Post-human performance (was Aidoru)

Hatsune MikuQuando ho scritto questo post, nel 2010 con il titolo di Aidoru (Idol nella translitterazione inglese → giapponese), pensavo che Hatsune Miko sarebbe durata solo qualche anno, sostituita da qualche altro idolo in ologramma, invece è ancora lì, alive & kicking, e soprattutto per niente invecchiata 😛

Qui lo ripropongo e aggiungo qualche considerazione.


Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.

La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.

Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).

Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.

Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.

Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.

Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.

Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. L’idea nacque dalla constatazione che il contatto fra i fans e le star era sempre mediato da qualcosa (internet, TV, film, stampa). Non si incontra una star della musica o del cinema per caso in un centro commerciale o al ristorante. E in realtà lo star system non vende una persona, bensì una immagine totalmente idealizzata. La maggior parte dei fans non ha mai visto il proprio idolo in carne ed ossa, ma solo attraverso i media. Una parte riesce a vederlo, da lontano, in qualche concerto o mentre entra in un hotel ed è tutto. Una sparuta minoranza riesce a toccarlo facendosi fare un autografo dopo un lungo appostamento davanti alla sua casa, ma è una quantità trascurabile.

Quello che lo star system giapponese ha capito è che, se le cose stanno così, non è necessario che la star sia una persona vera. Può essere benissimo un personaggio virtuale. Per i fans non cambia proprio niente. E, si noti, alla base di questa idea non ci sono considerazioni economiche. Se è vero che le star virtuali non devono essere pagate, è anche vero che, al loro posto, bisogna pagare dei team di design e animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi. Non ha comportamenti censurabili, a meno che non lo si voglia. Non è mai di pessimo umore, non si monta la testa, può lavorare sempre ed essere in TV anche la mattina dopo un concerto, fresco come una rosa.

Considerate, infine, che le star virtuali che sono state create non sono certo attori di teatro avvezzi a confrontarsi con le tragedie shakespeariane e nemmeno musicisti classici, ma, tipicamente, si tratta di cantanti con target adolescenziale. Hanno, al massimo, la profondità concettuale di un Justin Bieber.

Qui vediamo Hatsune Miku insieme a Megurine Luka (ルカ 巡音). Il cognome di quest’ultima combina la parola “Meguri” (巡, “intorno”) e “Ne” (音, “suono”), mentre il nome Luka evoca le omofone parole giapponesi “nagare” (流, “flusso”) e “ka” (歌, “canzone”) o “ka” (香, “profumo”. Il risultato dell’unione di queste parole può quindi essere “flusso di canzoni che si diffondono come profumo”) [da wikipedia con correzioni mie].

Megurine Luka è un passo avanti rispetto a Hatsune Miku. Infatti altro non è che l’incarnazione del terzo applicativo di Vocaloid, lanciato nel 2009 insieme al personaggio che lo rappresenta.

Questa tendenza giapponese ad “incarnare” i software fin dal momento del lancio è unica nel panorama mondiale. In occidente, infatti, l’eventuale incarnazione arriva dopo, quando il software, tipicamente un gioco, ha già raggiunto un successo planetario e allora il personaggio diventa vero, impersonato da un attore/attrice, non virtuale (il caso più emblematico è proprio quello di Lara Croft).

Asako Narahashi

Da più di 10 anni, Asako Narahashi fotografa il mondo dal ciglio dell’acqua, a volte con la macchina in parte sommersa.

In alcune immagini, la prospettiva sembra quella di un naufrago che annaspa fra le onde. In altre, con acqua calma, la vista è quella di un nuotatore che riposa scivolando sull’acqua o facendo il morto.

Click per ingrandire.

Una fontana …

… un po’ speciale.

Si trova in Giappone, alla Osaka City Station.

A vederla disegnare forme con l’acqua, sembra complicata, ma, in realtà, non è più complessa di una stampante. Immaginate una stampante che abbia una sola linea di ugelli lunga quanto la larghezza del foglio. A questo punto basta che il software prenda una linea della pagina e mandi un 1 (aperto) per ogni pixel nero e uno 0 (chiuso) per ogni pixel bianco, continuando così per tutte le righe. Il software è perfino più semplice di quello di una stampante. Ecco fatto. In fondo è computer art.

C’è, comunque, un messaggio più interessante, dietro ed è l’idea che una società deve favorire e perfino spingere la creatività e l’arte anche nelle sue manifestazioni più normali, come una stazione o l’arredo urbano in genere. Da quanto tempo non vedo un’opera d’arte contemporanea in una stazione?

Tsunami in soggettiva

Questo impressionante video, ritrovato in un’auto, mostra lo tsunami giapponese dal punto di vista del cittadino qualunque.

Yu Muroga è un autista giapponese. Era al lavoro l’11 marzo 2011. Come altre persone in quell’area, non si sentiva minacciato da uno tsunami, essendo abbastanza lontano dalla costa, così, nonostante il terremoto, ha continuato a fare il suo lavoro. Ma si sbagliava.

La telecamera ad alta risoluzione montata sull’auto, lasciata accesa, ha filmato il momento del sisma e il successivo arrivo delle onde…

In realtà, data la diffusione di videocamere in Giappone, i video di questo tipo sono moltissimi. Date un’occhiata anche a questo.

Tre mesi dopo

ll Giappone, tre mesi dopo il terremoto. Queste immagini accostate, prese, la prima poco dopo lo tsunami (12/3) e la seconda 20 giorni fa (4/6) a Miyako, mostrano una incredibile trasformazione.

Naturalmente non è andato così ovunque, ma in tutti i luoghi colpiti, eccetto, ovviamente Fukushima, la rimozione dei detriti prosegue a velocità sorprendente (almeno per noi; in effetti, è così che dovrebbe andare in un paese normale).

Click per ingrandire.

Il Giappone è lontano

Tokyo, 10-05-2011

Il primo ministro giapponese Naoto Kan ha annunciato che rinuncera’ al suo stipendio fino a quando non sara’ terminata la crisi nucleare a Fukushima. Il taglio dell’appannaggio mensile e del bonus versato due volte l’anno iniziera’ dal mese di giugno, riferisce l’agenzia stampa Kyodo.

L’annuncio e’ giunto durante una conferenza stampa nella quale Kan si e’ scusato con gli elettori per non aver saputo prevenire la crisi nucleare scoppiata all’impianto nucleare di Fukushima, in seguito al sisma e lo tsunami dell’11 marzo.

Il primo ministro giapponese ha anche riferito che il Giappone rinuncera’ all’aumento dal 30 al 50% della percentuale di elettricita’ elettrica [sic] prodotta da centrali nucleari, originariamente previsto entro il 2030.

Intanto la Tepco, societa’ che gestisce l’impianto di Fukushima, ha chiesto formalmente al governo di Tokio un aiuto finanziario per affrontare gli enormi costi dei risarcimenti alle vittime del disastro nucleare.

Assieme alla richiesta, riferisce l’agenzia Kyodo, e’ stato presentato un piano per un taglio dei costi della societa’ che comprende anche la restituzione degli stipendi del presidente della Tepco, Mastaka Shimizu, del chairman Tsunehisa Katsumata e di sei vicepresidenti.

Fonte: RAInews24

Haiku sonori

Ho appena letto un articolo di Murray Shafer, Orecchie aperte riportato in Paesaggi sonori, a cura di M. Bull e L. Back, Il Saggiatore, 2008 (NB: titolo originale The auditory culture reader, 2003; non ci sono i titoli originali dei singoli articoli, maledizione).

A un certo punto, in un capitolo intitolato L’orecchio dell’immaginazione, Shafer riporta vari haiku che spingono ad immaginare un suono a volte in modo sorprendente.

Il primo è il famoso haiku della rana di Bashō (1644 – 1694), che ho trovato anche in lingua originale

古池や
蛙飛びこむ
水の音
(furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto)

Questo haiku è stato tradotto in molti modi, ma la traduzione più realistica, anche se non è quella riportata nell’articolo, mi sembra essere:

antico stagno
una rana si tuffa
il suono dell’acqua

Nota: la traduzione degli haiku, come di molta poesia, non è univoca, ma è spesso una questione di sfumature. Qui, a volte, ho scelto di riportare la mia traduzione preferita anche se non è quella utilizzata nell’articolo che, oltretutto, è una doppia traduzione (giapponese → inglese → italiano).

Lo stesso Bashō offre anche altri esempi di attenzione al suono

il canto del cuculo
si adagia
sulla superficie dell’acqua

*****

il canto del cuculo
si perde lontano
verso un’isola sola

*****

mentre canta l’allodola
le grida del fagiano
battono il tempo

*****

silenzio:
la voce delle cicale
graffia la pietra

Un esempio fantastico è di Yamei

hark! la voce di un fagiano
ha ingoiato il grande campo
in un sorso

Ci sono, poi, alcuni haiku sul movimento del suono (autori Issa e Gyotai)

grillo
anche se era all’altra porta che cantavi
ti ho sentito qui

*****

il suono di una ghianda
che cade da un tetto di assi
freddo nella notte

ed esistono anche fusioni sinestetiche di fenomeni sonori e visivi (ancora Bashō)

il mare si scurisce
e il richiamo di un’oca selvatica
è pallidamente bianco

Infine, sempre da Bashō, un bellissimo esempio dell’immanenza del suono negli oggetti silenziosi

la campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori

Ans Meer

Avrete sicuramente notato che gli ultimi post sono dedicati al Giappone. Fare una piccola rassegna della musica contemporanea giapponese è un modo per essere vicino a questo paese, in cui sono stato e che ho amato, e alla sua gente.

Hosokawa Toshio è uno dei più interessanti compositori contemporanei giapponesi. Nato nel 1955 a Hiroshima, ha studiato in Germania, per cui la sua musica ha assunto delle sonorità marcatamente europee, ma, nel contempo, non ha dimenticato la tradizione del suo paese, come dimostrano i suoi brani derivati dal Gagaku di cui abbiamo già parlato.

Qui ascoltiamo Ans Meer del 1999, un concerto per piano e orchestra, che appartiene al versante più “occidentale” della sua produzione.

Takemitsu Soundtrack Documentary

Su You Tube c’è un bel documentario sulla musica da film scritta da Toru Takemitsu, una parte molto importante e significativa della sua produzione.

Il documentario è sottotitolato in inglese e include varie interviste con il compositore e con alcuni dei famosi registi per cui ha lavorato, oltre a numerosi estratti musicali.

Questa è la prima parte. I link alle altre sono riportati sotto. Purtroppo la parte 2 è stata bloccata dal solito idiota “per motivi di copyright”, ma tutte le altre sono visibili.

Cosmic Womb

Somei Satoh 佐藤聰明 was born in 1947 in Sendai (northern Honshu), Japan. He began his career in 1969 with “Tone Field,” an experimental, mixed media group based in Tokyo. In 1972 he produced “Global Vision,” a multimedia arts festival, that encompassed musical events, works by visual artists and improvisational performance groups. In one of his most interesting projects held at a hot springs resort in Tochigi Prefecture in 1981, Satoh places eight speakers approximately one kilometer apart on mountain tops overlooking a huge valley. As a man-made fog rose from below, the music from the speakers combined with laser beams and moved the clouds into various formations. Satoh has collaborated twice since 1985 with theater designer, Manuel Luetgenhorst in dramatic stagings of his music at The Arts at St. Ann’s in Brooklyn, New York.

Satoh was awarded the Japan Arts Festival prize in 1980 and received a visiting artist grant from the Asian Cultural Council in 1983, enabling him to spend one year in the United States.

He has written more than thirty compositions, including works for piano, orchestra, chamber music, choral and electronic music, theater pieces and music for traditional Japanese instruments.


Somei Satoh is a composer of the post-war generation whose hauntingly evocative musical language is a curious fusion of Japanese timbral sensibilities with 19th century Romanticism and electronic technology. He has been deeply influenced by Shintoism, the writings of the Zen Buddhist scholar DT Suzuki, his Japanese cultural heritage as well as the multimedia art forms of the sixties. Satoh’s elegant and passionate style convincingly integrates these diverse elements into an inimitably individual approach to contemporary Japanese music.

Like Toshiro Mayazumi an Toru Takemitsu, the most well-known of contemporary Japanese composers outside Japan today, Satoh has succeeded in reshaping his native musical resources in synthesis with Western forms and instrumental sonorities. His work cannot, however, be considered within the mainstream of contemporary Japanese art music, for he writes in an unreservedly non- international style, remarkably free from any constraints of academism. This may be attributed to the fact that being primarily self-taught, he has never been subjected to a formal musical education. Satoh has on occasion, been referred to as a composer of gendai hogaku (contemporary traditional music). Much as Satoh is reluctant to be so classified, this assessment of his writing has some validity if one views him as reworking the traditional Japanese musical aesthetic in a broader, abstract context infusing it with a new vitality.

