Joyce 130 anni

130 anni dalla nascita di James Joyce.

Un’intervista con Carmelo Bene in cui legge Joyce mi sembra appropriata.

L’audio è un po’ basso. Quello che segue, da You Tube, è circa una metà del programma Una sera, un libro da cui è tratta l’intervista. A questo indirizzo, sul sito RAI, trovate l’intero programma (però dovete installare il plugin Microsoft Silverlight; se non va su Firefox, usate Google Chrome).

A proposito, vorrei sapere perché la RAI, che è servizio pubblico, usa dei codec proprietari.

Sidney’s Siberia

Fra le molte meraviglie del sito Secret Technology di Jason Nelson spicca questa Sidney’s Siberia.

Un’immagine che contiene una breve poesia e un quadrato, mosso dal mouse, per ingrandirne una parte. Quest’azione rivela che l’immagine di partenza è composta da molte piccole immagini, una modalità già ben nota nel web (esistono dei software per farlo).

Ma presto ci si accorge che ogni piccola immagine, ingrandita, contiene un’altra breve poesia e che il procedimento può continuare all’infinito…

Cliccare le immagini per ingrandire.

Haiku sonori

Ho appena letto un articolo di Murray Shafer, Orecchie aperte riportato in Paesaggi sonori, a cura di M. Bull e L. Back, Il Saggiatore, 2008 (NB: titolo originale The auditory culture reader, 2003; non ci sono i titoli originali dei singoli articoli, maledizione).

A un certo punto, in un capitolo intitolato L’orecchio dell’immaginazione, Shafer riporta vari haiku che spingono ad immaginare un suono a volte in modo sorprendente.

Il primo è il famoso haiku della rana di Bashō (1644 – 1694), che ho trovato anche in lingua originale

古池や
蛙飛びこむ
水の音
(furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto)

Questo haiku è stato tradotto in molti modi, ma la traduzione più realistica, anche se non è quella riportata nell’articolo, mi sembra essere:

antico stagno
una rana si tuffa
il suono dell’acqua

Nota: la traduzione degli haiku, come di molta poesia, non è univoca, ma è spesso una questione di sfumature. Qui, a volte, ho scelto di riportare la mia traduzione preferita anche se non è quella utilizzata nell’articolo che, oltretutto, è una doppia traduzione (giapponese → inglese → italiano).

Lo stesso Bashō offre anche altri esempi di attenzione al suono

il canto del cuculo
si adagia
sulla superficie dell’acqua

*****

il canto del cuculo
si perde lontano
verso un’isola sola

*****

mentre canta l’allodola
le grida del fagiano
battono il tempo

*****

silenzio:
la voce delle cicale
graffia la pietra

Un esempio fantastico è di Yamei

hark! la voce di un fagiano
ha ingoiato il grande campo
in un sorso

Ci sono, poi, alcuni haiku sul movimento del suono (autori Issa e Gyotai)

grillo
anche se era all’altra porta che cantavi
ti ho sentito qui

*****

il suono di una ghianda
che cade da un tetto di assi
freddo nella notte

ed esistono anche fusioni sinestetiche di fenomeni sonori e visivi (ancora Bashō)

il mare si scurisce
e il richiamo di un’oca selvatica
è pallidamente bianco

Infine, sempre da Bashō, un bellissimo esempio dell’immanenza del suono negli oggetti silenziosi

la campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori

Namárië

Sir John Ronald Reuel Tolkien reads an elvish poetry from his work The Lord of the Rings.

The text is known as Namárië: Galadriel’s Lament In Lorien, also wrongly (?) called Song of the Elves beyond the Sea.

The elvish language is another fictional idiom, a common use in fantasy and SF literature (e.g.: klingon). Tolkien created more languages and dialects for elvish people. The first and more ancient is Quenya that evolved to the Quenya of high-elven and is one of the two most complete of Tolkien’s languages (the other being Sindarin, or Grey-elven). The phonology, vocabulary and grammar of Quenya and Sindarin are strongly influenced by Finnish and Welsh, respectively. In addition to these two, he also created several other (partially derived) languages.

You’ll find a great discussion about this text, with a word-by-word analysis, here.

Ai! laurie lantar lassi surinen,
yeni unotime ve ramar aldaron!
Yeni ve linte yuldar avanier
mi oromardi lisse-miruvoreva
Andune pella, Vardo tellumar
nu luini yassen tintillar i eleni
omaryo airetari-lirinen.
Si man i yulma nin enquantuva?

