Ho appena letto un articolo di Murray Shafer, Orecchie aperte riportato in Paesaggi sonori, a cura di M. Bull e L. Back, Il Saggiatore, 2008 (NB: titolo originale The auditory culture reader, 2003; non ci sono i titoli originali dei singoli articoli, maledizione).
A un certo punto, in un capitolo intitolato L’orecchio dell’immaginazione, Shafer riporta vari haiku che spingono ad immaginare un suono a volte in modo sorprendente.
Il primo è il famoso haiku della rana di Bashō (1644 – 1694), che ho trovato anche in lingua originale
古池や
蛙飛びこむ
水の音
(furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto)
Questo haiku è stato tradotto in molti modi, ma la traduzione più realistica, anche se non è quella riportata nell’articolo, mi sembra essere:
antico stagno
una rana si tuffa
il suono dell’acqua
Nota: la traduzione degli haiku, come di molta poesia, non è univoca, ma è spesso una questione di sfumature. Qui, a volte, ho scelto di riportare la mia traduzione preferita anche se non è quella utilizzata nell’articolo che, oltretutto, è una doppia traduzione (giapponese → inglese → italiano).
Lo stesso Bashō offre anche altri esempi di attenzione al suono
il canto del cuculo
si adagia
sulla superficie dell’acqua
*****
il canto del cuculo
si perde lontano
verso un’isola sola
*****
mentre canta l’allodola
le grida del fagiano
battono il tempo
*****
silenzio:
la voce delle cicale
graffia la pietra
Un esempio fantastico è di Yamei
hark! la voce di un fagiano
ha ingoiato il grande campo
in un sorso
Ci sono, poi, alcuni haiku sul movimento del suono (autori Issa e Gyotai)
grillo
anche se era all’altra porta che cantavi
ti ho sentito qui
*****
il suono di una ghianda
che cade da un tetto di assi
freddo nella notte
ed esistono anche fusioni sinestetiche di fenomeni sonori e visivi (ancora Bashō)
il mare si scurisce
e il richiamo di un’oca selvatica
è pallidamente bianco
Infine, sempre da Bashō, un bellissimo esempio dell’immanenza del suono negli oggetti silenziosi
la campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori