xkcd è fantastico, ma bisogna essere un po’ nerd (click to enlarge)
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Codici a barre
Per chi ha sempre pensato che i barcode siano soltanto dei codici, ecco una risposta creativa dai giapponesi di d-barcode.
NB: non sono semplici disegni; sono veramente stampati sulle confezioni.
Form1
Form1 è una stampante 3D, prodotta da Formlabs, che può modellare forme piccole fino a 3 decimi di mm su strati dello spessore di 25 millesimi di mm, il tutto su blocchi di 125 x 125 x 165 mm. Il che significa che può produrre, con estrema precisione, oggetti come quelli in figura (click per ingrandire; occhio alle dimensioni degli oggetti: la monetina è ¼ di $, circa 24 mm di diametro).
Il progetto è opera di alcuni ricercatori del MIT Media Lab che hanno deciso di realizzare una stampante 3D economica, ma ad alta precisione dopo aver constatato che le macchine attuali, pur costando decine di migliaia di dollari, non sono in grado di soddisfare gli standard di qualità richiesti dai designer professionali. Form1 costa solo $ 3000.
A piccoli passi, ci stiamo avvicinando alla distribuzione di massa a basso prezzo in modo analogo a quanto è avvenuto per le stampanti laser che una volta costavano milioni di lire in bianco/nero, mentre oggi costano qualche centinaio di euro, a colori. Pensateci un attimo. Avete bisogno di un oggetto? Non andate a comprarlo; caricate un po’ di di resina e ve lo stampate.
Ma, al di là del progetto in sé, è notevole il modo in cui è stato sviluppato. Questi avevano evidentemente bisogno di un finanziamento per produrre i prototipi e cosa hanno fatto? Hanno chiesto soldi allo stato? Alle banche? A una azienda? Niente di tutto questo. Hanno lanciato una sottoscrizione pubblica con quote che vanno da $ 5 a $ 10.000 offrendo in cambio gadget e sconti sul prodotto (con $ 2999 si riceve una stampante completa, una volta realizzata). Il tutto nella più assoluta trasparenza, con un sito che ne mostra l’andamento.
Finora hanno raccolto impegni per $ 395.220, a fronte dei 100.000 richiesti, da parte di 279 sottoscrittori (ma la parola inglese backer significa anche investitore e scommettitore). L’asta è ancora aperta; termina il 26/10. Questo è uno degli aspetti dell’America che è chilometri avanti rispetto alla vecchia Europa.
Il sito è qui. Andate a vedervi il video: dopo i discorsi, vederla in funzione è affascinante, soprattutto quando stampa un piccolo oggetto a forma di stella con un minuscolo tubo dentro. E il tubo è cavo: ci passa un liquido.
P.S.: speriamo non finisca come in Internal Debate; le stampanti sono sempre macchine del Demonio.
iTypewriter
La nostalgia colpisce ancora. Austin Young ha costruito iTypewriter, una macchina da scrivere vecchio stile che si interfaccia con l’iPad. In tal modo l’utente può sperimentare il feeling antico della pressione su dei tasti meccanici, pur utilizzando la tecnologia più recente.
Personalmente, queste cose mi lasciano abbastanza freddo, ma in questo caso, quello che mi diverte è “l’interfaccia” fra la macchina da scrivere e l’iPad. Non si tratta di qualcosa di elettrico, ma è una soluzione puramente meccanica, visibile nel video qui sotto.
Per quanto mi riguarda, ho fatto in tempo a rompermi le dita per anni su una Olivetti Lettera 32 (ci ho fatto tutta l’università, tesi compresa) e vista anche la mia passione per l’audio, mi basta la rievocazione sonora che ho trovato in FocusWriter, un simil wordpad, nel senso che non è un WP completo come Open Office, ma, volendo, emette i rumori dei tasti e del ritorno carrello tipici della vecchia macchina da scrivere.
Lo stesso Austin Young ha messo a punto anche un altro progetto, iTurntable, che permette di controllare un player digitale come l’iPhone con un piatto girevole con tanto di braccetto per suggerire il feeling antico dei vecchi 33 giri.
Steve Jobs by Walter Isaacson
Se a qualcuno piacciono la tecnologia e le biografie, quella di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson è un’ottima lettura. L’ho trovata in un supermarket e mi sono deciso a comprarla perché, leggendo le note di copertina, mi è sembrata abbastanza obiettiva, cioè anche critica e non solo osannante (non è che non ami Jobs; quello che non mi piace è l’atteggiamento di adorazione acritica che molti manifestano nei suoi confronti).
