanismo che le consentirà di inibire completamente l’accessibilità ai siti posti fuori dal territorio italiano e di rimuovere contenuti sospettati di violare il diritto d’autore in modo automatico e prescindendo da qualsiasi requisito di colpevolezza accertato dell’Autorità giudiziaria.

In base alla delibera intitolata Lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’autorità nell’attività di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica si instaurerebbe un sistema di cancellazione e di inibizione di siti Internet sospettati di violare il diritto d’autore, anche solo in uno dei file contenuti al suo interno. Di cui Agcom diverrebbe “garante”.

Nel concreto, l’azione dell’autorità in caso di contenuto in sospetta violazione del diritto d’autore trovato su un sito (anche se sito privato o blog senza fini di lucro, superando di fatto le limitazioni operate dall’art. 2, comma 1 del decreto Romani) si articola in quattro fasi:

  • segnalazione con richiesta di rimozione al gestore del sito o al fornitore del servizio di media audiovisivo da parte del titolare del diritto;
  • 48 ore di tempo per la rimozione dei contenuti sospetti;
  • verifica della situazione con un breve contraddittorio tra le parti;
  • infine provvedimento inibitorio “qualora risulti l’illegittima pubblicazione di contenuti protetti da copyright”.

In pratica, si può arrivare rapidamente all’oscuramento di un sito senza l’intervento di un magistrato, ma con il semplice intervento dell’AGCOM.

Anche se nel testo Agcom dice di essersi ispirata più al sistema di notice and takedown statunitense che alla dottrina dei tre colpi francese, e nonostante le smentite a tal proposito del presidente Corrado Calabrò, i dubbi circa l’attribuzione di poteri da sceriffo del Web all’Autorità delle telecomunicazioni non appaiono affatto dissipati.

Il punto è che, con questo sistema, un sito può essere bloccato semplicemente in base a una segnalazione. Non occorre che l’autorità giudiziaria accerti il reato. La magistratura viene completamente bypassata.

Nel caso questa delibera venga approvata, le sezioni di Internet che potranno essere bloccate includeranno portali informativi esteri sospettati di violare il diritto d’autore senza che ciò sia in qualche modo accertato, gran parte dei sistemi comunemente utilizzati per avere accesso alle informazioni necessarie per lo scambio di software libero e per conoscere le opere disponibili nel pubblico dominio e distribuite con licenze aperte, fino ad articoli pubblicati da giornali, banche dati di pubbliche amministrazioni e di privati, documenti riservati finiti in rete ed utili per conoscere fatti che l’opinione pubblica potrebbe non conoscere diversamente, video amatoriali e fotografie con sottofondo musicale caricate dagli utenti nelle piattaforme di condivisione, singole pagine di blog amatoriali contenenti anche un solo file in violazione del diritto d’autore.

Questo provvedimento è posto in consultazione pubblica fino al 3 Marzo, ovvero chiunque può esprimere il proprio parere, peraltro non vincolante.

Per costituire un cospicuo gruppo di pressione, varie associazioni fra cui Adiconsum, Agorà Digitale, AltroConsumo hanno creato il sito

sitononraggiungibile.e-policy.it

in cui si può aderire a una petizione contro la suddetta delibera.

Liste di proscrizione

C’ è aria di censura, nel Veneto leghista. Gli scrittori pro-Battisti, prima genericamente ostracizzati da un assessore della provincia di Venezia, ora vengono messi al bando nelle scuole. Mentre nelle biblioteche comunali, nel silenzio generale, stanno sparendo le opere degli autori politicamente scomodi.
«Non chiediamo nessun rogo di libri, intendiamoci. Semplicemente inviteremo tutte le scuole del Veneto a non adottare, far leggere o conservare nelle biblioteche i testi diseducativi degli autori che hanno firmato l´appello a favore di Cesare Battisti», dice l´assessore regionale all´istruzione Elena Donazzan, 39 anni di Bassano del Grappa, pidiellina fervente cattolica, con alle spalle una militanza nel Fronte della Gioventù e un passaggio in An. «Un boicottaggio civile è il minimo che si possa chiedere davanti ad intellettuali che vorrebbero l´impunità di un condannato per crimini aberranti», sbotta annunciando una lettera a tutti i presidi.
La sua crociata arriva dopo la “sparata” dell´assessore alla cultura della Provincia di Venezia, Raffaele Speranzon, che aveva detto: «Via quegli autori dalle biblioteche pubbliche». Ora a chiederne ufficialmente la censura nelle scuole è l´assessore regionale. Al suo fianco il presidente della Regione Luca Zaia, che definisce la vicenda Battisti «abominevole». E tuona: «I delinquenti vanno messi in galera, non lasciati liberi».
Intanto casi di censura leghista, strisciante o esplicita, vengono denunciati da alcuni bibliotecari veneti. A venire sconsigliati sono (soprattutto) i libri di Roberto Saviano. [neretto mio] Nei giorni successivi alla messa in onda di Vieni via con me e alla polemica con Maroni il dirigente di una biblioteca in provincia di Treviso ha segnalato che il sindaco leghista non gradiva si tenessero i libri dell´autore di Gomorra: presenti in catalogo, ma spariti dagli scaffali.

Fonte Repubblica del 20/01/2011, ma la notizia è nota.

Aggiornamento dal Corriere Veneto: l’assessore regionale all’Istruzione, la pdl  Donazzan, dichiara che, con il placet dello stesso Governatore Zaia, scriverà una lettera a tutti i Presidi del Veneto ( e attraverso di loro agli insegnanti), invitandoli a non diffondere tra i giovani le opere degli autori messi al bando. A chi le contesta di operare una censura, risponde che la sua non è un’imposizione  ma un “indirizzo politico”.

Elenco assolutamente parziale di alcuni dei titoli che dovrebbero essere eliminati dalle biblioteche e dalle scuole tratto dal blog di Loredana Lipperini.

  • Agamben Giorgio: L’uomo senza contenuto, Rizzoli; La comunità che viene, Einaudi; L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri; Il giorno del giudizio, Nottetempo; Profanazioni, Nottetempo; Nudità, Nottetempo; La Chiesa e il Regno, Nottetempo.
  • Balestrini Nanni: Poesie pratiche, antologia 1954-1969, Einaudi: Tristano, Feltrinelli; Vogliamo tutto, Feltrinelli; Gli invisibili, Bompiani, L’editore, Bompiani, I furiosi, Bompiani, Una mattina ci siam svegliati, Baldini & Castoldi; La Grande Rivolta; Bompiani; Sandokan, Einaudi.
  • Benedetti Carla Pasolini contro Calvino: per una letteratura impura, Bollati Boringhieri; L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata, Feltrinelli; Il tradimento dei critici, Bollati Boringhieri;
  • Bernardi Luigi: Erano angeli, Fernandel; Vittima facile. Una storia criminale, Zona; Atlante freddo. Trilogia criminale, Zona; Senza luce, Perdisa Pop; Fuoco sui miei passi, Senzapatria.
  • Bertante Alessandro: Al diavul, Marsilio.
  • Biondillo Gianni: Per cosa si uccide, Con la morte nel cuore, Il giovane sbirro, Nel nome del padre, Guanda.
  • Cacucci Pino: Outland rock, Transeuropa, Puerto Escondido, Mondadori; San Isidro Futbòl, Feltrinelli; Punti di fuga, Feltrinelli; In ogni caso nessun rimorso, Feltrinelli; Demasiado corazón, Feltrinelli; Nahui , Feltrinelli; Sotto il cielo del Messico, Feltrinelli; La giustizia siamo noi , Rizzoli.
  • Carlotto Massimo: Il fuggiasco, e/o; La verità dell’Alligatore, e/o; Le irregolari, e/o, Nessuna cortesia all’uscita, e/o; Arrivederci amore, ciao, e/o; L’oscura immensità della morte, Roma, Edizioni e/o; Nordest, e/o; L’amore del bandito, e/o.
  • Dazieri Sandrone: Attenti al gorilla, Mondadori, La cura del Gorilla, Mondadori, Gorilla blues, Mondadori; Il Karma del gorilla; È stato un attimo. Mondadori; La bellezza è un malinteso; Mondadori.
  • De Michele Girolamo. Tre uomini paradossali, Einaudi; Scirocco, Einaudi, La bellezza del cieco, Einaudi, La scuola è di tutti, Minimum Fax.
  • Di Monopoli Omar. Uomini e cani, Ferro e fuoco, La legge di Fonzi, ISBN
  • Evangelisti Valerio. Nicolas Eymerich, inquisitore, Le catene di Eymerich, Il corpo e il sangue di Eymerich, Il mistero dell’inquisitore Eymerich, Cherudex, Picatrix, Il castello di Eymerich, Mater Teribilis, La Sala dei Giganti, La luce di Orione, Rex tremendae maiestatis (tutti Mondadori); Metallo urlante, Black Flag, Einaudi; Il collare di fuoco, Il collare spezzato, Tortuga, Veracruz,Noi saremo tutto, Mondadori.
  • Ferrario Davide: Sangue mio, Feltrinelli.
  • Genna Giuseppe. Catrame, Nel nome di Ishmael, Non toccare la pelle del drago, Grande Madre Rossa, Hitler, Le teste, Mondadori; Assalto a un tempo devastato e vile, Minimum Fax; L’anno Luce, Marco tropea; Italia De Profundis, Minimum Fax.
  • Grimaldi Laura: La paura, Sospetto, Mondadori. Perfide storie di famiglia, Marco Tropea Editore,
  • Lipperini Loredana. La notte dei blogger, Einaudi, Ancora dalla parte delle bambine, Non è un paese per vecchie, Feltrinelli.
  • Monina Michele: Furibonde giornate senza atti d’amore, Pequod, I Demoni, Pequod, Vasco Chi?, Marco Tropea.
  • Moresco Antonio: Lettere a nessuno, Einaudi, Gli esordi, Feltrinelli, Canti del caos, Mondadori, Lo sbrego, Rizzoli, Gli incendiati, Mondadori.
  • Pennac Daniel: Il paradiso degli orchi, La fata carabina, La prosivendola, Signor Malaussène, La passione secondo Thérèse, Ultime notizie dalla famiglia, Come un romanzo, Diario di scuola, Feltrinelli.
  • Philopat Marco. Costretti a sanguinare, La Banda Bellini, I viaggi di Mel, Shake; Roma k.o. Romanzo d’amore droga e odio di classe, Agenzia X.
  • Quadruppani Serge. L’assassina di Belleville, La breve estate dei colchici, La notte di Babbo Natale, Mondadori, In fondo agli occhi del gatto, Y, Marsilio.
  • Raimo Christian. Latte, Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? , Minimum Fax.
  • Scarpa Tiziano. Occhi sulla graticola, Einaudi, Kamikaze d’occidente, Rizzoli, Stabat Mater, le cose fondamentali, Einaudi.
  • Serino Gian Paolo Usa & getta. Fallaci e Panagulis. Storia di un amore al tritolo Aliberti
  • Vauro . La satira alla guerra, Vita e morte della DC. Foglio di via. Manifestolibri, Il papa è morto, Baldini Castoldi Dalai, Appunti di guerra. Pensieri e vignette di un mese sotto le bombe. Terre di Mezzo Editore, Kualid che non riusciva a sognare. Piemme, Sangue e cemento, con Marco Travaglio. Editori Riuniti, Farabutto. Piemme.
  • Voce Lello Singin’ Napoli cantare , Ripostes, Eroina, Transeuropa, Farfalle da combattimento, Bompiani, Il Cristo elettrico, No Reply.
  • Wu Ming. Q, Asce di guerra, 54, Manituana, Altai, Einaudi

Ngram Viewer

Tanto per dimostrare la potenza di un database, anche quando viene utilizzato in modo non particolarmente raffinato, per esempio su base puramente statistica, questa è una delle più recenti creazioni di Google.

L’Ngram Viewer interroga una base dati costituita da 5.2 milioni di libri, un subset dei 15 milioni digitalizzati da Google, e quantifica le ricorrenze di una parola o una frase in un arco di tempo di 200 anni (dal 1800 al 2000).

Per esempio, il grafico qui sotto (clicca per ingrandire), presenta le ricorrenze della parola “terrorism” fra il 1800 e il 2007 mostrando che il massimo, lo 0.002%, è situato negli anni poco dopo il 2000 (ovviamente), con un altro picco nel 1980.

Si possono cercare anche frasi e più parole o frasi separate da virgole. I risultati sono in percentuale, quindi normalizzati rispetto alla quantità di libri.

Istruzioni ufficiali qui.

Come ci raccontano le cose…

Dunque, avrete tutti sentito che Assange, il rappresentante pubblico di WikiLeaks, è in carcere in UK perché accusato di stupro in Svezia.

Bene, non è così. Ufficialmente Assange è accusato di “sesso a sorpresa” (sex by surprise), un reato che esiste solo in Svezia e che consiste nel non aver condotto un rapporto sessuale come concordato con la partner.

Nel caso specifico, Assange non avrebbe indossato il profilattico, come invece aveva richiesto la sua partner e si sarebbe poi rifiutato di sottoporsi a un esame sulle malattie trasmissibili per via sessuale.

Il reato si estingue pagando una sanzione pari a circa 715 dollari, ma prima deve subire un processo.

Fonte: AOL News

Zeitgeist 2010

Google ha pubblicato il suo Zeitgeist 2010, lo spirito dei tempi desunto dalle parole introdotte nel suo motore di ricerca.

Se si guarda il segmento dedicato all’Italia, alcuni dei risultati sono:

Le parole più cercate in assoluto:

  1. facebook
  2. youtube
  3. libero
  4. meteo
  5. giochi
  6. streaming
  7. google
  8. yahoo
  9. corriere
  10. alice

I termini di crescente popolarità:

  1. chatroulette
  2. sarah scazzi
  3. stipendi pa
  4. waka waka
  5. mondiali 2010
  6. video mediaset
  7. il fatto quotidiano
  8. autoscout24
  9. megavideo
  10. google traduttore

I termini di crescente popolarità cercati tramite cellulari e smartphone

  1. ipad
  2. pietro taricone
  3. waka waka
  4. iphone 4
  5. mondiali 2010
  6. avatar
  7. ovi
  8. google traduttore
  9. sanremo
  10. classifica serie a

I termini economico-sociali

  1. manovra finanziaria 2010
  2. maturità 2010
  3. stipendi PA
  4. modulistica INPS
  5. prove invalsi
  6. pec
  7. agenzia delle entrate
  8. gdf
  9. servizio civile nazionale
  10. sportello immigrati

I termini più cercati associati alla parola “significato”

  1. bunga bunga
  2. kippah
  3. waka waka
  4. networking
  5. probiviri
  6. concussione
  7. bischero
  8. sarcasmo
  9. namasté
  10. shoah

Due osservazioni banali. Mi lascia un po’ perplesso il fatto che la gente vada su google per cercare “google”. Inoltre, mi sconvolge un po’ il fatto che la gente non conosca il significato di probiviri, concussione, sarcasmo e shoah.

Anche Yahoo ha pubblicato il proprio compendio che si intitola, più modestamente, “I Fatti dell’Anno“.

Cablegate

CablegateMagari vi interessa.

Per consultare i famosi file di Wikileaks dovete andare qui.

UPDATE 3/12

Wikileaks è stato scacciato da EveryDNS. Di conseguenza è raggiungibile solo usando direttamente l’ip. Nel frattempo è stato cacciato anche da Amazon, ma ha trovato ospitalità in Svizzera.

I nuovi indirizzi sono 213.251.145.96 e wikileaks.ch

UPDATE 5/12

Url di Wikileaks attualmente funzionanti

Mirrors

wikileaks.as50620.net wikileaks.tard.is ipv6 freeus.jsdev.org
wikileaks.enzym.su freeus.jsdev.org wikileaks.cellue.de
wikileaks.kafe-in.net ipv6 wl.opsec.eu ipv6 wl.donatepl0x.com
wikileaks.challet.eu wikileaks.kister.org wl.gernox.de
wikileaks.morningtime.com wikileaks.renout.nl wikileaks.fdn.fr
wikileaks.gonte.se wikileaks.kaptenkong.se wikileaksmirror.proxelsus-hosting.de ipv6
leaks.gooby.org wikileaks.dubronetwork.fr ipv6 wikileaks.perry.ch
wikileaks.sbr.im wikileaks.u0d.de wikileaks.81-89-98-125.blue.kundencontro…
www.fuckip.de wikileaks.psytek.net wl.mrkva.eu
wikileaks.joworld.net wikileaks.chiquitico.org wikileaks.rout0r.org
www.gruiiik.org wikileaks.high-color.de wikileaks.holarse-linuxgaming.de ipv6
wl.alfeldr.de wikileaks.huissoud.ch wikileaks.geekview.be
wikileaks.dysternis.de wikileaks.nulset.net wikileaks.franslundberg.com
wikileaks.krkr.eu ipv6 wl.yoltie.net wikileaks.zeitkunst.org
wikileaks.aelmans.eu wikileaks.serverius.net wikileaks.synssans.nl
wl.ernstchan.net wikileaks.yasaw.net zwartemarktplaats.com
wikileaks.dena-design.de wikileaks.zone84.net wikileaks.iuwt.fr
wikileaks.chmod.fi wlmirror.wildeboer.net leaked.rndm.ath.cx
wikileaks.splichy.cz wleaks.3sge.pulsedmedia.com wleaks.hellfire.pulsedmedia.com
wikileaks.palisades-berlin.de wikileaks.razor1911.com wikileaks.dokansoft.com.ar
wikileaks.thinkfurther.de wikileaks.trankil.info wikileaks.gonte2.nu
leaks.stumcomie.com wikileaks.timburke.org wikileaks.ehcdev.com
wikileaks.myscripts24.de wikileaks.breit.ws wikileaks.emilts.com
wikileaks.ruicruz.pt wikileaks.now-pages.com wikileaks.ego-world.org
cablegate.r3blog.nl ipv6 www.wikileakz.eu wikileaks.realprogrammer.org
wikileaks.the-secret-world.info wikileaks.rtjuette.de wikileaks.rustigereigers.nl
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wikileaks.r00t.la wikileaks.cordover.id.au brd.mcbf.net
wikileaks.spurious.biz wikileaks.1407.org wikileaks.mollar.me
azow.selb.us wikileaks.furdev.org wikileaks.datkan.net ipv6
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wikileaks.hutonline.nl vm8157.vps.tagadab.com nl1.wikileaksmirror.nl
wikileaks.noomad.org wikileaks.xcplanet.com www.wikileaks.nw-ds.com
wikileaks.infinium.org.uk wikileaks.piratskasit.cz peoplerule.info
wikileaks.sirobert.com wikileaks.solvare.se wikileaks.marktaff.com
wikileaks.hmaks.com im.wikileak.im wikileaks.yoerin.nl
wikileaks.siwhine.org wikileaks.schroth.cx wikileaks.delight.ch
wikileaks.moochm.de wikileaks.syncaddict.net www.hallitus.info
info.patourie-systems.com wikileaks.softic.cz wikileaks.redhog.org
wikileaks.brokenbydesign.org wikileaks.nisd.dk wikileaks.sentientrobot.net
wikileaks.kronoss.org wikileaks.s4ku.com wikileaks.glembotzky.com
wikileaks.nperfection.com wikileaks.laquadrature.net wikileaks.legrandsoir.info
wikileaks.artwww.net wikileaks.39mm.net leaks.uaqv.com
wikileaks.krtek.net www.emilts.com leaks.3nglish.co.uk
wikileaks.explain-it.org wikileaks.dunnewind.net wl.fcharlier.net
wikileaks.datenscheibe.org wikileaks.kapitein.org www.wikileaks.djity.net
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last.to wikileaks.rackstack.com wikileaks.serverlicious.org
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wikileaks.canariaswireless.net

Luci accese sulla cultura

Luci accese sulla cultura

Dal comunicato di Federculture:

Questa volta non si tratta solo di tagli, pur molto consistenti – circa 280 milioni tra tagli diretti al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, decurtamento del Fus e dei trasferimenti statali agli enti culturali, cui si aggiungono le riduzioni a carico delle amministrazioni locali che, secondo prime stime, potrebbero pesare sul settore per circa 800 milioni di euro nel prossimo biennio -, ma di un combinato di articoli contenuti nella legge, la cui applicazione disegnerà un quadro generale nel quale l’intervento pubblico dovrà fare totalmente marcia indietro, rinunciando di fatto alla possibilità di attuare politiche culturali, sia a livello nazionale che regionale e locale.

Avranno in particolare conseguenze disastrose sul sistema culturale italiano le norme che dispongono un tetto di spesa per l’organizzazione delle mostre pari al 20% di quanto speso dall’amministrazione nel 2009, tagliando di fatto dell’80% le risorse (Art. 6, commi 7, 8, 9, 12 e 13), quelle che obbligano i comuni sotto i 30.000 abitanti allo scioglimento delle società dagli stessi costituite (Art. 14, comma 32) ed infine quelle che fissano limiti alla composizione dei consigli di amministrazione, ostacolando la partecipazione dei privati alla gestione delle aziende culturali (Art. 6 commi 5 e 6).

La legge 122/2010 renderà impossibile per amministrazioni pubbliche, aziende e fondazioni e tutti gli organismi, che gestiscono i servizi e le attività culturali nel Paese, continuare a svolgere il loro compito istituzionale di promozione e diffusione della cultura. Una vera mannaia che si abbatterà indiscriminatamente su musei, teatri, biblioteche, colpendo anche quelle realtà virtuose che sono state l’elemento di maggiore innovazione e modernizzazione degli ultimi anni nei servizi resi ai cittadini e al territorio e riconosciute anche a livello internazionale.
Alcune norme, inoltre, potrebbero ledere le prerogative di autonomia degli enti territoriali e delle società private che gestiscono i servizi pubblici culturali, così come garantite dalla Costituzione. Per questo alcune Regioni hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente ad alcuni articoli della manovra, così come Federculture aveva già evidenziato nei mesi scorsi.

L’obiettivo della protesta è denunciare il pressoché totale disimpegno statale nel garantire la sopravvivenza del settore, già da anni falcidiato dal progressivo rarefarsi delle risorse e degli investimenti. Nel prossimo anno il budget del Mibac crollerà a 1,5 miliardi di euro, ormai circa lo 0,21% del bilancio statale, come dire che lo Stato spende 21 centesimi in cultura ogni 100 euro e, parametrato alla popolazione italiana equivale ad una spesa procapite di 25 euro. Cifre irrisorie per l’ampiezza e la complessità del nostro patrimonio e le esigenze di conservazione, valorizzazione e promozione cui bisognerebbe assolvere, che ci fanno sfigurare anche nel confronto internazionale: la Francia, ad esempio, ha una spesa statale procapite per la cultura di 46 euro, quasi il doppio della nostra.

Con investimenti di tale esiguità è impensabile non solo la sopravvivenza ma lo sviluppo del settore culturale che pure ha enormi potenzialità, tanto che potrebbe essere uno dei comparti sul quale puntare per uscire dalla crisi e restituire competitività al sistema economico nazionale. Il potenziale anche economico della cultura è d’altronde ampiamente dimostrato dai dati che ci dicono, ad esempio, che in Italia ci sono oltre 900mila imprese operanti in attività legate al settore culturale e creativo e che, ancora nel 2009 in piena crisi, la spesa delle famiglie italiane per la cultura ha rappresentato il 7% della loro spesa complessiva. Si andrà, invece, come chiaramente segnalano gli organizzatori della mobilitazione, verso un’ulteriore perdita di offerta, servizi e occupazione. Se non si interviene per tempo nel Paese non ci sarà una politica culturale da parte dello Stato, né delle amministrazioni locali, né tantomeno dei privati.

Una politica superficiale e miope sta colpendo nel profondo il diritto dei cittadini alla cultura, l’accesso alla conoscenza e alla fruizione del nostro immenso patrimonio collettivo, che è alimento essenziale per il benessere e la crescita.

Per questo il 12 novembre si chiuderanno le porte, ma per accendere i riflettori sulla cultura italiana e sul suo futuro a rischio.

Horror Vacui

“La natura aborre il vuoto”. Così diceva Aristotele dopo aver osservato che quando da un luogo veniva tolta tutta la materia, producendo appunto il vuoto, immediatamente nuova materia vi si precipitava a colmarlo.

E così è stato per Limewire, un popolare client P2P che era stato chiuso a seguito di un’ingiunzione da parte di un giudice di New York, che aveva ordinato la cessazione di qualsiasi attività online del servizio. Sia la sua versione base che quella a pagamento avevano all’improvviso smesso di esistere, dopo che il legali della RIAA avevano già ottenuto una condanna per incitazione alla violazione del copyright nei confronti della società LimeWire LCC.

Adesso, un gruppo di sviluppatori ha ripristinato le principali funzioni del servizio di sharing, dopo essere fuoriuscito dal team originario. Così LimeWire è tornato alla vita, apparendo nuovamente online con il nome di LimeWire Pirate Edition (LPE), con tanto di trailer su You Tube.

La versione LPE è ora apparsa tra i meandri del web, basata sulla precedente release 5.6 beta del client P2P. Gli stessi sviluppatori hanno sottolineato come questa nuova incarnazione di LimeWire sia ancora più efficiente, perché priva di pubblicità e spyware. Quindi dedicata esclusivamente ai bisogni essenziali di condivisione degli utenti (per ora esiste solo la versione Windows).

Il trailer è piaciuto al punto che, in breve, sono comparsi decine di remix.

La faccenda dimostra, ancora una volta, quanto la rete sia difficilmente controllabile senza una militarizzazione che ne annullerebbe anche qualsiasi possibilità di sfruttamento commerciale.

Fonte: Punto Informatico, Torrent Freak

La ricerca dell’audio perduto

Un recente rapporto della Biblioteca del Congresso USA dal titolo The State of Recorded Sound Preservation in the United States: A National Legacy at Risk in the Digital Age, scaricabile in pdf, fa notare che vaste porzioni del patrimonio audio sono ormai perdute o inaccessibili al pubblico a causa di errata conservazione, supporti labili, ma anche e spesso, di problemi determinati dal copyright.

In merito a quest’ultimo punto, il rapporto dichiara fin da subito che

Copyright law and interests in protecting intellectual property are a final thread (or perhaps a seemingly unyielding tangle) in the environment affecting recorded sound preservation. [pag. 6]

e continua

In many instances, early commercial recordings may be unavailable from rights holders. As reported in the Survey of Reissues of U.S. Recordings, a study commissioned by the NRPB, “ten percent or less
of listed recordings have been made available by rights holders for most periods prior to World War II. For periods before 1920, the percentage approaches zero.

All U.S. recordings, both commercially released and unpublished, created before February 15, 1972, are protected by a complex network of disparate state civil, criminal, and common laws. Accordingly, sound recordings are unique among all creative works in the United States insofar as the effective term of copyright protection for even the oldest U.S. recordings, dating from the late nineteenth century, will not end until the year 2067 at the earliest (i.e., 95 years after the placement of sound recordings under federal protection in 1972)

Questa situazione ha dell’incredibile: le istituzioni che si occupano della conservazione dei documenti audio sono impedite, quando non bloccate, dalle leggi fatte da un altro ramo della stessa istituzione.

È interessante osservare che, invece, i problemi tecnici, che pure esistono, si possono risolvere. Una volta accettato il fatto che non esiste un supporto eterno, si tratta solo di rinnovare i supporti ogni congruo numero di anni.

Con questo non voglio dire che quello posto dal copyright sia l’unico ostacolo. Il rapporto insiste anche sulle corrette modalità di conservazione, sulla necessità di formati standard, adeguati e non compressi, sulla creazione di professionalità apposite. Ma, mentre queste ultime sono, in fondo, questioni tecniche che si risolvono impiegando risorse adeguate, quello del copyright è, in realtà, un problema di potere, quindi molto più difficile.

Metri quadrati per persona

square feet per person

Questa immagine schematizza la densità della popolazione in varie aree del pianeta e lo fa calcolando lo spazio disponibile per ogni abitante. Notate che questa superficie è riferita al terreno calpestabile, cioè esclude laghi e fiumi.

Le misure sono in piedi quadrati, ma una veloce conversione in metri quadrati dà (e aggiungo l’Italia):

  • Australia 365961 m2, che equivalgono a un quadrato con il lato pari a circa 605 m
  • Canada 273823, idem 523
  • Russia 120805, 348
  • USA 30158, 174
  • Sud Africa 25009, 158
  • Messico 17491, 132
  • Cina 7035, 84
  • Italia 4969, 70
  • Gran Bretagna 3965, 63
  • Giappone 2944, 54
  • Bangladesh 872, 30
  • Hong Kong 156, 12.5
  • Monaco 59, 7.7

ma l’immagine esprime meglio le differenze.

Tutto questo significa anche che, se gli esseri umani fossero distribuiti con la massima regolarità, in Australia sarebbero a circa 605 m l’uno dall’altro come minimo, mentre nel Principato di Monaco ognuno avrebbe 4 immediati vicini a circa 7.7 m di distanza.

Ovviamente bisogna anche pensare che, se è vero che, per es., in Australia, ognuno dispone di 365961 m2, gran parte di questo territorio è costituito da deserti difficilmente abitabili, così come in Canada buona parte del terreno è gelato.

Però la presenza di un territorio così vasto ha un effetto. Quando guidavo in Russia o in Canada avevo spesso la percezione della vastità in gran parte vuota che iniziava subito al di là dei confini della città, mentre ad Hong Kong (prima del ritorno alla Cina), mi rendevo conto che era impossibile sfuggire alla folla.

Una sensazione simile, seppure meno opprimente, mi accompagna anche qui, in Italia. Andando su e giù per la pianura Padana o per la valle dell’Adige, ma anche salendo sulla montagna trentina, è quasi impossibile non vedere costruzioni e altri segni evidenti di presenza umana.

E non è un caso, secondo me, che i più visionari progetti di land art nascano dalla mente di persone che vivono nei paesi a bassa densità abitativa.

Jim Denevan

L’immagine rappresenta un recente lavoro di Jim Denevan, land artist di cui ci siamo già occupati.

Addio banda larga

Di solito non mi occupo delle nefandezze governative, ma stavolta, visto che cosa riguarda internet, ve lo faccio sapere.

Secondo Punto Informatico, che cita Il Sole 24 Ore,

Il Ministero dello Sviluppo economico, ormai vacante da mesi e guidato ad interim dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e, di fatto, dal Viceministro della comunicazioni Paolo Romani, ha reso noto che gli attesi 800 milioni di euro, che sarebbero dovuti servire per dare il via alla riforma infrastrutturale per estendere la diffusione della banda larga in Italia, si sono ridotti a 100.


La nuova cifra accompagna la considerazione che la banda larga non rappresenti più una priorità per il governo, e lascia tutti gli osservatori insoddisfatti: sono ritenuti del tutto insufficienti per risolvere il problema del digital divide. Potrebbe addirittura acuirlo potendo agire solo su alcune zone, nello specifico alcuni distretti industriali individuati da Confindustria e dal Ministero e da attribuire su base regionale.

Ok. Di fatto significa anche acuire il divario informatico fra l’Italia e gli altri paesi d’Europa, con ricadute su altri settori. Per esempio, in Francia, da quando esiste l’obbligo della fatturazione elettronica (che arriva anche immediatamente nelle mani del fisco), l’evasione, già ben più bassa della nostra, si è ulteriormente ridotta e dove uno studio stima in 40 miliardi di euro il risparmio per le aziende, di cui uno solo attribuito alle 50 maggiori.

Ma, nell’articolo di Punto Informatico, la cosa che mi fa maggiormente incazzare è questa:

A rendere più grave la situazione, il fatto che sembrerebbe non esserci l’asta sulle frequenze lasciate libere a seguito del passaggio al digitale terrestre, che sono state invece in parte destinate dal Ministero dello Sviluppo Economico proprio al gruppo Mediaset per sperimentare nuove soluzioni in HD per la TV tradizionale.
Il tutto confermerebbe le accuse che ad agosto il Presidente dell’Agcom ha lanciato: un grave rischio per l’Italia, che sembra non voler salire sul treno della connessione.

Ma guarda un po’. Chi decide dove vanno a finire le frequenze? Il Ministero dello Sviluppo Economico. E chi ha in mano il suddetto ministero? Berlusconi, nonostante le lamentele di tutti e ad onta di premesse regolarmente non mantenute.

E cosa decide il suddetto ministero? Che intanto parte delle frequenze lasciate libere a seguito del passaggio al digitale terrestre vadano a finire a Mediaset. E di chi è Mediaset? Di Berlusconi. Ma che caso…

Ma, dannazione, forse con il Berlusca

  • guadagniamo di più? No.
  • abbiamo meno tasse? No.
  • abbiamo più lavoro? No.
  • abbiamo più libertà? No.
  • l’Italia vince i mondiali? No.

‘Cazzo aspetta la gente a svegliarsi?

Il bug del copyright

Tempo fa, a uno studente che voleva sapere qualcosa di più su Stockhausen, avevo consigliato di leggere l’Intervista sul genio musicale, un lungo colloquio con il nostro, a cura di Myra Tannenbaum, Ed. Laterza, Bari, 1985.

Qualche giorno fa mi ha scritto che non si trova.

Incredulo, vado a cercare sulle più note librerie online e ha ragione: non si trova da nessuna parte. Allora vado sul sito dell’editore, cerco per titolo e mi esce “Nessun libro trovato”. Il vecchio effetto si ripete. I libri scompaiono, come in Fahrenheit 451 dove vengono bruciati, solo che stavolta a farli sparire non sono i pompieri, ma gli avvocati con il supporto delle leggi sul copyright.

Questo effetto combinato del mercato e del copyright è demenziale. Intere biblioteche composte da tutto ciò che è stato stampato, ma che non può contare su un mercato planetario, sono state ingoiate dal buco nero del copyright a causa di una legge che anni fa, tutto sommato, era ragionevole, ma che in seguito a una serie di estensioni, si è trasformata in un killer culturale.

Facciamo un esempio prendendo proprio il già citato Fahrenheit 451. Ray Bradbury lo ha pubblicato nel 1953. Secondo la legge dell’epoca, sarebbe diventato di dominio pubblico, al massimo quest’anno, nel 2010. Nel ’53, infatti, secondo la legislazione americana, il copyright si estendeva per 28 anni, con la possibilità di un rinnovo altrettanto lungo (totale 56 anni).

Questa possibilità dell’opt-in era molto importante. Dopo 28 anni, infatti, doveva presentarsi un editore intenzionato ad usufruire di questa opzione e quindi, si presume, a sfruttare commercialmente l’opera. In caso contrario, il copyright decadeva.

Era un buon sistema per far sì che le opere che avevano acquisito una popolarità duratura continuassero ad essere sul mercato, mentre per quelle di minore impatto mercantile, si aprivano le porte del pubblico dominio e della circolazione privata fra gli interessati. In effetti, questo era il destino del 93% dei libri, mentre solo sul 7% si esercitava il rinnovo.

Le estensioni approvate via via negli anni hanno portato la durata del copyright a sfiorare il secolo (se nulla cambia, Fahrenheit 451 entrerà nel pubblico dominio nel 2049), ma, cosa ben peggiore, hanno tolto la consuetudine dell’opt-in, per cui tutto è automaticamente copyrighted per il periodo fissato.

La cosa più assurda, comunque, è il fatto che il diritto permane anche se il detentore non fa nulla per rendere disponibile sul mercato l’opera. Questo fatto danneggia chi la vuol leggere, ma anche l’autore o i suoi eredi, che potrebbero, invece, cercare di ricavarne qualcosa.

Infine, l’unico modo in cui il mio studente può leggere l’intervista con Stockhausen è farsela prestare o, se vuole averne una copia, commettere un reato.

La pagella del mondo interattiva

Newsweek ha una bellissima pagina interattiva creata appositamente per illustrare la sua classifica dei «migliori Paesi del mondo» che, peraltro, è fatta in modo piuttosto interessante. La trovate qui.

Per la cronaca, la Finlandia è il Paese migliore del mondo. Precede la Svizzera e la Svezia. I norvegesi però non possono certo lamentarsi, sono sesti nella classifica globale, ma per qualità della vita battono tutti.

C’è anche l’Italia. Ventitreesimo posto, due posti sotto la Spagna. Davanti abbiamo però 12 Paesi europei e anche se in fatto di sanità saliamo addirittura sul podio, nelle altre quattro categorie siamo ben nascosti in mezzo al gruppo. Trentaquattresimi per l’istruzione, ventiduesimi per la situazione politica e addirittura 44esimi se si prende l’economia, ovvero competitività, dinamismo, apertura dei mercati.

Come fa notare anche La Stampa, dalla ricerca risulta che le cose vanno bene nei Paesi che investono (o investono bene) in istruzione. Non è un caso che la Finlandia sia la prima. Notare la parola. Investono, che significa: ci mettono soldi (sì, c’è anche scritto “investono bene”, ma per investire bene, intanto bisogna investire).

Ma non bastano scuole efficienti o insegnanti motivati a far correre gli alunni. La famiglia gioca un ruolo decisivo: all’età di 3 anni i figli di professionisti sono da un punto di vista dell’apprendimento (misurabile in vocaboli conosciuti e nei test di intelligenza) quasi un anno avanti rispetto ai coetanei provenienti da famiglie più povere.

Ripeto, la trovate qui.

6 gradi ai Black Sabbath

Per ferragosto ecco qualcosa di divertente.

Come recita wikipedia, La teoria dei sei gradi di separazione è un’ipotesi secondo cui qualunque persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di 5 intermediari. Tale teoria è stata proposta per la prima volta nel 1929 dallo scrittore ungherese Frigyes Karinthy in un racconto breve intitolato Catene.

Dato che Karinthy si limitò ad enunciare la teoria senza dimostrarla in termini rigorosi, si dovrebbe parlare non di una teoria, ma di una congettura che rimane tale ancora oggi, anche se vi sono evidenze sperimentali della sua correttezza.

Dopo un tentativo fallito di dimostrarla per via matematica negli anni ’50, nel 1967 il sociologo americano Stanley Milgram ideò un sistema sperimentale per testare la teoria, che egli chiamò “teoria del mondo piccolo“.

Selezionò casualmente un gruppo di americani del Midwest e chiese loro di mandare un pacchetto ad un estraneo che abitava nel Massachusetts, a diverse migliaia di chilometri di distanza. Ognuno di essi conosceva il nome del destinatario, la sua occupazione, e la zona in cui risiedeva, ma non l’indirizzo preciso. Fu quindi chiesto a ciascuno dei partecipanti all’esperimento di mandare il proprio pacchetto a una persona da loro conosciuta, che a loro giudizio avesse il maggior numero di possibilità di conoscere il destinatario finale. Quella persona avrebbe fatto lo stesso, e così via fino a che il pacchetto non venisse personalmente consegnato al destinatario finale.

I partecipanti si aspettavano che la catena includesse perlomeno un centinaio di intermediari, e invece ci vollero solo (in media) tra i cinque e i sette passaggi per far arrivare il pacchetto. Le scoperte di Milgram furono quindi pubblicate in Psychology Today e da qui nacque l’espressione sei gradi di separazione che divenne subito molto popolare grazie anche al film tratto dall’omonima commedia teatrale di John Guare plurireplicata a Broadway.

La spiegazione della faccenda si basa sul fatto che, in ogni rete di persone, esistono individui che agiscono come aggregatori, perché hanno un numero di contatti elevatissimo. Il primo impiego pratico della teoria, per esempio, venne creato da Brett C. Tjaden sotto forma di un software che usava l’Internet Movie Database per calcolare i collegamenti tra attori differenti.

Il collegamento era effettuato mediante i film. Per esempio, il collegamento fra gli attori A e Z è dato dal fatto che A ha lavorato in un film con M che ha lavorato in un film con K che, a sua volta, ha lavorato in un film con X, il quale, infine, ha recitato con Z. In questo caso, il grado di separazione fra A e Z è 4.

Questo software, centrato sull’attore Kevin Bacon, considerato come uno degli aggregatori nel mondo del cinema per l’elevato numero di pellicole a cui ha preso parte, tanto che il suo grado di separazione con altri attori è circa 3, è ancora in rete con il nome de “The Oracle of Bacon“. Qui, per esempio, si può scoprire che il “numero di Bacon” che lo separa da Alvaro Vitali è solo 2 in quanto quest’ultimo ha lavorato con Gassman in “Mortacci (1989)” e Gassman ha lavorato con Bacon in “Sleepers (1996)”.

Nel 2001 Duncan Watts, un professore della Columbia University, riprese per conto suo la ricerca e ricreò l’esperimento di Milgram su Internet. Watts usò una e-mail come “pacchetto” che doveva essere consegnato e, sorprendentemente, dopo aver analizzato i dati ottenuti dagli invii effettuati da 48.000 differenti persone residenti in 157 stati diversi, nei confronti di 19 “bersagli”, trovò che il numero medio di intermediari era effettivamente sei.

Da qui il diluvio. Nel 2006, per esempio, due ricercatori di Microsoft, sfruttando i log delle conversazioni attraverso MSN Messenger, hanno ricavato che in media fra due utenti del programma vi sono 6,6 gradi di separazione (vedi) e nel 2008 Discover Magazine ha pubblicato un pezzo intitolato “If Osama’s Only 6 Degrees Away, Why Can’t We Find Him?“.

Nel mondo scientifico è diventato popolare il Numero di Erdős creato dagli amici di Erdős come tributo scherzoso all’enorme numero di pubblicazioni da lui scritte in collaborazione con un gran numero di matematici diversi.

Esiste anche un social network, chiamato Digrii, in grado di calcolare il grado di separazione fra i suoi utenti e mostrare anche il percorso di connessione (tu sei amico di quello, che è amico di quell’altro … etc.).

In musica le applicazioni non sono state molte. C’è un programma su Radio3 (Sei Gradi, che vanta vari tentativi di imitazione fra le radio private) in cui si va da un artista all’altro in 6 passi. Qui sono disponibili molte puntate.

Ma adesso c’è anche un sito, 6 Degrees of Black Sabbath, che utilizza i database di Echo Nest e MusicBrainz per connettere due musicisti dell’area pop e/o jazz, utilizzando non solo la partecipazione a una canzone o a una band, ma anche altri tipi di relazione (parentela, nomi d’arte, composizioni…)

Così si scopre, per esempio, che anche fra John Coltrane e i Black Sabbath ci sono 6 gradi, ovvero:

Da A
Relazione
John Coltrane Ravi Coltrane figlio
Ravi Coltrane Greg Osby M-Base Collective
Greg Osby Jimmy Herring Phil Lesh & Friends
Jimmy Herring T Lavitz Endangered Species
T Lavitz Aynsley Dunbar Jefferson Starship
Aynsley Dunbar Black Sabbath ha composto Warning

.

Fuori dal tempo

MandelaParliamo un po’ di Sud Africa in un altro modo.

Questo volto è stato per 27 anni quello di Nelson Mandela. Arrestato nel 1963 e condannato all’ergastolo nel 1964 per tradimento e sabotaggio, cioè per aver guidato l’ala militare dell’African National Congress (Umkhonto we Sizwe, la Lancia della nazione) organizzando la lotta armata anti-apartheid, Mandela rimase in carcere fino al 1990, anno della sua liberazione in seguito al crescere della pressione internazionale.

Nel frattempo, fuori, si stampavano clandestinamente manifesti e magliette con il suo viso, ma, un po’ perché il regime non diffondeva volentieri sue immagini, un po’ perché così si voleva ricordarlo, l’aspetto di Mandela non cambiava mai.

Non era morto. Era in carcere e invecchiava, ma all’esterno, per la gente e perfino per i media, il suo viso era sempre quello. Per 27 anni l’immagine di Mandela è rimasta fuori dal tempo, bloccata a quel 1963, rientrandovi bruscamente solo l’11 Febbraio 1990 al momento della sua relativamente inattesa liberazione. Inattesa perché è vero che la pressione internazionale stava montando e si pensava che prima o poi il regime, sempre più isolato, avrebbe dovuto cedere, ma non si capiva quando sarebbe avvenuto.

nelson mandela freedIn quel giorno, per quelli che non lo avevano più visto dal 1963 e per i moltissimi che non lo avevano mai visto e che di lui conoscevano solo quell’immagine e il messaggio che era riuscito a far uscire dal carcere nel 1980 (“Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa ed il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!”; ricordiamo che nel 1985 aveva rifiutato un’offerta di liberazione in cambio della rinuncia alla lotta armata), Mandela è riemerso, con il viso e le movenze tremolanti di un vecchio (aveva 72 anni e il carcere non lo aveva certo aiutato a invecchiare bene).

Da quel momento è ritornato nel tempo. Ha smesso di essere un’icona ed è tornato ad essere una persona. Ovviamente non una persona comune, è sempre un eroe ed è stato presidente del Sud Africa da 1991 al 1999, ma è un uomo che si vede cambiare con il tempo, lo si vede invecchiare, anche se il suo paese, a giudicare dalla statua, imponente ma bruttina, che gli dedicato (qui sotto), lo vorrebbe per sempre giovane.

Mandela

Fight free culture

Questo è il testo di una lettera che ASCAP (la SIAE americana) ha inviato ai suoi membri (i compositori di musica) per chiedere fondi per la lotta contro di Creative Commons, Public Knowledge, e l’EFF.

Ciò che sorprende è il tono della comunicazione. Creative Commons, Public Knowledge, e del FEP sono rappresentati come criminali, che “non vogliono pagare per l’uso della musica“. Invece, le suddette organizzazioni non hanno mai detto che voi (gli utenti) dovreste rubare la musica e non pagare i CD. Stanno solo cercando di diffondere un diverso modello di marketing tra i musicisti diffondendo musica priva di copyright come un modo per accrescere la propria notorietà e guadagnare in modo diverso (più concerti, gadget, ecc.). Si può essere d’accordo o meno, si può pensare che è una bella idea oppure che non possa funzionare, ma, in ogni caso, è una posizione legittima che non giustifica appelli come quello di cui sopra.


This is a mail that ASCAP sent to his members (the music composers) to solicit funds to fight Creative Commons, Public Knowledge, and the EFF.

What is surprising is the feeling of the communication. Creative Commons, Public Knowledge, and the EFF are depicted as criminals that “do not want to pay for the use of music“. Instead this organizations never said that you (the user) must stole the music not paying the CDs. They are only trying to spread a different marketing model between the musicians. They say that the musicians should spread their music with no copyright at all as a way to gain more fans and find revenues in a different way (more concerts, gadgets, etc).

Libertà di stampa

Ragazzi, non so se vi è chiaro, ma se questa legge sulle intercettazioni passa così com’è, è la fine della libertà di stampa in questo paese.

Oggi dicono che hanno tolto il carcere per i giornalisti che pubblicano notizie su un’inchiesta prima della chiusura dell’indagine preliminare, ma è del tutto inutile finché restano le pene pecuniarie (€ 10.000 di ammenda), le sospensive e soprattutto le pene per gli editori (fino a € 464.700 di ammenda). Per pubblicare, infatti, bisogna essere in due: un giornalista e un editore.

Ma soprattutto, saremmo il primo paese occidentale e almeno sulla carta, democratico, in cui entra in vigore una legge che impedisce a un giornalista di fare il suo lavoro, cioè pubblicare le notizie di cui viene a conoscenza.

Infine, vi rendete conto che tutti i regimi autoritari, dico tutti, di destra e di sinistra, militari e mediatici, sono passati, in primis, per una limitazione della libertà di stampa?

Tanto per finire, vi ricordo che la nostra Costituzione, all’art. 21, dice:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Il Terzo segreto di Fatima

Secondo La Stampa.it di oggi, il Papa ha dichiarato che

Le sofferenze per la pedofilia nella Chiesa erano state annunciate nel Terzo segreto di Fatima, un peccato «realmente terrificante», una delle «più grandi persecuzioni» che non viene da fuori, ma «da dentro la chiesa stessa».

E allora siete proprio degli idioti. Eravate stati avvisati nientemeno che dalla Madonna in persona nel lontano 1917 e non avete fatto niente!!

Contro il suffragio universale

Bossi impone il figlio in regione. Caligola era stato più discreto.
[spinoza.it]

Ebbene sì. Sono ormai contrario al suffragio universale, sia per l’elettorato attivo che per quello passivo. Come minimo per due ragioni:

  1. Elettorato passivo
    Ormai servono una laurea e la fedina penale pulita per fare quasi qualsiasi cosa. Non sto a fare esempi, ne trovate a montagne in internet. Non vedo proprio perché, invece, possano essere eletti cani e porci. Vero è che ormai una laurea non si nega a nessuno. Ragione di più per averla.
  2. Elettorato attivo
    Il suffragio universale è stato una bella idea, ma ormai il potere dei media è tale da mettere in dubbio l’idea di “libera espressione di volontà” da parte dell’elettore. Attualmente anche chi non capisce un cazzo di niente può esprimere la propria opinione su chi deve guidare lo stato. Se la stessa cosa si facesse per il CT della nazionale di calcio sarebbe uno scandalo.
    Propongo quindi un patentino per ottenere il diritto di voto mediante il quale si accerti che l’elettore abbia almeno una vaga idea di cosa sta facendo. Tale patentino si potrebbe conseguire mediante un banale test a crocette con domande basilari tipo:
    Chi fa le leggi?

    1. il Presidente della Repubblica
    2. il Parlamento
    3. Il Governo

    E non ditemi che è complicato. Basta delegare il tutto ad un software in un ufficio comunale.
    Se ognuno di noi, anche il più illetterato, dedica qualche ora della propria vita allo studio dei quiz per ottenere la patente di guida, non vedo perché non dovremmo dedicare lo stesso tempo allo studio di un libretto distribuito gratuitamente.

Pirating vs buying

This funny chart (found on Boing Boing) does a superb job of explaining how the insertion of a lot of “business model” (FBI warnings, unskippable trailers, THX vanity sequences) makes buying a DVD a lot worse than pirating the same disc online (click image to enlarge).

A side effect is that only the legitimate customers can see the FBI warnings.

The same (or worse) happens with the games. I bough a PC game to play on the train (I move 2/3 days a week) and I must carry the original CD-Rom with me to start the game, at high risk.

Of course the pirated copy starts without any CD. The customer pay to buy the game and must suffer all the annoyances. A pirate don’t pay and has no problems. It’s a no win situation…

iMussolini

iMussoliniChe cosa sia l’Italia oggi si può anche dedurre anche dal fatto che una applicazione su iPhone che contiene clips audio, video e testi di 100 discorsi del dittatore è stata la più scaricata nel nostro paese nel breve tempo in cui era disponibile, raggiungendo il 2° posto nella classifica del software iPhone in Italia.

L’applicazione è stata rimossa grazie all’intervento dell’istituto che possiede i diritti sul video e l’audio. La minaccia di una causa per violazione di copyright è servita ad indurre il suo creatore, tale Luigi Marino, 25 anni, di Napoli, a ritirarla.

Se ne parla anche sulla stampa estera (NY Times, BBC News), oltre che su quella locale (Corriere).

Berlusconi on Photoshop Disasters

Il nostro elegante commander-in-chief è finito sul popolare Photoshop Disasters per una serie di immagini malamente e dilettantisticamente ritoccate tratte dal libro Noi amiamo Silvio edito da Peruzzo.

Nella fattispecie si vede una foto in cui pezzi di folla sono stati chiaramente duplicati al fine di far apparire più gente intenta ad osannare il nostro. Anche il mazzo di fiori è disegnato gran male. In realtà è probabile che questa immagine sia il montaggio di tre foto: Berlusconi, la folla, piazza Duomo. Il fatto che la menzogna sia utilizzata come normale strumento di propaganda dovrebbe far pensare.

Qui l’immagine ingrandita.

Il commento di Photoshop Disasters:

Oh Silvio. I have no problem with your mafia connections, your masonic lodge business, the tax fraud, the false accounting, the bribing of judges, embezzlement, seducing young girls, etc. We all do that kind of thing. But when you start pumping up your crowds with Photoshop you cross the line, mister.

berlusconi on photoshop disaster

Tartaglia?

Allora, Tartaglia è il nome dello sfortunato aggressore dell’innominabile (perché secondo me SB porta una sfiga atroce).

L’aggressione è avvenuta il 13 dicembre.

Il 13 dicembre 1557 moriva a Venezia il matematico Niccolò Fontana, conosciuto come Tartaglia, rimasto nella storia per l’omonimo triangolo.

Coincidenza?


On December 13, the day of Berlusconi attack by Massimo Tartaglia, the italian mathematician Niccolò Fontana, known as Tartaglia, died in Venice (on the year 1557).

Niccolò Tartaglia is very famous in Italy because of the Tartaglia’s Triangle (a geometric arrangement of the binomial coefficients in a triangle, named Pascal’s triangle in english).

Classifica dei capi di Stato e di governo

From Iriospark

I rappresentanti della stampa europea, corrispondenti da Bruxelles hanno valutato, anche quest’anno, i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione, secondo i parametri della leadership, dello spirito di squadra, dell’atteggiamento nei confronti del cambiamento del clima, della regolamentazione finanziaria, del rispetto del mercato interno, del trattato di Lisbona per la Costituzione europea, dell’impegno europeista.
Per ogni criterio è stato attribuito un punteggio comparativo, che ha riconosciuto l’attività svolta in quell’area da ogni capo di Stato e di governo rispetto agli altri 26: ha assegnato, cioè, 1 al primo, che ha fatto meglio, 2 al secondo, 3 al terzo e così via.
In testa alla classifica Eurotribune è risultato il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, un 44 enne che ha meritato tre 1 per la regolamentazione finanziaria e l’uscita dalla crisi, il rispetto del mercato interno, l’attività per l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Al secondo posto è stato classificato il primo ministro lussemburghese, Jean Claude Juncker, che ha meritato due 1 per lo spirito di squadra e la regolamentazione finanziaria.
Terza è stata Angela Merkel. La cancelliera tedesca ha avuto un 1 per la leadership.
Quarto è riuscito il primo ministro danese Rasmussen, che ha avuto un 1 per l’organizzazione della conferenza mondiale sul clima.
Nonostante otto sostituzioni, la classifica 2009 ha avuto clamorose modifiche tra i rimanenti rispetto a quella del 2008.
Il presidente francese Sarkozy, che l’anno scorso era primo quest’anno è stato retrocesso al nono posto. Il presidente ceco Fischer è balzato dal venticinquesimo al dodicesimo posto. L’ungherese Bajnai è salito anch’egli dal ventunesimo al quindicesimo posto. Il premier inglese Gordon Brown è precipitato, invece, dalla terza alla ventunesima posizione.
In fondo alla classifica, stabile è il presidente del Consiglio italiano Berlusconi.

Ma ovviamente quelli della stampa internazionale sono notoriamente tutti comunisti… :mrgreen:

Il PDF della classifica Eurotribune

Strage di cervelli

Che la situazione italiana della ricerca non sia mai stata ottimale lo si sapeva ma, secondo questo articolo di Repubblica, che fa il paio con la lettera pubblica di Pier Luigi Celli, direttore della Luiss, al figlio, siamo ormai oltre lo sbando.

Alcuni estratti:

Questa non è una fuga di talenti, questa è una sottrazione di cervelli. Una rinuncia al futuro. Perché c’è in atto una decimazione silenziosa di ingegneri, tecnici, ricercatori. Produttori di conoscenze, di innovazione, di ricchezza immateriale nella presunta epoca del post-industrialismo. In questo terribile 2009 sono saltati quasi 20 mila posti di lavoro nell’information technology, dove si concentra, tra gli addetti, la più alta percentuale di laureati rispetto agli altri settori: il 30 per cento.

Sono un pezzo importante di quei colletti bianchi creativi così decisivi nel far decollare, solo qualche anno fa, il nostro “quarto capitalismo” di medie imprese internazionalizzate, quando ancora non si immaginava la tempesta dei sub-prime. Ora i nostri “cervelli” sono diventati esuberi.

….

E si spiega così che l’Italia si collochi al penultimo posto in Europa in quanto a incidenza dei lavoratori creativi (ingegneri, architetti, matematici, medici e altre professioni molto qualificate) sul totale della forza lavoro: siamo al 9 per cento contro il 18-20 per cento dei paesi del nord Europa come Belgio, Svezia, Irlanda, o il 13-14 per cento dei paesi dell’Europa centrale e meridionale come Germania, Spagna e Grecia. Difficile pensare di vincere le prossime sfide globali schierando solo le nostre, un tempo dinamiche, piccole imprese. Ci vuole di più. Più di quel nostro uno per cento di Pil destinato alla ricerca, pari a circa la metà di quel che investono mediamente dell’Europa a 15, ma addirittura un terzo di quanto indirizzano il Giappone e la stessa Corea del Sud, e un quarto di quanto fanno Finlandia e Svezia.

Sostiene Carlo Dell’Aringa, professore di economia politica alla Cattolica di Milano: “E’ scontato che la crisi porterà con sé un impoverimento della capacità produttiva. Molte aziende marginali, soprattutto nel tessile e nel metalmeccanico, finiranno per essere tagliate via. Per questo bisogna decidere di sostenere i settori più promettenti. Riscoprire una politica industriale dei settori (la biomedica, le nanotecnologie, l’ambiente) più che dei fattori (il costo del lavoro, l’accesso al credito, la sburocratizzazione)”. Il caso della banda larga, però, parla da solo e racconta di un’altra storia: di un investimento complessivo pari alla metà di quello stanziato dalla Grecia e di 800 milioni subito bloccati dal Cipe. Parla di un sistema rimasto nella rete del Novecento.

Messaggi del 9/11

wl_hour_glassQuattro giorni fa, Wikileaks, che si definisce “a multi-jurisdictional organization to protect internal dissidents, whistleblowers, journalists and bloggers who face legal or other threats related to publishing”, ha iniziato a pubblicare una immensa mole di messaggi scambiati da apparecchi mobili (tipicamente pagers, cioè cercapersone) nei fatidici giorni 11 e 12 settembre 2001.

Tutto il materiale è rigorosamente in ordine cronologico. Dall’insieme, 573.000 messaggi non solo fra privati, ma anche fra forze dell’ordine e agenzie governative, si vede come la notizia dell’attacco abbia cominciato a circolare.

Il primo segnale è alle 08:50:25, circa 4 minuti dopo il fatto: “A plane crashed thru the twin towers. Real bad..BR”, ma il flusso si incrementa rapidamente

  • 08:50:50: BOMB DETINATED IN WORLD TRADE CTR. PLS GET BACK TO MIKE BRADY W/A QUICK ASSESSMENT OF YOUR AREAS AND CONTACT US IF ANYTHING IS NEEDED AT 212-647-2345.
  • 08:51:24: plane crash at World Trade Center in NYC-no word on details- efforting more info now
  • 08:51:37: THE WORLD TRADE CENTER HAS JUST BLOWN UP, WE SEEN THE EXPLOSION OUTSIDE OUR WINDOWS. TERESA…
  • 08:51:42:THERE WAS SOME KIND OF EXPLOSION AT WORLD TRADE CTR. MAY HAVE SOME TROUBLE GETTING TO METRO TECH.
  • 08:52:27: GO TO TWIN TOWERS PLANE CRASH IMMEDIATELY WITH KEVIN. WALTER.
  • 08:52:57: World trade center damaged; unconfirmed reports say a plane has crashed into tower. Details to come.
  • ….

È interessante notare come, qualche minuto dopo, la polizia di NY non abbia ancora una chiara cognizione del fatto:

  • 08:53:44: NYPD Ops Div” <|1 PCT WORLD TRADE CENTER|— 1 PCT – WORLD TRADE CENTER – POSSIBLE EXPLOSION WORLD TRADE CENTER BUILDING. LEVEL 3 MOBILIZATION TO CHURCH AND VESSY.
  • 08:54:46: NYPD and emergency units at World Trade center, RE; airplane crash. Small Jet.

Poi i messaggi della polizia scompaiono, segno del fatto che sono passati su altre linee.

Potete consultare l’indice di tutti i files qui, in ordine cronologico inverso (inizia con i files del 12 e va giù fino al primo che parte alle 03:00 dell’11). Ogni file copre 5 minuti, ma attenzione: non pensate di trovarvi di fronte a una bella serie di conversazioni. I file sono infarciti di messaggi di broadcasting e altre cose poco significative. In genere, si confondono fra quotazioni di borsa, test tecnici, numeri, codici e email provenienti da cercapersone di chi, quel giorno, operava in veste ufficiale come il personale del Pentagono, la polizia di New York, e ancora messaggi automatici da computer che segnalano guasti.

Tutto questo, però, fa nascere anche un altro interrogativo non banale. Wikileaks non ha voluto rivelare la propria fonte, tuttavia appare chiaro che esiste un’organizzazione che ha intercettato e poi archiviato migliaia di telecomunicazioni sul territorio nazionale già prima dell’11 settembre.

Chi sono e perché?


Nota:

Wikileaks (da leak, “fuga di notizie” in inglese) è un sito internet che dà spazio all’invio di materiale classificato e riservato, in genere documenti di carattere governativo o aziendale, da parte di fonti coperte dall’anonimato.
Il progetto si occupa di preservare l’anonimato degli informatori e di tutti coloro che sono implicati nella “fuga di notizie”.

Wikileaks vuole essere “una versione irrintracciabile di Wikipedia che consenta la pubblicazione e l’analisi di massa di documentazione confidenziale”. Lo scopo ultimo è quello della trasparenza da parte dei governi quale garanzia di giustizia, di etica, di una più forte democrazia.

Il sito è curato da dissidenti del governo cinese, scienziati, attivisti, giornalisti; i suoi obbiettivi primari sono le nazioni dell’ex Unione Sovietica, dell’Africa sub-sahariana e del Medio Oriente. Comunque i cittadini di ogni parte del mondo possono e sono invitati ad inviare materiale “che porti alla luce comportamenti non etici di governi e aziende”.

Gran parte dello staff del sito, come gli stessi fondatori del progetto, rimangono per ora anonimi.

[wikipedia]

Ballard vive

Lonely HighriseProbabilmente è un effetto collaterale della crisi immobiliare negli USA, ma, in ogni caso, questa è una storia alla Ballard.

Questo condominio di 32 piani si chiama Oasis Tower One e si trova a Fort Myers, Florida. Ha 200 appartamenti, ma uno solo è occupato.

Victor Vangelakos, 45 anni, vigile del fuoco del New Jersey, lo ha acquistato 4 anni fa, quando Fort Myers era nel bel mezzo di un boom immobiliare, con l’idea di mandarci la famiglia in estate e poi di trasferirvisi stabilmente, ma, da allora lui e la sua famiglia sono rimasti gli unici abitanti dello stabile.

La maggior parte degli altri proprietari non ha confermato il proprio contratto e quelli che invece l’hanno fatto, hanno preferito permutare l’appartamento con uno equivalente, appartenente alla stessa agenzia, in un altro building perché quel palazzo era più frequentato di questo.

L’agenzia che ha venduto ai Vangelakos, invece, non ha dato loro questa possibilità. Così, quando vengono qui, hanno l’uso esclusivo della piscina, della sala giochi e della palestra.

“Per noi che veniamo dalla città” dice Victor, “è piuttosto inquietante. È come vivere in un film dell’orrore”.

Nel frattempo, la fontana di fronte allo stabile è stata chiusa, le luci intorno alla piscina sono state spente e le palme tagliate. Lo scarico della spazzatura è stato sigillato e un bidone è apparso di fronte al loro appartamento.

Fuga da Dubai

È molto interessante e istruttivo osservare gli effetti della crisi mondiale a Dubai. Questo paese ha costruito il grattacielo più alto del mondo (Burj Dubai, di cui abbiamo già parlato) e altri milioni di metri cubi, con l’idea di investire nel mattone i fiumi di petrodollari che affluiscono nelle casse dell’Emirato.

Il punto è che la crisi ha colpito duramente il settore immobiliare e a Dubai la maggior parte degli investimenti è proprio in questo settore. Di conseguenza si sono generati due effetti.

Il primo consiste nel crollo del valore degli investimenti. Fino a qualche anno fa, i prezzi degli appartamenti anche di livello più basso erano in costante crescita. Secondo Il Sole 24 Ore, “quello che nel 2002 nella torre Terrace (Dubai Marina) costava 1.600 euro al metro quadrato è salito a 4.100 nel 2006 e oggi [marzo 2008] vale 6mila euro”.

Ovviamente i prezzi salivano via che ci si avvicinava alle zone più esclusive, fino al mitico Burj Dubai in cui gli appartamenti di lusso venivano proposti a 30.000 euro al m2.
Ora tutti questi prezzi sono calati dal 20 fino al 50%, sbriciolando milioni di dollari di investimenti.

Ma il secondo effetto è stato anche peggio. Quando, nel novembre 2008, le banche hanno chiuso i rubinetti dei finanziamenti, molte imprese sono state costrette a rallentare i piani di costruzione e a licenziare pesantemente. Parecchi progetti di costruzione (per un valore totale di 582 miliardi di dollari) sono stati messi in attesa o cancellati. Fra le perdite, la torre Donald Trump che prometteva di essere “the ultimate in luxury”.

