14&15 Mobile Photographers

14&15 Mobile Photographers is the first international showcase dedicated exclusively to mobile photographers and to their work. We are driven by a great curiosity to explore the new frontiers of digital photography, the mobile photography. For this reason, in 2015 we launched this platform, with the aim of promoting this sector of photography which is growing fast worldwide. We believe that the smartphone is only a tool to take pictures and does not represent anything more than an easy and fast camera. But this smart tool is always with us, ready to record our life in every moment.

1415_1 iPhone with Hipstamatic appPhoto by Scott Strazzante
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Removed

Non stanno giocando a carte. Removed è un progetto del fotografo americano Eric Pickersgill in cui la pervasività del cellulare si evidenzia attraverso la sua assenza. Normalissime immagini di un quotidiano in cui l’oggetto centrale, quello su cui si fissa l’attenzione di tutti, è rimosso e in questo modo la scena appare in tutta la sua assurdità.

Lo stesso Pickersgill commenta

La famiglia che siede accanto a me nel caffé Illium a Troy, NY, è così scollegata. Non si parla molto. Il padre e le due figlie guardano i loro cellulari. La mamma non ne ha uno o sceglie di non usarlo. Fissa fuori dalla finestra, triste e sola, in compagnia della sua famiglia. Papà guarda gli altri ogni tanto per annunciare qualche oscuro pezzo di informazioni trovato on-line. Per due volte parla di un grosso pesce che è stato catturato. Nessuno risponde. Sono addolorato nel vedere una tecnologia creata per l’interazione usata per non interagire. Una cosa del genere non è mai accaduta prima e dubito che abbiamo scalfito la superficie dell’impatto sociale di questa nuova esperienza. Adesso anche la mamma ha tirato fuori il suo telefono…
[trad. mia]

Il sito del progetto Removed è qui, con molte altre immagini.

La tecnologia ha sempre inciso profondamente sulla vita delle persone e sui rapporti sociali. Basti pensare al frigorifero, all’automobile, alla televisione. Ma mai come oggi ci siamo trovati di fronte a qualcosa che incide così duramente sulla comunicazione. È interessante notare come, a causa del (o grazie al) cellulare, le persone non si trovino mentalmente nel luogo in cui sono fisicamente. Ora, è normale che questo accada in certe situazioni. Io passo circa 5/6 ore alla settimana in treno ed è ovvio che, in questo caso, la gente impieghi il tempo leggendo qualcosa, lavorando o, al limite, dormendo, ma con il cellulare, questo accade sempre. Vedo gente che sale in autobus digitando o parlando; continua per tutto il tragitto e prosegue anche quando scende. Si parla o si digita anche mentre si cammina per strada e mentre si guida.

Quello che accade è che questo oggetto e in ultima analisi, internet, ci inseriscono in un flusso continuo di comunicazione che ci astrae dal “qui e ora” inserendoci in una chat room virtuale permanente. E la tecnologia va in questa direzione sviluppando oggetti che tendono a incorporare il flusso direttamente nel nostro corpo, come i google glass, ovvero la realtà aumentata che, se da un lato è molto comoda quando sto cercando un certo negozio in una zona poco conosciuta della città, alla fine ci costringerà ad avere sempre un cellulare acceso davanti agli occhi. E, come alcuni di voi avranno sperimentato, è inutile dire che basta lasciarlo spento o non averlo. Presto sarà praticamente obbligatorio, così come è diventata letteralmente obbligatoria una connessione internet.

L’effetto mi sembra quello di annullare qualsiasi possibilità di restare soli con sé stessi, che invece è una condizione che mi piace. E mi sconvolge il fatto che sembra far paura alla maggior parte della gente…

DarkAngelØne

DarkAngelØne è un artista che lavora con le GIF animate. Anche se lui stesso, con una certa umiltà, afferma

Some people call me an artist, I say I’m just a guy who likes to play with photos

ottiene dei risultati sorprendenti. Cliccate l’immagine qui sotto per vedere l’animazione (datele il tempo di caricarsi: una GIF animata è composta da molte immagini e questa, in totale, è 2.5 Mb) e guardate.

Ne trovate altre qui.

Kodak Aerochrome III

Kodak Aerochrome III è una pellicola fotografica sensibile agli infrarossi ormai fuori produzione. In origine era utilizzata per la rilevazione aerea di zone di vegetazione che appaiono color magenta o rosso, in contrasto con il grigio e il blu delle aree “fredde” di materiale in prevalenza non biologico. Di conseguenza aveva anche un impiego militare, per individuare installazione mascherate con il colori della vegetazione.

Come ho già accennato, oggi questa pellicola non è più in produzione, ma ne rimane ancora una certa quantità da smaltire e ovviamente alcuni fotografi hanno trovato dei modi interessanti per utilizzarla. Richard Mosse ha realizzato vari progetti con la Kodak Aerochrome III, fra cui  Infra (2010/11) che testimonia la difficile situazione nella regione del Nord Kivu (Congo orientale) con il contrasto fra la vegetazione tropicale e lussureggiante e gli eserciti che la attraversano.

Tre immagini dal progetto Infra di Richard Mosse (cliccare l’immagine per ingrandire).

Colonel Soleil’s Boys
North Kivu, Eastern Congo
2010
Even Better Than The Real Thing
North Kivu, Eastern Congo
2011
Vintage Violence
North Kivu, Eastern Congo
2011

Daniel Zvereff, invece, l’ha usata per Introspective, un progetto solo apparentemente inadatto alle caratteristiche della pellicola: un viaggio verso l’artico, luogo in cui di vegetazione se ne trova ben poca. Ma proprio per questo, il diradarsi delle zone in colore dà l’esatta immagine del cambiamento del paesaggio, dal colore al (quasi) bianco/nero. Un viaggio fatto di foto, disegni e diario.

Tombstone, Yukon Kulusuk, Greenland Longyearbyen, Svalbard

Mi piace molto quando l’arte riesce a reinventare gli oggetti che la tecnologia si lascia dietro.

Genesi: Sebastião Salgado a Venezia

sebastiao-salgado

C’è una mostra da vedere a Venezia. 240 immagini di Sebastião Salgado ispirate alla terra incontaminata. 240 foto prese in quel 40/45% del nostro pianeta che rimane quasi intoccato da mano umana o perlomeno toccato ma a un livello ampiamente sostenibile, in cui il poco di umanità che lo abita non consuma più di quanto la terra possa produrre.

Otto anni e 32 viaggi per riempire le cinque sezioni di questa mostra, dedicate al altrettante aree del globo in cui la “civiltà” non è riuscita a introdursi in modo massiccio: l’Antartide e il sud dell’Argentina, l’Africa, alcuni luoghi piccoli ma peculiari come il Madagascar, Papua Nuova Guinea e l’Irian Jaya, il Grande Nord e infine l’Amazzonia, il polmone verde del pianeta, che contiene oltre un decimo della biodiversità presente sulla terra.

C’è una incredibile bellezza in queste immagini. Una bellezza che ognuno può interpretare come vuole (per me assolutamente laica), ma che rimane innegabile e sublime, termine, quest’ultimo, che non sono mai riuscito ad associare alle creazioni umane. A parte i molti viaggi di quando ero più giovane, io colleziono tuttora immagini della terra senza l’uomo e trovo che, anche dal punto di vista estetico, siano inarrivabili. C’è un equilibrio fra diversità e ripetizione, fra struttura e casualità che è una grande fonte di ispirazione, ma anche qualcosa di irraggiungibile.

Mi spiace solo che la natura non sia riuscita, finora, a porre un serio limite alla crescita umana. Ha tentato molte volte, con e senza il nostro aiuto, raggiungendo anche risultati apprezzabili, ma non ci è mai andata nemmeno vicina. Forse tenterà di nuovo e fallirà meglio. O forse, prima o poi, troverà una soluzione un po’ brusca, tipo un asteroide ben centrato, che darà al pianeta qualche millennio di tregua per riprendersi.

Perché, secondo me, la conservazione del pianeta non è questione di intelligenza da parte nostra. Anche se un po’ più di attenzione non sarebbe male, anzi, a dire la verità, sarebbe obbligatoria e potrebbe ottenere buoni risultati, non c’è niente da fare. È solo una questione di quantità.

Genesi è aperta dal 1 Febbraio al 11 Maggio alla Casa dei Tre Oci, alla Giudecca. Sito di riferimento.

Le foto sono in bianco/nero, ma, come diceva Samuel Fuller “la vita è a colori, ma il bianco e nero è più realista”. Altre immagini qui.