Walter Isaacson è un ex caporedattore di Time, CEO di CNN, oggi direttore dell’Aspen Institute. Ha scritto biografie di Kissinger, Benjamin Franklin ed Einstein. È una persona con le spalle abbastanza larghe da non farsi condizionare da chicchessia e va a merito di Jobs l’averlo invitato a scrivere la sua biografia autorizzata senza interferire nella stesura.
Il libro si legge facilmente ed è privo di strafalcioni tecnologici significativi.
Isaacson tratteggia senza sconti la personalità complessa di Jobs: un genio per quanto riguarda la definizione degli aspetti estetico/funzionali dei prodotti Apple e sufficientemente carismatico da spingere i suoi collaboratori a realizzare cose fino a quel momento ritenute impossibili, ma anche un egocentrico che divideva il mondo soltanto in due categorie, fantastico e merda, spesso brutale con chi gli stava intorno, capace anche di appropriarsi delle idee altrui e riproporle come proprie.
La sua ricerca estrema e quasi furiosa della semplicità sia nel design che nella funzionalità dell’oggetto, lo avvicina al Bauhaus, con la differenza che, per Jobs, il detto “form follows function” si rovescia nel suo esatto opposto. Spesso, infatti, alcune caratteristiche funzionali dei sistemi Apple sono state determinate dall’estetica scelta da Jobs per qualche dispositivo. In tal modo si rovescia il normale processo di progettazione. Di solito, infatti, prima vengono gli ingegneri che decidono quali componenti devono far parte della macchina e poi arrivano i designer che hanno il compito di rinchiuderli in un involucro accattivante (e spesso, nel caso del computer, si limitano a un involucro qualsiasi).
L’approccio di Jobs, invece, ha posto ai progettisti delle sfide che li hanno costretti a innovare. In genere, non si ha la percezione di quanto sia difficile cambiare la forma di un computer. Per esempio, il solo fatto di volere gli spigoli molto arrotondati provoca un bel problema di progettazione perché i produttori di schede e chip lavorano solo con elementi rettangolari. In teoria un chip rotondo si potrebbe fare, a patto, però, di cambiare l’intera catena di produzione, dal software che sistema i collegamenti fino ai robot che saldano i chip sulla piastra. In pratica è impossibile.
Di conseguenza, l’arrotondamento degli involucri con il taglio degli angoli produce spazio sprecato, a meno di inventare una disposizione diversa degli elementi all’interno dell’involucro, cosa che risulta più semplice se si usano elementi più piccoli, che, però, hanno un costo maggiore, il che spiega, in parte, il prezzo eccessivo rispetto alle prestazioni delle macchine Apple.
Gli effetti di questo modo di procedere sono risultati a volte decisamente innovativi, ma, in altre occasioni, si sono rivelati tali da compromettere alcune funzionalità.
Un esempio del primo tipo è lo sfondo bianco dell’interfaccia del Macintosh, conseguenza del fatto che Jobs voleva che fosse WYSIWYG: what you see is what you get (quello che vedi è quello che ottieni), quindi, se il documento in stampa sarebbe risultato nero su bianco, anche sullo schermo doveva essere così. Questa idea aveva fatto imbestialire non poco i tecnici perché il tradizionale sfondo nero (a fosfori spenti) era più semplice da progettare ed evitava che il tremolio dei fosfori fosse visibile. Lo sfondo bianco, invece, costringeva a ricorrere a monitor di qualità superiore, più costosi. Oggi tutti siamo abituati a questa situazione ed anche i display hanno fatto un salto di qualità non da poco.
Un esempio del secondo caso è il maledetto lettore CD dell’iMac. Jobs si arrabbiò moltissimo quando vide che il progettista aveva inserito nella macchina un lettore a cassettino invece che uno a fessura come era suo desiderio e gli impose di cambiarlo. Il punto è che a quell’epoca, i CD player non erano ancora in grado di masterizzare, ma solo di leggere. Il progettista, però, sapeva che a breve sarebbero stati disponibili anche i primi masterizzatori e che, per alcuni anni, sarebbero stati prodotti solo in versione a cassettino e avvisò Jobs che non volle scostarsi dalla sua idea. Per questa ragione gli acquirenti dell’iMac non hanno potuto beneficiare di un salto tecnologico e per vari anni sono stati costretti ad acquistare un masterizzatore a parte, mentre tutte le altre macchine nascevano dotate di masterizzatore di serie.