Il fatto è che, sebbene a Dubai non si applichi integralmente la legge islamica, le pene per gli insolventi sono molto dure: si va dritti in galera. Di conseguenza, gli stranieri, che ammontano all’80% della popolazione, mentre solo il 20% è locale, se perdono il lavoro hanno una sola possibilità: trasferire rapidamente i liquidi nel conto di casa e prendere il primo aereo con un biglietto di sola andata. Le rate già pagate del mutuo, quelle del leasing dell’auto, le carte di credito che laggiù hanno un tetto medio mensile intorno ai 50mila euro, tutto è perduto.

Negli ultimi mesi, il sistema di posta elettronica di Dubai era ingolfato di email tipo “New Jaguar – need to sell before the end of the week.”

All’aeroporto, centinaia di auto sono state abbandonate nel giro di poche settimane. La polizia sostiene di averne contate tremila solo negli ultimi mesi (La Stampa). Le chiavi lasciate nel cruscotto, le carte di credito ormai spremute buttate sul sedile e qualche volta, una lettera di scuse nel cassetto. Non che così uno possa liberarsi dai debiti, ma almeno, nel proprio paese, non finisce in galera.

A Dubai, però, c’è anche una maggioranza invisibile di veri perdenti.
Taxi driver dall’Egitto, Yemen e Iraq. Gente del subcontinente indiano che ha fatto per mesi lavori pericolosi nella costruzione degli edifici guadagnando 80 euro al mese. L’ambasciata indiana ha dichiarato di aver rimpatriato almeno 20.000 persone.

Per correttezza, devo anche dire che alcuni siti più o meno ufficiali, smentiscono tutto ciò.

Fonti: New York Times, Guardian, VOA News, Reuters

Diritti digitali?

coverVenerdì 17 Luglio
Giorno sfortunato di nome e di fatto per centinaia di possessori di Amazon Kindle, il lettore di e-book di Amazon, che scoprono che due libri di George Orwell regolarmente acquistati e pagati, uno dei quali, ironicamente, è 1984, sono scomparsi dal loro lettore, lasciando al loro posto solo una lettera di scuse e un buono di acquisto pari al valore pagato.

Cos’è successo? Una semplice disputa legale con i possessori dei diritti ha fatto sì che Amazon decidesse di interrompere la vendita dell’edizione elettronica e di conseguenza, cancellasse da remoto tutte le copie già vendute e conservate sul lettore dei clienti, sostituendole con un buono acquisto di pari valore.

In pratica, è come se gli agenti di una libreria penetrassero nottetempo nelle case dei clienti per ritirare le copie di alcuni libri appena venduti, lasciando al loro posto un buono.

Ma può? Certo. Il DRM consente questo ed altro. La cosa “divertente” è che ai clienti di Amazon ed altri sistemi di e-book del genere è stato raccontato che i libri in forma digitale sono come quelli stampati, anzi migliori.
Poi, però, l’utente ha scoperto che, una volta letti, non li può né vendere né prestare perché girano solo sul suo lettore. Adesso scopre anche che, se il venditore ci ripensa, possono anche sparire.

Morale? Non comprate niente in forma digitale prima di essere sicuri che sia privo di lucchetti e che possa essere spostato su qualsiasi macchina.

Qui la notizia sul New York Times

Riappropriarsi di ciò che è vuoto

logoIl 12 Giugno 2009 le ultime TV americane che trasmettevano in analogico hanno spento per sempre i loro trasmettitori, passando al digitale.

Nella stessa data, The End of Television ha acceso i propri trasmettitori diventando l’unica TV analogica attiva negli USA.

Utilizzando un medium praticamente obsoleto, The End of Television ha rilanciato il mai sopito ideale del “broadcast yourself” trasmettendo una rassegna di 22 ore di video realizzati da più di 40 artisti.

The End of Television continua le proprie trasmissioni restando l’unica TV sul territorio americano visibile senza l’apposito decoder.

Tutti gli uomini del Presidente

Il 14 luglio ho scritto lo stesso. Non è che non sono contro questo decreto. Lo trovo grave perché avvicina di un altro passo l’Italia alla Cina, all’Uzbekistan, al Kazakhistan e all’Iran ed è pericoloso, perché assimila nuovi e vecchi media, ma francamente non mi sembra così tremendamente lesivo della libertà personale.

Forse mi sfugge qualcosa, ma se scrivo quanto segue:

VENEZIA, 10 LUG – La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna a due mesi, con sospensione condizionale della pena, nei confronti di Flavio Tosi, sindaco di Verona, per propaganda di idee razziste. [fonte: ANSA]

non vedo come qualcuno possa chiedermi una smentita. Il dato di fatto è che il nostro sindaco è stato condannato con sentenza definitiva per propaganda di idee razziste. In un qualsiasi altro paese civile, la stampa farebbe un bel casino e Tosi sarebbe costretto a dimettersi. Qui non succede, anzi, non se ne parla nemmeno e trovo che questo sia ancora più grave.

Questa sera in TV, curiosamente su 7Gold, che di solito parla di calcio e non manda film particolarmente impegnati, è passato un vecchio film del 1976, di Alan Pakula. Si intitola “Tutti gli uomini del Presidente”, con Redford e Hoffman nella parte di Bob Woodward e Carl Bernstein, i due giornalisti che, con la loro indagine, fecero scoppiare lo scandalo Watergate in seguito al quale il presidente Nixon fu costretto a dimettersi.

Woodward e Bernstein hanno fatto semplicemente il loro lavoro: hanno fatto domande, molte domande, a tutti, fino a quando qualcuno, in modo più o meno anonimo o trasversale, non ha cominciato a parlare.

Qui, ad eccezione di qualcuno, i giornalisti non domandano mai niente. Si limitano a riferire e qualche volta, a commentare. Qualcuno è andato a chiedere a Tosi perché non si dimette? No. Nella maggior parte dei casi si sono limitati a riferire le sue dichiarazioni senza commentarle.

D’altra parte, se scrivo che il tale è un ladro, devo anche stare un po’ attento a quello che dico. Per scendere nello specifico, non posso dire che Berlusconi ha corrotto un testimone, ma posso senz’altro dire che la sentenza di primo grado del processo Mills indica Berlusconi come il corruttore dell’avvocato Mills. Non mi sembra che questa affermazione renda le cose meno gravi rispetto alla precedente. In un paese normale basta e avanza…

Non so cosa ne pensate voi. Secondo me questa legge è idiota e rende palese il desiderio di controllo che i nostri politici (quasi tutti) hanno nei confronti della rete. Però il fatto che i bloggers si mettano a gridare allo scandalo quando, nella maggioranza, non si sono mossi vedendo passare leggi che, a mio avviso, fanno a pezzi principi come l’uguaglianza di fronte alla legge, mi suona un po’ ipocrita.

L’attacco a Morgan Hill

Quanto segue è stato segnalato da Bruce Perens (uno dei leader di Debian GNU/Linux) e quanto vi racconto è basato sul suo report.

Poco dopo la mezzanotte di Giovedì 9 aprile 2009, aggressori non identificati sono scesi in quattro pozzetti che ospitano i cavi nella città di Morgan Hill (California del Nord, 33,556 ab.) e hanno tagliato gli otto cavi in fibra ottica che servono le comunicazioni della zona, in quello che sembra essere stato il primo attentato organizzato contro le infrastrutture elettroniche di una città americana. Le sue implicazioni, anche se sorprendenti, sono passate quasi sotto silenzio.

Gli effetti, invece, sono stati devastanti. La città di Morgan Hill e parte di tre contee confinanti hanno perso il servizio di emergenza (il 911), le comunicazioni di telefonia mobile cellulare, i telefoni fissi, la rete DSL (internet) e varie reti private, le comunicazioni con i pompieri, gli antifurti remoti, i bancomat, i terminali delle carte di credito e il monitoraggio dei servizi di pubblica utilità. Inoltre, alcune risorse che non avrebbero dovuto esserne affette, come la rete interna dell’ospedale locale, hanno dimostrato di essere dipendenti da risorse esterne, lasciando per una giornata l’ospedale a cavarsela con le carte.

Il commercio è stato interrotto in un corridoio di 100 miglia intorno alla comunità, da San Jose a Gilroy e Monterey. I contanti sono stati re per un giorno mentre bancomat e carte di credito erano fuori uso e molti si sono trovati senza il denaro sufficiente per acquistare beni essenziali. I lavoratori dei servizi dipendenti dalle comunicazioni sono stati mandati a casa e le numerose aziende che gestiscono le operazioni just-in-time per l’agricoltura non potevano comunicare.

In altre parole, l’area era stata isolata dall’internet circostante.

Il movente dell’operazione è oscuro. Si è pensato a un furto a causa dell’interruzione degli allarmi remoti, ma nessun furto è stato commesso. A un tentativo di manipolare il mercato, ma non è emerso niente di strano. Al terrorismo, ma niente è accaduto. Alcuni pensano a una vendetta di ex lavoratori delle comunicazioni, data la conoscenza necessaria per una azione di tal fatta.

O forse, in fondo, era solo una prova…

Saviano

Per una volta la TV serve a qualcosa. E non è vero che non c’entra con questo blog perché questa è una storia estrema. Ed è una storia di cui non ci libereremo mai. Perché per liberarsene bisogna che la politica lo voglia e che la maggior parte del paese lo voglia. E non è così.

Green Island

Green Island è un progetto visionario, utopistico e provocatorio per una Tokyo più verde.

Queste immagini, create via computer graphic, vogliono attirare l’attenzione sulla mancanza di verde nella metropoli, che pure ne ha ben di più della media delle città giapponesi. Comunque sono di grande impatto ed è incredibile pensare a una Tokyo così (click image to enlarge).

Green Island

Non ne posso più

Questa non è musica, ma ormai da un tot non ne posso più. Io non sono così incazzoso, ma se uno mi dice una cosa del genere si becca un calcio nei coglioni. È mai possibile che a rappresentarci abbiamo un individuo così?

Febbraio 2009: Il canale francese Canal+ svela il labiale di una battutaccia del premier italiano al presidente francese: “Ti ho dato la tua donna”.
I conduttori di “Le Petit Journal” gli assegnano l’Oscar della volgarità.

Grazie Lemi per la segnalazione

Google Latitude & Alert

logoGoogle Latitude, il servizio che permette di sapere dove si trova qualcuno, o almeno il suo cellulare, è al centro delle polemiche. Molti blaterano di invasione della privacy dimenticando che l’adesione è su base volontaria. Qualcuno suggerisce di fregarlo andando in un posto e lasciando il telefono in un altro, ma allora non si può rispondere…

Altri paventano il fatto che, in certe situazioni si possa essere obbligati ad aderire, ma mi pare un po’ eccessivo. Non credo che un datore di lavoro possa imporlo. L’unico caso può essere quello di un minorenne obbligato dai genitori…

Ma mi chiedo una cosa: esiste, nei cellulari, una ridirezione della chiamata che non avvisi il chiamante? Se esiste, basta avere due cellulari e si può fare di tutto.

Mi chiedo anche un’altra cosa, cioè se sia possibile attivarlo all’insaputa del proprietario del cellulare. Effettivamente i primi passi sono l’inserimento del numero e la ricezione di un sms che arriva subito e invita a consultare una pagina web sul cellulare, cosa che si può fare avendo in mano il telefono da controllare. Ma poi non so cosa succeda perché il mio telefono non è compatibile.

Più interessante e fruibile è, invece, Google Alert che vi invia una mail ogni qualvolta un sito parla di un determinato argomento, ovviamente inserito da voi. Un servizio gratuito che non renderà felici quelli dell’Eco della Stampa, azienda leader nel media monitoring, naturalmente a pagamento.

Tienti stretto il Blackberry

Obama sta lottando per tenersi il Blackberry.

Generalmente non si sa, però il presidente USA non ha privacy. Non ha una email diretta, non può ricevere direttamente posta, tutte le sue comunicazioni passano attraverso la Casa Bianca. Agli amici viene dato un codice postale speciale a cui inviare la posta e gli addetti alla sicurezza devono avere i nomi di tutte queste persone perché sono istruiti a passare al presidente la loro posta senza controllarla. Lo stesso accade per il cellulare. Come ebbe a dire Clinton riferendosi appunto alla Casa Bianca: è la punta di diamante del sistema penale federale.

Nel caso specifico, gli addetti alla sicurezza vogliono togliere a Barack il suo Blackberry perché è considerato troppo facile da intercettare, ma lui non ne vuol sapere perché è il suo unico aggancio con una vita sociale normale.

A proposito, lo sanno i nostri governanti che citano tanto gli USA quando fa comodo, che in quel paese praticamente tutte le comunicazioni del presidente vengono controllate?

Gli atei di Londra

La campagna lanciata dagli atei di Londra tramite la sezione “Comment is free” del Guardian, portata avanti con l’affissione su alcuni bus londinesi della scritta “Probabilmente Dio non esiste. Ora smettete di preoccuparvi e godetevi la vita” ha avuto grande successo.

A fronte delle 5500 sterline chieste ai lettori di CIF per sostenere la campagna, ne sono state raccolte ben 135000. Ora si annunciano manifestazioni simili in altre grandi città del mondo.

Ricordiamo che la campagna era partita in risposta ad una analoga inserzione che guidava al sito jesussaid.org sulla cui home page campeggiava un passo del vangelo di Matteo secondo la quale i non credenti sarebbero stati condannati alla separazione eterna da Dio e a passare l’eternità nei tormenti dell’inferno descritto da Cristo come un lago di fuoco.

Qui Ariane Sherine commenta il successo.

One Laptop Per Child

OLPC1 come One Laptop Per Child.
Con un po’ di stregoneria digitale, John Lennon ritorna, con la sua immagine e la sua voce, per sostenere la campagna One Laptop Per Child (OLPC) finalizzata al superamento del digital divide.

Si tratta del famoso progetto di Negroponte partito con l’idea di progettare un laptop vendibile a $100. Attualmente ha preso il nome di XO-Laptop e il prezzo di partenza è di $199, con l’intenzione di scendere via via che la produzione aumenterà. L’idea è di vendere negli USA e in Europa, tramite Amazon, un bundle di due laptop a $399 in totale, uno dei quali viene consegnato all’acquirente mentre l’altro va all’OLPC.

Il video è una piccola magia perché, se è facile montare un discorso partendo da materiale registrato, è difficile farlo con la giusta inflessione e inoltre è difficile che Lennon, da vivo, abbia mai pronunciato il neologismo “laptop”.

https://youtu.be/4b4GkGMiBDQ

Ecco come si fa

Tanto per cominciare, Obama ha creato un CTO, ovvero un Chief Technology Officer che si occupa di determinare le priorità in campo tecnologico.

E come lo fa? Tanto per cominciare, ascolta le opinioni della gente. Su questo sito, ognuno ha 10 punti da distribuire fra le varie idee (max 3 punti ciascuna) e può anche introdurne di nuove e sottoporle al giudizio della comunità.

E quali sono quelle finora più votate? Vi elenco le prime cinque:

  1. Ensure the Internet is widely accessible & network neutral
  2. Ensure our privacy and repeal the patriot act
  3. Repeal the Digital Milennium Copyright Act (DMCA)
  4. Open Government Data (APIs, XML, RSS)
  5. Kick Start Research and Innovation in Energy

Non male!

Il problema è se poi lo fa…

Se vince il Nero

Riporto pari pari questo breve corsivo di Gramellini apparso su La Stampa di ieri, perché è troppo bello. La prima parte è una satira divertente di tutte le aspettative di cui il mondo intero sta caricando il povero Barack.
Verosimilmente, quando lo leggerete, saprete già se ha vinto il Nero o il Bianco. Probabilmente non cambierà molto in entrambi i casi (io non mi fido per niente di Obama), però pensateci un attimo: Barack non solo è nero, ma oltretutto non ha un nome normale. Non si chiama, che so, Michael Jordan o George Lennox e nemmeno Mr. Brown. Si chiama Barack Hussein Obama. È figlio di un keniota musulmano, ma forse agnostico, ex pastore di capre (così dice wikipedia vers. italiana), all’epoca studente straniero negli USA (alle Hawaii) e di Ann Dunham, proveniente da Wichita, in Kansas, bianca.
Quindi proviene già da una famiglia interrazziale, è nero, ha un nome improbabile e per niente americano e come se non bastasse, ha 47 anni! E non sarebbe il più giovane: Roosevelt divenne presidente la prima volta da vice, per l’omicidio di McKinley, a 42 anni e il più giovane presidente eletto dal popolo fu invece JFK, 43enne al momento della nomina nel 1960, mentre il più anziano fu Ronald Reagan, eletto nel 1980 all’età di 69 anni.
Insomma, questi sono nel mezzo di una pesantissima crisi economica e rischiano di eleggere un presidente nero, con un nome improbabile, di 47 anni. È uno dei (rari) giorni in cui ammiro davvero l’America.
Nel frattempo i giornalisti di qui continuano a sparare inesattezze fattuali. Lo chiamano “giovane avvocato”, mentre è laureato in scienze politiche. Faccio zapping e uno dei commentatori “autorevoli” è nientemeno che De Michelis. Agh.

Se vince il Nero
Massimo Gramellini
La Stampa del 4/11/08

Se vince il Nero, la crisi finirà. Se vince il Nero, ci sarà sempre il sole e comunque la pioggia cadrà più lieve. Se vince il Nero, la Gelmini ritirerà il decreto e sposerà un maestro veramente unico, Colaninno comprerà la Lufthansa, i banchieri pagheranno i mutui dei clienti, e gli arbitri convalideranno i gol del Toro. Se vince il Nero, Sabina Guzzanti ricomincerà a far ridere, ma soltanto in inglese, e Carla Bruni affitterà una mansarda accanto alla Casa Bianca, casomai. Se vince il Nero, i deboli di stomaco digeriranno anche il soffritto e i divorziati si metteranno di nuovo insieme. Se vince il Nero, ogni impresa diventerà possibile, persino prendere un treno regionale in orario. Se vince il Nero, gli automobilisti in coda manderanno baci dai finestrini, i petrolieri faranno la raccolta differenziata e le modelle smetteranno di tenere il broncio nelle sfilate. Se vince il Nero, i ghiacciai ghiacceranno, i buchi dell’ozono si tapperanno e l’effetto-serra cambierà vocale, diventando affettuoso.
Se vince il Nero, non accadrà nulla di tutto questo, lo so. Eppure, se vince il Nero, sarà come per lo sbarco sulla Luna: le vite degli uomini resteranno ferme, ma l’umanità avrà compiuto un passo avanti. Se poi il Nero si rivelerà all’altezza della sua bella faccia, a cui ognuno impresta le proprie speranze, e sarà costretto dalle aspettative degli altri a trasformarsi nel primo statista del secolo, allora avremo vinto tutti davvero.
Sempre che vinca, il Nero.

Ritorna Pirate Bay

the pirate bay logoIl Tribunale del Riesame di Bergamo ha riconosciuto la validità del ricorso di Peter Sunde, uno dei tre admin della Baia dei Pirati e ha ordinato il dissequestro del sito di Pirate Bay, sequestrato, per gli utenti italiani, il 10 Agosto.

Il ricorso si basava su argomenti procedurali (il sequestro non era mai stato notificato a Peter Sunde), ma soprattutto su questioni sostanziali. La motivazione del blocco, infatti, era che Colombo-bt, il nodo italiano di Torrent a sua volta sequestrato per violazione di copyright, reindirizzasse spesso gli utenti a Pirate Bay per lo scaricamento dei file, nonché, incredibile a dirsi, il nome del sito.

Gli avvocati di Sunde hanno avuto buon gioco nel sostenere che il mero conteggio statistico degli accessi a Pirate Bay via Colombo-bt non è sufficiente a ritenere che sul sito svedese si producessero violazioni di copyright. In quanto alla faccenda del nome, non vale nemmeno pena di parlarne.

Come ha dichiarato uno degli avvocati di Sunde

Il problema è che si dispone una inibizione non sulla base di un reato posto in essere ma di una presunzione statistica allora si censura e non si sequestra

Google Chrome: indietro tutta

Dopo le polemixhe generate dall’articolo 11 dell’EULA di Chrome, che sembrava concedere a Google una licenza a vita su qualsiasi contenuto venisse visualizzato nel browser (vedi i commenti al post del 4/9), la compagnia ha fatto una veloce conversione a U, chiarendo che l’art. 11 era frutto di una svista di copia e incolla.

So for Google Chrome, only the first sentence of Section 11 should have applied. We’re sorry we overlooked this, but we’ve fixed it now, and you can read the updated Google Chrome terms of service. If you’re into the fine print, here’s the revised text of Section 11:

11. Content license from you
11.1 You retain copyright and any other rights you already hold in Content which you submit, post or display on or through, the Services.

And that’s all. Period. End of section.

aggiungendo che ci vorrà un po’ per propagare la modifica in tutti i 40+ linguaggi della distribuzione, comunque il cambiamento è retroattivo.

In effetti, nel momento in cui scrivo, la versione inglese è già aggiornata; quella in italiano, non ancora.

La Nuvola Nera

In questo spot, realizzato un anno fa dal WWF per la Cina e visibile qui nella sua interezza, potete letteralmente vedere la quantità di gas di scarico che una automobile diffonde in una giornata di utilizzo.

Lo slogan dice: Drive one day less and look how much carbon monoxide you’ll keep out of the air we breathe.

Sperimentare la censura: adesso possiamo

the pirate bay logo

Avete mai sperimentato personalmente la censura? No? Avete sempre pensato che la censura fosse una cosa da piccoli regimi del terzo mondo governati da dittatori?

Sbagliato. Adesso potete. Il popolare sito di torrent The Pirate Bay, che promuove il peer to peer e la libertà di espressione su Internet, è stato bloccato per tutti gli utenti italiani in ottemperanza a un’ordinanza del gip di Bergamo emessa nell’ambito di una indagine per violazioni alla normativa del diritto d’autore nel corso della quale è stato sequestrato anche il sito italiano di torrent Colombo-bt.

Attualmente, The Pirate Bay risulta già bloccato da parte di Telecom Italia, Fastweb e Wind, tra gli altri. Tutti però, con i propri tempi tecnici, si dovranno adeguare alle richieste del gip. Il blocco, inoltre, non è facilmente aggirabile perché, a quanto pare, è a livello di ip, non di dns, quindi non basta utilizzare open dns, ma bisogna collegarsi tramite un proxy estero oppure Tor.

Già in Italia la censura era operativa. Risultano infatti bloccati, per gli utenti italiani, parecchi casinò online esteri per impedire che gli italiani possano giocare senza pagare le relative tasse statali. Ma questa volta il blocco è contro un popolare sito internazionale che non fa pirateria diretta (non ospita file sul proprio sito) ed è noto per diffondere anche materiale sui diritti umani e la libertà di espressione. Finora The Pirate Bay non era mai stato bloccato né in Nord America né in Europa. La notizia è così inedita da finire perfino su Google News e attirare commenti un po’ ovunque, sul web internazionale.

L’organizzazione The Pirate Bay ha già fatto sapere che intende presentare ricorso, come ha già dovuto fare in diverse occasioni, vincendo. Nel frattempo ha cambiato l’ip di un sito mirror, LaBaia.org, che risulta attualmente raggiungibile e ospita anche una “Important New for Italian Users” dall’eloquente titolo “Fascist state censors Pirate Bay”.

Come fa giustamente notare Mytech

Nel frattempo la vicenda solleva domande su come sia facile bloccare un sito Internet, in Italia: con la leva del blocco a scopo cautelativo, prima che il processo abbia termine o soltanto inizi. Un sito che- ricordiamolo- non faceva pirateria diretta e sulle cui responsabilità non c’è ancora certezza giuridica. Lo stesso destino finora in Italia l’hanno subito i blog accusati di diffamazione. Ora per la prima volta tocca a un sito internazionale. Quale sarà la prossima vittima: Google, magari per una denuncia a Google News da parte di un editore?

Al di là di questo, fra soldati e censure, resta sempre vivo il sospetto espresso perfino da Famiglia Cristiana “che in Italia stia rinascendo il Fascismo sotto altre forme”.

UPDATE ore 18:20
A differenza di quanto annunciato da vari siti, ho sperimentato che, almeno per ora, il blocco è a livello di dns. Quindi basta sostituire ai dns forniti dal provider altri dns pubblici come quelli di Open Dns che sono 208.67.222.222 e 208.67.220.220 e il sito torna raggiungibile.

UPDATE ore 19:45
Erri informa che anche LaBaia.org non è più raggiungibile. Il blocco è sempre a livello di dns. Quindi basta sostituire ai dns forniti dal provider altri dns pubblici come quelli di Open Dns riportati sopra.

Emergenza sicurezza?

Di solito non me ne occupo, ma stavolta mi girano proprio.

Allora, i numeri del rapporto sulla sicurezza e l’allarme sociale del CENSIS sono su tutti i giornali e sono numeri, non opinioni. Dicono:

Morti sul lavoro (dati 2005)

  • Italia 918
  • Germania 678
  • Spagna 662
  • Francia 593

Morti per incidenti stradali

  • Italia 5669
  • Germania 5091
  • Francia 4709
  • Regno Unito 3297

Omicidi

  • Regno Unito 901
  • Francia 879
  • Germania 727
  • Italia 663 (diminuiti del 36.4% in 11 anni)

Omicidi nelle capitali

  • Londra 169
  • Berlino 50
  • Madrid 46
  • Atene 35
  • Bruxelles 33
  • Roma 30
  • Parigi 29

Qualcuno mi spiega dov’è questa emergenza sicurezza?

Qualcuno chiede al governo di spiegare dov’è questa emergenza sicurezza??

C’è qualcuno in parlamento che chieda al governo di rendere conto delle priorità???

La Verità svelata dal Tempo

Il Tempo svela, ma Palazzo Chigi vela. Magari, fra tutto quello che fanno, non è nemmeno la cosa peggiore, però è indicativa.

Dunque, a quanto pare, a Palazzo Chigi hanno dato un ritocchino alla copia del quadro del Tiepolo “La Verità svelata dal Tempo” che fa da sfondo per la sala delle conferenze stampa. Il tutto per impedire che la vista di un capezzolo e dell’ombelico potesse turbare qualche telespettatore.

Questa è la spiega ufficiale di Bonaiuti che è alquanto buffa pensando a cosa passa normalmente sulle TV del premier (e anche sulle altre).

Non ho parole (anzi, le ho, ma è meglio che non le scriva). Mi limito a far notare che, sebbene sia una copia, è una copia di qualcosa che ha una sua identità, non un’immagine qualsiasi che si può modificare impunemente. Il Tiepolo non l’ha rilasciata in Creative Commons. Sfortunatamente non è più protetta dal diritto d’autore, altrimenti potremmo fare appello alla SIAE.

Comunque questi non hanno rispetto per niente. Se qualcosa non risponde ai canoni, si modifica, qualsiasi cosa sia. La metafora della Verità svelata dal Tempo e censurata da Palazzo Chigi, però, è significativa.

L’articolo del Corriere, le immagni di Repubblica, la Stampa.

IMSLP riaprirà

Una buona notizia: l’International Music Score Library Project (IMSLP) riaprirà a Luglio.

IMSLP era uno degli archivi più forniti di partiture ormai prive di copyright per decorrenza dei termini e quindi liberamente scaricabili. Purtroppo i termini di scadenza del copyright non sono uguali in tutti gli stati. In Canada, dove risiede il sito di IMSLP, sono più brevi rispetto agli USA e all’Europa (50 anni dalla morte dell’autore contro i 75 o peggio di molti altri stati).

Di conseguenza, nell’ottobre 2007, Universal Edition aveva minacciato di portare il sito in tribunale per alcune partiture il cui copyright era scaduto in Canada, ma non in Austria.

Era chiaro a tutti che IMSLP aveva ragione e la suddetta minaccia era pretestuosa. Quello della scadenza del copyright è effettivamente un vuoto legislativo causato dall’internazionalità di Internet, ma, finché non sarà colmato, quello che tutti dobbiamo fare è rispettare le leggi in vigore nello stato in cui il sito risiede.
Tuttavia il gestore di IMSLP non aveva i mezzi per affrontare una causa internazionale che, quasi certamente, alla fine avrebbe vinto, ma che, nel frattempo, avrebbe generato un sacco di spese ed era stato costretto a chiudere.

La chiusura di IMSLP era stata vista da tutta la rete come un sopruso, anche perché non era sicuramente la presenza di quattro partiture del ‘900 che avrebbe potuto danneggiare Universal Edition.

Il dato di fatto è che gli editori ricorrono a questi mezzi nel tentativo di conservare il controllo di un mercato che viene effettivamente ridotto dalla stessa esistenza della rete. Il copyright sulle partiture di, per es., J.S. Bach è scaduto in tutto il mondo, tuttavia, fino ad alcuni anni fa, l’unico modo legale che avevamo di procurarcene una era comprarla da chi la stampava e la rivendeva con un certo margine di guadagno per tutta la filiera.
Oggi, invece, basta che qualcuno impagini la suddetta partitura con un qualche software, ne faccia un pdf e lo metta in rete per distribuirla gratuitamente a tutto il mondo.
Questa situazione, però, è senza uscita. Deriva direttamente dai cambiamenti imposti dalla tecnologia. Non è possibile proibire la diffusione di qualcosa che è libero da diritti e gli editori devono rassegnarsi e puntare su prodotti derivati. Per esempio, la stessa partitura, opportunamente commentata e rivista da un qualche esecutore, magari importante, ricade nel copyright. Ecco quindi che l’esistenza della rete può spingere alla creazione di prodotti migliori.

Il caso di IMSLP è di enorme importanza per l’esistenza stessa del concetto di public domain e in sua difesa si sono mosse quasi tutte le associazioni del settore. Forte di questo sostegno, Feldmalher, il gestore di IMSLP, ne ha annunciato la riapertura per Luglio 2008.

CDDB

Certo, il CDDB è una grande idea. Molti se ne servono senza nemmeno saperlo e probabilmente ignorano anche che cosa sia, ma la sua storia è esemplare per quanto riguarda il rapporto fra libera iniziativa, diffusione della conoscenza e major.

Dunque, la storia è questa.

Quando vennero stese le specifiche del CD audio, i progettisti originali, Philips e Sony, non si preoccuparono minimamente di includere nel disco alcun identificativo, come, per es., il titolo del disco, i nomi degli autori e i titoli dei brani.

Come spesso accade, non si resero conto immediatamente delle possibilità offerte dalla tecnologia digitale e un nuovo medium venne visto unicamente come un sostituto del vecchio che era semplicemente un supporto per l’audio, senza nessuna informazione correlata. Non pensarono che, essendo il nuovo formato digitale, sarebbe stato semplice includere un record che riportasse dei dati riguardanti il contenuto. Sul vinile non c’era, quindi perché metterlo sul CD?

Di conseguenza, fra i dati digitali del CD non c’è scritto niente che permetta di identificare titolo, artista e brani. Tutta l’informazione è demandata all’etichetta stampata sul disco.

Il problema è che la tecnologia corre e crea rapidamente nuove modalità di fruizione che spesso sono sganciate da un preciso supporto fisico (le major se ne stanno accorgendo soltanto adesso). Quasi subito ci si rese conto che, anche senza fare niente di illegale, Il contenuto di un CD legittimamente acquistato poteva facilmente essere trasferito su un hard disk per poterlo ascoltare in viaggio o al lavoro tramite un portatile e più tardi, con l’arrivo dell’MP3, con lettori portatili.

Il punto è che, una volta che il contenuto veniva separato dal supporto fisico, anche le informazioni stampate su quest’ultimo andavano perse. Le soluzioni furono due. Le major crearono le specifiche del CD-Text, un formato compatibile con il CD audio in cui esiste uno spazio in cui apporre i dati sul contenuto. Il CD-Text non è però utilizzato universalmente.

La seconda soluzione fu quella di creare su internet un archivio aperto che permettesse di identificare i CD. Venne così creato un database in cui ogni CD era identificato da un “disc-id”, cioè una stringa di lettere e numeri calcolata a partire dal contenuto, prendendo in considerazione la durata e la sequenza delle tracce. Per esempio, il disc-id del CD dei Cure che sto ascoltando è “910d120c”. Questo identificativo è difficilmente duplicabile perché è improbabile (anche se possibile) che esista un altro CD con tracce di uguale durata. Se poi si prendono in considerazione altri dati come il numero della tracce, la loro sequenza e la durata di ciascuna di esse nella sequenza, la ripetibilità dell’id diventa molto difficile.
A ogni id è associato un record di informazioni in formato testo che contiene titolo del disco, artista, titoli dei brani, anno di pubblicazione, etc. In tal modo i players possono collegarsi a internet e reperire le informazioni

Il CDDB (CD database) fu un’invenzione di Ti Kan e Steve Scherf.
Il codice sorgente venne realizzato sotto i regolamenti della GNU General Public License, permettendo così a tutti il libero accesso ad informazioni messe a disposizione da molte persone.
Più tardi, però, il progetto fu venduto e le condizioni di licenza vennero cambiate, prevedendo un costo iniziale per il pagamento dell’utilizzo dei server e del supporto necessario che ricadde sugli sviluppatori commerciali. Inoltre la licenza includeva anche alcune clausole che molti programmatori considerarono inaccettabili: nessun altro database simile poteva essere accessibile come integrazione al CDDB e il logo del database doveva essere esposto durante l’accesso.

Il cambio di licenza motivò il progetto freedb, che ha gli stessi fini, ma è intenzionato a rimanere gratis e libero.

Nel Marzo 2001, il CDDB, divenne proprietà della Gracenote che proibì l’accesso al proprio database a tutte le applicazioni sprovviste di licenza. Le licenze per il CDDB1 (la versione originale del CDDB) non furono più disponibili dal momento in cui venne richiesta ai programmatori la trasformazione in CDDB2 (una nuova versione incompatibile con CDDB1, e automaticamente anche con freedb). In pratica, se qualcuno voleva sviluppare un player che accedesse al CDDB, doveva pagare.

Dopo la commercializzazione del CDDB della Gracenote, molti media player passarono all’utilizzo di freedb, pur mantenendo ‘CDDB’ come termine generico nel riferirsi alla sua funzione di database.

Dall’ottobre 2006, MAGIX ha acquisito freedb che però continua a rimanere gratuito e libero. Ciò nonostante, è partito un altro progetto, chiamato MusicBrainz, che vuol essere molto di più di un semplice database di CD. Il suo obiettivo di creare una enciclopedia della musica a contenuto aperto. È un database online di informazioni riguardante la musica registrata, ma non è un database di musica. MusicBrainz raccoglie informazioni sugli artisti, le loro registrazioni, e le relazioni tra essi. Le voci su ogni lavoro musicale comprendono di base il titolo dell’album,i titoli delle tracce,e la durata di ogni traccia. Queste voci sono mantenute nel rispetto di una guida di stile comune. I lavori registrati possono anche comprendere informazioni sulla data e il paese di pubblicazione, l’ID del CD, l’impronta audio di ogni traccia e hanno un campo opzionale per l’inserimento di testo o annotazioni in allegato. A giugno 2006, MusicBrainz conteneva informazioni su 243,000 artisti, 399,000 album, e 4.8 milioni di tracce.

Tutta la storia è esemplare per quanto riguarda il modo con cui il sistema commerciale tratta l’informazione. Notate che qui non stiamo discutendo di copyright su dei contenuti (canzoni, scritti, etc), ma soltanto di informazioni sul contenuto di un CD, la cui raccolta, alla fine, è un servizio.

L’inganno del 2000

Il blog Modern Mechanix ha recuperato un articolo del 1968 in cui si descrive la vita nel 2008 ed è interessante perché, in un certo qual modo, si collega al post precedente e ai discorsi sulla fantascienza in genere.

Leggerlo è divertente, ma fa anche pensare. L’articolo è la classica predizione fantascientifica intrisa di fede scientista che andava di moda negli anni ’60. Alcune cose sono azzeccate, ma la maggior parte delle predizioni è iper-ottimistica, cioè, le cose di cui si parla effettivamente esistono, ma non sono utilizzate con la facilità e la diffusione descritte.

Un esempio banale. Una persona che sta viaggiando in auto riceve una richiesta di informazioni dall’ufficio. Lui fa uno schizzo con uno stilo su uno schermo portatile, lo invia all’ufficio dove viene immediatamente stampato. Con la tecnologia attuale si tratta di una cosa perfettamente possibile, ma non la si vede quasi mai.

È un esempio di quello che io chiamo “l’inganno del 2000” di cui è stata vittima quasi tutta la mia generazione. Da bambino, leggevo articoli come questo e ci credevo. Auto che si guidano da sole, computer che regolano il traffico, giornali che arrivano su uno schermo, città climatizzate e prive di inquinamento e poi lo spazio…

Quando, poi, il 2000 è arrivato davvero, tirando un po’ di somme, la delusione più evidente era, ovviamente, lo spazio. In tutto una decina di persone hanno messo piede sulla luna, ma Marte è decisamente fuori portata e di basi nemmeno l’ombra.

Ma anche altre cose, il cui sviluppo 40 anni fa poteva sembrare giustificabile e razionale, oggi non esistono, anche se potrebbero esistere. È interessante notare, infatti, che, nella maggior parte dei casi, queste predizioni non erano errate sotto il profilo scientifico, bensì sul piano politico ed economico.

In pratica, la ricerca il suo dovere l’ha fatto. È la politica che non è stata in grado di gestirne i risultati nell’interesse pubblico. E il vedere che molte cose che si potrebbero fare facilmente, in realtà esistono solo in qualche isola fa un po’ incazzare.

Insomma. quando ero piccolo mi dicevano “vedrai quando avrai 50 anni…” Adesso ho passato i 50. Non ho visto niente.

Dati perduti

È il 2008 e siamo solo a metà marzo.

Quello che segue è un elenco sicuramente parziale della mole di dati sensibili esposti a terzi in violazione della privacy, a causa di negligenze, incidenti, furti o cracking negli USA.

Nell’intero 2007 i casi accertati sono stati 329 e coinvolgono milioni di persone. Questi dati sono raccolti nell’Attrition.org Data Loss Archive and Database. L’archivio è pubblico.

Apprezzate gli effetti collaterali della società dell’informazione. Continua a leggere

Popolazione zero

Una delle domande che, per una ragione o per l’altra, ogni tanto mi capita di pormi è la seguente:

  • quanto durerebbe la nostra cosiddetta civiltà senza di noi? Se la razza umana semplicemente sparisse in un solo istante, ma senza distruzioni, cataclismi o guerre, una semplice sparizione improvvisa, per quanto durerebbero le nostre infrastrutture senza alcun intervento umano? Per quanto tempo, per esempio, ci sarebbero l’acqua, il gas, la corrente, internet?

E voi mi dite, a qual pro? Nessuno, ovviamente. Si tratta solo di una congettura che però mette in luce il fatto che noi, come singole persone, non sappiamo quasi nulla sulle infrastrutture che ci mantengono in vita.

Prendiamo, per esempio, la corrente elettrica. Da cosa dipende la fornitura di elettricità che arriva a casa vostra? Se dipendesse da una fonte rinnovabile (tipo centrale idroelettrica), forse potrebbe anche continuare per anni. E se invece dipendesse dal petrolio o dal carbone, quanto durerebbero le scorte? E in ogni caso, la fornitura continuerebbe anche se non ci fosse un umano che, in certe occasioni, preme un determinato bottone?

Ovviamente qualcuno che può rispondermi c’è, probabilmente anche fra di voi. Magari c’è qualcuno che lavora all’ENEL o alla Telecom o anche al comune e sa queste cose.

Era un po’ che non ci pensavo, ma la faccenda mi è tornata in mente per due ragioni: la prima è che ho visto “Io sono leggenda”, film a mio avviso abbastanza deludente, tanto che, mentre lo guardavo, mi sono trovato a chiedermi se il fatto che nell’appartamento del protagonista ci fossero tutte le comodità, anche dopo anni, fosse realistico.
La seconda ragione è che, vagando nella rete, ho incocciato “Life After People“, una serie prodotta da History Channel la cui programmazione inizia proprio stasera negli USA.

Probabilmente, la domanda più corretta è: con quali modalità queste reti degradano? Un pezzettino alla volta o un crollo totale? E in quanto tempo?

Allora, c’è nessuno in grado di soddisfare la mia curiosità?

E sia il degrado!

Il Disegno di legge S1861, approvato mentre noi facevamo festa (?) nella notte fra il 21 e il 22 Dicembre 2007 ha fatto due cose: ha trasformato la SIAE in Ente pubblico economico e ci ha fatto graziosamente sapere che cosa può essere messo in rete e a quali condizioni.

L’articolo 70 della vecchia Legge 22 aprile 1941 n. 633 (e successive modifiche) sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio viene modificato con l’aggiunta del comma 1-bis e diventa

      1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

Questo comma è stato giustamente attaccato da tutte le parti. Non vedo, infatti, quale utilità possa avere la pubblicazione in rete di immagini e musica a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico. Se io mettessi in rete le dispense di musica contemporanea che ho scritto per i miei studenti (fine didattico), ma per farlo dovessi degradare i brani musicali ivi contenuti (che essendo di musica contemporanea sono ancora soggetti al diritto d’autore), le suddette dispense non servirebbero a nessuno. Così come non si capisce cosa se ne faccia uno scienziato di immagini a bassa risoluzione.

Tuttavia, questa legge ha una interessante conseguenza che, nell’indignazione generale, mi pare sia sfuggita.

Il suddetto art. 70 fa parte del Capo V delle legge 633 che elenca eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Questo comma, quindi, mi dà il diritto di mettere in rete qualsiasi brano musicale, anche attualmente soggetto al diritto d’autore, purché non a scopo di lucro (come in questo e molti altri siti e blog; non ci vendo niente e non c’è nemmeno la pubblicità), a fine didattico/scientifico (e qui basta scrivere una dotta analisi musicale del brano) purché sia sufficientemente degradato.

Quindi, supponendo che qui ci sia una bella analisi didattica di Solsbury Hill di Peter Gabriel e a questo punto potrei dire:

ascoltate Solsbury Hill di Peter Gabriel.

Allora, avete sentito? Vi piace? Come? Fa schifo? Non posso farci niente. È degradato, ai sensi della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma questo non è un problema, anzi, è una fantastica opportunità! D’ora in poi possiamo, anzi dobbiamo, per legge, degradare tutto. È fantastico!

Si dia il via a una colossale operazione artistica!

Sia il degrado!!

D’ora in poi non ci deve essere blog che non metta brani di Tiziano Ferro, Ramazzotti, De Gregori, Jovanotti, ma anche di Sting, di Madonna, di Bono fino a Schoenberg, Webern, Berio, Stockhausen, Nono, degradati al punto da essere opere nuove!
E questo pezzo che non so di chi sia? Non importa, nel dubbio, degrada!

E quando gli avvocati di Tiziano Ferro, Ramazzotti, Jovanotti, Sting, Bono, Madonna, etc. ci scriveranno dicendo: “La diffido dall’esporre al pubblico opere del mio assistito così orribilmente deturpate”, noi risponderemo “C…o vuoi!? È LA LEGGE ITALIANA CHE ME LO IMPONE!”

E infine, noi della musica contemporanea possiamo solo guadagnarci. Posso mettere in linea tutto Hymnem di Stockhausen. Voglio vedere quale funzionario SIAE oserà dire che non è degradato. Ma non li sentite, tutti questi disturbi radio che interrompono gli inni nazionali!

A proposito, i pittori non si salvano. Ecco quattro versioni di un poetico quadro di René Magritte secondo i dettami della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma così sono opere nuove! E carine, per di più.
Wow! Sono così belli che quasi quasi li firmo e li deposito. Faranno parte di una serie che chiamerò “Downgraded Magritte”. Fantastico!
Come disse Dalì «Non comprate i quadri contemporanei, fateveli!»
Lunga vita alla Legge 633 (e successive modifiche).

Però c’è un problema. Se adesso sono quadri miei, per metterli in rete, li devo ulteriormente degradare. E così farò dei nuovi quadri che firmerò e depositerò. E che poi, per metterli in rete, dovrò nuovamente degradare. Aaaaagh!

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Spero che abbiate capito la provocazione. Ma questa legge è veramente paradossale e fuori da un qualsiasi buonsenso. Cosa hanno nella testa i nostri politici? Vermi?

UPDATE 20150621

Questo disegno di legge è stato approvato definitivamente dal Senato il 21.12.2007. Ma poi che fine ha fatto? È stato mai promulgato un regolamento che stabilisca i livelli di degrado?

師走 : gli insegnanti corrono

Dato che, a quanto ne so, parecchi fra voi sono insegnanti di vario ordine e grado, vi farà piacere sapere quanto segue.

Rispolverando un po’ del mio malandato giapponese, mi torna in mente che, in Giappone, il mese di Dicembre viene chiamato anche shiwasu (師走) che letteralmente significa “teachers running” (insegnanti che corrono). Il primo dei due ideogrammi, infatti, è “shi”: insegnante, maestro, mentre il secondo è la radice del verbo hashiru che significa correre, muoversi rapidamente.

Tutto ciò a riflettere il fatto che Dicembre è un mese così “busy” che perfino gli insegnanti, che normalmente ciondolano qui e là senza avere molto da fare, sono in estrema agitazione perché ci sono un sacco di carte da presentare e cose da chiudere.

A peggiorare la considerazione di noi insegnanti c’è anche il fatto che una mia amica giapponese mi ha tradotto shiwasu con “teachers run around” che a prima vista sembra uno dei tanti phrasal verb tipo run about, ma invece c’è una bella differenza. Secondo il Merriam-Webster, infatti, run around significa “mettere in atto una azione evasiva e/o ritardante in risposta a una richiesta precisa”.

Andiamo bene… 😯

Jobsintown

JobsintownSimpatica (ma un po’ triste) allegoria di come siamo riusciti a ridurre (e si sono lasciate ridurre) le generazioni più giovani in questo paese.

In realtà è la pubblicità di una agenzia tedesca, jobsintown.de, che è la stessa dell’Ass-Kisser Project, ma quest’ultima campagna è un po’ più raffinata e significativa.

Cliccate qui per ingrandire e vederne altre.

Segnalato da: federico

Riflessioni su Deezer

deezer_logo

Ci sono alcune annotazioni da fare su servizi come Deezer:

La prima è che si tratta sicuramente di un bel passo verso il superamento dell’attuale modello di business per andare verso un sistema di distribuzione diffusa. Un passo che le netlabel hanno già fatto da tempo, ma senza star.
Puntualizzo: non voglio sminuire l’importanza delle netlabel, anzi, le stimo molto per le novità che distribuiscono (e presto ci sarò anch’io), ma per arrivare al grande pubblico, attualmente le star sono necessarie e perché la gente si abitui, il concetto di nuovo modello di distribuzione deve essere ribadito più e più volte.

Il punto in Deezer è la generalità. Ho collegato il portatile all’hifi, mi sono iscritto (l’iscrizione è gratuita, devi dargli una mail valida in cui ti mandano la pw e presumibilmente un tot di pubblicità, ma io ne avrò 20) e adesso sto facendo zapping fra le 11 pagine di Springsteen con un po’ di nostalgia per quando guidavo sulle strade d’America, dove il levare serve solo per aspettare il battere.
Mi sto facendo una playlist con un po’ di ballate, ma ieri, mentre lavoravo, mi sono ascoltato una bella fetta della produzione di Peter Gabriel.
Per uno come me, che non ascolta molto pop e che non ha bisogno di avere sempre musica nelle orecchie perché ho già la mia e a volte anche quella dei miei allievi e spesso mi piace ascoltare i suoni del mondo, una cosa come questa è già sufficiente. Basterebbe che avesse anche buona parte della musica sperimentale e la classica per essere del tutto soddisfacente.
In fondo, Deezer abbatte anche il P2P. Perché dovrei andare a cercare illegalmente della musica quando è già qui? Vero, da Deezer non si scarica, si ascolta e basta. Hanno fatto un bel lavoro per rendere difficile l’accesso all’url del brano; in pratica l’unico modo di “scaricarsi” un brano è collegare via software l’output all’input e darlo in pasto a un programma di hd recording, non banale per la massa.
Ma perché dovrei registrarmi i brani se per sentirli mi basta collegarmi e lanciare la mia playlist? Sicuramente qualcuno può dirmi “per metterli in un lettore e ascoltarli in treno o in auto”. Vero, ma a questo punto il problema è piuttosto un altro: quello della pervasività della rete. Il giorno (lontano) in cui vivremo in città cablate via wireless oppure il collegamento via cellulare costerà 2 lire questo problema sarà superato (vedi “Il futuro del mercato musicale“).

Quello che dobbiamo superare noi, invece, è la volontà di possesso. Non serve possedere qualcosa se è sempre disponibile. A cosa serve possedere il disco quando posso ascoltare la musica sempre? A qual pro possedere un’auto se esistesse un valido servizio di car sharing, come esiste in certe città, p.es. a Berlino? Perché avere una TV se posso vedere quello che voglio, quando voglio, su un monitor via internet? Secondo me è questo quello a cui si deve tendere: condivisione delle risorse non essenziali. E non essenziale è quasi tutto. Quando lo dico, qualcuno mi dà del comunista… manco fosse un insulto…

UPDATE!
Mi dicono che il car sharing esiste anche in Italia: vedere qui!

Ma torniamo a Deezer. In assenza di una ricerca avanzata, l’altra cosa interessante è la possibilità di ordinare i risultati della ricerca per titolo. Così saltano fuori le varie versioni dello stesso brano, magari eseguite anche da gruppi diversi. Per esempio, non sapevo che esistessero 5 versioni di Atlantic City, tutte diverse.

Infine, un’ultima annotazione.
Deezer non è il parto di chissà quale genio d’oltreoceano. Un rapido “whois” mostra che il servizio è francese. La sede è a Parigi in Boulevard de Sebastopol e i nomi dei responsabili nelle liste del RIPE, Jonathan Benassaya e Benjamin Bejbaum,sanno tanto di algerino. Bel colpo, ragazzi! 🙂

Le magliette dei bianchi morti

È l’espressione con cui gli africani indicano gli abiti usati che provengono dall’occidente, perché nessuno di loro può credere che questi vestiti vengano buttati solo perché noi non abbiamo più voglia di indossarli.

Torno a casa dopo mezzanotte, mi faccio un gin tonic, accendo la tv e piombo in mezzo a un documentario (ovviamente RAI3) che segue il viaggio di una maglietta da un contenitore di abiti usati in Germania fino all’Africa. Il titolo è “Mitumba – The second hand road”, regista e produttore Raffaele Brunetti.
La storia è molto più complessa di quanto si possa immaginare. A suo modo è una storia estrema. Non è una denuncia. È solo una storia che chiarisce anche un po’ di meccanismi del mercato di cui in genere non ci rendiamo conto.

Dunque, la nostra maglietta viene buttata in un raccoglitore di vestiti usati dalla mamma di un bambino tedesco a cui la maglietta è “scappata”. Lei pensa che questi vestiti regalati vadano a coprire, gratis, gente bisognosa, ma non è esattamente così.

I contenitori, in genere, sono gestiti da organizzazioni non profit, come la Caritas o la Croce Rossa. Dunque, in questo caso, Caritas e/o Croce Rossa (o altri) raccolgono gli abiti usati dai contenitori e poi li vendono a una azienda che tratta abiti usati. Il prezzo è basso, si vendono a peso e il prezzo è calcolato in base ai costi del ritiro, più un margine di guadagno, oppure la ONG non gestisce nemmeno il ritiro, ma lo affida a una organizzazione privata in cambio di una percentuale. In tal modo organizzazioni come quelle citate si auto-finanziano.
L’azienda che gestisce abiti usati dà una lavata a tutto e poi suddivide la merce per tipologia, stato di conservazione e colore. Da qui, gli abiti possono prendere diverse strade. Per esempio, i capi ben conservati degli anni ’70 finiscono nelle boutique dell’usato giapponesi, dove sono considerati oggetti di culto. Altri tipi di capi finiscono nei nostri negozi dell’usato. I capi totalmente distrutti e inusabili vengono ceduti alle aziende che riciclano i tessuti. Tutto il resto finisce nel terzo mondo.
Ma non ci finisce gratis. Non può. Come “non esiste un pasto gratis” [Milton Friedman], così non esiste un costo zero. Esistono invece aziende che si occupano del trasporto dei vestiti, ormai confezionati in grosse balle, fino all’Africa, in uno dei 21 punti di raccolta sparsi in vari stati africani. Il prezzo, naturalmente, cresce in base ai costi di trasporto. Poi, altre organizzazioni locali, grandi o piccole, acquistano una o più balle, le aprono e distribuiscono i singoli capi sul territorio, vendendoli sia direttamente che a rivenditori, “negozi” che agiscono a livello di villaggio.
Gli africani comprano i nostri abiti usati che offrono garanzie di qualità e durata superiori a quelle dei capi prodotti nel loro paese e ormai chiamano Mitumba, che originariamente significa “balla”, tutto l’abbigliamento di seconda mano proveniente dal primo mondo. Lo apprezzano talmente che si sono registrate truffe consistenti nel vendere vestiti nuovi di fabbricazione cinese spacciati per Mitumba.
In alcuni paesi africani i vestiti usati costituiscono la prima voce di importazione, infatti il 90% della popolazione si veste di seconda mano. Li chiamano “I vestiti dei bianchi morti” proprio perché in Africa è inconcepibile pensare di disfarsi di cose ancora utilizzabili a meno che il proprietario non sia morto.
Ma il significato del termine mitumba ormai è in espansione. In Kenya si parla, infatti, di mitumba economy per indicare la consuetudine di costruire servendosi della spazzatura degli altri.

Tutto questo mi ricorda un aneddoto narrato da Jared Diamond nel suo “Armi, acciao e malattie”. Yali, abitante della Nuova Guinea e uomo politico in quel paese da poco sulla via dell’autogoverno, pone in modo diretto all’autore, bianco e scienziato, una questione fondamentale: “Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?”, dove il termine “cargo” si estende dalla nave all’insieme dei beni materiali che la nave trasporta.
Anche qui un’insufficienza linguistica. Anche qui una cultura non riesce a reagire all’opulenza di un’altra.

Mitumba, the Second Hand Road – documentary by Raffaele Brunetti.

The T-shirt of Felix, a 10-year-old German boy, winds up in an old clothes collection point, the starting place for a journey spanning two continents: donated, collected, bought and sold several times over, finally worn by Lucky, a 9-year-old boy who lives in a small Tanzanian village. In some African countries, used clothing ranks first in imported goods. In fact, 90% of the population wears second hand clothes, called “dead white men’s clothes” because no one in Africa would throw away anything still good unless it came from a dead person. Deals, persons and places along the secret route trade routes of the used clothing business, a hidden road that reveals a surprising reality.

Raffaele Brunetti is a documentary producer and director. Since 1987 he has made documentaries in Italy, the Near East, and the Mediterranean. In his early career he worked with Japanese TV networks (NHK, TBS, NTV, FUJI TV). He then collaborated with National Geographic, BBC, Arté, Yle, History Channel, contributing to over 100 award-winning documentaries. In recent years he has directed historic and fiction documentaries.

iPod bloccati

UPDATE 2024

Secondo questo sito, ormai chiuso ma citato anche da arsTECHNICA, i nuovi iPod hanno un codice (un checksum) crittografico che impedisce agli utenti di usarli con applicazioni di terze parti. La notizia è ripresa e confermata anche da Boing Boing.
Traducendo, questo significa che iTunes resta l’unico software capace di gestire un iPod. In soldoni, vuol dire che coloro che preferivano usare Winamp o qualche altro player per gestire l’iPod, con i nuovi modelli non potranno più farlo.
Con la nuova serie, il nuovo Nano, il Classic e l’iTouch, soltanto iTunes è in grado di accedere alla lista dei brani e alle playlist, mentre gli altri player vedono zero file.
Questo però significa anche che gli iPod non potranno più essere utilizzati con sistemi operativi su cui non esiste iTunes, primo fra tutti Linux.
Ma notate che tutto ciò non ha niente a che fare con la pirateria. Serve piuttosto a limitare le scelte di chi acquista un iPod.
La cosa potrebbe sembrare assurda: considerato che questo taglia fuori gli utenti Linux, Apple spende del denaro in ingegnerizzazione per eliminare alcune funzionalità dell’apparecchio e limitare il numero dei potenziali clienti.
Perché lo fa? Una prima spiegazione è evitare che i suoi competitors possano costruire dei software che possano caricare in iPod dei brani che non provengono da iTunes. Ora che parecchie major del disco iniziano a vendere brani senza protezione (DRM), si impedisce agli utenti di acquistare i brani ovunque e caricarli nell’iPod e in pratica questo significa legarli a iTunes.
Inoltre Apple introduce queste restrizioni con il Digital Millennium Copyright Act dalla sua parte, per cui eludere questa protezione è un atto illegale.
È un po’ come vendere un’auto che funziona solo con una determinata marca di benzina, quando sul mercato ne esistono di più economiche e soprattutto senza restrizioni, ma, magari, meno comode.
Questo gioco è stato fatto altre volte: una azienda lancia un prodotto che ha successo e conquista una solida posizione sul mercato. Poi, quando le altre aziende reagiscono con prodotti più innovativi o a prezzi inferiori, introduce limitazioni per legare a sé almeno gli utenti che ha.
In questo gioco, quelli che pagano il prezzo maggiore sono, come accade spesso, gli utenti. Costoro, poi, reagiscono a quella che considerano una ingiustizia e qualcuno fabbrica un crack e questo è illegale.

C.v.d, qualcuno ha già implementato un crack.

Ma ormai tutta la storia non ha più senso.

Opere buone

ANSA – Tokyo, 14/07/2007

Un misterioso personaggio da circa un mese sperpera il suo patrimonio riempiendo di banconote i bagni pubblici in Giappone. Il denaro finora ritrovato dagli avventori nelle toilette pubbliche e’ di decine di migliaia di euro. Il ‘cerimoniale’ osservato dall’uomo misterioso e’ sempre lo stesso: una banconota da 10.000 yen (60 euro) e’ chiusa in una busta accompagnata dalla scritta ‘opere buone’. All’interno oltre al denaro c’e’ un messaggio che esorta a compiere buone azioni.

Forse la festa sta per finire

Chissà perché qui quasi nessuno parla mai della teoria del picco di Hubbert.
Si tratta di una teoria scientifica, proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano Marion King Hubbert, riguardante l’evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata. In particolare, l’applicazione della teoria ai tassi di produzione petrolifera, risulta oggi densa di importanti conseguenze dal punto di vista geopolitico, economico e ingegneristico.
La teoria permette di prevedere, a partire dai dati relativi alla “storia” estrattiva di un giacimento minerario, la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come per un insieme di giacimenti o una intera regione.
In particolare, la storia di produzione della risorsa nel tempo segue una particolare curva a campana, detta appunto curva di Hubbert, che presenta in una fase iniziale una lenta crescita della produzione, che man mano aumenta fino ad un punto di flesso e quindi al picco per poi cominciare un declino dapprima lento, e quindi sempre più rapido.
Hubbert basò inizialmente la sua teoria sull’osservazione dei dati storici della produzione di carbone in Pennsylvania, giungendo solo in seguito ad una trattazione matematica generalizzata applicabile anche ad altri casi.
Estrapolando la sua teoria al futuro della produzione di petrolio degli stati continentali americani, Hubbert fece la previsione (nel 1956) che agli inizi degli anni ’70, gli USA avrebbero raggiunto il loro “picco di produzione” petrolifera.

Le conclusioni di Hubbert furono inizialmente trattate con “sufficienza” dagli ambienti scientifici ed economici, situazione che cambiò radicalmente nei primi anni 70, quando, effettivamente, i 48 stati continentali USA raggiunsero il loro picco di produzione. La concomitanza di questi eventi con le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 fece di Hubbert forse il geofisico più famoso del mondo.

Negli ultimi anni diversi studiosi in tutto il mondo (tra cui Colin Campbell, Jean Laherrère ed altri) hanno ripreso le sue teorie riuscendo, in primo luogo ad estendere l’analisi a tutti gli stati americani, ed in seguito cercando di estrapolare e formalizzare meglio i suoi risultati al fine di prevedere il picco di Hubbert della produzione mondiale di petrolio e gas naturale.
Sebbene tali analisi risultino molto più complicate a causa della grande incertezza sulle riserve petrolifere di molti stati (in particolare mediorientali), la maggior parte delle analisi fa cadere il “picco di Hubbert mondiale” all’incirca nel secondo decennio del XXI secolo o, più precisamente, tra il 2006 e, al più tardi, il 2020, anche in previsioni di eventuali crisi economiche che potrebbero temporaneamente ridurre la richiesta di petrolio.
Altri studi collegati, che tengono in conto anche lo sviluppo di fonti petrolifere “non convenzionali”, quali le sabbie bituminose, gli scisti bituminosi, e i gas liquefatti (detti anche NGL) non giungono comunque a ‘spostare’ di molto in avanti queste date.
[da wikipedia]

Ne consegue che, se Hubbert ha ragione, tra 15/20 anni si dovrebbero cominciare a sperimentare gli effetti di una produzione petrolifera in discesa a picco, avviata verso la fine. E non sarà un bel vedere…

UPDATE
Sincronicità junghiana.
Proprio adesso arriva da Nicola questo link al report di Luglio della IEA, International Energy Agency.

L’idiozia italiota

Secondo Punto Informatico, Wikipedia Italia è arrivata alla sofferta decisione di eliminare le fotografie raffiguranti opere architettoniche in Italia di progettisti ancora in vita, o morti da meno di 70 anni (come previsto dalla Legge 633/1941 sul diritto d’autore). Questo perché la legislazione italiana, a differenza di molti altri paesi, non contemplerebbe il cosiddetto “panorama freedom” (diritto di panorama), che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile senza preoccuparsi di dover trovare il progettista e pagargli i diritti d’autore.
Già in Italia si costruisce poco, ma così anche le opere di Piano, Fuksas, Piacentini e di tutta l’architettura moderna italiana non potranno essere viste da nessuno (almeno quelle residenti sul territorio nazionale, perché in tutti gli altri paesi il suddetto diritto esiste).
Così, mentre la Germania finanzia lo sviluppo di Wikipedia, l’Italia la diffida dall’uso di fotografie di quadri presenti nei propri musei, come ha fatto nel gennaio 2007 la Soprintendenza per il Polo Museale fiorentino e vieta la pubblicazione delle immagini di tutte le opere architettoniche moderne presenti nel proprio territorio.
C’è da chiedersi se, a questo punto, anche Google Earth sarà costretto a mascherare le sue foto satellitari con bollini neri sparsi per tutto il nostro paese.

In realtà un sistema per ovviare a questa legge idiota ci sarebbe. Basterebbe che l’Ordine interpellasse i propri aderenti o i loro eredi chiedendo di concedere motu proprio il diritto di panorama. Ma la vedo male…

La gente e i loro avatar

avatar
NAME Choi Seang Rak BORN 1971 OCCUPATION Academic LOCATION Seoul, South Korea AVATAR NAME Uroo Ahs AVATAR CREATED 2004 GAME PLAYED Lineage II HOURS PER WEEK IN-GAME 8 CHARACTER TYPE Dwarf Warsmith SPECIAL ABILITIES Craft siege weapons, whirlwind in battle.

Il New York Times presenta una gallerie di persone e dei loro avatar in giochi come Second Life et similia.
Da quanto si vede, nella maggior parte dei casi, l’avatar è quello che la persona vorrebbe essere, ma non può essere a volte per forza maggiore, altre volte solo per pigrizia o mancanza di decisione. Spesso, infatti, è quasi identico alla persona, solo migliorata: più magra, più muscolosa, più proporzionata…
Altre volte è un essere completamente diverso, nato dalla curiosità di scoprire come si vive con il corpo di qualcos’altro (i cambiamenti di sesso, per es., sono comuni).
Ma non è sempre così. Per qualcuno è diverso. I miei avatar, per esempio, incarnano sempre la parte peggiore di me, quella più distruttiva, assetata di sangue e di maleficio.
Una statistica sarebbe interessante…

Ispirato da un post di Genius Loci

Amazon venderà MP3 senza DRM

Che le protezioni sugli MP3 irritino i consumatori e nuociano alle vendite è ormai un dato di fatto.
Fa piacere vedere che ogni tanto qualcuno se ne accorge e quando questo qualcuno è Amazon, fa anche notizia.

SEATTLE–(BUSINESS WIRE)–May 16, 2007–Amazon.com (NASDAQ:AMZN) today announced it will launch a digital music store later this year offering millions of songs in the DRM-free MP3 format from more than 12,000 record labels. EMI Music’s digital catalog is the latest addition to the store. Every song and album in the Amazon.com digital music store will be available exclusively in the MP3 format without digital rights management (DRM) software. Amazon’s DRM-free MP3s will free customers to play their music on virtually any of their personal devices — including PCs, Macs(TM), iPods(TM), Zunes(TM), Zens(TM) — and to burn songs to CDs for personal use.

“Our MP3-only strategy means all the music that customers buy on Amazon is always DRM-free and plays on any device,” said Jeff Bezos, Amazon.com founder and CEO. “We’re excited to have EMI joining us in this effort and look forward to offering our customers MP3s from amazing artists like Coldplay, Norah Jones and Joss Stone.”

Perle ai porci?

Forse ne avete già sentito parlare…
Washington D.C., zona centrale (uffici). Sono circa le 8 di mattina di venerdì 12 gennaio. Un bianco dall’aria giovanile vestito in jeans, T-shirt e cappellino da baseball si piazza in una stazione della metro molto frequentata, tira fuori un violino dalla custodia, la posa davanti a sè nel classico atteggiamento del mendicante e si mette a suonare la Ciaccona di J.S. Bach.
E la suona da dio, perché lui è Joshua Bell, uno dei più acclamati violinisti contemporanei e il suo strumento è uno Stradivari da 3.5 milioni di dollari.
In totale suona 6 pezzi, per circa un’ora. Poi raccoglie i soldi e se ne va. La scena è filmata da camere nascoste. Si tratta di un esperimento ideato dal Washington Post (3 estratti del video su washingtonpost.com, UPDATE: ora il video è anche su You Tube, andate giù nella pagina).

In quell’ora passano 1097 persone, in gran parte impiegati di vario livello. Magari c’è anche qualcuno che ha pagato $100 per ascoltarlo alla Boston’s Symphony Hall solo tre giorni prima.
Soltanto in sette si fermano ad ascoltare per più di un minuto. 27 persone gli lasciano qualche moneta, per un totale di $32. Una sola persona lo riconosce.

Guardando il video avrete notato che l’acustica non è neanche malvagia e si sente benissimo che non è uno qualsiasi.
E allora?
Per quanto mi riguarda, sicuramente non avrei riconosciuto Joshua Bell, ma mi sarei fermato e gli avrei dato qualche dollaro. Lo dico perché mi è capitato con un violoncellista nella metro di S. Pietroburgo. Suonava troppo bene. Mi sono fermato per poi scoprire che era un membro dell’orchestra di stato a cui non pagavano lo stipendio da due mesi.
Quindi ipotizziamo che quelle 27 persone che gli hanno dato qualcosa abbiano pensato “che bravo… mi fermerei volentieri, ma faccio tardi al lavoro”.
E gli altri 1070? Ammettiamo che un’altra settantina abbia pensato la stessa cosa, anche se non gli ha dato niente. Ne resta sempre un migliaio.
Notate che si trattava di uno dei più acclamati violinisti viventi che suonava alcuni dei più grandi capolavori mai scritti con uno dei migliori strumenti mai costruiti. Roba da sindrome di Stendhal.
Ne consegue che, se nessuno è in grado di notarlo, evidentemente abbiamo un problema culturale non banale.

  • La nostra società non educa la gente a riconoscere e apprezzare la bellezza?
  • O ci costringe a ignorare ciò che ci sta intorno?
  • O ancora, dovremmo riaprire il secolare dibattito epistemologico su cosa sia la bellezza?

Che ne pensate?

Musica in via di estinzione? (2)

In risposta a erri e max su Musica in via di estinzione?

Avete ragione entrambi.
Il punto è che prendersela con il conservatorio è come sparare sulla croce rossa. Almeno qui da noi. In altri stati, fare musica contemporanea in conservatorio è più facile
È un dato di fatto che i programmi (soprattutto quelli di storia della musica) vanno aggiornati. Attualmente arriviamo all’assurdo che ho trovato una mia allieva prossima ventura (almeno credo), laureata al DAMS ma non ancora diplomata in strumento e passata da me per informazioni sul biennio, più preparata sulla musica contemporanea rispetto a molti di quelli che mi arrivano con un diploma di strumento (mentre noi dovremmo essere la scuola specialistica).
Come è un dato di fatto che quelli che lavorano in conservatorio e amano la musica contemporanea, si danno da fare per diffonderla.
Il problema, secondo me, non sono nemmeno i concerti, almeno a livello di grande città. Se uno vive a Milano, una rassegna all’anno la trova. Ok, non è tanto, ma non è di questo che mi lamento.
La cosa di cui mi lamento è la presenza in internet. Ormai internet è il mezzo principale di circolazione dell’informazione e delle idee. Se su internet una cosa non c’è, per volontà o per ignavia, non esiste perché quasi nessuno può saperne qualcosa.
Facciamo qualche esempio:
Continua a leggere

Musica in via di estinzione?

Ok, forse il titolo è eccessivo; in fondo la musica contemporanea può anche essere considerata un optional, però la sua situazione è piuttosto drammatica.
Principalmente a causa dell’opposizione dei discografici e degli editori, ma anche per la cecità di buona parte dei musicisti, la musica di produzione recente su internet praticamente non esiste.
Chi, come il sottoscritto, gestisce un blog dedicato alla musica sperimentale, se ne rende conto pesantemente.
L’unica musica che si trova facilmente è quella distribuita dalle netlabel. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di pop o similia, più raramente di musica sperimentale non accademica e praticamente mai di musica contemporanea accademica.
Quello di cui non riesco a rendermi conto è come i compositori possano essere così ciechi. Sui loro siti, almeno su quelli dei pochi che ce l’hanno (e già questo è indice di idiozia diffusa), molto raramente si trova un po’ di musica da ascoltare. E quando dico “un po’ di musica” intendo dire alcuni brani, interi, non un minuto su 10. Nell’Archivio Luigi Nono, tanto per fare un esempio, non c’è un solo pezzo da ascoltare.
Come pensino di incrementare il proprio seguito se nessuno può ascoltarli, è un mistero.
Nel caso della musica classica, la situazione migliora almeno un po’. Essendo ormai scaduti i diritti d’autore, se l’interprete acconsente e la sua esecuzione non è su disco, può essere diffusa, ma nel caso della musica contemporanea non è possibile, a meno che non si muova il compositore in persona, perché, a quanto pare, sia i discografici che gli editori sono sordi al riguardo.
Ora, considerate che, anche nel nostro conservatorio e fra i compositori, pochi conoscono nomi come Murail. Grisey, Crumb, Gubaidulina. Al massimo li conoscono di nome, ma non hanno ascoltato quasi nulla. E se fate un sondaggio, vedrete che anche le opere dei compositori storici (Berio, Nono…), non sono così conosciute. E non mi sembra strano: a meno di sforzi, non è possibile ascoltarli.
Recentemente, in un mondo sensibile sia alla tecnologia che all’auto-promozione, come quello americano, si nota qualche segno di cambiamento. Vari compositori, soprattutto giovani o non ancora affermati, hanno iniziato a mettere brani e partiture in rete e anche qualche europeo lo fa.
Ma è sempre troppo poco e non riesco proprio a capire perché non lo capiscano.

RIAA peggiore

golden shit trophy

Nel poll di Consumerist (associazione di consumatori USA), la RIAA (associazione dei discografici USA) è stata eletta peggiore compagnia americana 2007 con il 53.8% dei voti, battendo nientemeno che Halliburton, la multinazionale texana in cui ha lavorato il vice-presidente Cheney sempre sull’orlo dello scandalo per i suoi profitti legati alla guerra in Iraq.
Di conseguenza, la RIAA vince il “lucky golden shit trophy”, premio più piccolo, ma molto più esplicito del tapiro d’oro (vedi figura).

Onesto o poco professionale?

An expectant hum filled the Brighton Dome as the thousand-strong audience took their seats for the world premiere of A British Symphony.
They had travelled from all over the country in the hope of hearing something extraordinary from Andrew Gant, the respected composer who is also the Queen’s choirmaster. Instead, they heard it from Barry Wordsworth, the conductor of the Brighton Philharmonic Orchestra (BPO).
Moments before the afternoon’s performance was due to begin he announced that he “did not believe” in the work and it would therefore be hypocritical to perform it. Gant’s patriotic homage to the British Isles had been replaced by Mendelssohn’s Italian Symphony.
[from The Times]

So, what do you think about. Please, vote and/or drop a line.

Secondo il Times del 10 marzo, Barry Wordsworth, direttore stabile della Brighton Philharmonic Orchestra si è rifiutato di dirigere un brano del compositore e organista contemporaneo Andrew Gant intitolato A British Symphony. Il tutto è accaduto il 25 febbraio, a poche ore dalla rappresentazione (nel programma della serata, il brano è stato sostituito dalla Sinfonia Italiana di Mendelssohn).
Per spiegare il proprio comportamento Wordsworth ha dichiarato che “non credeva nel pezzo”.

L’ambiente si è diviso in due partiti: quelli che lodano l’onestà intellettuale e quelli che criticano la mancanza di professionalità.
Così, d’istinto, mi viene da iscrivermi al primo (semmai criticando il fatto che non lo abbia detto prima), ma poi ho pensato alle volte in cui ho fatto l’esecutore in qualche brano di musica elettronica che non mi piaceva più di tanto, sempre sforzandomi di fare bene quello che andava fatto e magari cercando di metterci qualcosa che me lo facesse amare almeno un po’ e così non sono più tanto sicuro.

Voi che ne pensate?
Provo a lanciare un altro poll. Naturalmente potete anche commentare.

Create polls and vote for free. dPolls.com

Devi morire (1)

Dal Corriere del 7/2

Bill Gates risponde picche all’accorato appello di Gorbaciov.

Microsoft: no a clemenza per il prof pirata.

Freddo comunicato dalla casa di Redmond: non ci sono le condizioni per ritirare l’accusa a Ponosov, preside di una scuola di un villaggio degli Urali.

NEW YORK – Bill Gates, il fondatore di Microsoft, ha risposto picche. Nonostante l’accorato appello del premio Nobel per la pace Mikhail Gorbaciov, non ci sono le condizioni per ritirare le accuse di pirateria nei confronti di Aleksandr Ponosov, preside della scuola di un piccolo villaggio degli Urali. L’insegnante russo rischia di finire in un carcere della Siberia per avere utilizzato software della casa di Redmond senza regolare licenza nella scuola. Ponosov si difende dicendo di avere commesso un crimine senza saperlo: i computer gli sono stati venduti con una versione pirata del sistema operativo di Microsoft preinstallata. La società, in una nota dell’ufficio di relazioni esterne di Londra, loda la determinazione nel perseguire i reati di pirateria informatica e prende le distanze dall’inchiesta della magistratura russa, senza alcun cenno di clemenza.

Musica come tortura

La Society for Ethnomusicology (SEM) ha emesso una dichiarazione datata 2 febbraio in cui condanna l’uso della musica come metodo di tortura.
A quanto pare esistono testimonianze (vedi BBC e Trans) secondo le quali, in alcuni casi, i militari in Iraq e a Guantanamo “sparano” contro i prigionieri heavy metal music (brani di Sesame Street, Barney e Metallica) ad altissimo volume per ore, in una forma di “no-touch torture” che non lascia segni fisici.
In tal modo i prigionieri possono essere esaminati da commissioni di inchiesta o sottoposti a una autopsia senza evidenze di tortura.

Siamo ostaggi

Questo post prende le mosse da un fatto.
The Pirate Bay annuncia: “Era solo una questione di tempo, e infatti eccoli qui! Ieri l’utente Lyzz ha fatto la storia pubblicando il primo film HD DVD” (fonte Punto Informatico).
Circa un mese fa, un programmatore che si fa chiamare Muslix64 ha infatti annunciato di essere riuscito ad aggirare l’Advanced Access Content System (AACS), il nuovo sistema di protezione adottato dai formati DVD di nuova generazione Blu-ray e HD DVD.
Ora troviamo i primi HD DVD (file da oltre 20 Gb) su Bit Torrent. Il tutto fa presagire l’ennesima guerra major contro utenti, ma il blog Bored With Everything fa questa considerazione (prontamente tradotta da Punto Informatico): “Cos’è che traina la tecnologia più di qualsiasi altra cosa? La pirateria. Con la possibilità di visualizzare i file con molti diversi software DVD, questo è un grosso balzo per HD DVD, anche se loro (i produttori di tecnologia, ndr.) non lo dichiareranno pubblicamente. Il prossimo passo saranno masterizzatori HD DVD a buon prezzo, e così la guerra dei formati avrà fine”.

E così arriviamo al punto di cui personalmente sono convinto da anni. Tutto questo dibattito copyright/copyleft è importante, ma in realtà la guerra che si sta combattendo oggi è un’altra in cui noi non siamo protagonisti, ma ostaggi. È una guerra industriale e commerciale in cui noi siamo il territorio da conquistare.
Prendiamo, per esempio, la famosa faccenda del file sharing. Sembra essere una questione fra le major e gli utenti, ma non è così.
In realtà, da una parte ci sono le major che vendono musica e film, ma dall’altra ci sono le telco (compagnie di telecomunicazione) che vendono connessioni internet.

  • E secondo voi, quante connessioni via fibra si venderebbero a circa € 20 al mese se non ci fosse qualcosa da scaricare gratis?
  • Quanti comprerebbero connessioni via fibra solo per leggere la posta e surfare un po’?
  • E quanti la comprerebbero per poi spendere altri soldi per comprare contenuti e oggetti vari?
  • E quanti lettori DVD si sarebbero venduti per metterci dentro solo materiale regolarmente acquistato o noleggiato?
  • E quanti iPod?
  • Sapete che una ricerca ha mostrato che solo il 17% della musica caricata su iPod è stata regolarmente acquistata? (fonte BBC)
  • E ancora, chi avrebbe in casa un masterizzatore solo per fare il backup dei dati?

Il tutto assomiglia molto alla guerra fra major e produttori di registratori di un po’ di anni or sono.
E poi, considerando che il porno costituisce di gran lunga la maggior parte di ciò che viene scambiato in rete, vi siete mai chiesti perché i produttori di porno non protestino mai per le copie? Solo perché il loro prodotto è moralmente discutibile? (ma lo è?). Non scherziamo. Il fatto è che loro sanno che più gira, più si vende.
La guerra vera, quindi, è fra i produttori di contenuti da una parte e i costruttori di hardware e le telco dall’altra. Noi siamo ostaggi.

Micronazioni

sealand
In breve, la notizia (segnalata da Nicola) è questa;
il gruppo svedese anti-copyright The Pirate Bay sta raccogliendo fondi per acquistare una micronazione e piazzarci un server per distribuire contenuti sfuggendo alle leggi sul copyright grazie all’extra territorialità.
La storia è simpatica, e ci offre l’opportunità di raccontare qualcosa sulle micronazioni (penso che pochi sappiano cosa sono e che esistono, oltre naturalmente a quella già note come il Vaticano, S.Marino, Andorra, etc).
In pratica, un micronazione è un lembo di territorio che, per qualche anomalia geografica e/o storica non sembra ricadere sotto la giurisdizione di alcuno stato oppure una parte di territorio che ha rivendicato la propria indipendenza e ottenuto qualche tipo di riconoscimento.
Nella prima categoria ricade, per esempio, l’isola artificiale di Sealand (nella foto) che è proprio quella che The Pirate Bay vorrebbe comprare.
La storia è questa. Durante la seconda guerra mondiale il governo inglese aveva costruito delle piattaforme marine dotate di artiglieria poco oltre le acque territoriali. Servivano per avvistare in anticipo gli aerei e soprattutto i missili nazisti (V1 e V2) e abbatterli prima che arrivassero sul territorio inglese.
Alla fine della guerra vennero tutte demolite tranne una, il famoso royal fort Roughs Tower che sorge a nord della foce del Tamigi a 7 miglia dalla costa (il limite delle acque territoriali era allora di 6 miglia).
Per molti anni Roughs Tower rimase abbandonata, res derelicta et terra nullius fino a quando, il 2 settembre 1967, l’ex maggiore Paddy Roy Bates la occupò, dichiarandola territorio indipendente, andando a viverci e dandole il nome di Principato di Sealand.
Ovviamente il governo inglese reagì inviando truppe. Vennero sparati anche alcuni colpi. Bates era sempre cittadino inglese, per cui venne arrestato e processato e qui arriva il colpo di scena.
Come era suo dovere, la giustizia inglese, che spesso è seria, si dichiarò incompetente per territorio, perché l’isola è fuori dalle acque territoriali. Roy di Sealand ritornò libero alla sua isola che ricevette un primo importante imprimatur di indipendenza.
Più tardi accaddero altri fatti cruenti. Nel 1978, mercenari olandesi al soldo di un uomo d’affari tedesco occuparono l’isola con la forza, ma vennero poi sconfitti e fatti prigionieri da Roy (che in quel momento si trovava in Inghilterra) e dai suoi uomini. Di conseguenza, i governi olandese e tedesco intavolarono trattative con Sealand per il rilascio dei prigionieri, dando all’isola un ulteriore riconoscimento di sovranità.
La situazione attuale di Sealand sembra essere tranquilla. Un internet provider, HavenCo Limited, ha anche posto la propria sede sull’isola, dotandola di una connessione ad alta velocità e pubblicizza la propria sede extra-territoriale come fonte di sicurezza per dati sensibili e transazioni finanziare al riparo dalle grinfie governative.
Ecco quindi l’interesse di Pirate Bay che vorrebbe farne un centro di distribuzione di materiale copyrighted in barba alle leggi europee. Per ora hanno raccolto solo $14.000.

Fin qui la storia di Sealand, ma pochissimi sanno che un tentativo analogo è stato fatto anche in Italia. Nel 1965, un costruttore, tale ing. Rosa, edificò una piattaforma in Adriatico, davanti a Bellaria, poco fuori le acque territoriali.
L’isola venne aperta al pubblico nel 1967. Si pensava di impiantarvi una serie di attività commerciali: un ufficio postale, un negozio di souvenir, un piccolo albergo, un ristorante, un bar ed un night-club.
Il 1 maggio 1968 venne dichiarata l’indipendenza e la piattaforma venne battezzata Isola delle Rose. Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse e la reazione fu dura: 55 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, il 25 giugno 1968, un gruppo di quattro carabinieri ed alcuni ispettori delle imposte atterrarono sull’isola e ne presero possesso, senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale. Il governo della Repubblica dell’Isola delle Rose inviò telegrammi di protesta anche al governo italiano, ma fu ignorato. L’11 febbraio 1969, sommozzatori della Marina Militare Italiana distrussero con l’esplosivo la piattaforma artificiale, eseguendo la sentenza del Consiglio di Stato di giovedì 17 luglio 1969. La proprietà si rifece prima al TAR, poi al Tribunale Internazionale dell’Aja, ma, alla fine, cedette e dell’Isola delle Rose e di ciò che si favoleggiava attorno, nessuno parlò più.

Votate, tanto poi decidiamo noi

time poll
time cover

Altrenotizie, basandosi sulle news dei blog latino-americani, ci apre gli occhi su una bella prova di democrazia.
Uomo dell’anno secondo Time Magazine siamo noi. “Cittadini della nuova democrazia digitale”.
A scegliere “la persona o le persone che più hanno influenzato l’informazione o le nostre vite, nel bene o nel male” sarebbero dovuti essere proprio questi “cittadini”, chiamati votare attraverso il sito internet del giornale, scegliendo tra George W. Bush, Condoleezza Rice, Kim Jong Il, Al Gore, Mahomoud Ahmadinejad, Hugo Chavez, Nancy Pelosi e la comunità di YouTube.
Alla fine, sempre secondo Time Magazine, i vincitori siamo noi, Come si legge in copertina, “Tu. Sì, tu. Tu controlli l’era dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo”, facendo pensare che a vincere sia stata la comunità YouTube.
Proprio un bel mondo. Perché le votazioni dei lettori non hanno neanche lontanamente indicato questo risultato. Come si vede nella figura, peraltro pubblicata dallo stesso Time, il vincitore è stato Hugo Chavez (36%), con la sua ferma opposizione alle ingerenze degli Stati Uniti in America Latina (i chicanos sono tanti), mentre il secondo è niente-di-meno che Ahmadinejad (21%), con la sua volontà di dotarsi del nucleare e i suoi attacchi a Israele. Due leader che gli Stati Uniti vedono come il fumo negli occhi.
Potete controllare. Ho anche trovato la pagina del sondaggio. Andate qui e votate. Vi appariranno i risultati (che io sappia, votare è l’unico modo per vederli).
Ok, Time può anche non considerare il sondaggio vincolante, ma allora lo scriva (o non lo faccia per niente). Bella prova di democrazia. Assomiglia molto a quella che gli americani stanno cercando di esportare.

Stop all that spam!

Negli ultimi giorni ho scritto a 3 amministratori di rete chiedendo che bloccassero l’attività spammatoria di altrettanti individui che insistevano ad inserire nel blog commenti fittizi aventi l’unico scopo di pubblicizzare casinò online, pillole per dimagrire e sistemi per ingrandire il coso (voi non li vedete perché i commenti contenenti certe parole vengono sospesi e sottoposti alla mia approvazione).
Ho allegato i messaggi e i log che provavano la loro attività e lo spam da questi ip è cessato nel giro di 2 giorni (anche nel caso di una rete coreana che non avrei giurato che mi ascoltasse).
Questo conferma che ormai gli amministratori di rete si sono resi conto che lo spam è una rogna anche per loro perché ha raggiunto dimensioni tali da tradursi in un sensibile spreco di banda che i la loro società paga. Inoltre la loro rete corre il rischio di finire su una lista nera (blacklist) che fa sì che i più noti provider non accettino più la loro posta, quindi prendono provvedimenti.
Perciò, quando ricevete email non richieste, oltre ad attivare misure bloccanti, se avete tempo e voglia, protestate! È il modo più sicuro per ottenere risultati. Più gente lo fa, meno spam gira.
Non rispondete allo spammer. Di solito l’indirizzo di ritorno è falso e quando non lo è, o appartiene a un utente ignaro oppure, se è una casella controllata dallo spammer, serve solo a dare al vostro indirizzo email un grande valore, perché la risposta costituisce una conferma che un umano ha letto la mail.

Si fa così:
per prima cosa bisogna identificare il luogo di partenza e per fare questo occorre visualizzare gli header del messaggio, cioè le intestazioni che i vari computer per cui il messaggio passa aggiungono in testa. Per esempio, prendiamo questa email, che voi vedete così:

From: Braelyn Ewing < chana @k3btg.com>
Reply-To: Braelyn Ewing < chana @k3btg.com>
To: Egon Macmillan < xx@pippo.org>
Subject: Re: your coupo
Date: Fri, 26 Jan 2007 10:00:25 +0100

Hi
Viag_gra $3. 30
Ambi_ien $2. 90
Vali_ium $1. 25
CiaI_lis $3. 75
Xan_nax $1. 50

Ora, se chiedete al vostro programma di email di mostrare gli header (il comando è una voce di menu come: “mostra messaggio completo”, “mostra header”, “mostra intestazioni” o simile), esce, per esempio, questo

Return-Path: < chana @k3btg.com>
Received: from pippo.org [217.131.171.142] by host.linux with POP3
(fetchmail-6.3.4) for < pippo1@localhost> (single-drop); Wed, 27 Dec 2006
16:33:39 +0100 (CET)
Received: from k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) by
pippo.org (8.11.6/8.11.6) with SMTP id kBR8wRv31793 for
< xx@pippo.org>; Wed, 27 Dec 2006 01:58:29 -0700
Message-ID: <01c74128$6ad6d570$84178753@EVALUATION1>
Reply-To: “Braelyn Ewing” < chana @k3btg.com>
From: “Braelyn Ewing” < chana @k3btg.com>
To: “Egon Macmillan” < xx@pippo.org>
Subject: Re: your coupo
Date: Fri, 26 Jan 2007 10:00:25 +0100
MIME-Version: 1.0
Content-Type: multipart/alternative; boundary=”—-=_NextPart_000_02C7_01C7412F.7F7411D0″
X-Priority: 3
X-MSMail-Priority: Normal
X-Mailer: Microsoft Outlook Express 6.00.2900.2180
X-MimeOLE: Produced By Microsoft MimeOLE V6.00.2900.2180
X-UIDL: PjQ!!OR~”!n$’!!nmj!!

This is a multi-part message in MIME format.

——=_NextPart_000_02C7_01C7412F.7F7411D0
Content-Type: text/plain; charset=”Windows-1252″
Content-Transfer-Encoding: quoted-printable

Hi
Viag_gra $3. 30
Ambi_ien $2. 90
Vali_ium $1. 25
CiaI_lis $3. 75
Xan_nax $1. 50

In mezzo a questa roba, l’unica cosa importante sono le linee che iniziano con “Received”: ogni linea rappresenta un computer attraverso il quale questo messaggio è passato. Ce ne possono essere molte.
NB: tutto il resto non ha alcun senso perché può essere falsificato. Per questo spesso vi arriva della posta che non sembra essere diretta a voi.

Received: from pippo.org [217.131.171.142] by host.linux with POP3
(fetchmail-6.3.4) for < pippo1@localhost> (single-drop); Wed, 27 Dec 2006
16:33:39 +0100 (CET)
Received: from k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) by
pippo.org (8.11.6/8.11.6) with SMTP id kBR8wRv31793 for
< xx@pippo.org>; Wed, 27 Dec 2006 01:58:29 -0700

e fra queste, quella originaria è l’ultima (quella più in basso; ogni computer aggiunge la sua linea sopra alle precedenti)

Received: from k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) by
pippo.org (8.11.6/8.11.6) with SMTP id kBR8wRv31793 for
< xx@pippo.org>; Wed, 27 Dec 2006 01:58:29 -0700

Questa linea dice che il primo passo del messaggio è stato andare da k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]) a pippo.org in data 27 Dec 2006 01:58:29 -0700.
k3btg.com (i53871784.versanet.de [83.135.23.132]), quindi, è la macchina di partenza, verosimilmente l’ip dello spammer oppure quello di un computer utilizzato fraudolentemente per questo fine.
A questo punto basta scrivere all’amministratore della rete di cui fa parte il computer identificato in quel momento dall’ip 83.135.23.132 e segnalare il problema.
Per sapere chi è basta cercare un sito che faccia whois in internet oppure dare il comando whois numero su un terminale.

83.135.23.132 = [ i53871784.versanet.de ]

 

e cliccando sul nome [ i53871784.versanet.de ] vi mostra una serie di dati fra cui appare

remarks: abuse reports please to: abuse@versatel.de
oppure
abuse-mailbox: abuse@versatel.de

Questo è l’indirizzo a cui bisogna scrivere inviando il messaggio spammatorio completo con tutti gli header di cui sopra, compresa la data e l’ora. Solo così l’amministratore di rete potrà risalire al computer incriminato.
Io di solito aggiungo anche qualche frase di circostanza, tipo

Hi
here is a spam message apparently originating from your network.
Thank you vm for your interest.
Regards

Header & text follow
…header e testo completi…

Adesso mi direte che è una palla, però, credetemi, una vigorosa azione della comunità è l’unico modo di fermare lo spam.
Se volete approfondire l’argomento, andate qui.

Downhill Battle

Downhill Battle is a non-profit organization working to support participatory culture and build a fairer music industry.
Their plan is to explain how the majors really work, develop software to make filesharing stronger, rally public support for a legal p2p compensation system, and connect independent music scenes with the free culture movement.
On the site you can find many interesting papers about the music industry world and projects to spread the music share idea and support movements against the majors.

Downhill Battle è un sito di attivismo musicale che sostiene l’idea di una libera distribuzione della musica in cambio di un abbonamento mensile flat sui 5-10 dollari che dovrebbe poi essere distribuito fra gli artisti in quantità proporzionale al numero dei downloads, spezzando il monopolio delle major.
Sul sito si trovano molti materiali di interesse, come articoli su vari aspetti del mondo discografico, fra cui il famoso articolo di Steve Albini, ex produttore dei Nirvana, che mostra, calcoli alla mano, come sia possibile che alla fine dell’anno una band abbia generato un giro d’affari di oltre 3 milioni di dollari, producendo per la major un profitto di $710.000 mentre i membri della band si ritrovano con $4031 a testa.
Downhill Battle porta avanti anche dei progetti come Banned Music in cui si distribuiscono via bit-torrent i dischi che le major hanno bloccato, come per es. il Grey Album di DJ Danger Mouse, remix del White Album dei Beatles, mai uscito per l’opposizione della EMI.

White Christmas

illegal artA good way to celebrate Christmas.
This track by Corporal Blossom is a mix of illegal samples from many White Christmas versions.
Of course it is published by Illegal Art but now it’s also on SoundCloud

Ecco un buon modo per festeggiare il natale.
Questo pezzo di Corporal Blossom è formato da campionamenti tratti da molte versioni di White Christmas montati insieme, su nessuno dei quali sono stati pagati i diritti.
Ovviamente, è distribuito da Illegal Art ma adesso è anche su SoundCloud

Codev2

 

Il nuovo libro di Lawrence Lessig, inventore delle licenze Creative Commons e autore di Cultura Libera di cui abbiamo già parlato, si intitola Codev2 (Code version 2.0) ed è appena uscito. Si tratta di una revisione che l’autore definisce come una traduzione, del suo famoso testo del 1999 Code and Other Laws of Cyberspace.
Perte del nuovo testo è stato scritto in forma collaborativa in un Wiki. Il libro è scaricabile in pdf (in inglese) ma si può anche acquistare già stampato sul suo sito.

Shining lascia il segno

Sul forum di Slashdot, qualche giorno fa, uno chiedeva consigli su come proteggere la propria casa mentre lui era via per tutto l’inverno. Non dai ladri, ma da incidenti, freddo, temporali, neve etc.
Qualcuno suggeriva di affittarla. Sembrava un’ottima idea: l’affittuario avrebbe tenuto la casa sotto controllo…
Poco dopo è apparso il seguente commento:

All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
All work and no play makes Jack a dull boy.
….

Illegal Art

illegal art

L’organizzazione Illegal Art pubblica, nella sua sezione audio, un nuovo album totamente illegale in quanto i pezzi sono quasi totalmente composti di campionamenti per cui non sono stati pagati i diritti.
Aderiscono all’iniziativa gruppi più o meno noti, fra cui Public Enemy, Beastie Boys, JAMs, Elastica, Verve, Xper.Xr.
Trovate l’intero album, qui.
Io vi posto un simpatico frammento di De La Soul, “Transmitting live from Mars”, materia di scontro con i Turtles (quelli di Happy Together), ma non perdetevi They Aren’t the World dei Culturcide, cattivissima e stonatissima risposta ai We Are the World di natalizia memoria.

Posso citarla, Sig. Presidente?

Darwin segnala che Global Research pubblica “una selezione di citazioni del Presidente Bush per divertimento o meditazione“.
Sono ordinate per sezione. Mi permetto di tradurvi alcune perle.

Un uomo perso nella sua geografia

  • La maggior parte delle nostre importazioni viene da fuori.

Un uomo perso nella sua logica

  • Non è l’inquinamento che scalda l’ambiente. Sono le impurità nell’aria e nell’acqua a farlo.
  • Se non ci riusciamo, corriamo il rischio di fallire.
  • I nostri nemici sono innovativi e pieni di risorse e lo siamo anche noi. Essi non cessano di inventare nuovi modi per nuocere alla nostra nazione e alla nostra gente e così facciamo anche noi.

Un uomo con Dio dalla sua parte

  • Dio mi ha detto di colpire Al-Queda e l’ho colpita, poi mi ha ordinato di colpire Saddam e l’ho fatto e ora sono determinato a risolvere il problema del Medio Oriente.

Un uomo perso nel suo vocabolario

  • Il problema con i francesi è che loro non hanno una parola per ‘entrapreneur’.
  • Francamente, gli insegnanti sono gli unici professionisti che insegnano ai nostri figli.

Il pacifista truffaldino

  • Voglio che sappiate che, quando parliamo di guerra, in realtà parliamo di pace
  • Le nazioni libere non costruiscono armi di distruzione di massa. [NB: gli USA hanno circa 10.000 atomiche]

La volpe e l’uva

  • La cosa più importante per noi è trovare Osama bin Laden. È la nostra priorità e non avremo pace finché non lo avremo trovato.
  • Non so dov’è bin Laden. Non ne ho idea e non mi interessa. Non è importante. Non è la nostra priorità.

Il dittatore che vorrei essere

  • In tempo di guerra il presidente deve avere il potere necessario per prendere decisioni dure, incluso, se necessario, il potere di garantirsi maggior potere
  • Sono il comandante. Non ho bisogno di spiegare perché faccio le cose. Questo è un aspetto interessante dell’essere il presidente.

Last but not least

  • Non ho nessuna idea, per quanto confusa, di cosa pensare della politica estera.

