La ricerca dell’audio perduto

Un recente rapporto della Biblioteca del Congresso USA dal titolo The State of Recorded Sound Preservation in the United States: A National Legacy at Risk in the Digital Age, scaricabile in pdf, fa notare che vaste porzioni del patrimonio audio sono ormai perdute o inaccessibili al pubblico a causa di errata conservazione, supporti labili, ma anche e spesso, di problemi determinati dal copyright.

In merito a quest’ultimo punto, il rapporto dichiara fin da subito che

Copyright law and interests in protecting intellectual property are a final thread (or perhaps a seemingly unyielding tangle) in the environment affecting recorded sound preservation. [pag. 6]

e continua

In many instances, early commercial recordings may be unavailable from rights holders. As reported in the Survey of Reissues of U.S. Recordings, a study commissioned by the NRPB, “ten percent or less
of listed recordings have been made available by rights holders for most periods prior to World War II. For periods before 1920, the percentage approaches zero.

All U.S. recordings, both commercially released and unpublished, created before February 15, 1972, are protected by a complex network of disparate state civil, criminal, and common laws. Accordingly, sound recordings are unique among all creative works in the United States insofar as the effective term of copyright protection for even the oldest U.S. recordings, dating from the late nineteenth century, will not end until the year 2067 at the earliest (i.e., 95 years after the placement of sound recordings under federal protection in 1972)

Questa situazione ha dell’incredibile: le istituzioni che si occupano della conservazione dei documenti audio sono impedite, quando non bloccate, dalle leggi fatte da un altro ramo della stessa istituzione.

È interessante osservare che, invece, i problemi tecnici, che pure esistono, si possono risolvere. Una volta accettato il fatto che non esiste un supporto eterno, si tratta solo di rinnovare i supporti ogni congruo numero di anni.

Con questo non voglio dire che quello posto dal copyright sia l’unico ostacolo. Il rapporto insiste anche sulle corrette modalità di conservazione, sulla necessità di formati standard, adeguati e non compressi, sulla creazione di professionalità apposite. Ma, mentre queste ultime sono, in fondo, questioni tecniche che si risolvono impiegando risorse adeguate, quello del copyright è, in realtà, un problema di potere, quindi molto più difficile.

Il bug del copyright

Tempo fa, a uno studente che voleva sapere qualcosa di più su Stockhausen, avevo consigliato di leggere l’Intervista sul genio musicale, un lungo colloquio con il nostro, a cura di Myra Tannenbaum, Ed. Laterza, Bari, 1985.

Qualche giorno fa mi ha scritto che non si trova.

Incredulo, vado a cercare sulle più note librerie online e ha ragione: non si trova da nessuna parte. Allora vado sul sito dell’editore, cerco per titolo e mi esce “Nessun libro trovato”. Il vecchio effetto si ripete. I libri scompaiono, come in Fahrenheit 451 dove vengono bruciati, solo che stavolta a farli sparire non sono i pompieri, ma gli avvocati con il supporto delle leggi sul copyright.

Questo effetto combinato del mercato e del copyright è demenziale. Intere biblioteche composte da tutto ciò che è stato stampato, ma che non può contare su un mercato planetario, sono state ingoiate dal buco nero del copyright a causa di una legge che anni fa, tutto sommato, era ragionevole, ma che in seguito a una serie di estensioni, si è trasformata in un killer culturale.

Facciamo un esempio prendendo proprio il già citato Fahrenheit 451. Ray Bradbury lo ha pubblicato nel 1953. Secondo la legge dell’epoca, sarebbe diventato di dominio pubblico, al massimo quest’anno, nel 2010. Nel ’53, infatti, secondo la legislazione americana, il copyright si estendeva per 28 anni, con la possibilità di un rinnovo altrettanto lungo (totale 56 anni).

Questa possibilità dell’opt-in era molto importante. Dopo 28 anni, infatti, doveva presentarsi un editore intenzionato ad usufruire di questa opzione e quindi, si presume, a sfruttare commercialmente l’opera. In caso contrario, il copyright decadeva.

Era un buon sistema per far sì che le opere che avevano acquisito una popolarità duratura continuassero ad essere sul mercato, mentre per quelle di minore impatto mercantile, si aprivano le porte del pubblico dominio e della circolazione privata fra gli interessati. In effetti, questo era il destino del 93% dei libri, mentre solo sul 7% si esercitava il rinnovo.