Un altro esempio molto più recente è l’antenna-gate dell’iPhone 4. Sebbene la volontà ferrea di Jobs fosse in grado di spingere i tecnici a fare miracoli, non c’è alcuna possibilità di contrastare il fatto che il metallo non è un materiale ideale da piazzare vicino ad una antenna: a dispetto dei desideri di Jobs e del suo designer di fiducia, le onde elettromagnetiche si ostinano a fluire sul metallo piuttosto che attraverso di esso con la conseguenza che un involucro metallico attorno a un telefono scherma sia la ricezione che la trasmissione (è la cosiddetta gabbia di Faraday). In origine, l’iPhone avrebbe dovuto avere una corona di plastica per permettere al segnale di fluire, ma la visione estetica di Jobs richiedeva una corona metallica. I tecnici fecero l’impossibile per utilizzare il metallo come estensione dell’antenna creando una discontinuità nella corona di acciaio che circondava l’apparecchio, ma come risultò chiaro da subito, se un dito sudato interrompeva tale fessura, la linea crollava.
È giusto rilevare, però, che i successi del metodo Jobs sono stati di gran lunga maggiori rispetto agli insuccessi e che la sua capacità innovativa ha realmente cambiato il modo in cui la massa percepisce la tecnologia. Dico “la massa” perché le creazioni Apple sono rivolte principalmente a coloro che utilizzano i sistemi digitali per l’ordinaria amministrazione, non a coloro che fanno un uso spinto della tecnologia. Prova ne è il fatto che le macchine high-end disegnate da Jobs sia in Apple che fuori, non hanno mai avuto grande successo. Non l’ha avuto il Lisa, non l’ha avuto il NeXT e non l’ha avuto il Power Mac G4 Cube che, nonostante sia finito esposto al Museum of Modern Art di New York, non ha impressionato i professionisti, poco disposti a spendere il doppio del normale per avere una scultura sulla loro scrivania. La presenza massiccia di Apple in alcuni centri di ricerca, come, nel mio campo, l’IRCAM, dipende più che altro da oculate politiche di vendita e sponsorizzazione che altro (leggi: sconti e regali).
Ma il problema maggiore di Apple, quello che ne ha frenato la diffusione fra gli addetti ai lavori, in realtà non è il prezzo, ma l’estrema chiusura dei loro sistemi. Nonostante la pubblicità tenti sempre di accreditare un’immagine creativa, i sistemi di Jobs sono sempre stati più diretti alla fruizione di contenuti che alla loro creazione e per volontà espressa dell’azienda, non esiste una pluralità di fornitori, il che significa che, sia che si abbia bisogno di un particolare componente hardware, di una certa applicazione o solo di una riparazione, bisogna sempre rivolgersi a una e una sola azienda e accettare le sue condizioni. A partire dal primo Mac, questa è stata la politica aziendale propugnata da Jobs. Quando in Apple si sono accorti che erano nati dei servizi di riparazione dell’iPhone gestiti da terze parti, l’azienda ha persino modificato le viti per impedire che qualcun altro fosse in grado di aprirlo.
Entrare in Apple, in pratica, significa consegnare la propria attività e i propri dati a una singola azienda senza potersi rivolgere a qualcun altro nel caso di disaccordi con la politica aziendale. È un po’ come acquistare una bellissima automobile di marca ZZZ (che proprio per questo costa il doppio di un auto normale) e scoprire, però, che gli unici che possono ripararla sono i centri ZZZ (che la tengono via 20 giorni e ti fanno pagare un occhio), che puoi fare benzina solo nei distributori approvati da ZZZ e che rende il massimo solo sulle strade consigliate da ZZZ.
Detto così, sembra solo un fatto economico, ma non lo è. È una di quelle cose che riguarda la libertà di tutti, anche se pochi ne sono toccati direttamente. Il fatto è che, sul mio computer, voglio mettere il sistema che voglio, farci girare i programmi che voglio e anche scriverne qualcuno, visto che so come fare, e magari venderlo o regalarlo e questo, in Apple, non è semplicemente possibile.
Una casa steampunk
Un falso organo vittoriano in versione steampunk, costruito utilizzando frammenti di un organo del 19° secolo (click per ingrandire).
In realtà l’organo non è funzionale. Si tratta di un elemento decorativo di una workstation dotata di tre monitor e completa di stampante, scanner, audio e webcam. Altre immagini qui.
Il tutto fa parte della casa steampunk di Bruce and Melanie Rosenbaum.
Come al solito ci spiano
In questi giorni sta facendo un certo rumore la scoperta che la nuova generazione di cellulari ci spia sistematicamente. Non mi riferisco al fatto, ormai noto a tutti, che i nostri spostamenti e contatti vengono tracciati dalle compagnie telefoniche grazie alle celle che il nostro cellulare aggancia, ma al fatto che i nostri movimenti vengono salvati in un file conservato all’interno del telefono e a volte anche sul computer a cui il telefono viene connesso.
Tutto ciò appare grave perché, se alle registrazioni conservate dalle aziende si può accedere solo dietro richiesta di un magistrato, questo file può essere consultato da chiunque sappia come arrivarci. E non è difficile, soprattutto per Apple.
La cosa vale sia per l’iOS di Apple che per Android. con qualche piccola distinzione che vado a riferirvi:
iOS Apple (iPhone e iPad 3G)
Cory Doctorow riporta qui la scoperta di alcuni ricercatori che si occupano di sicurezza presentata alla conferenza Where 2.0. È stato scoperto un file nascosto (invisibile all’utente) che contiene tutti gli spostamenti del telefono desunti dalle celle, dagli access point wi-fi e dal GPS, ognuno accompagnato dal relativo time-stamp (data e ora). Il file viene anche scaricato sul computer a cui il telefono si connette.
A quanto pare, la registrazione di tali dati è iniziata con l’upgrade a iOS 4 datata Maggio 2010. Di conseguenza, in alcuni telefoni, si può trovare quasi un anno di spostamenti completi di coordinate, data e ora. Il file non è criptato e la lettura è possibile anche a non geek utilizzando l’apposita applicazione, iPhone Tracker, che si scarica qui.
Finora Apple non ha spiegato perché questi dati vengono raccolti, né fornito un modo per bloccarli. L’utente viene tracciato, che lo voglia o no. In pratica, Apple ha reso possibile ottenere informazioni dettagliate sui vostri spostamenti a chiunque abbia accesso al vostro iPhone (un partner geloso, un detective privato, i genitori, etc.).
La cosa divertente è che Apple ha il diritto di raccogliere tali dati. Fra le 15200 parole che formano i terms and conditions for its iTunes program, un paragrafo di 86 parole dice
Apple and our partners and licensees may collect, use, and share precise location data, including the real-time geographic location of your Apple computer or device. This location data is collected anonymously in a form that does not personally identify you and is used by Apple and our partners and licensees to provide and improve location-based products and services. For example, we may share geographic location with application providers when you opt in to their location services.
La notizia è finita anche sul Guardian con dovizia di particolari.
Android
Gli utenti Android sono relativamente più fortunati. Quello di Android, infatti, non è un file, ma una cache. Ne consegue che è più difficile accedervi (serve un informatico dotato di una certa perizia, vedere qui), ma soprattutto vengono conservate solo le ultime 50 celle e gli ultimi 200 wi-fi access point. La profondità dei dati, quindi, è più limitata rispetto a iOS.
In entrambi i casi, non si sa se i dati vengano inviati rispettivamente a Apple e a Google. Vari rappresentanti di entrambe le aziende si stanno affrettando a negare qualsiasi utilizzo fraudolento.
RIP Lemur, long live tablet PC
A dispetto della sua giovane età, 5 anni, il Lemur, prodotto da JazzMutant, è già morto.
Il Lemur è stato la prima interfaccia multi-touch regolarmente in commercio. Come le immagini suggeriscono, si tratta di un display collegabile a un PC, su cui si possono piazzare, virtualmente, dei sistemi di controllo, come pulsanti, slider, eccetera.
La particolarità di Lemur è, appunto, il multi-touch: più bottoni/slider potevano essere premuti/mossi nello stesso tempo operando con più dita. Destinato ad essere collegato a mixer virtuali e sistemi come Max/MSP, superava i limiti intrinseci del mouse. Il principale problema dei controlli virtuali, infatti, è proprio il mouse che consente di agire su un solo elemento alla volta. E per fare un semplice esempio, il non poter muovere contemporaneamente più slider in un mixer è un problema molto grosso, tale da rendere l’intero oggetto inutilizzabile.
Il Lemur è nato proprio per superare questo limite. Ma oggi, con l’arrivo dei tablet PC, è diventato praticamente inutile. Fino al 31 Dicembre, gli ultimi Lemur sono in vendita presso JazzMutant con 25% di sconto, a € 1499.