Per una società con pareti di vetro

Immaginate adesso una società con pareti di vetro.
Mi spiego. Supponete che:

  • Ognuno di noi, alla nascita, venga identificato con un codice unico. A dirlo suona terribile, ma in realtà succede già. Da noi è il codice fiscale. In altri stati si usano altri codici generati con vari sistemi (per es. negli USA è il codice della previdenza sociale), ma è già così.
    In ogni modo, non mi interessa esattamente come è fatto il codice. Mi basta che sia unico, che valga in tutti gli stati, che sia lo stesso in rete e fuori e naturalmente che venga utilizzato in qualsiasi dispositivo legato alla persona, compresi i cellulari.
  • Ogni essere umano abbia un collegamento in rete gratuito, assicurato dalla nascita alla morte e identificato dal suo codice.
  • Il denaro contante non esista più. Tutti i pagamenti, di qualsiasi tipo, vengano fatti tramite una sorta di carta di credito e siano registrati in rete.
  • Qualsia forma di comunicazione fuori rete, dal telefono alla posta, non esista più. Tutto passa attraverso la rete.
  • Tutti i gli archivi, di qualsiasi tipo, dal fisco alla sanità, alle assicurazioni, alle banche, all’anagrafe, alle compagnie telefoniche, ai negozi fino alla raccolta punti del supermarket siano in formato digitale (in massima parte lo sono già), ma soprattutto che siano in rete.
  • Tutte le apparecchiature di sorveglianza puntate su luoghi pubblici (anche i bar, gli aeroporti e i centri commerciali) siano in rete. Al limite, anche quelle private. Se metti una webcam per sorvegliare da remoto il tuo cane o il tuo bambino, anch’io lo posso vedere.
  • Nessuna forma di comunicazione e nessun dato possano essere criptati.
  • Tutto ciò che è in rete sia pubblico, accessibile da chiunque.

A questo punto si saprebbe quasi tutto di tutti. Per sapere dove si trova adesso un cellulare e quindi la persona che lo porta, basterebbe collegarsi al db della compagnia telefonica. Per sapere come spendo i soldi, chi ho pagato e quando basta cercare nel db della transazioni. Si saprebbe cosa ho comprato nel tal supermercato, eccetera. Si saprebbe come sono le mie ultime analisi e che malattie ho e ho avuto. Che locali frequento, attraverso quali caselli autostradali la mia auto è passata, che biglietti di treno/aereo ho comprato e se qualcuno con il mio nome ci è salito…

Fine dei segreti.
Fine dello spionaggio statale perché non c’è spionaggio su cose che tutti possono sapere.
Fine della maggior parte dei reati contro il patrimonio.
Fine degli stupidi sospetti familiari.
Fine dell’evasione fiscale.

Non male…

Ikea in mano agli atei: anatema!

Nicola mi segnala questo articolo di Repubblica.

I parlamentari del centrodestra contro i grandi magazzini che quest’anno non avranno sugli scaffali la natività.
Natale, l’invito della Cdl ai cattolici “Boicottate chi non vende il presepe”.
Nel mirino le catene Ikea, Rinascente, Standa, Oviesse. E il vescovo di Imola definisce “improvvido” il negozio svedese.

Secondo l’esponente centrista Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera, “siamo di fronte all’ennesima prova di un relativismo laicista che finisce per spianare la strada all’estremismo islamico”. Quindi il monito: “I consumatori sappiano che, insieme ai prodotti a basso costo, da queste aziende si acquista anche l’eutanasia culturale del paese”.
Stessi toni da crociata per Gaetano Quagliarello di Forza Italia e Alfredo Mantovano di Alleanza Nazionale, che accusano Ikea di “evidente pregiudizio anticattolico” e concludono: serve “un sano boicottaggio natalizio”. E l’azzurra Isabella Bertolini si spinge a definire l’iniziativa di Ikea “laicismo esasperato che, in nome di un finto rispetto per altri credi religiosi, offende la cultura del nostro paese”.

Sono sempre più felice di essere ateo.
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I am a Terrorist

t-shirt
Resto sempre colpito da come l’ideologia commerciale e/o capitalista riesca a digerire e utilizzare qualsiasi cosa senza farsi toccare da nessun dubbio di qualunque natura possa essere.
Sulla maglietta che vedete a sinistra sta scritto “I am a Terrorist”.
Per non essere troppo spudorati e creare un aggancio con la tecnologia, l’hanno scritto in binario codificandolo in ASCII, così come fa il computer, per cui il tutto si presenta così

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Bene, mi rendo conto che una dichiarazione come questa, isolata da un contesto, può avere molti significati, fra i quali parecchi sono positivi (sono un terrorista artistico, culturale, lo sono nel campo delle relazioni sociali, eccetera), ma CafePress, fra le moltissime T-shirt e altri oggetti stampati di propria produzione, vende in questa pagina, una serie di scritte che loro stessi definiscono come

una traduzione in codice binario di qualche dannatamente fottuta merda offensiva

Non nego che la parte nichilista di me stesso la trovi anche un’idea simpatica, ma mi chiedo anche se esista qualcosa che i commerciali non osano toccare, non perché non conviene farlo, ma perché ritengono che non sia etico farlo.
Ma costoro, a parte l’idea di profitto e perdita, hanno il concetto di bene, male, giusto, ingiusto, costruttivo, distruttivo, positivo, negativo, etc? Si pongono il problema degli effetti del loro agire? Accetto anche il fatto che il post-modernismo aborre gli opposti, però mi ricordo anche che la mancata distinzione fra le categorie di cui sopra e il non essere consci delle conseguenze delle proprie azioni è sufficiente per dichiarare qualcuno incapace di intendere e volere…

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[trad: devi morire]

Da Boing Boing

Le corali delle lamentazioni

Le corali delle lamentazioni (Complaints Choir) sono istituzioni di alto valore sociale.
La loro mission è raccogliere le principali lamentele e le suppliche piene di rabbia dei cittadini per poi musicarle ed eseguirle in pubblico (possibilmente davanti al municipio, direi).
La prima corale della lamentazioni è stata quella di Birmingham, seguita da quelle di Helsinki, Amburgo e San Pietroburgo.
Qui sotto potete vedere quella di Helsinki in azione, sottotitolata in inglese, visto che il testo è ovviamente in finlandese.
A questo link, invece, potete ammirare la corale di Birmingham (ma a mio parere, quella di Helsinki è molto più professionale).

A quando una corale delle lamentazioni in Conservatorio?

The Complaints Choir invites people to complain as much as they want and to sing their complaints out loud together with fellow complainers. The first choir was organised in Birmingham followed by the Complaints Choirs of Helsinki, Hamburg and St. Petersburg.
Below you can see the Complaints Choir of Helsinki in action. This is the link to see the Birmingham one.

Privacy or not Privacy?

Google e gli altri motori di ricerca permettono di trovare un sacco di cose.
La facilità con cui la gente mette documenti e dispositivi di vario tipo su internet e li espone al mondo, anche senza rendersene conto, è grande e sembra essere una nuova tendenza sociale. Il tutto è reso possibile dall’ubiquità del digitale che ormai codifica qualsiasi tipo di documento scritto, sonoro o in forma di immagine. Nello stesso tempo i supporti come le memory key e le tessere magnetiche cambiano il modo con cui l’informazione viene fisicamente conservata, aumentando enormemente la quantità di dati che ogni persona è in grado di portare con sè.
C’è una richiesta di privacy sempre maggiore, ma, paradossalmente, nello stesso tempo la gente accetta, consapevolmente o meno, che i propri dati e comportamenti siano esposti al mondo grazie alla rete o a una RAM key perduta/dimenticata.
Forse è un passo solo parzialmente consapevole verso una società con pareti di vetro, in cui qualsiasi cosa venga fatta via internet è pubblica e molti comportamenti che, di per sè, sono già pubblici o semi-pubblici (uscire in strada, fermarsi in un bar, discutere in chat, etc.) lo diventano alla massima potenza e sono visibili da tutti coloro che si imbattono nel link alla webcam o al file giusto, potenzialmente da tutto il mondo.

Dato che io sono favorevole a una casa di vetro, ho appena creato una pagina dedicata alle cose relativamente private che si possono trovare con Google e/o altri motori di ricerca.
Non contiene cose potenzialmente pericolose come ricerca di password, falle di sicurezza o simili, che pure si possono fare (quindi se cercate questo, andate da un’altra parte).
Divertitevi.

Memi Viaggianti

Command and Conquer
La schermata qui sopra viene da un noto videogame, Command and Conquer.
La frase dice “I am in your base killing your d00ds” (trad: sono nella tua base e sto ammazzando i tuoi) e viene usata quando, mentre un giocatore sta innocentemente organizzando le sue forze da qualche parte, un altro è riuscito a penetrare nel suo quartier generale e sta facendo una strage.
Questa frase è diventata popolare, un vero e proprio meme viaggiante, con il significato di “ti ho fregato e non te ne sei neanche accorto”.
Adesso guardate l’immagine qui sotto. È un poster stampato dal Dipartimento di Stato USA durante la prima fase della guerra in Iraq per convincere la gente a finanziare la guerra comprando titoli di stato emessi per questo scopo.

Upgrade (venuto in mente rileggendo): la differenza è che quello sopra è un gioco e quello sotto è reale…
Saddam-Bush

Analisi del discorso

Il blog Chir.ag ha analizzato più di 360 discorsi di presidenti USA (tutti, da Adams fino a GW) fabbricando per ognuno di essi una “tag cloud”, cioè una immagine in cui sono riportate le parole più utilizzate con dimensioni proporzionali alla loro frequenza nel discorso.
La trovate qui. È molto bella da vedere perché dà una indicazione istantanea su quali fossero i problemi maggiori al momento del discorso.
Se si guardano quelli di GW, si nota quanto segue:

  • nell’ultimo discorso di Clinton (2000), le parole chiave erano di tipo economico: sostenibile, rinforzare, bipartisan, investire, welfare
  • nel GW pre-attentato queste parole via via scompaiono e vengono sostituite da: fondi, guadagnare, debito, norma e commitment che significa sia incarcerazione che obbligo
  • immediatamente dopo l’attentato, tutte le parole sono piccole, il che significa che nessuna prevale decisamente sulle altre, come se chi parla non avesse un argomento principale. Un po’ di evidenza hanno, nel discorso del 20 settembre, bin (per bin laden), dolore, fondi e rafforzare e, 4 mesi dopo (gennaio 2002), campi, patria e regimi, ma, ripeto, senza una grande prevalenza
  • dal 2003 in poi, una sola parola campeggia enorme su tutto il resto: terrorist

DissCovers Radio Bagdad

Cover
Messo in linea da Rho-Xs, un buon disco contro la situazione attuale. Una serie di cover con testo più o meno cambiato da band più o meno note. Anche la copertina merita uno sguardo (cliccateci sopra).
Si scarica, tutto intero, da qui (119Mb), ma, come al solito, sbrigatevi, perché non l’ho messo io; l’ho solo trovato.
Att.ne: il formato è OGG, un formato aperto simile all’MP3. Non so se l’impuro Media-Player lo gestisce. In ogni caso, dentro lo zip che scaricate c’è un convertitore, ma comunque WinAmp ha un plugin.
E nel primo pezzo, c’è proprio lui, colui che ha dio dalla sua, il grande dittatore, che interpreta un mix fra Imagine e Take a Walk on the Wild Side. Appropriato. Eccolo:

Ed ecco la lista di brani e interpreti (fra parentesi il nuovo titolo)

    01 – GW.Bush – Imagine (Radio bagdad miX)
    02 – Petula Clark – Downtown (berlin uber bagdad)
    03 – Slimfast – Revolution (terror diet)
    04 – Psychic TV – Good Vibrations (shake the ground)
    05 – Bent – Dirty Mind (what else)
    06 – Nouvelle Vague – A Forest (get lost)
    07 – Yat Kha – Orgasmatron (deep throat)
    08 – Two Lone Swordsmen – Sexbeat (washington drums)
    09 – Hayseed Dixie – Walk This Way ( in the hole)
    10 – Scissor Sisters – Take me Out (stirred not shaken)
    11 – The Ridiculous Trio – No Fun (blow by blow)
    12 – No Talent Hack – Smells Like Teen Spirit (hellohello kraftwerk)
    13 – Nouvelle Vague – Too Drunk To Fuck (what luck)
    14 – Lemon Jelly – Come Down On Me (rock me hard)
    15 – t.A.T.u. – How Soon Is Now (too late)
    16 – Pat McDonald – Enjoy the Silence (say what )
    17 – Yat Kha – Love Will Tear Us Apart ( desertion blues)
    18 – Flunk – Blue Monday ( feels like teen spirit)
    19 – Ukelele Orchestra – Dy-Na–My-Tee (bumbs are us)
    20 – Lambeth Youth Steel Orch. – Sound of Silence (eerie)
    21 – Monthy Python – Sit On My Face (bagdad going down)

La genesi del rock satanico

Il Libro
Sono andato a fare qualche ricerca, nella mia biblioteca, sul preteso satanismo di Hotel California e mi è capitato in mano il libercolo capostipite dell’intera faccenda.
Ma voi sapete come è iniziata questa storia del satanismo nel rock?
Inizia nel 1983, con un libretto (meno di 100 pagg.) di un sacerdote canadese, tale Jean Paul Régimbal, che viene ristampato in Europa e in Italia nel 1987. Il titolo è bellissimo: IL ROCK’N’ROLL – Violenza alla coscienza per mezzo dei messaggi subliminali (nella versione originale c’era anche la cassetta audio, arrivata in Italia più tardi). La copertina, pure (in figura).
Me lo segnala qualcuno, forse Nicola. Lo compro subito e già nell’introduzione vengo folgorato dalla seguente geniale intuizione (cito)

Lo studio di 18 casi di suicidio avvenuti dal 1979 al 1980 nella regione di Montréal-Grandby-Québec, di giovani dai 15 ai 21 anni, ha dimostrato che

la sola costante reperibile in tutti questi casi era l’ascolto della musica rock (in corsivo e centrata nel testo)

Ma vi rendete conto? Alla fine dei ’70, era quasi impossibile trovare un ragazzo fra i 15 e i 21 che non ascoltasse rock. È come dire che, nell’esame di 18 casi di suicidio di americani fra i 30 e i 40 anni, la sola costante è che tutti possiedono l’automobile. Ergo, l’automobile è la causa del suicidio.
Il testo procede, poi, con una breve storia del rock dalle origini al rock satanico, costellata di perle come la seguente (a proposito dell’hard rock)

Ciò che distingue questa seconda ondata, è innanzitutto un perfezionamento del ritmo, l’intensità del volume e la furia frenetica degli strumenti a percussione.
Per quanto riguarda il ritmo, è stata fatta una intensa ricerca tra le tribù africane e gli ambienti del vodù (sic) […] Inoltre, allo scopo di condurre gli ascoltatori ad un godimento sessuale completo, è stato fatto un inventario di tutti i riti copulatori, degli incantesimi e degli scongiuri per riprodurre il più fedelmente il succedersi dei ritmi.

Magari l’hard rock avesse tale potere! Cambierei subito musica!
La cosa divertente è che, secondo l’autore, l’hard rock è una cospirazione costruita a tavolino per pervertire le giovani menti. Ora, che una musica in 4/4 in cui il levare serve solo per aspettare il battere possa spianare il cervello a qualcuno è anche possibile, ma la complessità dei ritmi africani e voodoo non è nemmeno sfiorata dall’hard rock, la cui regola, invece, è una pulsazione ritmica semplice e continua (e proprio per questo qualche volta è bello).
Altra perla:

L’intensità del suono è di 20 dB oltre il limite di tolleranza dell’orecchio umano

Idiozia immane. Basta guardare la tabellina nel mio corso di acustica. Casomai, sfiora la soglia del dolore, che non è la stessa cosa.
Potrei continuare con altri dati fino a smontare totalmente questa asserzione, ma non ne vale la pena, perché le cose più belle vengono dopo (dal punto di vista tecnico, il libro è pieno di idiozie immani, circa una ogni 2 pagine).
Quando arriva alla terza fase, il rock satanico, ne indica come artefici nientemeno che i Beatles del 1965, con il brano Norwegian Wood in Rubber Soul. La sordida cospirazione poi continua con Sgt Pepper’s, Magical Mistery Tour e finalmente con quello che lui chiama il Devil’s White Album a causa delle due Revolution (number one e nine).
A parte l’inversione storica (questi dischi vengono ben prima dell’hard rock), la cosa buffa è che per noi, a quel tempo, i Beatles erano bravi e raffinati, ma tutti casa e famiglia, tutt’altro che dei rivoluzionari. Poi, infatti, il nostro se la prende con gli Stones e tanti altri (dai Black Sabbath ai KISS), ma qui è fin troppo facile.
E proprio da questo libro, inizia la moda di inserire i messaggi al contrario.
A proposito, qui, credo, nasce anche la leggenda secondo la quale il nome KISS significa Kings In Satan’s Service.

Comunque, alla fine ho trovato il capitolo su Hotel California. In breve, sostiene che la canzone è consacrata interamente alla chiesa di satana di Anton La Vey (l’ispiratore di Manson) e che il testo è una allegoria della vendita dell’anima a satana in cambio di piacere, ricchezza, etc (noi lo interpretavamo come un’allegoria dell’esperienza psichedelica).
Ma c’è anche un testo lungo un’intera pagina che è ciò che si sentirebbe ascoltando la canzone al contrario. Inutile dire che ho provato e non ho sentito nulla.
D’altra parte, una cosa del genere, con un palindromo così lungo, è più difficile che scrivere l’arte della fuga. Pensate che uno dei più lunghi palindromi conosciuti è

    in girum imus nocte et consumimur igni

Agli occhi di qualcuno, già la citazione di questo verso mi qualifica come satanista.
Se volete approfondire la cosa, cercate su Google il centro culturale san giorgio (mi rifiuto di mettere un link per non regalargli punti in google).

L’Universo non è user friendly anche se lo sembra

kakophone

Signore e signori, vi presento il Kakophone.
Questo divertente sintetizzatore virtuale genera una quantità infinita di suonerie personalizzate in diversi stili. Poi ve le manda al vostro indirizzo email. Tutto gratis. In cambio vi chiede solo di iscrivervi a una newsletter, verosimilmente pubblicitaria, che poi potete annullare.
L’oggetto è effettivamente molto simpatico. Fa un sacco di rumorini graziosi. Immagino che torme di ragazzini si siano immediatamente fiondati sul sito. Provatelo anche voi. Però, prima, seguite questo ragionamento.

Dunque, per prima cosa il kakophone vi chiede il vostro numero telefonico che appare sotto forma di bar-code nell’immagine (sulla destra sotto alla freccia; 789… non è il mio). Il numero serve come base per un generatore di numeri casuali ed è quello che assicura che una suoneria non possa essere duplicata. Dal punto di vista informatico è corretto. Ovviamente potete dare un numero qualsiasi, ma di solito non ci si pensa. Anch’io ho dato il mio.
Poi voi giocherellate con l’oggetto. Generate un po’ di suonerie e ne scegliete una. A questo punto il programma te la deve inviare come file perché tu possa caricarla nel telefono e ti chiede nazionalità, marca e modello del telefono e email.
E qui mi sono bloccato. Perché, così facendo, il sito conosce e associa

  • la mia nazionalità
  • il mio numero di telefono
  • la mia email
  • marca e modello del mio telefono

Non male. Vi rendete conto? Va bene che non può esserne sicuro e io sono tendenzialmente paranoico, ma le vie di internet sono infinite…

L’Universo non è user-friendly ma a volte fa ridere

Che cosa si scrive di solito su un documento quando non si vuole venga diffuso?
Per esempio “confidential”, oppure “not for distribution”, o ancora “not for public release”. In italiano, “strettamente confidenziale” o cose del genere.
E dove si usano documenti di questo tipo? Nelle aziende, nelle organizzazioni e in posti del genere. E ovviamente, perché sia accessibile agli interni, si piazza in una apposita cartella sulla intranet aziendale. E come al solito l’idiota di turno dimentica che in quella cartella ci arrivano anche i robots, come quello di Google.
Adesso cercate le frasi di cui sopra in Google e divertitevi a spulciare fra le decine di migliaia di documenti che saltano fuori. Ovviamente non tutto quello che trovate è un documento confidenziale; ci sono anche pagine che contengono le suddette frasi per caso (come questo post), ma in ogni caso, sembra proprio che molte aziende si divertano a spiattellare i propri verbali in faccia a cani e porci.
I risultati migliori li ho ottenuti con questa ricerca. Se poi si limita il tipo di file a pdf va ancora meglio.
Adesso provate anche ad aggiungere il nome di una specifica azienda…

Il CD è morto, dice la EMI

Il presidente della EMI, Alain Levy, parlando alla London Business School, ha affermato che ormai il CD è morto e che in breve le compagnie non saranno più in grado di venderlo, se non offrendo del non meglio specificato “materiale aggiunto” (fonte della notizia: Market Watch).
Levy ha affermato che il 60% dei consumatori acquista il CD solo per scaricarne il contenuto sui computer e sui lettori portatili. Ciò nonostante, ha continuato, non sarete costretti a regalare un iPod a vostra suocera. Dovremo rendere il CD più attraente come contenuto fisico.

Attualmente, però, le statistiche di vendita danno ancora il CD in vantaggio di 7 a 1 (70% contro 11%) e non sembra che le major si stiano dando molto da fare per passare alla vendita in formato digitale. Quindi possiamo solo immaginare che i CD si trasformeranno in cofanetti con dentro gadgets di tutti i tipi, il che dimostra anche che le major, pur di mantenerli, sono disposte a limare ulteriormente i loro profitti.
Tutto ciò, in pratica, è una ammissione del fatto che il mercato è cambiato, ma le aziende non sono ancora pronte.

Non impareranno mai…

Un po’ di tempo fa (prima delle elezioni) mi arriva una mail dalla locale sezione dei DS con dentro un manifestino che mi invita a un dibattito.
Il manifestino è un .doc redatto in Word. Io giro su Linux. Ho anche un computer windoze, ma non ho Office. Non un solo byte del mio sito è stato contaminato da programmi micro$oft.
È vero che ho Open Office, ma, dato che ho anche questa tara che mi spinge a spiegare le cose (sono uno che è arrivato a scrivere al sindaco per protestare perhé sul sito del comune c’era un .doc), mi prendo la briga di rispondere ai DS consigliandoli di non usare un formato proprietario o almeno di scegliere formati magari proprietari, ma visibili con programmi gratuiti tipo rtf o pdf.
Mi rispondono dicendomi che è vero, che è giusto e mi rimandano il manifestino in pdf. Fantastico.
Ci credete voi? Quello è stato un caso unico. Tutti i messaggi successivi, fino all’ultimo di ieri, sono tornati in .doc.
Ma è mai possibile che, in un partito grosso come i DS non ci sia qualcuno che capisca queste banalità?

Go on, kiddo!

Questa è grande! ROTFL (rolling on the floor laughing).
È una lettera a una rubrica di consigli (Ask Amy) di un giornale locale USA, segnalata da The Well Tempered Blog.
Ve la traduco.

Cara Amy:
Mio cugino undicenne è un musicista dilettante, ma la sua “musica” consiste nel martellare il piano il più forte possibile per ore.
(non è disabile o autistico, solo un ragazzino medio)

Il suo modo di suonare il piano diventa un problema quando lui e i suoi vengono alle riunioni di famiglia a casa dei miei genitori. Per tutto il tempo in cui la sua famiglia è da noi, lui martella sul nostro piano, persino durante il pranzo di Natale o del Giorno del Ringraziamento.
È veramente antipatico e rovina quella che dovrebbe essere una piacevole giornata in famiglia.

I suoi genitori sembrano pensare che le sue pagliacciate musicali indichino che ha “talento”, di conseguenza non fanno niente per limitarlo, nemmeno quando vanno a casa degli altri. In effetti, spesso siedono accanto al piano e lo ascoltano in adorazione. Prenderebbero come un insulto qualsiasi richiesta di farlo smettere, anche solo per un po’.

Con delicatezza abbiamo suggerito di mandarlo a lezione di musica per migliorare il suo stile, ma i suoi genitori pensano che le lezioni “soffochino la sua creatività” e lo spingano a “perdere interesse per la sua arte.”
Adesso che si avvicina il Giorno del Ringraziamento, mia madre ed io stiamo cercando un modo appropriato di trattare il problema, ma ormai siamo alla frutta.

E si firma:

The Piano Police.

Fotocamere user friendly

Immagine
Questo grazioso cagnolino che azzanna per gioco il padrone, che per la sua stupidità meriterebbe di essere divorato in un solo boccone, ci aiuterà a vedere un altro “incidente”, meno comune ma quasi più grave di quello del post precedente, a cui vanno incontro gli sprovveduti che si aggirano nelle terre di internet senza sapere dove mettere i piedi.
Io qui ho messo solo questa foto in cui il padrone non è riconoscibile, ma ne ho viste anche molte altre in cui varie persone sono perfettamente visibili. Ne ho viste anche di altro tipo: scherzi in ufficio, cene aziendali, giochi con amici, ma anche di meno innocue e sono sicuro che in molti casi i protagonisti si incazzerebbero moltissimo sapendo che le loro foto sono andate in mano a cani e porci.
Perché, come nel caso precedente, loro non sanno che le ho viste e che chiunque le può vedere.

Ormai quasi tutte le foto sono digitali e anche la bestia in figura è stata immortalata con una fotocamera digitale. Le foto, poi, sono state scaricate su un computer e le fotocamere digitali sono user friendly. Basta collegarle via USB e infilare il solito CD-ROM che installa un programma per scaricare e gestire le foto.
Ora, la maggior parte delle fotocamere digitali aderisce a uno standard inventato per facilitare la vita ai software di gestione e anche all’utente. Lo standard consiste nel creare una cartella il cui nome è DCIM in cui vengono create altre cartelle per le varie fotocamere. Così all’interno della cartella DCIM avremo, per esempio, una cartella CASIO, oppure CANON, etc con davanti un numero progressivo per dividere i vari scaricamenti (102CANON, 103CANON, 104CANON, etc). Qui finiscono le foto, tipicamente in formato jpeg e anche i filmati, di solito in formato avi.

Fin qui tutto bene. Se la cartella DCIM è sul vostro computer personale o anche su un server internet ma fuori dallo spazio web. Ma se, per qualche ragione, finisce all’interno dello spazio web e il solito amministratore idiota dimentica di fermare gli spider dei motori di ricerca, Google in primis, ecco che le cartelle e tutte le foto vengono indicizzate e sono disponibili a chiunque sia in grado di cercarle.
Ma perché questa cartella dovrebbe finire nello spazio web di un server? Le ragioni sono molte: perché gli amici possano vedere da casa le foto della partita di ieri e scaricarsele, per esempio.

Cercarle, peraltro, è facilissimo. Potete provare anche voi. Basta inserire in Google la stringa di ricerca index.of.dcim (index punto of punto dcim senza spazi). Salteranno fuori una cinquantina di links, pochi perché questo incidente non è molto comune e alcuni di questi non sono cartelle di foto, ma solo articoli come questo.
Se però, dopo aver cliccato sul link vi appare una paginetta bianca che ha come titolo “Index of /DCIM” e sotto due link che dicono “Parent directory” e “DCIM”, siete nel posto giusto. Cliccate DCIM e troverete una pagina simile con link tipo 100CASIO o 102CANON o ancora 101FUJI, etc.
Cliccate su uno di questi e vedrete i nomi delle immagini. Basta cliccare ognuno di questi ultimi per vedere la foto nel browser.
Complimenti. Siete sulla buona strada per diventare un provetto voyeur.

L’Universo non è user-friendly

L’universo non è user friendly, ovvero su internet una cosa che sembra banalissima può avere effetti collaterali spiacevoli o, come minimo, non previsti.
Generalmente non ci si pensa, ma entrare in internet è come andare in un paese straniero, con le sue usanze, le sue leggi, le sue consuetudini e i suoi abitanti. C’è gente che su internet ci vive. C’è qualcun altro, come il sottoscritto, che magari non ci vive, ma lo conosce molto bene (in realtà, in questo periodo, praticamente ci vivo anch’io). C’è qualcuno che lo abita a tempo parziale, per esempio per affari, e poi ci sono i turisti, la maggior parte di voi.
Ora, quando fate i turisti, anche quando viaggiate in un gruppo organizzato, qualche precauzione la prendete. Se, poi, viaggiate da soli, dovete anche stare un po’ attenti a come vi comportate e a dove ficcate il naso. Se entrate in un quartiere malfamato ben vestiti, con il Rolex al polso e la videocamera al collo, non solo sarete rapinati e magari anche pestati o peggio, ma oltretutto, quando la polizia vi verrà a ripescare, ve ne dirà quattro.
Però a volte potete anche stare attenti, ma inciampate in una qualche usanza locale di cui non siete a conoscenza e fate una pessima figura perdendo stima e amicizie. Per esempio, ci sono paesi in cui soffiarsi il naso in pubblico, soprattutto al chiuso, è considerato segno di maleducazione, più o meno come sputare per terra. Si va in bagno a farlo.
Ci sono, invece, altri paesi in cui sputare per terra, in strada, è normale e lo fanno anche le ragazzine di 15 anni, oppure ruttare sonoramente dopo il pranzo è un apprezzamento per la cucina del padrone di casa.
Ecco, internet ha le sue usanze e regole e spesso, se qualcuno non sa o non pensa a quello che fa, incappa in qualche disavventura. Qualche esempio.
Nota: questi esempi non sono nuovi. Non sto suggerendo nessun nuovo “hack” e proprio il fatto che siano ampiamente noti alla comunità degli “smanettoni” ma ignorati dalla massa comprova quanto dico.

WebcamAdesso guardate l’immagine qui a sinistra. È una stanza in un ufficio in america. L’immagine viene da una webcam e nella pagina originale, si aggiorna ogni 5 secondi. È grande 4 volte questa, quindi si vede tutto molto bene. Il signore in fondo sta armeggiando con la stampante. È entrato 30 secondi fa, magari per aggiungere carta. Forse tra un po’ se ne andrà, o forse si siederà al computer. Il problema è che lui non sa che io lo sto guardando.

Forse sa della webcam o forse no. Se lo sa, sa anche che il suo capo o qualcuno della sorveglianza tiene d’occhio quella stanza, ma non immagina che io lo sto guardando. Perché questa non è una di quelle webcam messe lì per pubblicità che tutti possono vedere. Questa è, o dovrebbe essere, una telecamera di sorveglianza ad uso interno. Ci si accede via internet, così si può tenere d’occhio la situazione anche da lontano, ma, quasi certamente, non è previsto che sia vista da terzi.
Invece io la vedo. Nello stesso modo potrei mostrarvi migliaia di altre situazioni: un porticciolo alle Bahamas (invidia!), una lavanderia in Giappone, l’interno di un grande magazzino, un autosalone negli USA, un laboratorio in Svizzera, il cane di un/una giapponese, magari, se cerco a lungo, anche il bambino di qualcun altro. Tutte webcam di sorveglianza.
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Un mondo peggiore

Di solito non parlo di politica qui, ma dopo le ultime leggi firmate da Bush che annullano i capisaldi della civiltà giuridica occidentale in USA, la prima, e decretano de facto la militarizzazione dello spazio, la seconda, sono troppo incazzato.
Il mondo è un luogo decisamente peggiore da quando l’amministrazione americana è in mano a quest’uomo e alla sua gang (o meglio, a questa gang e al suo burattino).

Att.ne: i filmati sono due. Il secondo è il famoso Sunday Bloody Sunday. È troppo bello, non ho resistito. Il primo è un rap carino. Nota: DRAFT è la coscrizione obbligatoria.

Una risposta da Boosey & Hawkes

Come forse avrete già visto, c’è stata una risposta da parte di Boosey & Hawkes, il che prova la serietà dell’azienda e di Mr Boon. Credetemi, sono molto pochi quelli che si prendono la briga di rispondere a un cliente qualsiasi.
Questa è la mia ulteriore risposta. La tradurrò in italiano appena avrò tempo. Nel frattempo beccatevi il mio rozzo inglese.

Hi Nigel,
thank you vm for your kind reply. I think it’s a great attestation of B&H (and yours) reliability. As far as I know it’s not usual for a corporation to reply to a mail from a not important customer.
You also make me win a fish dinner. People here was betting on (or against) your reply, and I won. If you’ll come here in Verona (Italy), please let me know.

Ok. I understand your point of view, but let me better explain mine. If you think I’m obsessive, please, throw away this mail and cut the line. I will not insist and the invitation to Verona will be always valid.
But if you are so kind to read my mail (and if you can tolerate my rough english), here is a customer’s feedback.