An si Tintalle Varda Oiolosseo
ve fanyar maryat Elentari ortane,
ar ilye tier undulave lumbule;
ar sindanoriello caita mornie
i falmalinnar imbe met ar hisie
untupa Calaciryo miri oiale.
Si vanwa na, Romello vanwa, Valimar!

Namarie! Nai hiruvalye Valimar.
Nai elye hiruva. Namarie!

Ah! like gold fall the leaves in the wind,
long years numberless as the wings of trees!
The long years have passed like swift draughts
of the sweet mead in lofty halls
beyond the West, beneath the blue vaults of Varda
wherein the stars tremble
in the voice of her song, holy and queenly.
Who now shall refill the cup for me?

For now the Kindler, Varda, the Queen of the stars,
from Mount Everwhite has uplifted her hands like clouds
and all paths are drowned deep in shadow;
and out of a grey country darkness lies
on the foaming waves between us,
and mist covers the jewels of Calacirya for ever.
Now lost, lost to those of the East is Valimar!

Farewell! Maybe thou shalt find Valimar!
Maybe even thou shalt find it! Farewell!

But the list of the languages of Arda (the Middle-Earth) is complex and astonishing, showing how deep and real the Middle Earth was in Tolkien’s mind. Here is the complete list from wikipedia with links to single voices:

  1. Elvish languages:
  2. Mannish languages (all showed influence by Avarin tongues as well as Khuzdul):
  3. Languages of Dwarves:
  4. Languages of the Ents
  5. Languages of the Ainur (Valar and Maiar)
  6. Languages of the Orcs
  7. Various debased forms of the Black Speech and regional dialects influenced by Westron
  8. Primitive methods of communication
    • Language of the Trolls
    • Language of the Wargs

 

Baudrillard rock star

baudrillardUnbelievable but true! Jean Baudrillard recites his poetry backed up by an all star band featuring Tom Watson, Mike Kelley, George Hurley, Lynn Johnston, Dave Muller and Amy Stoll, special guest vocalist Allucquère Rosanne Stone.

Recorded live as part of the Chance Festival at Whiskey Pete’s Casino in Stateline Nevada, 1996.

You’ve never heard Baudrillard like this before! Music to read Nietzsche to.

Listen to the tracks from UBUWeb.

Excerpt, track 2.

La voce di un poeta

La voce di un grande poeta è maledettamente emozionante.

Dylan Thomas legge la sua And death shall have no dominion, pubblicata nel 1936 in Twenty-five poems.

And death shall have no dominion, read by Dylan Thomas itself.

Dylan Thomas – And death shall have no dominion (1936)

And death shall have no dominion.
Dead men naked they shall be one
With the man in the wind and the west moon;
When their bones are picked clean and the clean bones gone,
They shall have stars at elbow and foot;
Though they go mad they shall be sane,
Though they sink through the sea they shall rise again;
Though lovers be lost love shall not;
And death shall have no dominion.
And death shall have no dominion.
Under the windings of the sea
They lying long shall not die windily;
Twisting on racks when sinews give way,
Strapped to a wheel, yet they shall not break;
Faith in their hands shall snap in two,
And the unicorn evils run them through;
Split all ends up they shan’t crack;
And death shall have no dominion.

And death shall have no dominion.
No more may gulls cry at their ears
Or waves break loud on the seashores;
Where blew a flower may a flower no more
Lift its head to the blows of the rain;
Though they be mad and dead as nails,
Heads of the characters hammer through daisies;
Break in the sun till the sun breaks down,
And death shall have no dominion.

E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché impazziscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono,
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà più dominio.

E la morte non avrà più dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai più sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché pazzi e morti stecchiti,
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino a che il sole precipiterà;
E la morte non avrà più dominio.

Alla nuova luna

Una poesia di Quasimodo (da “La terra impareggiabile”, 1958) scritta in occasione del lancio dello Sputnik-I, prima Luna artificiale.

Alla nuova Luna

In principio Dio creò il cielo
e la terra, poi nel suo giorno
esatto mise i luminari in cielo,
e al settimo giorno si riposò.
Dopo miliardi di anni l’uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza,
senza mai riposare, con la sua
intelligenza laica,
senza timore, nel cielo sereno
d’una notte d’ottobre,
mise altri luminari uguali
a quelli che giravano
dalla creazione del mondo. Amen.

Myanmar

Un pensiero per la Birmania.