Le estensioni approvate via via negli anni hanno portato la durata del copyright a sfiorare il secolo (se nulla cambia, Fahrenheit 451 entrerà nel pubblico dominio nel 2049), ma, cosa ben peggiore, hanno tolto la consuetudine dell’opt-in, per cui tutto è automaticamente copyrighted per il periodo fissato.

La cosa più assurda, comunque, è il fatto che il diritto permane anche se il detentore non fa nulla per rendere disponibile sul mercato l’opera. Questo fatto danneggia chi la vuol leggere, ma anche l’autore o i suoi eredi, che potrebbero, invece, cercare di ricavarne qualcosa.

Infine, l’unico modo in cui il mio studente può leggere l’intervista con Stockhausen è farsela prestare o, se vuole averne una copia, commettere un reato.

Fight free culture

Questo è il testo di una lettera che ASCAP (la SIAE americana) ha inviato ai suoi membri (i compositori di musica) per chiedere fondi per la lotta contro di Creative Commons, Public Knowledge, e l’EFF.

Ciò che sorprende è il tono della comunicazione. Creative Commons, Public Knowledge, e del FEP sono rappresentati come criminali, che “non vogliono pagare per l’uso della musica“. Invece, le suddette organizzazioni non hanno mai detto che voi (gli utenti) dovreste rubare la musica e non pagare i CD. Stanno solo cercando di diffondere un diverso modello di marketing tra i musicisti diffondendo musica priva di copyright come un modo per accrescere la propria notorietà e guadagnare in modo diverso (più concerti, gadget, ecc.). Si può essere d’accordo o meno, si può pensare che è una bella idea oppure che non possa funzionare, ma, in ogni caso, è una posizione legittima che non giustifica appelli come quello di cui sopra.


This is a mail that ASCAP sent to his members (the music composers) to solicit funds to fight Creative Commons, Public Knowledge, and the EFF.

What is surprising is the feeling of the communication. Creative Commons, Public Knowledge, and the EFF are depicted as criminals that “do not want to pay for the use of music“. Instead this organizations never said that you (the user) must stole the music not paying the CDs. They are only trying to spread a different marketing model between the musicians. They say that the musicians should spread their music with no copyright at all as a way to gain more fans and find revenues in a different way (more concerts, gadgets, etc).

Pirating vs buying

This funny chart (found on Boing Boing) does a superb job of explaining how the insertion of a lot of “business model” (FBI warnings, unskippable trailers, THX vanity sequences) makes buying a DVD a lot worse than pirating the same disc online (click image to enlarge).

A side effect is that only the legitimate customers can see the FBI warnings.

The same (or worse) happens with the games. I bough a PC game to play on the train (I move 2/3 days a week) and I must carry the original CD-Rom with me to start the game, at high risk.

Of course the pirated copy starts without any CD. The customer pay to buy the game and must suffer all the annoyances. A pirate don’t pay and has no problems. It’s a no win situation…

Diritti digitali?

coverVenerdì 17 Luglio
Giorno sfortunato di nome e di fatto per centinaia di possessori di Amazon Kindle, il lettore di e-book di Amazon, che scoprono che due libri di George Orwell regolarmente acquistati e pagati, uno dei quali, ironicamente, è 1984, sono scomparsi dal loro lettore, lasciando al loro posto solo una lettera di scuse e un buono di acquisto pari al valore pagato.

Cos’è successo? Una semplice disputa legale con i possessori dei diritti ha fatto sì che Amazon decidesse di interrompere la vendita dell’edizione elettronica e di conseguenza, cancellasse da remoto tutte le copie già vendute e conservate sul lettore dei clienti, sostituendole con un buono acquisto di pari valore.

In pratica, è come se gli agenti di una libreria penetrassero nottetempo nelle case dei clienti per ritirare le copie di alcuni libri appena venduti, lasciando al loro posto un buono.

Ma può? Certo. Il DRM consente questo ed altro. La cosa “divertente” è che ai clienti di Amazon ed altri sistemi di e-book del genere è stato raccontato che i libri in forma digitale sono come quelli stampati, anzi migliori.
Poi, però, l’utente ha scoperto che, una volta letti, non li può né vendere né prestare perché girano solo sul suo lettore. Adesso scopre anche che, se il venditore ci ripensa, possono anche sparire.

Morale? Non comprate niente in forma digitale prima di essere sicuri che sia privo di lucchetti e che possa essere spostato su qualsiasi macchina.