L’arte della Terra

Richat StructureTrovo che le foto aree abbiano una loro particolare bellezza. In immagini come questa il suolo diventa pura forma e colore, quasi un’opera astratta i cui tratti non sono mai banali o ripetitivi, ma sempre diversi pur restando simili.

Quella che vedete è la Struttura di Richat, conosciuta anche come Occhio del Sahara o Guelb er Richat. Si trova in Mauritania, in una parte di deserto sahariano altrimenti vuota. Ha un diametro di più di 40 km e si ritiete sia un formazione geologica risalente al paleozoico (click per ingrandire).

Per la fine del 2012 la NASA ci regala The Earth as Art, un libro con 75 immagini riprese da satellite liberamente distribuito e scaricabile qui in pdf.

Per l’iPad, inoltre, è disponibile questa App gratuita con lo stesso contenuto.

Per gli amanti del genere segnalo anche il sito The Gateway to Astronaut Photography che, semplicemente “hosts the best and most complete online collection of astronaut photographs of the Earth”.

Asako Narahashi

Da più di 10 anni, Asako Narahashi fotografa il mondo dal ciglio dell’acqua, a volte con la macchina in parte sommersa.

In alcune immagini, la prospettiva sembra quella di un naufrago che annaspa fra le onde. In altre, con acqua calma, la vista è quella di un nuotatore che riposa scivolando sull’acqua o facendo il morto.

Click per ingrandire.

Com’era il vecchio west

Quando passo per qualche luogo che mi piace mi chiedo sempre come è apparso agli occhi dei primi uomini (il senso reale della domanda è com’era prima che la civiltà lo riempisse di insulse casette, strade eccetera). Pensare per esempio a come poteva apparire il lago di Garda a qualcuno che lo vedeva per la prima volta arrivando dalle montagne a nord, è sorprendente: un’immensa distesa di acqua con qualche villaggio e qualche palafitta qui è la.

Adesso il Daily Mail online pubblica una serie di foto scattate da Timothy O’Sullivan nei primi anni del 1870: sono le prime immagini di quelle terre che diverranno note come il selvaggio west (principalmente Arizona, Nevada, Utah).

Qui il link.

The wild west

These remarkable 19th century sepia-tinted pictures show the American West as you have never seen it before – as it was charted for the first time.

The photos, by Timothy O’Sullivan, are the first ever taken of the rocky and barren landscape.

At the time federal government officials were travelling across Arizona, Nevada, Utah and the rest of the west as they sought to uncover the land’s untapped natural resources.

The DailyMail online: Here is the link.

Dujardin

Filip DujardinFilip Dujardin è un fotografo belga che si occupa di architettura e che, oltre a fotografare edifici reali, compone immagini di edifici immaginari assemblando frammenti architettonici.

Ne risultano delle architetture che, pur con evidenti anomalie, risultano perlomeno verosimili.

Microworlds

La microfotografia (o nanofotografia) ha la capacità di svelare paesaggi inaspettati e misteriosi, tali da poterci costruire sopra delle storie, come fa Alan Jaras.

Guardatevi questa serie, denominata MicroWorld, partendo dalla prima immagine.

Ci spiano a fin di bene?

Le foto digitali contengono un sacco di dati, quasi tutti di carattere tecnico. Il formato utilizzato dalle fotocamere digitali, infatti, va sotto il nome di Exif (Exchangeable image file format). La specifica utilizza i formati esistenti JPEG, TIFF Rev. 6.0, e RIFF, con l’aggiunta di specifiche etichette (tag) di metadati.

Questi metadati, in genere, sono utili perché permettono, anche a distanza di tempo, di visualizzare i valori di tempo, diaframma, risoluzione, data e ora, nonché tutte le impostazioni con cui è stata scattata la foto.

Per vederli, aprite questa pagina e caricate una foto oppure scaricate l’ottimo ExifTool.

Fra questi dati, però, almeno uno può essere utile o dannoso in base alle intenzioni. È il numero di serie della fotocamera, che è unico e quindi, in qualche modo, permette di risalire all’acquirente. Quindi ricordate di eliminare i metadati se, per es., mettete una immagine in internet e non volete essere identificati.

D’altra parte, proprio il serial number può avere un altro utilizzo, più interessante. Supponete che vi rubino la fotocamera e che, alla fine, vada in mano a qualcuno che fa qualche foto e la mette in internet.