Minimalism, that Eastern-derived Western phenomenon born of the sixties, has much in common with the hypnotic, regular pulsations of rock. “Litania” and “Incarnation II”, among others of Satoh’s compositions which rely primarily on the prolongation of a single unit of sound, draw upon this repetitive element. In Satoh’s case, however, the repetitions are perceived more as vibrations because of the rapidity of the individual beats in conjunction with an extremely slow overall pulse. This creates the sensation of being in a rhythmic limbo, caught in a framework of suspended time which is typically Japanese. This experience can be summed up in the Japanese word ‘ma’ which may be defined as the natural distance between two or more events existing in a continuity. In contrast to the West’s perception of time and space as separate entities, in Japanese thinking both time and space are measured in terms of intervals. It is the coincidental conceptualization of these elements which is perhaps the main feature distinguishing Japan’s artistic expression from that of the West. In Satoh’s own words,

My music is limited to certain elements of sound and there are many calm repetitions. There is also much prolongation of a single sound. I think silence and the prolongation of sound is the same thing in terms of space. The only difference is that there is either the presence or absence of sound. More important is whether the space is “living” or not. Our [Japanese] sense of time and space is different from that of the West. For example, in the Shinto religion, there is the term ‘imanaka’ which is not just the present moment which lies between the stretch of past eternity and future immortality, but also the manifestation of the moment of all time which is multi-layered and multi-dimensional …. I would like it if the listener could abandon all previous conceptions of time and experience a new sense of time presented in this music as if eternal time can be lived in a single moment.

(from the liner notes by Margaret Leng Tan to New Albion’s release, “Litania” NA008)

Listen to

  • Somei Satoh 佐藤聰明 – Cosmic Womb (1975), for 2 pianos with digital delay – Margaret Leng Tan, piano

Somei Satoh page on Facebook and on wikipedia.

Aidoru

Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.

La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.

Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).

Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.

Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.

Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.

Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.
Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. Le star virtuali non devono essere pagate, ma questa considerazione è secondaria perché al loro posto bisogna pagare dei tecnici di animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi.

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Bombardato due volte

Yamaguchi TsutomuIl 4 Gennaio di quest’anno è morto Tsutomu Yamaguchi (山口 彊, 16 March 1916 – 4 January 2010), una delle poche persone ad aver subito due bombardamenti atomici ed essere sopravvissuto.

Yamaguchi era a Hiroshima il 6 agosto 1945 per un viaggio di lavoro per la società per cui lavorava, la Mitsubishi Heavy Industries. Stava scendendo dal tram quando la prima bomba atomica, Little Boy, fu sganciata sulla città.

L’esplosione gli provocò notevoli lesioni, distrusse i suoi timpani, lo accecò seppure temporaneamente e gli lasciò serie ustioni sulla metà superiore sinistra del suo corpo. Fu avvolto in bendaggi per le sue ferite e divenne completamente calvo.

Trascorse la notte successiva in un rifugio antiaereo prima di tornare alla sua città natale, Nagasaki, il giorno seguente. Yamaguchi stava spiegando ai suoi supervisori quanto vicino alla morte era stato, quando, a circa 3 km di distanza, fu sganciata la seconda bomba, Fat Man.

Anche questa volta sopravvisse. Nel 1957 gli venne riconosciuto lo status di hibakusha (vittima dell’esplosione) per la bomba di Nagasaki. Per molti anni tenne per sé la sua storia. Solo a ottant’anni scrisse un’autobiografia riguardante la sua esperienza e fu invitato a partecipare ad un documentario (nel 2006) intitolato Nijuuhibaku (“Bombardati due volte”) sulle 165 persone vittime di entrambe le bombe atomiche giapponesi.

Shigeru Ban e il Conservatorio dell’Aquila

Qualcuno sa qualcosa di più di questa storia, di cui, per ovvii motivi, si parla poco?

Da Il Capoluogo.com del 4/11/2009

Dal prestigioso Auditorium di “carta” del grande architetto giapponese di fama internazionale Shigeru Ban ai MUSP di una ditta di carpenteria metallica: storia di un progetto per il Conservatorio dell’Aquila che “non s’ha da fare”…

La vicenda è pressoché nota. Ma riassumiamola, con dovizia di particolari. All’indomani di un’immane tragedia che ha distrutto una città e sconvolto la vita di migliaia di persone, un illustre architetto giapponese – per la precisione – Shigeru Ban (uno dei progettisti delle torri gemelli, studio a Tokio, New York e Parigi, docente all’Università Key, membro del Voluntary Architecs Network) si interessa a L’Aquila (viene due volte l’11 giugno e il 12 agosto) ed elabora un disegno, che gli costerà diversi mesi di lavoro, per la riqualificazione della rimessa della ex metropolitana situata a Pettino, abbandonata e mai utilizzata. Il progetto, gratuito, realizzato da Ban con il suo Studio e il suo attuale team di collaboratori costituito da professionisti e docenti dell’Università dell’Aquila, di Genova, di Parma e di Perugia, oltre che da specialisti francesi e giapponesi, prevedeva una struttura all’avanguardia da donare al Conservatorio. Shigeru Ban è noto in tutto il mondo per utilizzare, nelle sue complesse architetture, materiali poveri come il legno, la carta, il cartone (da qui il nome Auditorium “di carta”) anche prodotti con processi di recupero e di riciclo. Per questo motivo ha operato con estrema efficacia in quei paesi devastati da eventi drammatici, come il terremoto appunto, in Giappone, nelle Filippine, in Turchia e in Cina.

Il punto focale del progetto prevedeva una Sala per Concerti capace di ospitare fino a 550 persone, tra pubblico e professori d’orchestra, con una superficie di circa 600 metri quadrati, definita da una curva perimetrale di colonne di cartone di varia sezione (era stata già individuata una ditta di Chieti per la fornitura dei casseri e il preventivo si aggirava sugli ottantamila euro) che ne avrebbero delimitato lo spazio. Le pareti, come anche il soffitto, erano state pensate in modo tale da garantire un perfetto isolamento acustico e termico, oltre che una barriera al fuoco. L’illuminotecnica era stata tarata a seconda delle esigenze: ogni aula avrebbe avuto un’illuminazione diversa. Accanto alla Sala Concerti era prevista la Sala Prove in forma ellittica (150 metri quadrati), inoltre una biblioteca di 145 metri quadrati, una sala di recitazione (60 metri quadrati), uno spazio per la terapia musicale (70 metri quadrati), uno spazio per il ricovero degli strumenti musicali (100 metri quadrati), una sala privata a servizio dell’orchestra (100 metri quadrati) e una superficie di circa 300 metri quadrati ad uso uffici per l’organizzazione e la gestione della didattica e delle iniziative culturali del Conservatorio di Musica. La realizzazione di questo complesso era stata definita per la fine di ottobre. Durante il G8 il primo ministro giapponese Taro Aso dona il modellino di plastica al nostro premier Silvio Berlusconi. La Protezione Civile indica, come somma approssimativa messa a disposizione per il Conservatorio dell’Aquila, sette milioni di euro.