Qui la notizia sul New York Times

Sperimentare la censura: adesso possiamo

the pirate bay logo

Avete mai sperimentato personalmente la censura? No? Avete sempre pensato che la censura fosse una cosa da piccoli regimi del terzo mondo governati da dittatori?

Sbagliato. Adesso potete. Il popolare sito di torrent The Pirate Bay, che promuove il peer to peer e la libertà di espressione su Internet, è stato bloccato per tutti gli utenti italiani in ottemperanza a un’ordinanza del gip di Bergamo emessa nell’ambito di una indagine per violazioni alla normativa del diritto d’autore nel corso della quale è stato sequestrato anche il sito italiano di torrent Colombo-bt.

Attualmente, The Pirate Bay risulta già bloccato da parte di Telecom Italia, Fastweb e Wind, tra gli altri. Tutti però, con i propri tempi tecnici, si dovranno adeguare alle richieste del gip. Il blocco, inoltre, non è facilmente aggirabile perché, a quanto pare, è a livello di ip, non di dns, quindi non basta utilizzare open dns, ma bisogna collegarsi tramite un proxy estero oppure Tor.

Già in Italia la censura era operativa. Risultano infatti bloccati, per gli utenti italiani, parecchi casinò online esteri per impedire che gli italiani possano giocare senza pagare le relative tasse statali. Ma questa volta il blocco è contro un popolare sito internazionale che non fa pirateria diretta (non ospita file sul proprio sito) ed è noto per diffondere anche materiale sui diritti umani e la libertà di espressione. Finora The Pirate Bay non era mai stato bloccato né in Nord America né in Europa. La notizia è così inedita da finire perfino su Google News e attirare commenti un po’ ovunque, sul web internazionale.

L’organizzazione The Pirate Bay ha già fatto sapere che intende presentare ricorso, come ha già dovuto fare in diverse occasioni, vincendo. Nel frattempo ha cambiato l’ip di un sito mirror, LaBaia.org, che risulta attualmente raggiungibile e ospita anche una “Important New for Italian Users” dall’eloquente titolo “Fascist state censors Pirate Bay”.

Come fa giustamente notare Mytech

Nel frattempo la vicenda solleva domande su come sia facile bloccare un sito Internet, in Italia: con la leva del blocco a scopo cautelativo, prima che il processo abbia termine o soltanto inizi. Un sito che- ricordiamolo- non faceva pirateria diretta e sulle cui responsabilità non c’è ancora certezza giuridica. Lo stesso destino finora in Italia l’hanno subito i blog accusati di diffamazione. Ora per la prima volta tocca a un sito internazionale. Quale sarà la prossima vittima: Google, magari per una denuncia a Google News da parte di un editore?

Al di là di questo, fra soldati e censure, resta sempre vivo il sospetto espresso perfino da Famiglia Cristiana “che in Italia stia rinascendo il Fascismo sotto altre forme”.

UPDATE ore 18:20
A differenza di quanto annunciato da vari siti, ho sperimentato che, almeno per ora, il blocco è a livello di dns. Quindi basta sostituire ai dns forniti dal provider altri dns pubblici come quelli di Open Dns che sono 208.67.222.222 e 208.67.220.220 e il sito torna raggiungibile.

UPDATE ore 19:45
Erri informa che anche LaBaia.org non è più raggiungibile. Il blocco è sempre a livello di dns. Quindi basta sostituire ai dns forniti dal provider altri dns pubblici come quelli di Open Dns riportati sopra.

E sia il degrado!

Il Disegno di legge S1861, approvato mentre noi facevamo festa (?) nella notte fra il 21 e il 22 Dicembre 2007 ha fatto due cose: ha trasformato la SIAE in Ente pubblico economico e ci ha fatto graziosamente sapere che cosa può essere messo in rete e a quali condizioni.

L’articolo 70 della vecchia Legge 22 aprile 1941 n. 633 (e successive modifiche) sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio viene modificato con l’aggiunta del comma 1-bis e diventa

      1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

Questo comma è stato giustamente attaccato da tutte le parti. Non vedo, infatti, quale utilità possa avere la pubblicazione in rete di immagini e musica a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico. Se io mettessi in rete le dispense di musica contemporanea che ho scritto per i miei studenti (fine didattico), ma per farlo dovessi degradare i brani musicali ivi contenuti (che essendo di musica contemporanea sono ancora soggetti al diritto d’autore), le suddette dispense non servirebbero a nessuno. Così come non si capisce cosa se ne faccia uno scienziato di immagini a bassa risoluzione.