Ebbene guardando il serial number di quelle immagini, voi potete dimostrare che sono state scattate con la vostra fotocamera (peraltro il numero dovrebbe essere anche riportato sulla garanzia).

È proprio quello che fa il sito stolencamerafinder che ha raccolto un database di più di un milione di fotocamere. Vi basta avere una immagine non modificata scattata con la vostra fotocamera ormai perduta e il sito può aiutarvi a identificare altre immagini scattate con la stessa, a patto che siano state imprudentemente messe in rete.

Se, poi, per curiosità, volete vedere i dati Exif contenuti in una immagine, ecco qui:

Exif Byte Order                 : Little-endian (Intel, II)
Image Description               : OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Make                            : OLYMPUS IMAGING CORP.
Camera Model Name               : SP800UZ
Orientation                     : Horizontal (normal)
X Resolution                    : 72
Y Resolution                    : 72
Resolution Unit                 : inches
Software                        : Version 1.0
Modify Date                     : 2010:10:15 09:15:56
Y Cb Cr Positioning             : Co-sited
Exposure Time                   : 0.3
F Number                        : 4.1
Exposure Program                : Program AE
ISO                             : 400
Exif Version                    : 0221
Date/Time Original              : 2010:10:15 09:15:56
Create Date                     : 2010:10:15 09:15:56
Components Configuration        : Y, Cb, Cr, -
Compressed Bits Per Pixel       : 2
Exposure Compensation           : 0
Max Aperture Value              : 2.8
Metering Mode                   : Multi-segment
Light Source                    : Unknown
Flash                           : Off, Did not fire
Focal Length                    : 36.7 mm
Special Mode                    : Normal, Sequence: 0, Panorama: (none)
Camera ID                       : OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Equipment Version               : 0100
Camera Type 2                   : D4434
Focal Plane Diagonal            : 7.665 mm
Body Firmware Version           : 77
Camera Settings Version         : 0100
Preview Image Valid             : No
Preview Image Start             : 1644
Preview Image Length            : 0
Macro Mode                      : Off
Flash Mode                      : Off
White Balance 2                 : Auto
Drive Mode                      : Single Shot
Panorama Mode                   : Off
Image Processing Version        : 0112
Distortion Correction 2         : Off
Face Detect                     : Off; Unknown (0)
Face Detect Area                : (Binary data 383 bytes, use -b option to extract)
Quality                         : SQ (Low)
Macro                           : Off
Black & White Mode              : Off
Digital Zoom                    : 1.0
Resolution                      : 1
Camera Type                     : D4434
Pre Capture Frames              : 0
White Board                     : 0
One Touch WB                    : Off
White Balance Bracket           : 0
White Balance Bias              : 0
Scene Mode                      : Standard
Serial Number                   : 000JAJ248048
Data Dump                       : (Binary data 2540 bytes, use -b option to extract)
User Comment                    :
Flashpix Version                : 0100
Color Space                     : sRGB
Exif Image Width                : 2560
Exif Image Height               : 1920
Interoperability Index          : R98 - DCF basic file (sRGB)
Interoperability Version        : 0100
File Source                     : Digital Camera
Scene Type                      : Directly photographed
Custom Rendered                 : Normal
Exposure Mode                   : Auto
White Balance                   : Auto
Digital Zoom Ratio              : 0
Focal Length In 35mm Format     : 204 mm
Scene Capture Type              : Standard
Gain Control                    : High gain up
Contrast                        : Normal
Saturation                      : Normal
Sharpness                       : Normal
Compression                     : JPEG (old-style)
Thumbnail Offset                : 9216
Thumbnail Length                : 4452
Image Width                     : 2560
Image Height                    : 1920
Encoding Process                : Baseline DCT, Huffman coding
Bits Per Sample                 : 8
Color Components                : 3
Y Cb Cr Sub Sampling            : YCbCr4:2:2 (2 1)
Aperture                        : 4.1
Image Size                      : 2560x1920
Scale Factor To 35 mm Equivalent: 5.6
Shutter Speed                   : 0.3
Thumbnail Image                 : (Binary data 4452 bytes, use -b option to extract)
Circle Of Confusion             : 0.005 mm
Field Of View                   : 10.1 deg
Focal Length                    : 36.7 mm (35 mm equivalent: 204.0 mm)
Hyperfocal Distance             : 60.77 m
Light Value                     : 3.7