Uno dei brani più famosi della musica classica birmana. Anticamente veniva eseguito a palazzo reale e nelle occasioni in cui il re si rivolgeva al popolo.
E mentre ascoltate leggetevi

Rudyard Kipling, Mandalay

che avrà anche degli accenti un po’ da romantico colonialismo d’altri tempi e a tratti è buffa, però ha rappresentato per molto tempo la Birmania nell’immaginario occidentale…

By the old Moulmein Pagoda, lookin’ eastward to the sea,
There’s a Burma girl a-settin’, and I know she thinks o’ me;
For the wind is in the palm-trees, and the temple-bells they say:
“Come you back, you British soldier; come you back to Mandalay!”
Come you back to Mandalay,
Where the old Flotilla lay:
Can’t you ‘ear their paddles chunkin’ from Rangoon to Mandalay?
On the road to Mandalay,
Where the flyin’-fishes play,
An’ the dawn comes up like thunder outer China ‘crost the Bay!

‘Er petticoat was yaller an’ ‘er little cap was green,
An’ ‘er name was Supi-yaw-lat — jes’ the same as Theebaw’s Queen,
An’ I seed her first a-smokin’ of a whackin’ white cheroot,
An’ a-wastin’ Christian kisses on an ‘eathen idol’s foot:
Bloomin’ idol made o’mud —
Wot they called the Great Gawd Budd —
Plucky lot she cared for idols when I kissed ‘er where she stud!
On the road to Mandalay . . .

When the mist was on the rice-fields an’ the sun was droppin’ slow,
She’d git ‘er little banjo an’ she’d sing “Kulla-lo-lo!”
With ‘er arm upon my shoulder an’ ‘er cheek agin’ my cheek
We useter watch the steamers an’ the hathis pilin’ teak.
Elephints a-pilin’ teak
In the sludgy, squdgy creek,
Where the silence ‘ung that ‘eavy you was ‘arf afraid to speak!
On the road to Mandalay . . .

But that’s all shove be’ind me — long ago an’ fur away,
An’ there ain’t no ‘busses runnin’ from the Bank to Mandalay;
An’ I’m learnin’ ‘ere in London what the ten-year soldier tells:
“If you’ve ‘eard the East a-callin’, you won’t never ‘eed naught else.”
No! you won’t ‘eed nothin’ else
But them spicy garlic smells,
An’ the sunshine an’ the palm-trees an’ the tinkly temple-bells;
On the road to Mandalay . . .

I am sick o’ wastin’ leather on these gritty pavin’-stones,
An’ the blasted Henglish drizzle wakes the fever in my bones;
Tho’ I walks with fifty ‘ousemaids outer Chelsea to the Strand,
An’ they talks a lot o’ lovin’, but wot do they understand?
Beefy face an’ grubby ‘and —
Law! wot do they understand?
I’ve a neater, sweeter maiden in a cleaner, greener land!
On the road to Mandalay . . .

Ship me somewheres east of Suez, where the best is like the worst,
Where there aren’t no Ten Commandments an’ a man can raise a thirst;
For the temple-bells are callin’, an’ it’s there that I would be —
By the old Moulmein Pagoda, looking lazy at the sea;
On the road to Mandalay,
Where the old Flotilla lay,
With our sick beneath the awnings when we went to Mandalay!
On the road to Mandalay,
Where the flyin’-fishes play,
An’ the dawn comes up like thunder outer China ‘crost the Bay!

Canti di Innocenza e di Esperienza

Tyger
I Canti di Innocenza e di Esperienza di William Blake (28 novembre 1757 – 12 agosto 1827), poeta e artista visionario inglese possono essere scaricati liberamente da Project Gutenberg o ascoltati all’Internet Archive grazie a Librivox.

The Songs of Innocence and ExperienceWilliam Blake (November 28, 1757 – August 12, 1827) was an English poet, visionary, painter, and printmaker. Largely unrecognized during his lifetime, Blake’s work is today considered seminal and significant in the history of both poetry and the visual arts. He was voted 38th in a poll of the 100 Greatest Britons organized by the BBC in 2002.
You can freely download The Songs of Innocence and Experience from Project Gutenberg or listen in audio form from Librivox at the Internet Archive.

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Ascolta / Listen to
The Tyger
Read by: Gord Mackenzie

The Tyger


Tyger ! Tyger! Burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?

In what distant deeps or skies
Burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?
And what shoulder, and what art,
Could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
What dread hand? And what dread feet?

What the hammer? What the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
Dare its deadly terrors grasp?

When the stars threw down their spears,
And water’d heaven with their tears
Did he smile his work to see?
Did he who made the Lamb make thee?

Tyger! Tyger! Burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye,
Dare frame thy fearful symmetry?

La Tigre
traduzione di G.Ungaretti


Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?

In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?

Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?

Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?