Tuttavia, questa legge ha una interessante conseguenza che, nell’indignazione generale, mi pare sia sfuggita.

Il suddetto art. 70 fa parte del Capo V delle legge 633 che elenca eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Questo comma, quindi, mi dà il diritto di mettere in rete qualsiasi brano musicale, anche attualmente soggetto al diritto d’autore, purché non a scopo di lucro (come in questo e molti altri siti e blog; non ci vendo niente e non c’è nemmeno la pubblicità), a fine didattico/scientifico (e qui basta scrivere una dotta analisi musicale del brano) purché sia sufficientemente degradato.

Quindi, supponendo che qui ci sia una bella analisi didattica di Solsbury Hill di Peter Gabriel e a questo punto potrei dire:

ascoltate Solsbury Hill di Peter Gabriel.

Allora, avete sentito? Vi piace? Come? Fa schifo? Non posso farci niente. È degradato, ai sensi della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma questo non è un problema, anzi, è una fantastica opportunità! D’ora in poi possiamo, anzi dobbiamo, per legge, degradare tutto. È fantastico!

Si dia il via a una colossale operazione artistica!

Sia il degrado!!

D’ora in poi non ci deve essere blog che non metta brani di Tiziano Ferro, Ramazzotti, De Gregori, Jovanotti, ma anche di Sting, di Madonna, di Bono fino a Schoenberg, Webern, Berio, Stockhausen, Nono, degradati al punto da essere opere nuove!
E questo pezzo che non so di chi sia? Non importa, nel dubbio, degrada!

E quando gli avvocati di Tiziano Ferro, Ramazzotti, Jovanotti, Sting, Bono, Madonna, etc. ci scriveranno dicendo: “La diffido dall’esporre al pubblico opere del mio assistito così orribilmente deturpate”, noi risponderemo “C…o vuoi!? È LA LEGGE ITALIANA CHE ME LO IMPONE!”

E infine, noi della musica contemporanea possiamo solo guadagnarci. Posso mettere in linea tutto Hymnem di Stockhausen. Voglio vedere quale funzionario SIAE oserà dire che non è degradato. Ma non li sentite, tutti questi disturbi radio che interrompono gli inni nazionali!

A proposito, i pittori non si salvano. Ecco quattro versioni di un poetico quadro di René Magritte secondo i dettami della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma così sono opere nuove! E carine, per di più.
Wow! Sono così belli che quasi quasi li firmo e li deposito. Faranno parte di una serie che chiamerò “Downgraded Magritte”. Fantastico!
Come disse Dalì «Non comprate i quadri contemporanei, fateveli!»
Lunga vita alla Legge 633 (e successive modifiche).

Però c’è un problema. Se adesso sono quadri miei, per metterli in rete, li devo ulteriormente degradare. E così farò dei nuovi quadri che firmerò e depositerò. E che poi, per metterli in rete, dovrò nuovamente degradare. Aaaaagh!

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Spero che abbiate capito la provocazione. Ma questa legge è veramente paradossale e fuori da un qualsiasi buonsenso. Cosa hanno nella testa i nostri politici? Vermi?

UPDATE 20150621

Questo disegno di legge è stato approvato definitivamente dal Senato il 21.12.2007. Ma poi che fine ha fatto? È stato mai promulgato un regolamento che stabilisca i livelli di degrado?

RIAA peggiore

golden shit trophy

Nel poll di Consumerist (associazione di consumatori USA), la RIAA (associazione dei discografici USA) è stata eletta peggiore compagnia americana 2007 con il 53.8% dei voti, battendo nientemeno che Halliburton, la multinazionale texana in cui ha lavorato il vice-presidente Cheney sempre sull’orlo dello scandalo per i suoi profitti legati alla guerra in Iraq.
Di conseguenza, la RIAA vince il “lucky golden shit trophy”, premio più piccolo, ma molto più esplicito del tapiro d’oro (vedi figura).