Guardate attentamente

questa immagine per un po’…

Non è un video. È una GIF animata. Un formato che, di solito viene utilizzato per fare stupidaggini come quella qui sotto, ma che Jamie Beck e Kevin Burg stanno cercando di elevare a un livello che si avvicini all’arte: “more than a photo but less than a video”.

animated gif

 

Magia delle foto ad alta velocità

La fotografia ad alta velocità (high speed photography) ormai ha raggiunto limiti impensabili (fino a 1/30000 di secondo (0.03 msecs) ed è in grado di produrre immagini come questa che ha anche un risvolto audio perché la superficie rossa da cui emana il liquido è quella di un subwoofer in vibrazione, rosso perché illuminato da un flash con gel rosso.

Quasi tutti credono che, per ottenere queste immagini, ci si serva di macchine fotografiche con otturatori velocissimi, ma non è così, o almeno non sempre. Sebbene gli otturatori abbiano raggiunto la ragguardevole velocità di 1/8000 di secondo, per la fotografia ad alta velocità basta una macchina normale in grado di mantenere l’otturatore aperto per tempi molto lunghi o meglio ancora in posa (B: sempre aperto fino al comando di chiusura).

La foto, infatti, è ottenuta grazie al flash. Alcuni flash, di alta qualità, sono in grado di generare lampi di durata brevissima, fino a 1/30000 di secondo, per cui si mette il tutto in un ambiente buio, con la macchina bloccata ad otturatore aperto e si impressiona il sensore con un singolo, istantaneo lampo di luce.

Il difficile, ovviamente, è sincronizzare il lampo e il fenomeno. In realtà non servono apparecchiature particolarmente esoteriche e si può mettere insieme un buon set anche in casa.

L’immagine di cui sopra è tratta dall’album di Chaval Brasil su Flickr, ma coloro che si dedicano di questo tipo di fotografia sono parecchi (per es. vedi gruppi su Flickr).

Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii

Qualche anno fa, in questo post, abbiamo parlato delle foto a colori realizzate nel 1909, con una tecnica semplice quanto ingegnosa, dal russo Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii.

Oggi la collezione delle sue immagini, ricreate in digitale a partire dalle lastre originali, è approdata a Flickr e può essere visualizzata qui.

Eccone alcune. Nella loro semplicità e staticità, le trovo bellissime.

.

10 Beautiful Modern Ruins

The Coolist ha una bella rassegna fotografica delle 10 più belle e sorprendenti rovine moderne (alcune le abbiamo già segnalate), fra cui colpisce, non per la sua bellezza, ma per quanto è recente (le altre hanno almeno 50 anni), questo incredibile fabbricato: il Ryugyung Hotel a Pyong Yang (Corea del nord) che potrebbe essere uno dei più grandi fallimenti architettonici del XX° secolo.

Iniziato nel 1987 e bloccato nel 1992 per mancanza di fondi da parte del governo coreano, la costruzione è ripresa nel 2008, ma, data la segretezza governativa, è difficile, per ora, capire se i lavori siano solo di facciata o se l’edificio sarà portato a termine anche all’interno.

Qui su wikipedia.


If you find beauty in urban decay, in the crumbling and abandoned places of yesteryear, you’ll want to read on.  The Coolist publish a gallery of 10 of the most amazing, beautiful and creepy abandoned places in the modern world.

Here on wikipedia.


ryugyong-hotel


Guardate anche questo video di Ross Ching Labs su una Los Angeles vuota…

Mammoth Earth image

If you desire high-resolution images of the Earth, the good folks at Unearthed Outdoors have made available the 250m True Marble image set for a free download with a Creative Commons Attribution 3.0 license. It’s a map of the Earth made up of 32 tiles, where each tile is a 21,000 pixel square, available in png and tif formats. There’s also a series of smaller files that may be more useful — in case you don’t need a map of the Earth that ends up being 84,000 pixels tall and 168,000 pixels across. Printed at 600 dpi, that’s about 12 feet by 24 feet (m 3.66 x 7.31)!

Click here to reach the download page.

Is anything real?

UPDATE 2024:
Così scrivevo 14 anni fa e anche il video ha la stessa età

Con tecnologia digitale verrà un momento in cui nessuna foto e nessun film saranno più ammissibili come prova in un processo. Date un’occhiata qui.

The digital technology will ban photos and films from the trials, some day.