Il progetto di Shigeru Ban costa cinque milioni e mezzo più IVA. Perfetto. Il 3 agosto viene espropriato il terreno per i lavori con tanto di targa. L’8 agosto viene bloccato tutto. Perché? Perché un progetto senza problemi economici, senza problemi tecnici, senza problemi strutturali e senza problemi inaugurali (per la cerimonia d’inaugurazione si sarebbe scomodato niente popò di meno che il giapponese Seiji Ozawa, uno dei massimi direttori d’orchestra al mondo) è stato buttato via così? Quante cose dette e poi negate…un mistero.

Il Direttore del Conservatorio Bruno Carioti chiede spiegazioni a Bertolaso e si dice preoccupato che un progetto di tale rilevanza, in grado di connubiare funzionalità e prestigio, sia stato accantonato per privilegiarne un altro che, quasi sicuramente, sarà di una normalissima ditta edile. Addirittura Renzo Piano telefona a Carioti per capire come sia stato possibile rifiutare un’opportunità del genere.

La Protezione Civile replica che non si è ancora deciso nulla e in data 11 settembre 2009 indice un Bando di gara – si legge nel sito – “per la selezione di operatori economici ai quali affidare la progettazione, i lavori, la fornitura, il trasporto e la posa in opera di Moduli Provvisori ad Uso Scolastico (MUSP) per il Conservatorio A. Casella dell’Aquila”. Risponderanno in quindici. Il 22 settembre si conclude la procedura. All’apertura delle buste vince una ditta per un ribasso anomalo. La Protezione Civile si insospettisce e, dopo ulteriori approfondimenti, conferma l’aggiudicazione dell’appalto. A Collesapone i lavori per i MUSP del Conservatorio partono il 15 ottobre; dovrebbero finire per il mese di novembre.

Ma perché si è preferito un progetto qualsiasi al progetto di Shigeru Ban? Perché? Lo chiediamo al Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, lo chiediamo al Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, lo chiediamo a chiunque sia in grado di fornirci una risposta. Soddisfacente. Intanto speriamo che la faccenda non si concluda qua, speriamo che il governo giapponese insista, speriamo che il governo italiano, Bertolaso e Cialente si interessino a far sì che qualcosa si smuova, speriamo che sia stato un errore, anzi un brutto sogno. Speriamo che l’Italia non faccia questa brutta figura e che L’Aquila e gli aquilani non si debbano accontentare solo un prefabbricato. Noi del Capoluogo.it lo speriamo. Noi, insieme a molti aquilani, ancora speriamo. Dopotutto domani è un altro giorno.

di Eleonora Egizi

*****

ANSA ore 12,44
TERREMOTO: L’AQUILA; STOP A SALA CONCERTI GIAPPONESE, STAMPA

(ANSA) – TOKYO, 4 NOV – Il progetto di costruzione di una sala concerti all’Aquila, che doveva essere finanziata per metà dal Giappone nell’ambito degli aiuti internazionali di ricostruzione post terremoto, è stato sospeso per mancanza di fondi e rischia di creare frizioni tra Roma e Tokyo. Lo riferisce lo Yomiuri Shimbun, il più diffuso quotidiano del Sol Levante con più di 12 milioni di copie nella sola edizione del mattino, nella corrispondenza da Roma di Kazuki Mazuhara (“assistenza giapponese sospesa unilateralmente”). Il progetto, illustrato lo scorso luglio dall’ex premier nipponico Taro Aso al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in occasione del summit del G8, prevedeva la realizzazione in due mesi di una sala concerti innovativa, soprattutto per l’uso di cartone compresso, dell’architetto giapponese, Shigeru Ban. Il costo, in particolare, era ipotizzato in un milione di euro, di cui la metà a carico del governo nipponico e l’altra coperta con la raccolta di fondi. Stime italiane, invece, ipotizzano, considerando le infrastrutture accessorie (parcheggi e viabilità), costi per circa 3,6 milioni di euro. “Manca il budget”, è il commento dei responsabili per la ricostruzione post terremoto, riferisce il quotidiano nipponico. “La sospensione è fuori dal senso comune della diplomazia perché si tratta di una cosa decisa tra i capi di governo dei due Paesi”, è il commento dell’ambasciatore giapponese a Roma, Hiroyasu Ando.

ANSA ore 13,23
TERREMOTO: PROT. CIVILE, DONAZIONE TOKIO POCO PER AUDITORIUM – BERTOLASO VEDRA’ AMBASCIATORE GIAPPONESE PER SCELTA ALTRA OPERA

L’Auditorium dell’Aquila non si farà, o almeno non è possibile in questo momento e si dovrà trovare un accordo per far confluire su un’altra opera la donazione del governo giapponese. Lo confermano fonti della protezione civile nazionale, interpellate dall’ANSA a proposito della notizia pubblicata da un giornale giapponese, Yomiuri Shimbun, che lamentava lo stop all’opera al quale il governo di Tokio intendeva partecipare con una donazione di 500 mila euro e un progetto firmato dall’architetto Shigeru Ban. “L’Auditorium – spiegano le fonti della Protezione civile – costerebbe chiavi in mano 4 milioni di euro. Il problema è che per attuare tutte le opere nel territorio stiamo procedendo attraverso gare di appalto. E questo ovviamente non sarebbe possibile farlo per un’opera già progettata. Dovremmo procedere attraverso assegnazione diretta, ma questo noi stiamo cercando sempre di evitarlo. Non potendo procedere ad assegnazione tramite gara, servirebbero ulteriori finanziamenti. I 500mila euro offerti dal governo nipponico sono insufficienti”. Quindi l’opera non si farà? “No, al momento non è possibile. Bertolaso – annunciano le stesse fonti – ha già preso appuntamento per la prossima settimana con l’ambasciatore giapponese per trovare una soluzione alternativa che consenta con la donazione nipponica di realizzare un’opera completa”.(ANSA)

La piscina alchemica ;-) di Osarizawa

Questa immagine (clicca per ingrandire), che a me ricorda un po’ un antico sito Inca con profonde pozze circolari come quelle dei Maya, è in realtà una miniera abbandonata di oro e rame, nei pressi di Osarizawa, in Giappone.

Le prime attività estrattive nella zona risalgono a circa 1300 anni fa. In epoca moderna è stata sviluppata la miniera, poi chiusa nel 1978.

La zona, che sembra essere piuttosto inquinata. è attualmente di proprietà della Mitsubishi ed è interdetta al pubblico. Ciò nonostante l’autore delle foto, Michael John Grist, è riuscito a intrufolarsi nell’impianto, pagando una multa di 1000 yen.

C’è anche un breve video su You Tube.

From Out of Ruins, dove potete vedere altre immagini.

Butoh

Butoh è il nome di varie tecniche e forme di danza contemporanea ispirate dal movimento Ankoku-Butoh (ankoku=tenebre) attivo in Giappone negli anni ’50. Aspetti tipici del butoh sono la nudità del ballerino, il corpo dipinto di bianco, le smorfie grottesche ispirate al teatro classico giapponese, la giocosità delle performance, l’alternarsi di movimenti estremamente lenti con convulsioni frenetiche. Non esiste una messa in scena tipica del butoh. Le sue origini vengono fatte risalire a Tatsumi Hijikata ed a Kazuo Ohno. [wikipedia]

 

Green Island

Green Island è un progetto visionario, utopistico e provocatorio per una Tokyo più verde.

Queste immagini, create via computer graphic, vogliono attirare l’attenzione sulla mancanza di verde nella metropoli, che pure ne ha ben di più della media delle città giapponesi. Comunque sono di grande impatto ed è incredibile pensare a una Tokyo così (click image to enlarge).

Green Island

SHSK’H

La giovane netlabel SHSK’H (pronuncia ssshhk’ah aspirata), è ormai defunta ma si trova sull’Internet Archive. Nata nel 2007 a New York da Jody Pou and Igor Ballereau proponeva da subito lavori di qualità, seppure di generi diversi, distribuiti in CC e scaricabili liberamente.

Il primo volume contiene musica per ensemble o per piano solo dello stesso Ballereau, molto delicata e piena di silenzi. Non priva di fascino, almeno per me che ascolto nel silenzio della notte. Gli strumenti più o meno utilizzati nei vari brani sono voci, pianoforte, chitarra, violino, viola, violoncello, percussioni.
Da qui ascoltiamo Frottola per voce, piano, chimes, violino, viola, cello.

La seconda release è composta da tre brani di musica tradizionale giapponese per voce e koto eseguita da Etsuko Chida. Affascinante e leggermente aliena per noi a causa delle differenze di intonazione rispetto alla nostra scala.
Da qui vi propongo Shiki no Fuji (il monte Fuji nelle quattro stagioni).

Sul sito di SHSK’H su IA trovate anche le releases seguenti.

Taiko

Taiko (太鼓, o daiko nei composti) significa tamburo in giapponese. In realtà ne esistono diversi tipi, ma ormai, al di fuori del Giappone, questa parola designa tutti gli ensemble di tamburi.

L’origine del taiko è legata al Gagaku (雅楽, letteralmente “musica elegante”), uno stile musicale di corte molto antico tramandato attraverso i secoli (si esegue tuttora), ma ben presto questi tamburo trovarono anche un impiego militare.

Lo stile moderno, quello noto in tutto il mondo e che vediamo nel filmato, è recente. Venne fondato del 1951 da Daihachi Oguchi, un batterista jazz nato nel 1924 e morto il 27 giugno di quest’anno. Secondo la leggenda. Oguchi mise insieme il primo ensemble con diversi tamburi e vari esecutori volendo aggiungere un tocco più ritmico ad un brano che doveva eseguire dirante una cerimonia in un tempio. L’idea, poi, si diffuse e vennero fondati molti ensemble che svilupparono il concetto del taiko ensemble secondo i criteri di spettacolarità che vediamo nelle esibizioni attuali.

Esistono, tuttavia, varie combinazioni di esecutori e tamburi, che vanno dai normali ensemble con molti tamburi e molti esecutori, passando per molti tamburi con un solo esecutore oppure un tamburo con più di un esecutore, fino a un tamburo e un solo esecutore. In questa performance si possono vedere tutte queste combinazioni.

È interessante notare, infine, che i taiko sono spesso ricavati da un unico pezzo di legno ottenuto scavando il tronco di un albero sufficientemente grosso.

After the Summer Rain

L’esplorazione estiva di Art of the States continua con questo brano per pianoforte amplificato e parte elettronica che ha alcuni momenti decisamente deliziosi, anche se a tratti si perde in qualche estetismo, ma nel complesso l’insieme mi sembra buono.

L’autore è Hideko Kawamoto, nata in Giappone nel 1969 e cresciuta musicalmente negli USA dove risiede.

Note di programma:

After the Summer Rain for amplified piano and two-channel tape, dedicated to the memory of Clarence Asher Peevey (17 July 2000 – 28 July 2000), was inspired by Rainer Maria Rilke’s poems ‘(Nos Pleurs)’ and ‘Before the Summer Rain’ (1906).

The visual images of a summer forest, including rain pouring onto trees, shiny silver spider webs, and dark wet ground … were transferred into sounds using piano as the basic sound source for creation of the tape part … The piano part represents a person who has been inside the wet forest after experiencing the heavy summer rain. The tape part represents the natural phenomenon of the summer forest.

This piece is Part II of Summer Rain, composed immediately after Part I, Summer Rain – Dawn (2000) for two-channel tape.”

[Hideko Kawamoto]

Hideko Kawamoto – After the Summer Rain (2000), for amplified piano and two-channel tape
Corey Jane Holt, piano

La via più breve

Se non fosse per il fatto che, come in Inghilterra, si viaggia dalla parte sbagliata della strada, guidare in Giappone sarebbe bellissimo. Ma il problema della sinistra non esiste sulle tangenziali, dove le corsie sono separate da un muro.

Quando la densità abitativa raggiunge i livelli giapponesi, l’unico modo di costruire strade a percorrenza veloce è farle passare sopra le case. Le cosiddette tangenziali viaggiano in aria e il traffico scorre in un limbo gestito da divinità lontane.

osakaUna tendenza che deve fare sempre i conti con lo sviluppo verticale delle grandi città. Così le strade girano intorno alle costruzioni, si avvolgono su sé stesse, si dividono e si ritrovano in un flusso che sembra liquido.

Ma, a volte, l’edificio non può essere aggirato né demolito e così non resta altro che passarci attraverso. Qui, a Osaka, la società che costruiva la tangenziale ha semplicemente affittato tre piani e ci ha fatto passare la strada.

Cliccate sulle immagini per ingrandire. Vedi anche Googlesighting.

Via Darwin

La notte si innalza dall’orecchio come una farfalla

Titolo suggestivo per questo recente brano elettroacustico di Hideko Kawamoto. Ecco le note di programma.