If it was your home
Go there and center the oil spill around your home.
Imagine a big black blob from Torino to Udine, from Le Havre to Bruxelles, from Cardiff beyond Norwich covering London, from Münster to Berlin…
UPDATE 19/06/2010
The big black blob 10 days after
UPDATE 11/07/2010
The big black blob 30 days after
Laser 50th anniversary
May 16 1960: Theodore Maiman presented the first laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation) to the world. 50 years later, lasers are used in everyday life in fiber-optic communications, CDs/DVDs players, laser printers, laser medical procedures, and many more applications.
But the laser has many fathers, as stated in this poetry from PhD Comics
Hitler about iPad
Hitler’s opinion about iPad.
Strage di cervelli
Che la situazione italiana della ricerca non sia mai stata ottimale lo si sapeva ma, secondo questo articolo di Repubblica, che fa il paio con la lettera pubblica di Pier Luigi Celli, direttore della Luiss, al figlio, siamo ormai oltre lo sbando.
Alcuni estratti:
Questa non è una fuga di talenti, questa è una sottrazione di cervelli. Una rinuncia al futuro. Perché c’è in atto una decimazione silenziosa di ingegneri, tecnici, ricercatori. Produttori di conoscenze, di innovazione, di ricchezza immateriale nella presunta epoca del post-industrialismo. In questo terribile 2009 sono saltati quasi 20 mila posti di lavoro nell’information technology, dove si concentra, tra gli addetti, la più alta percentuale di laureati rispetto agli altri settori: il 30 per cento.
Sono un pezzo importante di quei colletti bianchi creativi così decisivi nel far decollare, solo qualche anno fa, il nostro “quarto capitalismo” di medie imprese internazionalizzate, quando ancora non si immaginava la tempesta dei sub-prime. Ora i nostri “cervelli” sono diventati esuberi.
….
E si spiega così che l’Italia si collochi al penultimo posto in Europa in quanto a incidenza dei lavoratori creativi (ingegneri, architetti, matematici, medici e altre professioni molto qualificate) sul totale della forza lavoro: siamo al 9 per cento contro il 18-20 per cento dei paesi del nord Europa come Belgio, Svezia, Irlanda, o il 13-14 per cento dei paesi dell’Europa centrale e meridionale come Germania, Spagna e Grecia. Difficile pensare di vincere le prossime sfide globali schierando solo le nostre, un tempo dinamiche, piccole imprese. Ci vuole di più. Più di quel nostro uno per cento di Pil destinato alla ricerca, pari a circa la metà di quel che investono mediamente dell’Europa a 15, ma addirittura un terzo di quanto indirizzano il Giappone e la stessa Corea del Sud, e un quarto di quanto fanno Finlandia e Svezia.
Sostiene Carlo Dell’Aringa, professore di economia politica alla Cattolica di Milano: “E’ scontato che la crisi porterà con sé un impoverimento della capacità produttiva. Molte aziende marginali, soprattutto nel tessile e nel metalmeccanico, finiranno per essere tagliate via. Per questo bisogna decidere di sostenere i settori più promettenti. Riscoprire una politica industriale dei settori (la biomedica, le nanotecnologie, l’ambiente) più che dei fattori (il costo del lavoro, l’accesso al credito, la sburocratizzazione)”. Il caso della banda larga, però, parla da solo e racconta di un’altra storia: di un investimento complessivo pari alla metà di quello stanziato dalla Grecia e di 800 milioni subito bloccati dal Cipe. Parla di un sistema rimasto nella rete del Novecento.
Riappropriarsi di ciò che è vuoto
Il 12 Giugno 2009 le ultime TV americane che trasmettevano in analogico hanno spento per sempre i loro trasmettitori, passando al digitale.
Nella stessa data, The End of Television ha acceso i propri trasmettitori diventando l’unica TV analogica attiva negli USA.
Utilizzando un medium praticamente obsoleto, The End of Television ha rilanciato il mai sopito ideale del “broadcast yourself” trasmettendo una rassegna di 22 ore di video realizzati da più di 40 artisti.
The End of Television continua le proprie trasmissioni restando l’unica TV sul territorio americano visibile senza l’apposito decoder.
Così sarebbe stato…
…se, invece degli Stati Uniti, la corsa alla luna l’avessero vinta i russi. In realtà il loro progetto era troppo complesso e cervellotico per prevalere (es: un vettore a 5 stadi invece di 3, con 30 piccoli motori).