Foto da iPhone

iPhone 3GS imageKoichi Mitsui è un fotografo professionista giapponese. Quando non è al lavoro per qualche rivista, gira per Tokyo facendo foto con il suo iPhone 3GS.

The iPhone has a single-focus lens with no zoom, and this simplicity keeps me devoted to only composition and the perfect photo opp

Sebbene queste immagini non abbiano la perfezione e la risoluzione a cui ci hanno abituato le attuali fotocamere digitali, a mio modesto avviso alcune sono molto belle.

Questo il link.

Le rovine di Detroit

Yves Marchand & Romain Meffre sono fotografi che si occupano di archeologia urbana e industriale.

Sul loro sito esibiscono tre bellissime gallerie dedicate rispettivamente alle rovine di Detroit, alle vestigia industriali della Germania Est e ai teatri abbandonati d’America. Sono tutte belle, ma la prima, per me, è la più interessante.

Sviluppatasi con il boom economico del dopoguerra legato principalmente all’automobile, Detroit era arrivata a 2 milioni di abitanti negli anni ’50, diventando la quarta città degli Stati Uniti. Oggi, con la General Motors molto vicina al fallimento, Detroit ha perso la metà dei suoi abitanti e la de-industrializzazione ha lasciato enormi monumenti alla decadenza che non vengono riconvertiti perché non ci sono investimenti in una città in decadenza. Semplicemente rimangono, tracce di uno splendido passato, monumenti sopravvissuti alla perdita della loro funzione.

Amo quella foto con il pianoforte…

Lego recreation

Prendete una serie di foto famose, ricostruitele in Lego e otterrete, per esempio, questo.

La quasi intera collezione è qui.

lego

lego

lego

lego

PS: il vedere gli omini della Lego impegnati a mimare queste azioni storiche mi dà una strana sensazione, un misto fra l’ilarità e l’incazzatura. Il punto è che gli omini Lego non hanno alcuna espressione, o meglio, hanno sempre la stessa espressione giocherellona e producono una scissione schizoide rispetto all’immagine originale. La cosa è particolarmente evidente nel caso di situazioni drammatiche come questa. This Associated Press photograph, “General Nguyen Ngoc Loan executing a Viet Cong prisoner in Saigon,” (February 1, 1968) won a 1969 Pulitzer prize for its photographer Eddie Adam (from wikipedia)

In questo senso segue la linea tracciata da molta arte pop postmoderna, come le varie versioni dell’Ultima Cena o la corrente cult following.

Nanopaesaggi

Michael Olivieri si occupa, fra le altre cose, di nanofotografia (fotografia al microscopio) e scopre dei paesaggi in composti chimici e prodotti di lavorazione. È autore di una serie chiamata Innerspace:

In collaboration with nano scientists Dr. Zhengwei Pan and his research group at the University of Georgia, I have created a new series of work called “innerspace”. These micrograph images are taken directly from their theoretical lab samples. While the scientists observe the nano structures as objects, I am approaching them as subjects and discovering new micro and macro relationships.

Using current photographic technology and a Scanning Electron Microscope (SEM) I have created grand scale micrograph interpretations of their research. In this series I selected perspectives of unusual microscopic happenings within the actual nano structure samples to blur scale into seemingly familiar human settings.

Sono stato molto indeciso su quali immagini mettere perché sono tutte molto belle e soprattutto nuove, fantascientifiche, ma reali. Alla fine ho optato per queste due. Andate a vedere sia le immagini che i panorami qui.

Reciprocity

Alan Jaras (aka “Reciprocity”) captures surreal refraction patterns of light, passing through molded plastic.

These are light refraction patterns or ‘caustics’ formed by a light beam passing through a shaped and textured plastic form. The pattern is captured directly on to 35mm film by removing the camera lens and putting the transparent object in its place. The processed film is digitally scanned for uploading. Please note these are not computer generated images but a true analogue of the way light is refracted by the objects I create.

Return

Google LIFE photo archive

Ultimamente non sembrano esserci grandi iniziative in campo musicale, ma ce sono in quello dell’immagine (comunque domani torneremo alla musica).

Google sta portando sul web l’immenso archivio fotografico di LIFE Magazine. Già 2 milioni di immagini sono online e altri 8 milioni sono in arrivo.

L’arco temporale coperto dall’archivio spazia dalla guerra di secessione americana fino ai nostri giorni e sono quasi tutte immagini di alta qualità e risoluzione elevata (cliccate su questa antica barca sullo Yang-tse).