I am an electronic music teacher in Conservatorium, here in Italy. Sometimes I also act as advisor for the Chamber Music course. My deal is to find contemporary chamber music works to be played by the students. The pieces must fit the students level (a little hard for their level but not so much to be impossible).
I always try to suggest new works by not-so-famous living composers in addition to the historical ones (Berio, Boulez, Stockhausen, etc). I also prefer music with instrumental and electronic parts. Last year we played Crumb’s Vox Balenae (amplified trio); the previous year, Winter Fragments, a Murail’s work for quintet and electronics (unfortunately both not B&H).

Now let’s see how it’s difficult to find something to buy on B&H site with the current non-disclosure system (take it easy, the other publisher’s sites are not better).

I go to the BH site and select Contemporary music.
OK, try the first: Michael van der Aa. He is young and has a funny name (Aa could be the lament by the students looking at a difficult part to play).
Currently I know nothing about him, so I click his name and read the snapshot.
Good. I found the “Here trilogy”. Chamber music. I click the Here trilogy and read. The whole trilogy is too long, but we maybe could play a single part.
I read the program notes, then the press quotes (very good) and then… Rental.
RENT WHAT!? I heard nothing and never seen a single score page!
I click Details to find I have to go in Trento or Venice to find a dealer.
I click Rental trying to discover the price. What? I have to register to continue? So I will be oppressed by your advertisements for the rest of my life? No thanks.
OK. Go back to the main page. Look around searching for the magic words “score or sound samples”. Wow! I found it! Sound samples! Now all my doubt will be cleared! Click!
One sample. Duration: 01 mins 05 secs. For orchestra. Ok, listen. Seems good. Now I really know Michael var der Aa’s music. Now I can go to my Chamber music colleague announcing “this year’s contemporary composer is this man. Don’t you know him? Oh unlucky man! Go to the B&H site….”.
Sorry. Sometimes I go too far.
Then I found the link to the composer home site. Here I found some 2 minutes excerpts. I feel better.

But now I am surfing the Jeffrey Cotton’s site (see following post), listening to his compositions while looking at a PDF score.
OK, I know you can’t do it because the music is not yours and you want to sell scores but it so difficult to show PART of the score? What could I do with the 50% of a score? (or 25%, or selected parts, or the odd pages only). I only can understand if I like that music, how difficult it is, how much work we need to play it and so on. Maybe this year composer will be Jeffrey Cotton…

But tell me: if no one can see any pages of your score over the internet, do you think you will sell more?

(My apologies to Mr. van der Aa for using his name in this mail. It is only a example. Could be everyone. He is only the first in your list.)

Regards and auguri from Verona

Post-modernismo

Tanto per parlare dei cosiddetti “barbari” (quelli di Baricco su Repubblica), beccatevi questa tabella di opposizioni stilistiche allo scopo di identificare i modi attraverso i quali il postmodernismo si sarebbe posto come reazione al modernismo delle avanguardie artistico-letterarie del Novecento. Redatta da Ihab Hassan in Pluralism in Postmodern Perspective, in Critical Inquiry, 12, n. 3, 1986.
Decidendo da che parte vi riconoscete, per ogni riga, potreste calcolare il vostro tasso di post-modernismo.
Anzi, facciamo un calcolo un po’ brutale. Le righe sono 30, quindi basta contare le righe in cui vi piazzate nella colonna del post-moderno, dividere per 30 e moltiplicare per 100, per sapere il vostro tasso di post-modernismo espresso in percentuale.
C’è anche un sistema più raffinato, ma sarebbe un po’ complicato. Potrei scrivere un programmino…

Modernismo Postmodernismo
Romanticismo / Simbolismo Patafisica / Dadaismo
Forma (chiusa, congiuntiva) Antiforma (aperta, disgiuntiva)
Scopo Gioco
Disegno Caso
Gerarchia Anarchia
Mestria / Logos Esaurimento / Silenzio
Oggetto d’arte / Opera finita Processo / Performance / Happening
Distanza Partecipazione
Creazione / Totalizzazione Decreazione / Decostruzione
Sintesi Antitesi
Presenza Assenza
Accentramento Dispersione
Genere / Confine Testo / Intertesto
Paradigma Sintagma
Ipotassi Paratassi
Metafora Metonimia
Selezione Combinazione
Radice / Profondità Rizoma / Superficie
Interpretazione / Leggere Disinterpretare
Significato Significante
Lisible (Leggibile) Scriptible (Scrivibile)
Narrativo Antinarrativo
Dio Padre Lo Spirito Santo
Sintomo Desiderio
Fallico / Genitale Androgino / Polimorfo
Paranoia Schizofrenia
Origine / Causa Differenza — Differanza / Traccia
Metafisica Ironia
Determinazione Indeterminazione
Trascendenza Immanenza

Arriva in Italia lulu.com

Bob Young
Questo signore, che siede su una sedia fatta di libri davanti a una scrivania fatta di libri, è Bob Young, già fondatore di Red Hat, uno dei più importanti rivenditori/distributori di Linux.
Da qualche anno Bob Young ha fondato lulu.com che è il sito su cui chiunque può vendere le proprie opere letterarie, musicali o cinematografiche sia come file, che in versione stampata su carta o incisa su CD/DVD, fissandone anche il prezzo. Da ottobre, lulu.com arriva anche in Italia e in altri 4 paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi).
A fronte di questo servizio, lulu.com trattiene solo il 20% del prezzo più le spese di stampa/incisione se necessario.

Facciamo qualche esempio: se io volessi vendere un libro in formato digitale, dovrei solo registrarmi, inviare il file già impaginato (per es. in pdf) e stabilire il mio prezzo che supponiamo sia € 8. Il file sarà messo in vendita a € 10, di cui 8 a me e 2 (il 20%) a lulu.com.
Se invece volessi venderlo in versione stampata, il prezzo sarebbe sempre € 10 più le spese di stampa che sono facilmente cacolabili sul sito in base al tipo di copertina scelta (morbida o rigida) e il numero e il tipo di pagine (con figure a colori o in b/n). Esempio: le spese di stampa di un tipico testo di 100 pagg. con copertina morbida a colori e pagine b/n ammontano a € 5.65. Mantenendo gli € 8 all’autore e i conseguenti 2 di percentuale lulu, il prezzo finale sarà di € 15.65.
Può sembrare tanto, ma considerate che € 8 all’autore su 15 di prezzo finale sono tantissimi: nell’editoria normale l’autore ne vede max 1. Abbassando le pretese dell’autore, per es. a € 4, il prezzo finale diventa € 10.65.
In modo analogo si calcolano i prezzi per la musica, sia come file, che come CD (l’imballaggio del CD, scatola, fronte, retro, stampa, costa € 4.43, per copia singola, ma cala fino a € 3.62 oltre le 10 copie).
Le spese di spedizione sono a carico dell’acquirente.
Naturalmente è possibile vendere anche partiture.

La seconda domanda che tutti si faranno riguarda le modalità di pagamento dell’autore. Ci sono due casi. Se l’autore ha un account PayPal, il pagamento avviene ogni mese a patto che la cifra spettante sia almeno $5, altrimenti si attende fino all’accumulo di $5. Considerate che PayPal si tiene circa il 3/4% su piccoli importi. Altrimenti, tramite assegno che viene emesso trimestralmente per un valore di almeno $20.

Tirando le somme, vedo lati positivi, negativi e ignoti.
I lati positivi sono che, in un colpo solo, tutti gli intermediari vengono saltati e questa è una gran cosa. Forse gli editori dovrebbero cominciare a porsi qualche domanda. Negli USA lulu vende più di 30.000 libri al mese e cresce al ritmo del 19%. Il suo modello di stampa on-demand (il libro/disco viene stampato solo quando qualcuno lo ordina) è una rivoluzione per l’editoria.
Dal punto di vista dell’autore, un problema è quello della visibilità. Con 1500 nuovi titoli alla settimana, farsi vedere è difficile. D’altra parte, prima, a meno di non essere spinto in modo megagalattico da un editore per chissà quale ragione, essere visto sarebbe stato altrettanto difficile.
Ovviamente, non bisogna pensare che basti mettere un libro/disco su lulu per vendere. Non è il punto di arrivo, è solo l’inizio.
Un altro problema a cui pochi, credo. hanno pensato, potrebbe essere un calo del materiale di dominio pubblico. Essendo così facile, potrebbe scattare la sindrome del “perché non guadagnarci qualcosa?” e molte cose attualmente libere potrebbero passare in lulu a un prezzo magari irrisorio, ma non più free. Vedremo.
Infine l’ignoto. La burocrazia italiana. Come la mettiamo con il fisco e il bollino SIAE?

A Boosey&Hawkes, agli Editori e alle Major del disco

Signori, siete dei derelitti.
Perfino la fruttivendola (con tutto il rispetto) giù all’angolo sa gestire le relazioni con i clienti meglio di voi.
Questo è quanto mi passa per la testa dopo aver visto come si è comportato Boosey & Hawkes in occasione dei 70 anni di Steve Reich (post seguente), ma indubbiamente vale per tutti voi.

Per celebrare l’evento, avete aggiunto al vostro sito una pagina con una animazione, che porta alla vostra pagina su Reich, che esisteva già, in cui tutto il materiale liberamente scaricabile è costituito da una decina di estratti da 1 minuto ciascuno e tre foto (le altre sono a pagamento).
I vari link, poi, guidano all’acquisto di partiture, foto, suonerie per cellulari.
In verità, uno sforzo lo avete fatto e non proprio banale: avete organizzato manifestazioni e concerti in varie città, fra cui Londra, New York, Los Angeles.

Non avete capito niente.

Non avete capito che sarebbe bastato mettere insieme un po’ di pezzi rappresentativi del lavoro di Reich, un video, allegare qualche pagina di commento critico con discografia, un po’ di belle foto, 5 suonerie, una partitura magari facile, impacchettare il tutto in un file liberamente scaricabile e regalarlo (sì, regalarlo, conoscete il significato di questa parola? se non lo sapete, sicuramente conoscete il termine “investimento promozionale” che non è nemmeno un costo perché detraibile) lasciando che la gente lo scarichi, mettendolo sulle reti P2P, regalando i singoli brani via iTunes, per far ascoltare la musica di Reich a un numero di persone impressionante, immensamente superiore a quelle raggiungibili con 10 concerti a Londra, Parigi, New York, senza contare che il 90% di quelli che vengono a tali concerti (che non credo siano gratuiti), i dischi di Steve Reich li hanno già.
Così, via internet, P2P, iTunes avreste raggiunto decine di milioni di persone, una sia pur piccola percentuale delle quali, una volta aperto il pacchetto, avrebbe detto “bello, che altri dischi ha fatto?”.
Avreste potuto raggiungere tutti, le grandi città lontane (ma come, non avete organizzato concerti a Tokyo, Singapore, Hong Kong, Delhi? e a Pechino?) e le piccole città vicine e lontane (non c’è un concerto a Verona? e a Gand? e nel Vermont?). Bastava un po’ di battage su internet per far passare la notizia su tutti i blog e questo pacchetto avrebbe continuato a girare per mesi, facendo sapere a tutti che questa musica esiste.

Signori, siete dei derelitti.

Un problema di deciBel?

Recentemente è apparsa una lettera aperta di un executive dell’industria musicale che ha sollevato un caso. Questo signore, tale Angelo Montrone, è il vice presidente del dipartimento A&R (Artists & Repertoire) della One Haven Music, che fa parte della Sony.
In breve, lui lamenta l’eccesso di compressione e di riempimento, con conseguente incremento di volume, nelle incisioni attuali, rispetto, per es., a quelle degli anni ’80. Il tutto condurrebbe a un eccessivo affaticamento dell’orecchio, che comporterebbe una prematura sensazione di stanchezza degli ascoltatori.
Cito un estratto:

There’s something . . . sinister in audio that is causing our listeners fatigue and even pain while trying to enjoy their favorite music. It has been propagated by A&R departments for the last eight years: The complete abuse of compression in mastering (forced on the mastering engineers against their will and better judgment).

Fra le altre prove, porta due incisioni dello stesso gruppo, Los Lonely Boys, a vari anni di distanza. Ascoltate i Lonely Boys vari anni fa e oggi. Notate che effettivamente le canzoni sono simili, ma l’arrangiamento attuale è molto più pieno e il livello medio è più alto.

La cosa mi ha incuriosito perché anch’io a volte ho questa sensazione.
Ci sono due modi di misurare l’ampiezza di un suono (quello che viene generalmente chiamato volume): l’ampiezza di picco e l’ampiezza RMS.
Il primo misura l’ampiezza istantanea dei picchi, cioè i punti con il volume più alto che però hanno durata minima. Fisiologicamente il dato è importante perché sono proprio i picchi improvvisi molto alti che possono provocare danni al timpano (il meccanismo difensivo del timpano, infatti, impiega circa 1/10 di secondo per entrare in azione).
Il secondo, invece, è una media che ha senso su lunghe durate (anche 1 minuto o più). Dal punto di vista fisiologico, un alto livello di ampiezza RMS affatica il sistema uditivo. Chiaramente è quest’ultimo che viene tirato in ballo da Mr. Montrone.
Trattandosi di CD, cioè di cose che non hanno un volume assoluto perché dipendono dall’amplificazione, tutte le misurazioni si fanno rispetto rispetto al massimo teorico del CD, che è uguale per tutti i dischi ed è la massima ampiezza possibile usando 16 bit, lo standard del CD audio.
Di conseguenza, si misura la distanza dal massimo possibile, definito come 0 dB. Si guarda, cioè, quanto l’incisione ha saturato l’ampiezza disponibile e per quanto tempo.

A questo punto, sono partite le misurazioni. Si è scoperto che, nella seconda metà degli ’80, l’ampiezza media (RMS) dei dischi di pop music era intorno ai -15 dB, cioè 15 deciBel sotto il massimo possibile. Attualmente, invece, la media si è alzata a valori he vanno da -12 a -9 dB, cioè l’incisione è molto più saturata (pensate che una differenza di 6 dB equivale al doppio).
Le mie misurazioni confermano questa tendenza. Bisogna considerare che io non ho molti dischi recenti e che in ogni caso i miei gusti sono un po’ particolari. Le cose più normali che ho sono i King Crimson o Peter Gabriel, mentre servirebbero dischi da top 10.
Comunque, posso aggiungere che, se effettivamente i dischi dei tardi anni ’80 sono incisi a circa -15 dB di media, nei primi ’80 eravamo a circa -19 e negli anni ’70 (rimasterizzati) a -22 dB.
La corsa al rialzo, quindi, non è solo recente, ma esiste da sempre.

Cos’è, è semplice dirlo. Si tratta del modo di comprimere. In pratica l’incisione viene prima compressa, riducendo le differenze fra i piano e i forte, poi la media viene alzata per occupare la parte superiore del range di ampiezza. Adesso, con la registrazione a 24/32 bit, si può fare ancora meglio.
In tal modo, il brano suona più forte, più grintoso, ma anche più piatto, con meno differenze dinamiche.
È più difficile, invece, capire perché sia nata questa mania. Non dipende solo da un mutamento di genere. Stiamo parlando delle top 10, non del punk.
Sembra dipendere, più che altro, dal modo di fruire la musica. Oggi si ascolta in un modo diverso da 20/30 anni fa. In macchina, in treno, mentre si corre, dal computer, etc. E così la musica deve competere con altri suoni. Forse.

Le perversioni del copyright (3)

Non contenta di essersi attirata l’odio dei consumatori di cd, l’industria discografica sta ora cercando di alienarsi definitivamente anche i chitarristi dilettanti. Con la solita minaccia di una causa interminabile e costosa, ha fatto chiudere Olga.net (Online Guitar Archive), un sito che ospitava 34.000 intavolature per chitarra ed era visitato da circa 1.900.000 utenti al mese.
La ragione addotta è la solita: secondo gli editori, l’intavolatura equivale alla partitura e quindi il sito produceva loro un danno in termini di mancata vendita.
Ma, maledizione, stiamo parlando di canzoni e qui facciamo due considerazioni.
La prima è operativa. Nella pop music, le intavolature servono principalmente a chi non sa leggere la musica e non è nemmeno in grado di “tirare giù” a orecchio la parte di chitarra dal disco. Ne consegue che la maggior parte degli utenti che andavano su Olga, non avrebbe mai comperato la partitura, che per loro è una accozzaglia di cacche di mosca completamente inutili.
La seconda considerazione è molto più importante perché riguarda il nostro diritto di condividere la cultura. Se una canzone è cultura, un certo diritto di condivisione deve essere assicurato. Una società sta in piedi solo perché i suoi membri condividono e confrontano le loro esperienze culturali e in tal modo si costruisce una base di convivenza e comprensione.
Se, per ipotesi, i miei vicini fossero un cileno, un arabo, un cinese e uno del Mali, potremmo anche rispettarci e scambiare ogni tanto due parole sul tempo, ma non saremmo mai un gruppo socialmente integrato né tantomeno amici. Amici lo si diventa con la frequentazione e la frequentazione è favorita da cose come l’ascoltare o il fare musica/teatro/danza insieme, giocare a qualcosa, prestarsi film o libri. In pratica, è lo sviluppo di attività culturali comuni in cui ciascuno dà e prende qualcosa dagli altri che crea un tessuto sociale.
Quindi, in ultima analisi, qualsiasi limitazione di tale condivisione crea un danno sociale non banale. Se per fare una festa, invitare i miei vicini e suonare qualcosa insieme a loro devo fare delle carte bollate e pagare la SIAE, non la farò mai. E così sarà andata persa una occasione.
Ora, so già che questi mi diranno: ok, i tuoi vicini sono al massimo 20 persone, ma qui si parla di 1.900.000 utenti al mese.
Allora, primo (vedi sopra), sono utenti che non facevano parte del tuo mercato.
Secondo, questo è internet. Vogliamo internet o non lo vogliamo? Nota che internet ti dà modo di allargare a dismisura il tuo mercato, azzerare i costi di supporto, stampa e distribuzione, cioè almeno il 30% del costo del prodotto, perciò potrai vendere a prezzo più basso, quindi di più e con un margine di guadagno superiore.
Terzo, mettetevi in mente che il vostro modello di business è radicalmente cambiato e voi non controllate più il mercato, come potevate fare prima. Oggi chiunque può registrare un disco e promuoverlo sulla rete. Se finora solo raramente è stato fatto, è solo questione di tempo. In realtà, voi potete cambiare o morire, questo è il vostro destino e anche costruire un internet blindata con il trusted computer (TCG e TCPA) e il DRM non servirà perché i produttori di musica impareranno a fare senza di voi. Potete riciclarvi in molti modi: agenzie di pubblicità, consulenza artistica, consulenza organizzativa…
Avete mai sentito quella storiella sui due produttori di finimenti per cavalli che guardano la strana invenzione di un tale Ford?. Uno, in un momento di preveggenza, dice all’altro “Questa automobile ci farà fuori” e l’altro fa “Ma no, sei pazzo. Non va sui prati, non scala le colline, ha bisogno di questa roba puzzolente, benzina, e poi funziona solo sui sentieri piatti…”
Adesso gli eredi di quello preveggente fabbricano sedili per auto, l’altro è sparito.

Cultura Libera

Cultura Libera

I contenuti di questo blog, come la musica e gli scritti che si trovano sul mio sito, sono distribuiti secondo la licenza Creative Commons che trovate in fondo alla barra laterale.
L’inventore di questo tipo di licenze è Lawrence Lessig, professore alla Stanford Law School e fondatore dello Stanford Center for Internet and Society.
Dal sito Copyleft-Italia è possibile scaricare liberamente uno dei testi fondamentali di Lessig, “Free Culture”, ovviamente distribuito con licenza Creative Commens, opportunamente tradotto in italiano come “Cultura Libera” (per chi non si accontentasse del file pdf e volesse il volume, Apogeo lo vende a € 15).
In un momento in cui gli spazi di condivisione della cultura si assottigliano sempre di più a favore di lobbies che gestiscono un diritto in modo sempre più arrogante, distruggendo qualsiasi tipo di “fair use”, la diffusione di queste idee e la consapevolezza del problema sono sempre più importanti.
Per fare un esempio recente, l’edizione di Bari di Repubblica riporta la seguente eroica azione di un funzionario SIAE:

La Siae ha fatto una multa di 205 euro a 14 bambini di Chernobyl per violazione del diritto d´autore. I piccoli, di età compresa tra i 7 e 12 anni, avevano preparato un piccolo spettacolo per dire grazie alle famiglie da cui erano stati ospitati. Con una canzone in bielorusso. Le piccole casse di un computer portatile diffondevano una canzone popolare. E loro, sulla base musicale, avevano iniziato a cantare le prime strofe per salutare le persone che si erano prese cura di loro per quasi un mese.
[tutti particolari qui]

Il problema è che la SIAE non è cattiva, è solo stupida. Sono le leggi che devono cambiare.
Quindi, intanto scaricate Cultura Libera da qui. È legale e non costa niente. Non è pesante. Lessig racconta un bel po’ di storielle istruttive ma anche divertenti: di come l’invenzione dell’aereo cambiò l’estensione della proprietà dei terreni, a come la RCA, per puro amore del profitto, soffocò l’invenzione della radio FM (brevettata, pensate un po’, nel 1933; a quando risalgono i vostri primi ricordi di radio FM?).

Musica classica informale?

Sul blog di Eric Edberg, violoncellista classico e improvvisatore, trovo questa riflessione:

Avete mai pensato che i concerti classici siano troppo formali e abbiano regole troppo intimidatorie?
Una delle ragioni del fatto che il pubblico della musica classica diventa sempre più vecchio e limitato non può essere un ambiente noioso e presuntuoso che guarda male i nuovi arrivati se solo osano fare qualcosa di naturale come applaudire fre i movimenti o anche durante un movimento?
Sapete che, prima del 20° secolo era normale applaudire fra i movimenti e perfino durante l’esecuzione e che compositori come Mozart incoraggiavano questa pratica?
[trad. mia]

Per verificare questa teoria, Edberg e colleghi stanno organizzando, a quanto pare con successo, eventi di questo tipo:

Wednesday Aug. 30
7:30 PM Thompson Recital Hall in the PAC
The Romantic Cello: An Informal and Interactive Musical Event
Eric Edberg, cello and Stephanie Gurga, piano
brani brevi e piacevoli
durata massima 1 ora
esecutori in jeans
applaudite quando volete
e danzate nelle navate se ne avete voglia

Che ne pensate? (la mia opinione ve la dico dopo)

Le perversioni dei brevetti (1)

Tanto per allargare un po’ il discorso del post precedente, pubblico qui parte di un mio testo di qualche anno fa riguardante i brevetti, finora non pubblicato.
Potrebbe anche chiamarsi “Le perversioni del libero mercato 1 (aka L’Etica Aziendale)”, ma mettendola su questo piano, la serie non finirebbe mai…
È lungo, ma spero interessante. Comunque, per non annoiare, ho messo un link di continuazione a metà.

In tutte le legislazioni esiste il brevetto ed è visto come un incentivo alla ricerca. Il ragionamento è: assicurando una ventina di anni di sfruttamento esclusivo dell’invenzione o di introiti derivanti dai diritti, l’investimento degli ingenti capitali necessari alla ricerca diventa conveniente.
In teoria è giusto, ma il problema è che la realtà non è quasi mai così. Spesso la presenza del brevetto è un ostacolo alla diffusione di una invenzione. A volte ne provoca anche la scomparsa.
Andate a vedere, per esempio, a quando risale il brevetto dell’air-bag, che pure è un oggetto salvavita (secondo le stime del governo statunitense, 15.000 vite salvate contro le 242 perdute perché il passeggero non aveva la cintura al momento dell’impatto) e scoprirete che è del 1952 e appartiene a tale John Hetrick.
Il brevetto arrivò a scadenza nel 1972, guarda caso proprio un anno prima che General Motors decidesse di piazzare i primi air-bag della storia dell’automobile su alcune versioni della Chevrolet Impala. Inoltre, le industrie automobilistiche erano molto reticenti all’installazione di questo sistema, anche quando tutti i test ne provavano l’efficacia, perché aumentava costi e prezzi, tanto che il governo statunitense dovette renderlo obbligatorio con una legge nel 1984.
Tutto ciò dimostra che:

  • le aziende hanno consapevolmente ritardato per almeno 20 anni l’adozione di un sistema salvavita;
  • anche a brevetto scaduto, le aziende non lo avrebbero introdotto senza una disposizione governativa, a riprova che il cosiddetto libero mercato necessita di un controllo continuo e feroce;
  • pur avendola brevettata, Hetrick non guadagnò un solo penny dalla sua invenzione;
  • si tratta di una ulteriore prova che l’esistenza dei brevetti non porta benefici ai consumatori e non incrementa la ricerca, anzi, spesso la blocca;
  • dov’è l’etica aziendale?

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Le perversioni del copyright (2)

Londra, 23 settembre 2002.
Gli avvocati delle parti si fronteggiano per dirimere l’ennesimo caso di plagio. Ma questa volta l’oggetto della causa è un po’ speciale. Il musicista pop Mike Batt ha inserito in un album della sua rock band “The Planets” un brano intitolato “One minute of silence”, il cui contenuto corrisponde al titolo ed è stato accusato di plagio dal John Cage Trust (NB: gli eredi di Jonh Cage che è morto nel 1992) e dalle Edizioni Peters, editore del brano 4’33” (ovviamente 4’33” ha una partitura: è in 3 movimenti all’inizio dei quali è scritto “tacet”).
L’incontro si conclude con un accordo extra-guidiziale. Batt consegna un assegno a 6 cifre (in sterline) a Nicholas Riddle, managing director delle Edizioni Peters e aggiunge il nome di Cage come co-autore di “One minute of silence”, dichiarando “Faccio questo gesto come segno di rispetto verso John Cage” 8) . Riddle intasca l’assegno e afferma “Noi intendiamo difendere la proprietà di Mr. Cage e il concetto di brano silenzioso è una idea importante sulla quale c’è un copyright” :lol:.

Molto interessante. In effetti, Riddle ha dalla sua almeno un precedente: il quadro bianco, non dipinto, il “White Painting” di Rauschenberg è protetto e chiunque lo rifaccia può essere accusato di plagio.
D’altra parte il silent piece è, appunto, un concetto. Il contenuto del silent piece è l’insieme dei suoni che si sentono mentre il musicista non suona.
Ma se, in musica, si possono brevettare i concetti, allora è la fine. Per esempio, i cluster (accordo formato da note vicine, tipicamente 2e minori come do, do#, re, re#, mi) cominciano ad apparire timidamente in musica nel primo ‘900 (Debussy, Bartok, Ornstein, Ives), ma il primo che ne fa un uso esteso e consapevole è Henry Cowell in “The Tides of Manaunaun” (1917; non 1912 come è spesso riportato).
Di conseguenza, Cowell avrebbe potuto porre un copyright sul cluster. 3/4 della musica del ‘900 cancellata.
Schoenberg avrebbe messo un copyright sulla dodecafonia. Messiaen avrebbe potuto chiedere i diritti sui modi a trasposizione limitata, Boulez sul serialismo integrale, Debussy sulla scala esatonale e Stockhausen sull’universo in musica. Per non parlare della musica pop: causa interminabile fra Deep Purple e Led Zeppelin su chi abbia inventato l’hard rock.
Per inciso, questo è esattamente quello che sta succedendo negli USA con i brevetti sul software, che finora l’Europa è riuscita a negare.

Ma la gente… (2)

Prendete un software per il P2P (questa prova è stata fatta con eMule). Cercate John Cage, selezionando il tipo di file = audio. Poi ordinate i risultati in base alla disponibilità di sorgenti (cioè alla quantità di utenti che l’hanno messo in condivisione).
Scoprirete che il file audio di Cage più scambiato in rete è 4’33”.
Sì! Fra i pezzi di Cage, quello più ascoltato in rete è proprio la composizione silenziosa, nella versione per piano.
Ma la gente…

Rapporto 2005 Economia della musica italiana

I dati seguenti sono tratti dal Rapporto 2005 Economia della musica italiana del Centro Ask (Art & science for knowledge) dell’Università Bocconi, realizzato con la collaborazione di Dismamusica (Associazione distribuzione industria strumenti musicali e artigianato), Fem (Federazione editori musicali) e Scf (Società consortile fonografici). Sito di riferimento. Rapporto in pdf.
Il sistema musicale italiano ha fatturato, lo scorso anno, 2,284 miliardi di euro, con una crescita del 4,35% rispetto al 2003. Il sistema nel suo complesso non è perciò in crisi, anche se il saldo finale è il risultato di movimenti disomogenei dei diversi settori, con il più esposto, la discografia, in controtendenza. I dati di sell-in evidenziano vendite di musica su supporto fisico per 527,1 milioni di euro, con un calo del 5,57%.
La distribuzione digitale, con la progressiva sostituzione dei siti peer-to-peer con servizi gestiti o approvati dalle case discografiche, passando dagli 89,6 milioni del 2003 ai 141 del 2005 (+57,3%), controbilancia in parte il calo di vendita dei supporti fisici e, sommato alla buona salute degli eventi dal vivo, contribuisce alla crescita del consumo finale di musica a 1,046 miliardi di euro (+13,7%).
Una comparazione internazionale, focalizzata sul settore discografico, conferma la relativa marginalità del mercato italiano, ottavo al mondo ma con valori quasi sei volte inferiori a quello britannico (primo in Europa), otto volte più piccolo di quello giapponese e 1/20 di quello americano. L’Italia registra un consumo medio di soli 0,7 album per abitante, contro i 4,3 del Regno Unito, i 2,7 degli Stati Uniti o l’1.7 della Spagna.

A questo mercato la musica classica contribuisce solo per il 4% nel nostro paese. D’altra parte la classica è ovunque un genere residuale che va da un minimo inferiore all’1% (Svizzera, Svezia, Giappone), fino a un massimo dell’11% (Austria, unico paese che supera il 10%). Notare che la Spagna è al 7%, più di UK, Canada, Germania, Belgio (6%), Olanda e Francia (5%). I dati non comprendono Russia, Cina e Asia (a parte il Giappone).

Da notare che, mentre il fatturato delle scuole di musica private aumenta del 7.4%, quello dei conservatori (scuola pubblica) cresce solo del 4.8%.

La RIAA vi lascia vivere se siete morti

Come riferisce The Wired Campus, la RIAA (l’associazione americana dei discografici, la cui mission, ormai, è perseguire legalmente chiunque scarichi MP3 illegali dentro e fuori gli USA) ha lasciato cadere la causa contro Larry Scantlebury, recentemente deceduto, invece di continuarla, rivalendosi su moglie e figli, come avrebbe avuto il diritto di fare.
La stessa RIAA ha sottolineato la propria “grande sensibilità” in questo particolare caso, ma il blog Boing Boing ha fatto notare come, subito dopo la morte del sig. Scantlebury, la RIAA aveva concesso alla famiglia solo una sospensione della causa per 60 giorni e la sua abbondanza di sensibilità si sia materializzata solo dopo che il caso era finito su molti giornali e blog (più di 20.000 reference per Scantlebury RIAA su Google).

According to The Wired Campus, the RIAA, (Recording Industry Association of America) has dropped plans to pursue an antipiracy lawsuit against Larry Scantlebury, a defendant who recently passed away, by deposing his children.
A RIAA spokesperson, Jonathan Lamy, emphasized the RIAA “abundance of sensitivity” in dropping this particular case, but Boing Boing, one of its fiercest critics, remarks that the RIAA had only given 60 days to grieve before the RIAA went on to depose the dead man’s children in a renewed suit against his estate and this “abundance of sensitivity” only materialized within 24 hours of this story hitting several large news outlets and blogs (more than 20.000 references for Scantlebury RIAA found on Google).

Un disastro per i musicisti

Non so quanti se ne siano resi conto, ma gli sventati attentati di Londra e la conseguente probizione di portare bagagli a mano stanno producendo una situazione disastrosa per i musicisti.
Gli strumentisti, infatti, sono abituati a portare come bagaglio a mano i propri strumenti, che spesso hanno un valore notevole e non sono coperti dall’assicurazione se viaggiano nella stiva.
Il problema non è tanto quello degli addetti al caricamento del bagaglio, che notoriamente non sono delicati. A questo si potrebbe ovviare con una custodia blindata.
Il vero problema è la temperatura. La stiva degli aerei, infatti, non è riscaldata e uno strumento spesso antico si trova esposto a temperature che vanno dai -10 per i voli brevi a quota media fino ai -30 e oltre per i voli trascontinentali ad alta quota.
Gli effetti di una simile temperatura su strumenti antichi del valore di decine di migliaia di euro o più, sono sconosciuti, tanto che le compagnie di assicurazione, in genere, richiedono che lo strumento venga portato come bagaglio a mano.
I musicisti dell’Orchestra del Teatro Bolshoi, attualmente in tournée a Londra, per esempio, potrebbero essere costretti a raggiungere Parigi in treno e imbarcarsi da lì per Mosca se l’embargo sul bagaglio a mano non verrà tolto prima della data del loro ritorno, il 19/08. Gli strumenti, infatti, non sono di loro proprietà, ma appartengono al Museo di Stato Russo e essendo strumenti di valore, il contratto di affidamento prevede il trasporto in cabina, tanto che, per i violoncelli, il Bolshoi è solito acquistare biglietti supplementari. Ma ora anche questo non è più possibile.