Siamo ostaggi

Questo post prende le mosse da un fatto.
The Pirate Bay annuncia: “Era solo una questione di tempo, e infatti eccoli qui! Ieri l’utente Lyzz ha fatto la storia pubblicando il primo film HD DVD” (fonte Punto Informatico).
Circa un mese fa, un programmatore che si fa chiamare Muslix64 ha infatti annunciato di essere riuscito ad aggirare l’Advanced Access Content System (AACS), il nuovo sistema di protezione adottato dai formati DVD di nuova generazione Blu-ray e HD DVD.
Ora troviamo i primi HD DVD (file da oltre 20 Gb) su Bit Torrent. Il tutto fa presagire l’ennesima guerra major contro utenti, ma il blog Bored With Everything fa questa considerazione (prontamente tradotta da Punto Informatico): “Cos’è che traina la tecnologia più di qualsiasi altra cosa? La pirateria. Con la possibilità di visualizzare i file con molti diversi software DVD, questo è un grosso balzo per HD DVD, anche se loro (i produttori di tecnologia, ndr.) non lo dichiareranno pubblicamente. Il prossimo passo saranno masterizzatori HD DVD a buon prezzo, e così la guerra dei formati avrà fine”.

E così arriviamo al punto di cui personalmente sono convinto da anni. Tutto questo dibattito copyright/copyleft è importante, ma in realtà la guerra che si sta combattendo oggi è un’altra in cui noi non siamo protagonisti, ma ostaggi. È una guerra industriale e commerciale in cui noi siamo il territorio da conquistare.
Prendiamo, per esempio, la famosa faccenda del file sharing. Sembra essere una questione fra le major e gli utenti, ma non è così.
In realtà, da una parte ci sono le major che vendono musica e film, ma dall’altra ci sono le telco (compagnie di telecomunicazione) che vendono connessioni internet.

  • E secondo voi, quante connessioni via fibra si venderebbero a circa € 20 al mese se non ci fosse qualcosa da scaricare gratis?
  • Quanti comprerebbero connessioni via fibra solo per leggere la posta e surfare un po’?
  • E quanti la comprerebbero per poi spendere altri soldi per comprare contenuti e oggetti vari?
  • E quanti lettori DVD si sarebbero venduti per metterci dentro solo materiale regolarmente acquistato o noleggiato?
  • E quanti iPod?
  • Sapete che una ricerca ha mostrato che solo il 17% della musica caricata su iPod è stata regolarmente acquistata? (fonte BBC)
  • E ancora, chi avrebbe in casa un masterizzatore solo per fare il backup dei dati?

Il tutto assomiglia molto alla guerra fra major e produttori di registratori di un po’ di anni or sono.
E poi, considerando che il porno costituisce di gran lunga la maggior parte di ciò che viene scambiato in rete, vi siete mai chiesti perché i produttori di porno non protestino mai per le copie? Solo perché il loro prodotto è moralmente discutibile? (ma lo è?). Non scherziamo. Il fatto è che loro sanno che più gira, più si vende.
La guerra vera, quindi, è fra i produttori di contenuti da una parte e i costruttori di hardware e le telco dall’altra. Noi siamo ostaggi.

Micronazioni

sealand
In breve, la notizia (segnalata da Nicola) è questa;
il gruppo svedese anti-copyright The Pirate Bay sta raccogliendo fondi per acquistare una micronazione e piazzarci un server per distribuire contenuti sfuggendo alle leggi sul copyright grazie all’extra territorialità.
La storia è simpatica, e ci offre l’opportunità di raccontare qualcosa sulle micronazioni (penso che pochi sappiano cosa sono e che esistono, oltre naturalmente a quella già note come il Vaticano, S.Marino, Andorra, etc).
In pratica, un micronazione è un lembo di territorio che, per qualche anomalia geografica e/o storica non sembra ricadere sotto la giurisdizione di alcuno stato oppure una parte di territorio che ha rivendicato la propria indipendenza e ottenuto qualche tipo di riconoscimento.
Nella prima categoria ricade, per esempio, l’isola artificiale di Sealand (nella foto) che è proprio quella che The Pirate Bay vorrebbe comprare.
La storia è questa. Durante la seconda guerra mondiale il governo inglese aveva costruito delle piattaforme marine dotate di artiglieria poco oltre le acque territoriali. Servivano per avvistare in anticipo gli aerei e soprattutto i missili nazisti (V1 e V2) e abbatterli prima che arrivassero sul territorio inglese.
Alla fine della guerra vennero tutte demolite tranne una, il famoso royal fort Roughs Tower che sorge a nord della foce del Tamigi a 7 miglia dalla costa (il limite delle acque territoriali era allora di 6 miglia).
Per molti anni Roughs Tower rimase abbandonata, res derelicta et terra nullius fino a quando, il 2 settembre 1967, l’ex maggiore Paddy Roy Bates la occupò, dichiarandola territorio indipendente, andando a viverci e dandole il nome di Principato di Sealand.
Ovviamente il governo inglese reagì inviando truppe. Vennero sparati anche alcuni colpi. Bates era sempre cittadino inglese, per cui venne arrestato e processato e qui arriva il colpo di scena.
Come era suo dovere, la giustizia inglese, che spesso è seria, si dichiarò incompetente per territorio, perché l’isola è fuori dalle acque territoriali. Roy di Sealand ritornò libero alla sua isola che ricevette un primo importante imprimatur di indipendenza.
Più tardi accaddero altri fatti cruenti. Nel 1978, mercenari olandesi al soldo di un uomo d’affari tedesco occuparono l’isola con la forza, ma vennero poi sconfitti e fatti prigionieri da Roy (che in quel momento si trovava in Inghilterra) e dai suoi uomini. Di conseguenza, i governi olandese e tedesco intavolarono trattative con Sealand per il rilascio dei prigionieri, dando all’isola un ulteriore riconoscimento di sovranità.
La situazione attuale di Sealand sembra essere tranquilla. Un internet provider, HavenCo Limited, ha anche posto la propria sede sull’isola, dotandola di una connessione ad alta velocità e pubblicizza la propria sede extra-territoriale come fonte di sicurezza per dati sensibili e transazioni finanziare al riparo dalle grinfie governative.
Ecco quindi l’interesse di Pirate Bay che vorrebbe farne un centro di distribuzione di materiale copyrighted in barba alle leggi europee. Per ora hanno raccolto solo $14.000.