La pagina di riferimento è qui, ma Google intende inserire l’intero archivio nel proprio motore di ricerca delle immagini.

Foto a colori nel 1909

immagineNel 1909 le pellicole a colori non esistevano, tuttavia un geniale personaggio chiamato Sergei Mikhailovich Prokudin-Gorskii, in Russia, aveva trovato il modo di riprendere e vedere immagini a colori.

La tecnica era ingegnosa. Fotografava la stessa scena tre volte in rapida successione ponendo davanti all’obiettivo un filtro di un diverso colore primario, rispettivamente rosso, verde e blu (RGB: lo stesso sistema degli attuali monitor). In tal modo otteneva tre immagini nelle quali mancavano rispettivamente il rosso, il verde e il blu, perché assorbiti dal filtro. Ovviamente di trattava di lastre negative in bianco/nero che però erano caratterizzate dall’assenza del contributo di quel colore. Ovvero, nella prima, al posto del rosso risultava bianco e così era nelle altre per il verde e il blu.
A questo punto proiettava le lastre su un muro bianco, sovrapponendole con 3 proiettori davanti ai quali applicava gli stessi filtri, rosso, verde e blu, ricreando, così, l’immagine a colori.

In questo modo otteneva delle splendide immagini, come quella a lato (cliccatela) che oggi sono state ricreate digitalmente a partire dalle sue lastre e sono conservate presso la Library of Congress e visibili su internet.

Night Visions

Troy Paiva è un fotografo ed esploratore urbano, che gira per gli USA e non solo, immortalando rovine e luoghi desolati con la sua tecnica preferita: foto notturne prese in luce naturale con pose molto lunghe (fino a 6 minuti) e a volte dei piccoli flash spesso colorati a illuminare alcuni particolari.

Ora ha raccolto i suoi scatti in un libro, Night Visions, di cui potete ammirare qui una selezione. Eccone alcuni esempi (clicca per ingrandire).

L’effetto è incredibile. I cieli sono splendidi e a volte le tracce lasciate dalle stelle rivelano le lunghe pose, mentre gli oggetti, differenziati dalla luce dei flash, sembrano entità aliene.

 

 

Un’altra!?

L’ondata dei “cult artist”, cioè coloro che riproducono oggetti o persone famosi, spesso utilizzando lo schema di opere altrettanto famose, non accenna a placarsi.

Ecco un’altra Ultima Cena, questa volta opera di Eric Deshamps con i personaggi di Star Wars. Cliccate sulla figura in alto per ingrandirl

Ma la cosa più incredibile è che, vista l’opera, il suo compagno di stanza, Avinash Arora, ne ha fatto un mosaico composto da uno miriade di piccole immagini. Sul sito dell’autore potrete ammirarne i dettagli.

UPDATE
Ma questo è niente! Vedrete domani!!

City Lights

I’ve started CityLights nearly two years ago [2005, nota mia]. It mostly deals with random night shots that are meant to be worked on the computer in order to reenact its original meaning/shape. CityLights has been gradually evolving from a basic folder into the latest set (which comprises more than 600 High Resolution Digital Photos). The traces of Light and its colours make the central composition of the whole work. As in the music of Brian Eno (Ambient Music) CityLights also aims to create new Landscapes to be interacted by everyone’s impressions.
[Joao Santos]

The Human Clock

Questa è decisamente notevole. Una grande idea di Craig Giffen. Sono rimasto colpito a guardare la pagina per un bel po’ (sì, sono affascinato dagli orologi almeno quanto gli antichi cinesi, anche se li odio (gli orologi, non i cinesi), così come odio il tempo che passa).

The Human Clock è un orologio fatto di immagini, migliaia di immagini da tutto il mondo, ognuna delle quali ha dentro di sé un orario (ora:minuti).

Poi un software provvede a selezionare una delle foto che mostrano l’ora locale a chi si collega. C’è anche un pannello di controllo che permette di specificare la propria time zone e di scegliere fra la versione digitale e quella analogica. Semplice ed efficace.
The Human Clock esiste dal 2001, per cui forse qualcuno di voi lo conosceva già, ma internet è grande. Ora Craig Giffen è imprgnato nella realizzazione dello Human Calendar.
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Here is The Human Clock by Craig Giffen.