Le perversioni del copyright (1)

Le perversioni indotte dal copyright, nel modo forsennato in cui viene utilizzato attualmente, sono molte. Quella che segue è, a mio avviso, una delle più assurde.
Dunque, come qualcuno di voi sa, io insegno Informatica Musicale al Conservatorio di Trento.
Esiste un libro, “Henri Pousseur (a cura di), La Musica Elettronica, Feltrinelli 1976” considerato fondamentale per capire la storia e l’evoluzione della suddetta materia, tanto da essere incluso nel programma dei corsi di musica elettronica in quasi tutti i conservatori italiani.
Il problema è che il suddetto testo è da molti anni fuori catalogo. Per di più, trattandosi di una ponderosa raccolta di scritti molto tecnici di autori vari e quindi con bassi volumi di vendita, l’editore non sembra avere la minima intenzione di ristamparlo. Questo testo non è sostituibile perché contiene una serie di articoli degli anni ’50 e ’60 difficilmente trovabili anche nelle biblioteche, oppure consultabili solo in lingua originale, tuttavia fotocopiarlo è un reato.
Ore vedete l’assurdità della situazione?

  • Non è possibile acquistarlo per volontà dell’editore che non lo stampa più.
  • Il che significa che, per l’editore, questo testo non ha alcun interesse economico e che per gli autori non genera nessuna royalty.
  • Ne consegue che fotocopiandolo non si danneggia nessuno.
  • E in effetti, dato che non è possibile comprarlo, l’unico modo di procurarselo è fotocopiarlo
  • Ciò nonostante fotocopiarlo è un reato.

Cominciate a preoccuparvi

Mi spiace dirvelo, ma è possibile, anzi probabile, che l’avvento del digitale nelle telecomunicazioni e nel multimedia equivalga a una ennesima fregata (leggi: limitazione dei diritti) per l’utente/consumatore.
Quello che segue è un esempio molto ma molto limitato rispetto a quello che si può fare e si sta già facendo.

Dunque, state guardando un film sulla vostra nuova TV ad alta definizione con schermo al plasma, quando parte l’inserto pubblicitario. Lanciando qualche maledizione ai pubblicitari e alle aziende che li pagano, annaspate alla ricerca del telecomando con l’idea di approfittarne per dare un’occhiate alle prove del gran premio di formula 1 sull’altro canale.
Impugnando l’oggetto del potere, premete un tasto… e il canale non cambia.
Inoltre, nella parte bassa dello schermo appare in sovraimpressione un messaggio il cui contenuto è, in sintesi, il seguente:
“Tranquilli, il vostro telecomando non è rotto. In base alla nuova politica di questa emittente, la funzione di zapping viene disabilitata durante gli spazi pubblicitari. Dovete capire che questa emittente vive solo grazie alla pubblicità e solo così sarà in grado di offrirvi nuovi e più entusiasmanti programmi. Il vostro telecomando riprenderà pienamente la propria funzionalità al termine dello spazio pubblicitario. Vi ringraziamo per la collaborazione”
Il bello è che la cosa non coinvolge solo chi sta guardando in diretta il programma. Il vostro amico che ha pensato bene di vedersi le prove del gran premio e registrare il film sul nuovo DVD recorder, non si salverà. Negli spazi pubblicitari, infatti, sarà disabilitata la funzione di avanti-veloce.

Non è fantasia e nemmeno pessimismo. È un nuovo brevetto Philips che sta facendo proseliti (vedi Punto Informatico).
Ora considerate che questo è un esempio molto limitato di quello che si sta facendo nel campo del controllo. Quello a cui si vuole arrivare è:

  • musica, film e altri contenuti multimediali blindati, non copiabili e possibilmente nemmeno prestabili (e questo è il DRM: digital rights management)
  • computer blindati mediante tecnologia TC (trusted computer) che possono consentire soltanto l’accesso o l’esecuzione di software specificamente autorizzato.

Cominciate a preoccuparvi un po’. Date un’occhiata a NO1984.

I’m sorry, but the digital revolution in telecommunication and multimedia is very likely to have a dangerous effect (i.e. right limitations) on users/consumers.
This is a simple and limited example:

Well, suppose you are looking to a movie on your new digital HD TV. The commercial starts and you search for the remote controller to switch to another channel.
You push the button… and the channel don’t change. Moreover, a message appears on the screen:
“Be cool, your controller is good, but following the new policy of this TV station, your remote controller is disabled during the commercials broadcasting. Please, consider that this TV station needs the commercials incomes to offer new and beautiful channels. Your controller will become fully functional after the commercials space. TYVM for your cooperation”
This thing is not limited to the people looking at the movie in real time. Even if you record the movie with your new DVD recorder you will be affected. The Fast Forward function will be disabled during the advertisement’s broadcasting.

It’s not science fiction and it’s not pessimist attitude. It’s a new Philips patent which prevents a user from changing the channel during commercials. According to Ars Technica, ABC is very interested in.
Now, consider that this is a little example of exploiting the digital technologies to control the users. It seem that the aim of the major is:

  • music, movies and multimedia contents completely blocked. No copy (even for personal use) and no loan between friends (this is the DRM)
  • computers totally under control by the so called Trusted Computing technologies. Only allowed software can run and only allowed (so called “safe“) platforms can go on line.

 

Il futuro del mercato musicale (2)

È il 2015, ti svegli al al suono di una melodia familiare diffusa dolcemente, che ti tira fuori dal letto e ti fa sentire bene. Quando entri in bagno, il tuo Personal Media Minder attiva lo schermo incorporato nello specchio e puoi guardarti una selezione di notizie mentre ti prepari per la giornata. Appena ti infili nella doccia, il tuo programma musicale personalizzato ti accoglie con una nuova versione dal vivo della canzone che hai scaricato ieri, ed è ancora meglio dell’originale, così, mentre ti vesti, dici al programma TasteMate di aggiungerla in rotazione nella tua scaletta musicale. Infili i nuovi occhiali con cuffia incorporata e collegamento in rete continuo, li accendi sistemando gli auricolari e inizi subito ad ascoltare il mix che un amico ha preparato per te. La musica fluisce nella tua coscienza, diventa parte di te. Dopo la colazione con il resto della famiglia, ti dirigi al lavoro, e il Personal Media Minder ti chiede se vuoi finire di ascoltare l’audiolibro iniziato ieri mattina. Data la conferma, parte la registrazione, che ti accompagna nella camminata verso il treno che ti porta in ufficio. Durante il giorno, gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci, compagni di rete e “pari digitali”. La cuffia ti tiene in contatto anche con quella raccolta hard rock che ti piace tanto e, nel frattempo, continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano, insieme ai tuoi vecchi pezzi preferiti. Con TasteMate accedi alle tue scalette musicali e le condividi, consigli a un amico a Seattle un paio di canzoni, che vengono automaticamente inserite nella sua collezione. La musica ti dà la carica per tutto il giorno. Tornando verso casa, scegli la solita miscela di notizie di cronaca, sport, meteo e pettegolezzi sui tuoi musicisti e attori preferiti.
La cuffia si sincronizza con i monitor tridimensionali attivi, che proiettano le immagini proprio davanti a tuoi occhi, oppure con gli schermi comuni disponibili sul treno e a casa: puoi decidere cosa ascoltare e cosa guardare e chi può condividere l’esperienza. Il Media Minder armonizza e trasmette la programmazione selezionata e qualsiasi nuovo tipo di musica tu abbia deciso di esplorare, definendo anche come sceglierla, con l’aiuto del programma TasteMate.
Rientrato a casa, trascorri la serata accompagnato dal morbido jazz diffuso dall’impianto domestico attraverso casse disposte in ogni stanza, mentre porti in tavola una delle tue specialità culinarie, poi paghi le bollette. Una di queste è l’abbonamento per informazione e intrattenimento, che comprende i costi mensili per musica, video, connessione e comunicazione, ma è sempre più economica della bolletta del riscaldamento o dell’acqua. Le chiamate in arrivo dagli amici si inseriscono armoniosamente nella programmazione con cui ti circondi, in accordo alle tue indicazioni. Dopo cena metti in ordine e magari giochi un paio di partite con alcuni amici attraverso la tua rete virtuale, mentre ti rilassi con alcuni brani New Age ispirati alle composizioni originali di Mozart, che hai scoperto a tarda notte mentre navigavi tra i canali di musica condivisa…

David Kusek, Gerd Leonhard
Il futuro della musica

Questo è l’incipit del libro di cui sopra, di recente pubblicazione in Italia (il libro è del 2005; trovate la versione originale qui e quella italiana qui; potete scaricare la prefazione e il primo capitolo in pdf, il resto lo dovete comprare).

Secondo voi quanto descritto sopra è un paradiso o un incubo?

Devo dire che mentre lo leggevo pensavo “…bello…”, ma quando ho cominciato a fare qualche elucubrazione chiedendomi quante probabilità di avverarsi ha una situazione del genere, il tutto ha cominciato a girare inesorabilmente verso l’incubo.
Intendiamoci, io sono sicuro che il mercato musicale sta evolvendo verso una situazione del genere: come scrivo nel post precedente, la musica sarà distribuita in rete, i costi caleranno, esisteranno servizi di abbonamento, ci saranno software in grado di selezionare i generi, etc.
Però nel testo di cui sopra manca qualcosa: tanto per cominciare, la pubblicità.
Mi sembra impossibile che l’advertisement non infili i suoi tentacoli (io odio la pubblicità) in un servizio di musica in abbonamento. È vero che chi offre il servizio può contare sul canone di abbonamento, ma voi pensate che saprà resistere alla possibilità di abbassare un po’ il prezzo e infilarci qualche advertisement? Oltretutto personalizzato. Magari, peggio ancora, in forma secondo loro non disturbante. Così, mentre ascolti la tua selezione di hard rock preferita, “continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano” e ogni tanto ti arriva un pezzo che assomiglia agli altri, ma decisamente non fa parte della tua scelta. E tu stai lì a chiederti se è il software di selezione che ha toppato o se qualcuno ha pagato i fornitori del servizio per mandare almeno una volta al giorno quelle canzoni… In fondo, nei tempi andati, le major hanno sempre pagato le radio perché trasmettessero certi pezzi.
Poi, “gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci…” sono una disgrazia perché se tu puoi vedere qualsiasi rete, tutte le reti vedono te e ti trovano. Così, in mezzo all’audiolibro, arrivano le comunicazioni concitate di quelli del tuo ufficio che ti fanno sapere che il boss ha indetto una riunione per le 10 e vuole la tua opinione su un nuovo progetto. Di conseguenza, sempre insieme all’audiolibro, cominciano ad arrivare grafici, reports e voci… (il che, nota bene, succede già adesso grazie a quella potente invenzione che è il cellulare).
Nel frattempo il tuo programma di messenger è partito da solo (fa parte del servizio) e arrivano squillini da 50 deficienti che, non avendo niente da fare, vorrebbero messaggiare con te. Come se non bastasse c’è una chiamata voip da quel/quella cretino/a che ti sta tarmando da un mese solo perché ci sei andato/a a letto una sera che eri depresso/a.
Ok, potrei continuare. Potrei riscrivere la situazione citata in modo secondo me un po’ più realistico (magari lo farò). Ma quello che mi sembra allucinante di questa situazione immaginaria, ma in fondo non troppo, è l’idea di delegare le scelte.
È vero che con l’attuale quantità di informazione, oltretutto sempre crescente, selezionare è difficile, ma quando io scelgo di leggere le news dal sito di Repubblica piuttosto che da qualcun altro, io opero una scelta in prima persona. Se io, invece, mi affido a un servizio tipo GoogleNews, per quanto possa personalizzarlo, è sempre nelle mani qualcuno/qualcosa altro.
Gli autori del saggio dicono che la musica fluirà come l’acqua e nello stesso modo è facile immaginare che le notizie fluiranno come l’acqua, le immagini fluiranno, le storie fluiranno etc. Ma chi controlla il flusso?

Il futuro del mercato musicale (1)

Dal punto di vista degli autori – Con spirito relativamente ottimistico

La musica non viene più distribuita su un supporto ma solo come flusso di dati. La vendita avviene via rete, non necessariamente solo tramite un computer, ma attraverso un qualsiasi terminale multimediale.
Le major discografiche non esistono più. Esattamente come una qualsiasi azienda che fabbrica e vende un qualsiasi prodotto, o come uno studio professionale, sono gli autori (la band costituita come società) a vendere i risultati del proprio lavoro, coadiuvati da una serie di agenzie di servizi e di consulenza.
In altre parole, l’autore e l’esecutore sono tornati ad essere il centro del proprio lavoro, a controllare il prodotto, a investire e rischiare in proprio, esattamente come qualsiasi altra entità economica. E naturalmente controllano anche tutti gli incassi, con i quali devono pagare le spese, le consulenze e anche viverci. Esattamente come qualsiasi altra entità economica.
I prodotti sono privi di protezione. Ormai si è visto che, a meno di militarizzare la rete, le protezioni non tengono. Il calo del prezzo della musica dovuto all’assenza di supporto, stampa, distribuzione e ruberie varie e una piccola tassa sul P2P, pagata come parte dell’accesso a internet, assorbono la perdita dovuta alle copie. Un disco potrebbe costare € 4, ma ne costa 8/10 proprio per questa ragione.
In pratica, una band segue la solita trafila. La differenza rispetto alla situazione attuale sta nel fatto che si gestisce in proprio. Comincia a suonare un po’ in giro, registra dei brani in proprio o in uno studio con modica spesa, li vende sul proprio sito o su quello di una agenzia di distribuzione a cui dà una certa percentuale. In pratica, fin qui ha solo bisogno di un commercialista.
Naturalmente, sul sito, qualche pezzo si può scaricare gratis come forma promozionale. Alcune band distribuiscono gratis tutto il disco oppure il video di un loro concerto perché contano sui concerti per vivere.
E così, se sono una buona band, la voce comincia a spargersi e il loro nome arriva all’orecchio di qualche critico. E allora un critico musicale con un blog da 10.000 accessi al giorno ascolta la loro musica. Non una major che presenta loro una lettera di impegno con cui la band si impegna su tutto e la major su niente mentre pensa se investire su di loro o su uno degli altri 1000 deficienti che ha sottomano. Non c’è bisogno di investire su di loro perché loro stanno già investendo su se stessi e non c’è niente da guadagnare perché la band è padrona del proprio business, per quanto piccolo sia.
Ok, li ascolta un critico. E il critico non è uno stronzo borioso che scrive su una nota rivista musicale. È solo uno che ha un blog e si è fatto una fama in rete con anni di post intelligenti. È un free-lance e non ha un capo. Anche lui si è costruito un po’ per volta, facendo della sua passione il proprio lavoro. Sa che il suo pubblico si fida di lui e lo stima e che questa fiducia è la base del suo successo per cui adesso le radio gli chiedono di preparare programmi e le riviste gli chiedono articoli. Ma non ha un capo.
Sa che il segnalare nuove band interessanti è parte del suo lavoro e aumenta la sua fama. Sa che in TV lo presentano come “quello che ha scoperto Heterophobia e poi Gregg Turner and the Blood Drained Cows”.
Così non chiede loro € 10.000 per una buona recensione, ma li contatta, parla con loro via internet, li intervista e se può va a sentirli dal vivo. E poi ne scrive e li linka sul suo blog e gli accessi al sito della band aumentano di un bel po’.
E allora, se le cose vanno bene, la band valuta se lavorare un po’ con un consulente musicale e di immagine che viene pagato a prestazione o con una percentuale sulle vendite o con un qualsiasi altro accordo di lavoro.
Se poi le cose vanno molto bene e il commercialista non basta più, si affida a una agenzia di management per gestire concerti, tours, merchandising e contabilità. E fornisce loro anche un set di avvocati, perche in un’intervista uno di loro ha detto che ormai sono più popolari di Gesù Cristo e così sono stati messi al bando dall’amministrazione Bush.
E a questo punto, la band si rende conto che è davvero famosa e si fa la propria agenzia di management e manda a quel paese i consulenti musicali e di immagine, gli avvocati e gli altri mangiapane a tradimento.
Uff! Che fatica gestirsi da soli…

Un sogno?
From the band point of view – With a little optimistic attitude

Music is no more sold on CD but only on the internet as data stream.
The majors don’t exist no more. Like any business company that build and sells its own products, or like a professional office, the band sells its own productions with the help of some artistic advisors and/or a management agency.
In other words, the band works alone and control its own work, the music, putting money (and risk) in its own activity, exactly as any other economic entity.
And of course the band controls all the revenues, with which it must pay expenses, the advisors and also living. Just as any other economic entity.
The music has no protection system. By now everybody knows that it’s impossible to control the copy without controlling and blocking all the net and the copy itself is not a loss so big. Now the people pay a little P2P tax as part of the internet access cost and the decreasing of music price, without support, printing, distribution and several robberies, can cover the copies loss. The price of ten songs could be € 4 but it’s € 8 to 10 just to cover the copies loss.
The beginning of a band career is as usual. The difference is that the band runs its business alone.
They begin play around, record some music at home or in a little studio with a little expense and sell it on his site or on the site of a music distribution service that charges a little. Until now the band only needs a chartered accountant.
Of course the people can download some song from the band’s site to hear and give it to friends. So, if the music is good, their name spreads and some music critics begin to hear it. And then a music critic who leads a blog with 10.000 visit per day comes to their site. Not a major with a letter of intent, a so called “deal memo” to which the band remains bound while the major choose between this band or another. Not a major because there is nothing to gain when it’s the artist that control itself and his/her music.
So a music critic hear the band. And this critic is not a pretentious bastard who works for a big music magazine. He is a person who holds a blog and has build his reputation online with years of smart posting. He is a free-lance and has no boss. He knows that many people trust him and this trust is the foundation of his success, is the reason why the radios ask him for programs and the magazines ask him for articles. But he has no boss.
He knows that discovering new interesting bands is the reason of his success and the TVs introduce him as the one who discovered Heterophobia and Gregg Turner and the Blood Drained Cows.
So he don’t ask the band for $ 10.000 to write a good review. He simply listen to their music and write some line to the band and go to their concert and then put a post on his blog and their site many more people come.
And then, if the things runs well, the band maybe turn to a music advisor or to an image advisor to improve the music or the live act, but it’s always the band who controls its music.
And then, if the things runs very well, the band search for a business management service to help handle tours, merchandise and maybe lawyer because the singer told they are more popular than Jesus they get banned by Bush administration.
And at least the band realizes that they became really popular and they can make their own business management service and kick out the advisors and the lawyers and all this parasites.
Agh! What a hard work lead his business alone…

A dream?

Compositori e geografia

Alexander Island

Sembra esistere un posto in cui i geografi si sono finalmente ricordati dei compositori. Nell’Isola di Alexander (71°00′S 70°00′W), che fa parte dell’Antartide, possiamo trovare luoghi come le penisole di Shostakovich, Beethoven e Monteverdi, la piana ghiacciata di Bach, i golfi di Verdi, Brahms e Mendelssohn, i promontorii Rossini e Berlioz.
Molti luoghi qui sono intitolati a compositori.
Click qui per ingrandire la mappa.

Weekday Morning Time

Oggi è uscito questo dai Fortune di Unix. Concordo pienamente.

What we need in this country, instead of Daylight Savings Time, which nobody really understands anyway, is a new concept called Weekday Morning Time, whereby at 7 a.m. every weekday we go into a space-launch-style “hold” for two to three hours, during which it just remains 7 a.m. This way we could all wake up via a civilized gradual process of stretching and belching and scratching, and it would still be only 7 a.m. when we were ready to actually emerge from bed.
— Dave Barry, “$#$%#^%!^%&@%@!”

Sei un zombie?

Guardando l’ennesimo tentativo di attacco virale via mail (si spera fermato dall’antivirus) o diretto a una porta del computer (e bloccato dal firewall), oppure trovandosi con la macchina bloccata e impestata fino ai capelli, molti di voi si saranno chiesti “ma perché? chi ci guadagna in tutto questo giro di virus?”

Questa, fra l’altro, è una delle domande che mi sento rivolgere con maggiore frequenza quando parlo di sistemi operativi e sicurezza nelle aule di formazione. In effetti, mentre tutti (o quasi) capiscono chiaramente dove stia il lucro nel vendere i numeri del lotto, è difficile per l’utente medio avere la percezione dei vantaggi che derivano dallo spargimento di virus.
Il fatto è che i virus attuali non sono più distruttivi come quelli di un tempo. L’epoca delle ca…te goliardiche è passata e la nuova logica è quella del profitto e della produttività. Come nella biosfera, il virus che uccide l’ospite può anche provocare una pandemia, ma è un fallimento perché nel contempo si suicida. Quello che, invece, non provoca particolari problemi all’ospite o magari riesce anche a cambiarlo un po’ in modo da costruire un ecosistema più favorevole alla propria specie è un successo.
Ma allora, cosa fanno i virus attuali? Molto semplice: il principale fine di un virus ben fatto è quello di trasformare il vostro computer in un zombie.
Dicesi zombie una macchina che, all’insaputa del proprietario

  • esegue un compito ben determinato (per esempio, invia una mail di spam a tutti gli indirizzi della rubrica), ma, ancora meglio
  • quando l’utente è collegato a internet, invia il suo indirizzo ip a un determinato sito o mailbox e apre una backdoor (porta di servizio) consentendone il controllo da remoto.

Soprattutto questo secondo caso è premiante perché consente al produttore del virus di usare tranquillamente il vostro computer da chissà dove per piccole attività tali da non rallentarlo in modo sensibile e ovviamente da non bloccarlo, altrimenti, prima o poi, voi ve ne accorgete e magari anche senza sapere il perché dei rallentamenti, reinstallate windows.
Il problema è che queste attività possono essere piccole, ma generalmente sono illegali e nei log del destinatario della spam o del sistema a cui è diretto l’attacco resta il vostro numero di ip.
Il secondo punto è che lo scopo dell’untore è di controllare un gran numero di macchine per farle lavorare tutte insieme. Una tale concentrazione di zombie è detta ‘botnet’ (rete di robot) e può essere usata, per esempio

  • per diffondere lo stesso messaggio di pubblicità non richiesta a 10.000.000 di utenti nel giro di qualche minuto;
  • per scatenare un attacco DDoS (Distributed Denial of Services) mandando milioni di richieste di pagina per secondo a un certo server e intasarlo al punto da impedirgli di rispondere agli utenti legittimi;
  • per diffondere materiale illegale di vario tipo;
  • per decodificare un file di password (rubato a qualche sistema) mediante tentativi casuali: un solo computer impiegherebbe un anno, ma 100.000 computers possono farcela in meno di 10 minuti;
  • infine, per una attività non necessariamente legata al controllo di una botnet, ma remunerativa soprattutto quando riesce molte volte: salvare in un file tutto ciò che digitate sulla tastiera mentre siete collegati (comprese le password del vostro account bancario) e inviarlo a un certo indirizzo.

Ovviamente, tutto questo a pagamento. L’ultimo arrestato per aver organizzato una siffatta rete (il botmaster) gestiva più di 500.000 zombie sparsi per tutto il mondo, per cui almeno 100.000 erano accesi contemporaneamente e aveva guadagnato più di $100.000 in un anno di ‘noleggio’ della propria botnet. Magari li fatturava anche. Consulenza di marketing.
Il bello è che il sistema per difendersi è piuttosto semplice: installare un buon sistema antivirus + firewall (ce ne sono anche di gratuiti) e tenerlo aggiornato, oppure usare Linux.

Ma siamo pazzi!?

Att.ne: il post è del 2006

Probabilmente la risposta ovvia e immediata è sì. Ma quello che mi sconvolge è come certe cose, che a me appaiono pazzesche, passino come assoluta normalità.
Questa notizia è apparsa recentemente su Punto Informatico:

i danni provocati dai pirati delle suonerie ammonterebbero a 2,6 miliardi di euro. Sistemi DRM interoperabili, questa la risposta delle major. Il dato si riferisce soltanto ai paesi dell’Unione Europea, dove il commercio di canzoni e videoclip per cellulare è particolarmente diffuso ed apprezzato tra i più giovani.

Allora, vediamo di capire. Questi tizi si inventano un affare: vendere suonerie ai ragazzini. L’affare non è banale. In Italia, per esempio, le suonerie rappresentano il 69% del mercato digitale. In Giappone ancora di più.
Nota bene: le suonerie vengono vendute su internet a “soli” (sic) € 2 cadauna.
Ora, al sottoscritto, 2 euro per una musichetta non originale che dura da 5 a 20 secondi prima di entrare in un loop infinito, fanno venire in mente solo 3 parole: furto, ladrocinio, grassazione.
Calcolate che 10 suonerie, cioè circa 200 secondi di musica, costano come un CD (il cui prezzo mi sembra pure esorbitante). Magari prima o poi salterà fuori anche un Mozart delle suonerie, anche se, finché continuano a riproporre gli hit del momento, mi sembra difficile.
Ovviamente i ragazzini sono squattrinati. Probailmente i genitori si incazzano (almeno spero) se cominciano a spendere € 20 in suonerie. Gli stessi ragazzini sono anche abbastanza abili con il computer o almeno parecchi fra loro lo sono. Quanto pensate che impieghino per trovare il modo di scambiarsele?
Per quanto ne capisco, il casus belli mi sembra proprio questo, perché non ho mai visto organizzazioni pirata che vendono suonerie agli angoli della strada.
Bene. A questo punto, le major gridano allo scandalo: 2.6 miliardi di euro sfumati in pirateria! Servono sistemi di protezione!
Calma. Qualche considerazione.
Chi scrive, quando era più giovane, ha scritto del software musicale regolarmente distribuito sul mercato. Ricordo bene che, al momento di fissare il prezzo con il distributore, si teneva conto anche del tempo medio di sblocco della protezione. In pratica i calcoli erano: più copie vendiamo, più allettante diventa il cracking del software. Quindi stimiamo che dopo x copie, le vendite caleranno del k%. A questo punto dovremo far uscire una nuova versione con nuove features e nuova protezione. Nel determinare il prezzo di vendita, si teneva conto anche di queste cose e ovviamente il prezzo saliva un po’.
Una considerazione di questo tipo mi sembra l’unica che possa giustificare un prezzo di 2 o 3 euro per una suoneria. I venditori sanno che ogni pezzo venduto passa a tutta la classe e fissano un prezzo di conseguenza.
Ma ancora peggio, questa storia mi ricorda tanto quella dei coloni americani che arrivavano in un territorio in cui fino a quel momento scorrazzavano solo bisonti e indiani, tiravano su quattro staccionate e si mettevano a vendere coperte e alcool agli indiani in cambio di pelliccie. Naturalmente, prima o poi, gli indiani li derubavano per cui i coloni chiamavano l’esercito. Ma, maledizione, se tu vai nel Bronx ben vestito e con i soldi che ti cadono dalla tasche, è matematico che prima o poi qualcuno ti rapini. Magari la polizia verrà anche a raccattarti, ma probabilmente te ne dirà quattro.
Per analogia, mi sembra che tutti questi non si siano accorti che qualcosa è cambiato (ma ovviamente fanno solo finta di non vedere). Le informazioni codificate con tecnologie digitali sono facilmente duplicabili e questo è un fatto.
Notate che sono stati proprio loro a spingere per la rivoluzione del CD, contando anche sul fatto che, come è effettivamente accaduto, avrebbero rivenduto, nella nuova versione CD, milioni di copie di dischi vecchi ormai privi di un mercato significativo. Vi rendete conto di quante persone si sono ricomprate in CD vecchi dischi che già possedevano in vinile a cifre che vanno da 15 a 20 euro? E vi rendete conto che questi CD, essendo remastering di materiale vecchio, non hanno spese di incisione, produzione, pubblicità?
Con questo non voglio dire che ognuno possa copiare quello che vuole, ma a mio avviso dobbiamo guardare dentro ben bene a questa faccenda perché si tratta anche di capire chi siano i veri pirati.
Ok. Questo era uno sfogo e io, in questo periodo, sono particolarmente incazzoso, ma il discorso continuerà.

BE PARANOID!

Qualche giorno dopo l’arresto di Provenzano, durante una intervista TV con uno degli inquirenti (di cui purtroppo non ricordo il nome), ho sentito una dichiarazione che mi ha colpito.
In sintesi, quel funzionario, per dare l’idea della complessità dell’indagine, a un certo punto ha detto: «Vi rendete conto di quanto sia difficile individuare qualcuno che come massima tecnologia usa una macchina da scrivere?».
Traduzione (mia): è difficilissimo beccare qualcuno che non usa telefono, cellulare, internet, email, carta di credito, bancomat, tessera sanitaria, raccolte punti, certimat, schede TV, TV via cavo, telegrammi, etc, tutte tecnologie che seminano tracce.

Adesso pensate un po’ a che cosa significa tutto questo per la nostra privacy. So che per alcuni di voi sono cose assodate, ma immaginatele nei particolari. Per esempio, oggi all’uscita del supermarket, controllando il conto mi sono reso conto che sopra c’era scritto il mio nome: «arrivederci e grazie, Sig. Graziani».
Così i bastardi non hanno archiviato solo il mio codice cliente, che è quanto basta per attribuirmi i punti e magari è AB123ZX e non dice niente sul mio nome, ma l’hanno anche associato alla mia identità.
Così hanno un bel database con dentro tutto quello che mangio. Sanno che non mi piacciono i dolci, ma amo la cioccolata e compro solo la Lindt più sottile e magari, con adeguate offerte e pubblicità, forse potrei cambiare marca. Sanno che mi piace il pesce e che a casa mia c’è sempre il salmone, ma non posso permettermi il caviale. Sanno che non ho bambini perché non ho mai comprato mai ovetti kinder, merendine etc. Sanno anche che sono single, che non vado matto per la verdura e che ultimamente ho inspiegabilmente smesso di acquistare coca-cola.
In definitiva, hanno una buona visione del mio stile e del mio tenore di vita. E tutto questo solo con una carta di raccolta punti. Pensate se si potessero unire tutte le informazioni provenienti da varie fonti. Adesso è chiaro perché, anche sotto questo aspetto, le grandi concentrazioni in cui molte aziende di diverso tipo sono in mano alla stessa società/persona dovrebbero essere bloccate?
La cosa buffa è che, come informatico, questi database a volte li progetto o comunque li vedo da vicino e so cosa si può dedurne, di conseguenza tutte queste cose mi sono ben chiare. E allora perché quell’affermazione mi ha colpito? Non so. Una cosa è saperlo e non pensarci, un’altra sentirselo dire dalla polizia. È come se ti dicessero «guarda che questi dati non sono lì a dormire, qualcuno li usa… siate paranoici!»

Ma la gente… (1)

Qualche giorno fa all’esselunga (sì, faccio la spesa al supermarket del nano pelato perché è vicino a casa e la qualità è buona, il che dimostra che non sono accecato dall’ideologia, però sono un coglione perché pur essendo un professionista non lo voto), lascio il carrello vuoto in un angolo e riempio di verdura qualche sacchetto.
Torno al carrello e ne trovo un altro, parimenti vuoto, parcheggiato accanto e un tipo che sta riempiendo di sacchetti il mio. Al che gli faccio notare che quello è il mio carrello e il tipo, scandendo le parole con fare teutonico, ribatte «No, questo è il mio carrello».

Provo ad insistere, ma il tipo non molla. Poi, con l’aria di chi ha appena fatto una scoperta geniale, mi fa «Ma è lo stesso, tanto erano entrambi vuoti». Sopraffatto da tanta intelligenza prendo l’altro carrello e me ne vado borbottando un «contento lei…».
Peccato che lui nel carrello ha messo € 2, mentre io ci metto sempre un dischetto metallico privo di alcun valore: grazie di avermi pagato la cioccolata…

PS: adesso, se leggi il blog, sai anche chi sono, ma è inutile che mi scrivi tanto i 2 € non te li ridò: la prossima volta contatta il cervello, prima.