“Night Ascends from the Ear Like a Butterfly”, composed in 1999 and dedicated to my grandmother, Tami, was inspired by Haruo Shibuya’s poem ‘Coliseum in the Desert’. The words Shibuya uses in this poem, such as ‘night’, ‘a time of music’, ‘rain’, ‘black fountain’, ‘piano-string’, ‘useless choir’, and ‘butterfly’, gave me compositional ideas. These images developed in my imagination separately from Shibuya’s poem. […]

[For example,] the intention of the ‘butterfly’ sound is to depict the surrealistic vision of a butterfly flying away from the ear. To me the sound had to be shimmering and transparent; to create [it,] a tremolo passage from Maurice Ravel’s piano piece, ‘Noctuelles’ (Night Moths) from Miroirs, was sampled and processed using various [electronic] techniques. … I also used the sound of small pieces of aluminum foil shaking up and down in a metallic bowl … to create the surrealistic vision of a butterfly staying in one place, not flying, but moving its wings delicately as it breathes.

Hideko Kawamoto’s (b. 1969) works are often inspired by visual art and poetry and influenced by her Japanese background. She considers her music to be “a sound transformation of visual images” and is aware of the space in which music is performed, creating what she calls “sound sculpture.”

Hideko Kawamoto was born in Japan and started piano study at the age of nine. She studied composition with Phil Winsor and piano with Joseph Banowetz at the University of North Texas in Denton. Her works have been performed at festivals throughout Europe, North and South America, Africa, Oceania, and the Far East. Awards Kawamoto has received include the Concorso Internazionale “Luigi Russolo,” Pierre Schaeffer International Computer Music Competition, Bourges International Competition of Electroacoustic Music and Sound Art, and Sonic Circuits International Festival of Electronic Music and Art. Her music can be heard on the Acousmatica, Bonk, Centaur, ICMC 2001, innova, and SEAMUS labels.

Kawamoto has served as chair of the music department at St. Andrews Presbyterian College in Laurinburg, North Carolina, and currently resides in Southern California.

Enka I

Vi facciamo ascoltare un brano di quest’ultimo perché rappresenta molto bene l’atteggiamento giapponese nei confronti del silenzio.

Composta nel 1978, Enka I (esiste anche un Enka II), per soprano e nove strumenti, si ispira allo spirito (non allo stile) di un certo tipo di canzone popolare giapponese. Enka, in Giappone, è un genere musicale popolare, che potrebbe essere paragonato alle canzoni drammatiche di Gilbert Bécaud o Edit Piaf in Francia.

Qui, Susumu Yoshida vuole analizzare, estrarre e ricostruire l’essenza drammatica dell’Enka, ma lo fa con gesti che, a noi occidentali, appaiono estremamente misurati, nella tradizione del teatro giapponese in cui anche la semplice posizione di una mano ha un significato preciso.

giardino di pietre e sabbiaBellissimo e spiazzante è ciò che il compositore dice del silenzio, che abbonda in quest’opera:

La mia musica si basa sul silenzio. È una musica concepita “in negativo” in quanto le note esistono solo per creare e condizionare questo silenzio. Il silenzio non è il Nulla, non è solo il momento in cui non si sente più niente, è una forma di esistenza in sé, che si nasconde dietro alle note.

Questi silenzi non sono cageani e non sono espressivi. Non si può non pensare al giardino di pietre e sabbia del tempio Ryoanji a Kyoto, oppure ai vuoti delle pitture orientali.

Susumu Yoshida – Enka I (1078), per soprano e nove strumenti – mp3streaming audio
Yumi Nara soprano – Orchestra Colonne, Hikotaro Yazaki cond.

Potete scaricare il brano in formato flac dal sito AGP

師走 : gli insegnanti corrono

Dato che, a quanto ne so, parecchi fra voi sono insegnanti di vario ordine e grado, vi farà piacere sapere quanto segue.

Rispolverando un po’ del mio malandato giapponese, mi torna in mente che, in Giappone, il mese di Dicembre viene chiamato anche shiwasu (師走) che letteralmente significa “teachers running” (insegnanti che corrono). Il primo dei due ideogrammi, infatti, è “shi”: insegnante, maestro, mentre il secondo è la radice del verbo hashiru che significa correre, muoversi rapidamente.

Tutto ciò a riflettere il fatto che Dicembre è un mese così “busy” che perfino gli insegnanti, che normalmente ciondolano qui e là senza avere molto da fare, sono in estrema agitazione perché ci sono un sacco di carte da presentare e cose da chiudere.

A peggiorare la considerazione di noi insegnanti c’è anche il fatto che una mia amica giapponese mi ha tradotto shiwasu con “teachers run around” che a prima vista sembra uno dei tanti phrasal verb tipo run about, ma invece c’è una bella differenza. Secondo il Merriam-Webster, infatti, run around significa “mettere in atto una azione evasiva e/o ritardante in risposta a una richiesta precisa”.

Andiamo bene… 😯

Shamisen

[NB: la descrizione dello strumento è tratta da HÔGAKU: musica tradizionale giapponese]

Lo shamisen (chiamato anche sangen [tre corde]) è uno strumento a corda della famiglia del liuto con una piccola cassa armonica di forma approssimativamente quadrata formata da una fascia di legno ricoperta da entrambi i lati di pelle di gatto o di cane. Il manico è lungo e sottile e penetra attraverso tutta la lunghezza della cassa fuoriuscendo dalla parte opposta; su questo spuntone del manico alla base della cassa sono legate le tre corde di seta, che passano poi su un ponticello appoggiato sulla parte inferiore della cassa armonica e su un secondo ponticello fisso alla sommità del manico (capotasto), per finire sui tre lunghi piroli di accordatura. Il manico è privo di tasti (ponticelli) e il cavigliere dei piroli è curvato all’indietro rispetto alla direzione del manico. La lunghezza totale dello strumento è 95 – 100 cm.
In generale la corda più bassa dello shamisen non è appoggiata sul capotasto ma su una tacca posta di fianco ad esso e passa sopra una protuberanza della superficie del manico (sawari no yama) contro cui urta quando è in vibrazione. Questo dispositivo serve a produrre un suono ronzante (chiamato sawari) che è una importante caratteristica timbrica dello strumento e che viene emesso quando la corda è lasciata “vuota”, sia che essa venga suonata direttamente, sia (in misura minore) quando vibra per risonanza con le altre corde.
Benché sia stato introdotto in Giappone in epoca relativamente tarda, lo shamisen ebbe un successo immediato ed una enorme diffusione sia nella musica classica che in quella popolare, tanto che oggi lo si può forse considerare come lo strumento più importante della musica giapponese. Tra i principali generi in cui esso svolge una parte di primo piano si possono citare il jôruri (musica del teatro classico dei burattini), il nagauta (musica del teatro kabuki) ed il jiuta (musica vocale da camera).

Lo shamisen viene suonato con un grosso plettro di legno chiamato bachi; il suonatore siede in posizione seiza e tiene lo strumento in diagonale, appoggiandone la cassa sulla coscia destra.

Le tre corde possono essere accordate in tre modi:

  • 4a e 5a (es. DO – FA – DO)
  • 5a e 4a (es. DO – SOL – DO)
  • 4a e 4a (es. DO – FA – SIb)

Il brano che ascoltiamo è chiamato Tsugaru aiya bushi [Canto aiya di Tsugaru]. Aiya è uno stile e tsugaru è la regione all’estremo nord di Honshu (l’isola principale dell’arcipelago giapponese) e corrisponde all’odierna prefettura di Aomori.
Si tratta di musica tradizionale, ma in Asia non c’è distanza fra musica tradizionale e repertorio classico (per es., secondo la visione asiatica, i valzer di Strauss sarebbero musica tradizionale austriaca, ma anche gli autori molto caratterizzati geograficamente, come i compositori russi, alcuni spagnoli e altri ancora, verrebbero inseriti nella musica tradizionale).
In questo genere musicale si lascia spazio anche all’improvvisazione, ma questa esecuzione è abbastanza misurata.

Questo video mostra bene la tecnica esecutiva.
L’esecutore è Yu Takahashi, in concerto presso la Chiesa di Sant’Ambrogio, Milano, 16 febbraio 2012.

Koto

Kazue Sawai esegue un brano al koto.
Questo strumento è un cordofono appartenente alla famiglia della cetra introdotto dalla Cina in Giappone durante il periodo Nara (710 – 794 d.C.).
All’inizio il koto venne usato per lungo tempo solamente presso la corte imperiale. Questo stato di cose cambiò nel XVII secolo soprattutto ad opera di Yatsuhashi Kengyô (1614-1684) che sì applicò a rendere il koto maggiormente accessibile presso la popolazione. Ideò una nuova accordatura, detta hirajoshi, che divenne una delle più utilizzate e creò composizioni divenute dei classici della letteratura per questo strumento come Rokudan e Midare, che è il brano che ascoltiamo qui.
Si tratta quindi di un esempio di musica classica giapponese del ‘600.
È interessante osservare come la musica classica giapponese sia altamente formalizzata. Questo brano, per esempio, appartiene alla categoria dei danmono che è una forma classica di brani per koto solamente strumentali, composti da diverse sezioni chiamate dan [lett. “gradino, ripiano, livello”]. Nella forma più tradizionale di danmono, ogni dan è formato da 104 haku [pulsazione, battito, unità fondamentale di misura del tempo] e costituisce una variazione su un unico tema.
Questo brano, però, fa eccezione perché i vari dan non sono formati dallo stesso numero di beat e proprio per questo si intitola Midare [乱 lett. “confusione, caos”].

Per quanto riguarda il koto, il corpo dello strumento è costituito da una cassa armonica, lunga circa due metri e larga tra i 24 ed i 25 cm, costruita, in genere, con legname di Paulownia (Paulownia Tomentosa o kiri, in giapponese). Su di essa corrono tredici corde di uguale diametro ed aventi stessa tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile (ji, 柱).
Questo fatto va sottolineato perché è un sistema completamente diverso da quello occidentale in cui si usano corde di vario diametro e tensione.
Qui le corde sono tutte uguali e tirate alla stessa tensione. Per ottenere note diverse, quindi, l’unico sistema è variare la lunghezza della corda. Infatti ognuna di esse ha il proprio ponte che viene piazzato in punti diversi.
Le corde, poi, sono pizzicate con la destra, mentre la sinistra non suona, ma crea abbellimenti sotto forma di vibrati e di veloci glissati, sia nell’attacco che in coda al suono, ottenuti premendo la parte della corda che sta oltre il ponte. Naturalmente il fatto che tutte le corde abbiano la stessa tensione facilita questo compito perché così una data pressione genera un glissato della medesima estensione su ogni corda, cosa che non avverrebbe se la tensione fosse diversa.
L’esecutore si pone in ginocchio o seduto di fronte allo strumento e pizzica le corde tramite l’ausilio di tre plettri (tsume) fissati al pollice, all’indice ed al medio della mano destra.
Lo spartito per koto si presenta generalmente sotto forma di intavolatura che si legge dall’alto in basso e da destra verso sinistra (il senso di lettura normale anche nel giappone moderno: i libri sono impaginati così, sebbene ormai sia diffusa anche la scrittura orizzontale).
Il koto viene paragonato al corpo di un drago cinese disteso. Per tale motivo, le diverse parti di cui esso è formato assumono dei nomi che ricordano quelle del mitico animale, come ad esempio:

  • Ryuko (schiena del drago): è la parte superiore della cassa armonica,
  • Ryuto e ryubi (testa e coda del drago): sono le estremità dello strumento.

Kazue Sawai è considerata uno dei massimi virtuosi viventi di questo strumento.

Ora, invece, vediamo la stessa interprete impegnata in una composizione contemporanea per koto.

Compositore: Tadao Sawai (Composto nel dicembre 1988. Per commemorare il decimo anniversario della fondazione dell’Istituto Sawai Koto. Eseguito per la prima volta da Kazue Sawai)

Lo strumento a 17 corde, inventato da Michio Miyagi, ha una storia di circa 70 anni (nota: all’epoca della sua composizione), e ha superato di gran lunga il suo scopo originale come supplemento per basso, ed è stato recentemente utilizzato come strumento solista . Naturalmente, il processo per arrivare a questo punto è dovuto ai grandi sforzi degli esecutori, dei compositori e delle persone che creano gli strumenti, ma la profondità e la forza del suono della 17 corde, così come la lunghezza del suono persistente, sono fattori importanti. Il suo fascino continuerà a catturare i cuori delle persone. E ora sembra che Jushichigen stia diventando il fiore all’occhiello del mondo musicale giapponese. [Testo: Tadao Sawai, Trad. Google]

Sawako

tiny tiny press image
Sawako is a sound sculptor and timeline-based artist who understands the value of dynamics and the power of silence. Beginning in video art, Sawako shifted her focus from the video camera to sound. Once through the processor named Sawako, fragments in everyday life – field recordings, instruments, voice and electronic sounds – float in space vividly with a digital yet organic texture. Her unique sonic world has been called “post romantic sound” by Boston’s Weekly Dig.

Opere buone

ANSA – Tokyo, 14/07/2007

Un misterioso personaggio da circa un mese sperpera il suo patrimonio riempiendo di banconote i bagni pubblici in Giappone. Il denaro finora ritrovato dagli avventori nelle toilette pubbliche e’ di decine di migliaia di euro. Il ‘cerimoniale’ osservato dall’uomo misterioso e’ sempre lo stesso: una banconota da 10.000 yen (60 euro) e’ chiusa in una busta accompagnata dalla scritta ‘opere buone’. All’interno oltre al denaro c’e’ un messaggio che esorta a compiere buone azioni.

L’isola di Hashima

 

L’isola di Hashima (端島 trad. qualcosa come isola di confine o isola del bordo), chiamata anche Gunkanjima (軍艦島 trad. isola nave da guerra, a causa delle coste cementate e la forma), è una delle 500+ isolette disabitate nei pressi di Nagasaki, nella parte sud-ovest del Giappone.
Il fatto è che, invece, fino al 1974, era uno dei luoghi a più alta densità abitativa del globo. L’isola fu acquistata dalla Mitsubishi nel 1890, con l’idea di scavarvi una miniera di carbone.
Nel 1916 vennero costruiti gli alloggi per i lavoratori e la miniera venne sfruttata fino al 1974. Nel 1959 la popolazione raggiunse i 5000 abitanti circa, cioè 835 abitanti per ettaro, che equivalgono alla pazzesca densità di 83500 ab. per Km2 (1 ettaro = 0.01 Km2; per confronto, la regione italiana con la densità maggiore è la Campania: 421 ab./Km2).
Il verde era quasi completamente scomparso dall’isola, tanto che qui venne girato il film Midori Naki Shima (The Greenless Island, 1949). Un altro famoso (in Giappone) film ambientato in Gunkanjima è il recente seguito di Battle Royale: Battle Royale II, The Requiem (2003).
Negli anni ’60, poi, iniziò il declino del carbone e l’isola venne gradualmente abbandonata, fino alla sua chiusura definitiva nel 1974 (chiusura anche a qualsiasi tipo di visita perché pericolosa: io l’ho visitata a suo tempo approfittando del caos creato da una manifestazione di Greenpeace).
Stranamente, non è stata fatta nessuna riconversione. Gli edifici sono stati abbandonati all’usura del tempo e sono ormai dei ruderi spettrali che stanno assumendo un valore di archeologia industriale al punto che il governo pensa di riaprirla (una decisione era attesa per Aprile, ma non ne so niente).
Trovate delle belle foto qui.

 

Yuki

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Un altro brano di Takemitsu con sonorità decisamente notevoli.
Questo pezzo fa parte della colonna sonora del film Kwaidan (怪談, Kaidan: Storie di Spettri) diretto da Masaki Kobayashi nel 1964, un lavoro considerato un po’ come The Twilight Zone giapponese, anche se questa definizione non è del tutto appropriata. Si tratta di quattro storie di spettri tratte dalle raccolte di leggende giapponesi di Lafcadio Hearn.
Qui la musica di Takemitsu si fa onirica e perde anche le sue connotazioni orchestrali. Non ci è dato conoscere la formazione, anche perché questi brani non sono pensati per essere eseguiti dal vivo. Si indovinano sonorità percussive e di strumenti tradizionali giapponesi, ma a tratti il suono fa anche pensare a qualche elaborazione elettronica.
Grande lavoro di sound design per un film affascinante.

Asterism

Toru Takemitsu (武満 徹, Takemitsu Tōru, Tokyo, 8 ottobre 1930 – Tokyo, 20 febbraio 1996) è stato un personaggio chiave nella musica contemporanea giapponese. È il compositore che, più di ogni altro, è riuscito a coniugare le innovazioni stilistiche della nuova musica occidentale con le sonorità e a tratti anche lo spirito della musica tradizionale giapponese (ma non le forme: “Non amo usare melodie giapponesi come materiale. Nessuna forza… nessuno sviluppo. Le melodie giapponesi sono come il Fuji – belle ma eternamente immobili”).
Non rifiutò però di utilizzare gli strumenti della tradizione giapponese, inserendo in molte opere, sia orchestrali che da camera, biwa (un liuto a 4/5 corde e 4/5 tasti) e shakuhachi (il flauto traverso tradizionale).
L’anima giapponese di Takemitsu è presente, però, in maniera forse anche più significativa e profonda, ossia nell’astratto, nella filosofia, nell’ideologia che aleggia fra le sue note (notare anche l’importanza del silenzio o la concezione di un brano come libero flusso musicale non strutturato).
Takemitsu non crea, quindi, una semplice fusione di due stili, quello occidentale e quello orientale, ma ne crea uno nuovo, frutto di una piena conoscenza dei due, nel quale è impossibile fare divisioni accurate. Il compositore giapponese sembra quindi coronare il suo desiderio di “nuotare nell’oceano che non ha né Oriente né Occidente”, desiderio all’insegna di una visione a 360 gradi della musica
Nella sua formazione musicale, Takemitsu fu quasi totalmente un autodidatta; subì molte influenze dalla musica francese, in special modo da autori come Claude Debussy e Olivier Messiaen.
Scrisse anche circa 100 colonne sonore per film come Ran di Akira Kurosawa (1985) e l’incredibile Kuroi ame (Pioggia nera) di Shohei Imamura (1989), sul dopo-Hiroshima.

Recentemente l’Avant Garde Project ha iniziato a distribuire vari brani di Takemitsu ormai fuori catalogo in occidente, disponibili in formato FLAC (compressione senza perdita, quindi di qualità massima) in questa pagina.
Forse non fra i pezzi più famosi, ma sempre belli. Questo Asterism (1968), per piano e orchestra con una sezione di percussioni allargata, “rispettosamente dedicato a Yuji Takahashi e Seiji Ozawa”, è un brano composito in cui convivono una scrittura fatta di figurazioni quasi esplosive per pianoforte, arpa e glockenspiel accanto ad accordi impressionisti nel registro alto degli archi e accordi di ottoni in stile Messiaen, fino al finale in cui, dopo un crescendo di pattern ciclici quasi scoordinati, la musica entra in uno stato di sospensione in cui emerge una tessitura trasparente che sfuma nel silenzio, fino all’ultima, singola nota del piano.

Toru Takemitsu – Asterism (1968), per piano e orchestra
Toronto Symphony Orchestra – Seiji Ozawa (conductor) – Yuji Takahashi (piano)

Koenji Hyakkei

Koenji Hyakkei’s music sometimes is a little like Magma, but I like it.

Secondo me il video c’entra come i cavoli a merenda, ma Koenji Hyakkei (高円寺百景) a volte, come in questo pezzo, mi piacciono parecchio.
Sono un po’ (tanto) Magma (chi si ricorda i francesi di Christian Vander?), ma la complessità, il superamento del solito schema ritornello-inciso e l’energia rendono questo brano superiore alla media.

Certo che la faccenda mi ricorda un po’ Shostakovich, quando diceva che la musica (nel suo caso) russa aveva un grande futuro dietro di sé…

Line-up

Yoshida Tatsuya – drums, vocals
Sakamoto Kengo – bass & voice
Kanazawa Miyako – keyboards & voice
Yamamoto Kyoko – vocals
Komori Keiko – reeds & voice