Però dal punto di vista estetico non c’è confronto. Lo steampunk retrò dei sovietici era impagabile…
We choose to go to the Moon
“We choose to go to the Moon” sono le storiche parole pronunciate dal pres. JFK nel Settembre 1962 per annunciare il varo del programma che avrebbe portato l’uomo sulla Luna alle 20:17:40 UTC del 20 Luglio 1969 (le 2 del 21 Luglio in Italia), 40 anni fa.
Circa 6:30 ore dopo l’allunaggio, alle 2:56 UTC del 21 Luglio, Armstrong posò il piede sul nostro satellite e fece il suo grande passo per l’umanità.
Fra le moltissime iniziative commemorative, vi segnalo we choose the moon, un sito che propone una simulazione in computer graphic e in tempo reale dell’intera missione, con spezzoni dell’audio originale e varie immagini.
Korg Nano
Un trio di controller USB prodotti da Korg, utili, piccoli e abbastanza economici (€ 59 ciascuno).
- Il nanoKONTROL ha 9 slider MIDI (controlli continui), altrettanti potenziometri, 18 pulsanti e una sezione di transport.
- Il nanoPAD possiede 12 pad sensibili alla dinamica, ognuno capace anche di inviare fino a 8 messaggi MIDI (note o controlli). Inoltre ha un touchpad X-Y.
- nanoKEY, infine, è una tastiera con 25 tasti, valocity sensitive, 8va mobile, pitch bender e modulation wheel.
Disponibili nei due colori visibili in foto.
Stop Recycling, Start Repairing
Sono ormai anni che l’industria produce oggetti non riparabili. Con il – a mio avviso – pretesto della sicurezza, si fabbricano oggetti che non si possono aprire e smontare senza appositi attrezzi, ma, in tal modo, è impossibile ripararli da soli.
Di conseguenza, un frullatore con un banale filo staccato viene buttato e sostituito perché è inapribile dal cittadino comune e inviarlo ad un laboratorio costa troppo rispetto al suo prezzo da nuovo.
Lo stesso oggetto, invece, potrebbe essere aggiustato in casa da qualsiasi umanoide dotato di un minimo di buon senso.
Tutto ciò aiuta il consumo, ma produce anche rifiuti e sprechi a non finire.
Il sito olandese Platform21 ora promuove una campagna per rendere riparabili gli oggetti.
Platform21’s Repair Manifesto opposes throwaway culture and celebrates repair as the new recycling.
With our new project, Platform21 = Repairing, we seek to make repairing cool again – with your help. Let the manifesto inspire you, comment on it or add to it. Rediscover the joy of fixing things and share your most ingenious repair, your tips and your tricks. You could present them in person later, or see them on our website or in the exhibition that opens on Friday 13 March.
This project is about sharing knowledge and skills. Together we can start a movement, one that isn’t new per se but has been forgotten. So if you know a way to save a product, let us know by emailing info at platform21 dot com.
Un orologio per geeks
Se riuscite a spiegare tutte le ore vi meritate l’orologio ($20 su Etsy).
Le risposte sono qui.
Via Boing Boing
Il silenzio è d’oro
Questo oggetto potrebbe interessare a molti (non claustrofobici).
Yamaha MyRoom II è un box completamente insonorizzato di dimensioni non proprio minuscole (1.5 tatami mats = approx. 2.5 m2; dim. interne 1328 x 1770 x 1964 mm), equipaggiato con aria condizionata, pannello di controllo touch screen, illuminazione regolabile e diversi optional fra i quali un impianto hi-fi.
Ottimo per sfuggire a vicini rumorosi, mogli ululanti e figli heavy metal, ma anche per l’opposto: suonarci dentro la chitarra con volume a 11. Unico neo il prezzo: da $6,500 a $15,000. Con questa cifra uno forse insonorizza una stanza.
Per i particolari e altre immagini, anche dell’interno, vi rimando a questa recensione.
Organum Insolitus
Custom steampunk guitar built for the 2008 Jersey City Artists Studio Tour.
Designed using elements of steampunk, Organum Insolitus incorporates clockwork gears, hand hammered brass, cloth wire and wood to show an alternate historical glimpse of a 19th century electric guitar. The guitar features a television with Fresnel lens magnifier, onboard phaser and amplifier. Rather than use multiple pickups, the one humbucker can be repositioned with the red faucet handle. The television, guitar, effects and amplifier can all be patched through to each other in any configuration using the patch bay on the front of the guitar. The pickup or television can also be output through a standard 1/4″ cable to an external amplifier.