It’s a clock made by pictures, a thousand shots from many countries, each showing the time in the format hour:minute. Then a software selects a picture showing the local time.

100 Immagini

Anna FrankDigital Journalist, un sito affiliato all’Università del Texas, ha pubblicato le 100 foto che hanno cambiato il mondo, tratte da LIFE Magazine (il link di entrata è in fondo alla pagina introduttiva).

Al di là della retorica nel titolo, la mostra, perché di mostra si tratta, è bellissima, emozionante e a tratti scioccante. Sono quasi tutte immagini storicamente significative e fanno pensare.
Questa è la prima: la ragazzina un po’ malinconica, qui a destra, è Anna Frank.
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Digital Journalist, a web site affiliated with the University of Texas, has posted 100 world-changing photographs by the iconic LIFE magazine. You can read the introduction to the collection here, or start with the first powerful image and then advance through a sampling of the other impact-filled images that topped their list.

from Open Culture

Nuvole

Nel suo libro sui sistemi caotici (Caos, la nascita di una nuova scienza – 1987, Rizzoli), James Gleick spiega che la forma delle nuvole è considerata dagli scienziati un problema profondo perché è un fenomeno caotico, imprevedibile nei particolari, ma governato da regole coerenti, ricorrenti e prevedibili nel loro insieme.
A quanto pare, se ne occupò anche Goethe e non dal punto di vista poetico, ma da quello scientifico: La forma delle nuvole e altri saggi di meteorologia – J. Wolfgang Goethe, Archinto, 2000.
Non ci si stupisce, quindi, che siano nati anche dei gruppi di appassionati osservatori delle medesime, in grado di mostrarci incredibili immagini come questa, immortalata presso Anstruther Harbour, Fife, Scotland.
Trovate l’originale, più grande, sul sito della Cloud Appreciation Society.

nuvola

Weird Fields

weird fields

The whorls and swirls of color may look like something by art nouveau painter Gustav Klimt, but the winning images from MIT’s annual 8.02 “Weird Fields” contest are really computer-generated visualizations of vector fields.
To help students understand electromagnetic force fields, Professor of Physics John Belcher and colleagues at the MIT Center for Educational Computer Initiatives developed a computer applet into which students put the mathematical expressions that describe a given field. “It then pops out a visual representation of what the field looks like,” he said.
And the most striking image wins.
See this page for othr images.

L’immagine che vedete è di Dan Yuan ed è stata creata immettendo particolari equazioni in un programma nato per visualizzare i campi elettromagnetici.
Al MIT, infatti, esiste il concorso “Weird Fields” che premia la più bella immagine ricavabile da equazioni di campo. Vi partecipano gli studenti del corso di elettricità e magnetismo ed è un bel modo per aggiungere un aspetto divertente a un corso non facile.
Chi non ha pensato a Klimt alzi la mano.
Questo post è stato sollecitato da una interessante discussione a che si sta sviluppando su Tertium Auris.
Qui trovate altre immagini di questo tipo.

Immagini con il fumo

smoke
Graham Jefferey of Sensitive Light takes miraculous photographs of smoke.
Jeffery says

“In my opinion, the key technical factor is to adequately light the smoke so that it stands out from the background.”
“I am not trying to create pictures of smoke; I am trying to create pictures by using smoke”.

Smoke gallery is here. (scroll down)

Graham Jefferey of Sensitive Light ha messo a punto un sistema per prendere queste bellissime immagini del fumo.
Secondo Graham, il trucco sta nell’illuminarlo adeguatamente e fa anche notare che il suo fine non è fotografare il fumo, ma creare belle immagini per mezzo del fumo.
Altre immagini qui.. (scroll down)

From Boing Boing

Fiddle Farmers

Octobasse
È molto bella questa pagina di Lois Siegel, fotografa, piena di immagini di strumenti ad arco e di quelli che li suonano in epoche e situazioni fra le più diverse.
L’oggetto di ammirazione della bambina è l’octobasso, costruito nel 1849 da Jean Baptiste Vuillaume.
Alto circa 4 metri, aveva 3 corde accordate all’ottava sotto al contrabbasso. La corda più bassa è un Do, non un Mi, e vibra alla temibile frequenza di 16.35 Hz. Si tratta del Do sotto al La basso dei pianoforte (che qualche piano ha).

Mi sembra doveroso aggiungere che la foto è di Marc Chaumeil