Fin qui la storia di Sealand, ma pochissimi sanno che un tentativo analogo è stato fatto anche in Italia. Nel 1965, un costruttore, tale ing. Rosa, edificò una piattaforma in Adriatico, davanti a Bellaria, poco fuori le acque territoriali.
L’isola venne aperta al pubblico nel 1967. Si pensava di impiantarvi una serie di attività commerciali: un ufficio postale, un negozio di souvenir, un piccolo albergo, un ristorante, un bar ed un night-club.
Il 1 maggio 1968 venne dichiarata l’indipendenza e la piattaforma venne battezzata Isola delle Rose. Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse e la reazione fu dura: 55 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, il 25 giugno 1968, un gruppo di quattro carabinieri ed alcuni ispettori delle imposte atterrarono sull’isola e ne presero possesso, senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale. Il governo della Repubblica dell’Isola delle Rose inviò telegrammi di protesta anche al governo italiano, ma fu ignorato. L’11 febbraio 1969, sommozzatori della Marina Militare Italiana distrussero con l’esplosivo la piattaforma artificiale, eseguendo la sentenza del Consiglio di Stato di giovedì 17 luglio 1969. La proprietà si rifece prima al TAR, poi al Tribunale Internazionale dell’Aja, ma, alla fine, cedette e dell’Isola delle Rose e di ciò che si favoleggiava attorno, nessuno parlò più.

La RIAA vi lascia vivere se siete morti

Come riferisce The Wired Campus, la RIAA (l’associazione americana dei discografici, la cui mission, ormai, è perseguire legalmente chiunque scarichi MP3 illegali dentro e fuori gli USA) ha lasciato cadere la causa contro Larry Scantlebury, recentemente deceduto, invece di continuarla, rivalendosi su moglie e figli, come avrebbe avuto il diritto di fare.
La stessa RIAA ha sottolineato la propria “grande sensibilità” in questo particolare caso, ma il blog Boing Boing ha fatto notare come, subito dopo la morte del sig. Scantlebury, la RIAA aveva concesso alla famiglia solo una sospensione della causa per 60 giorni e la sua abbondanza di sensibilità si sia materializzata solo dopo che il caso era finito su molti giornali e blog (più di 20.000 reference per Scantlebury RIAA su Google).

According to The Wired Campus, the RIAA, (Recording Industry Association of America) has dropped plans to pursue an antipiracy lawsuit against Larry Scantlebury, a defendant who recently passed away, by deposing his children.
A RIAA spokesperson, Jonathan Lamy, emphasized the RIAA “abundance of sensitivity” in dropping this particular case, but Boing Boing, one of its fiercest critics, remarks that the RIAA had only given 60 days to grieve before the RIAA went on to depose the dead man’s children in a renewed suit against his estate and this “abundance of sensitivity” only materialized within 24 hours of this story hitting several large news outlets and blogs (more than 20.000 references for Scantlebury RIAA found on Google).