Suoni misteriosi dalla stratosfera

Una serie di suoni non ancora spiegati sono stati registrati da un veicolo NASA HASP. High Altitude Student Platform: è un veicolo di supporto che viene attaccato a un pallone sonda che lo solleva fino a 36 km per 20 ore. Il veicolo è destinato a ospitare esperimenti progettati dagli studenti.

È stato un microfono a bassa frequenza a registrare questi strani e per niente affascinanti (checché ne dicano i giornali) suoni nella banda fra 0.01 e 25 Hz. Frequenze bassine 🙂 Per renderli udibili si è reso necessario accelerarli di 1000 volte. Un bel salto di circa 10 ottave per cui, ascoltandoli, non cercate di immaginare che cosa potrebbero essere perché l’originale è molto, ma molto diverso.

In pratica sono semplici vibrazioni che potrebbero anche essere state provocate dal cavo che collega l’HASP al pallone aerostatico, per cui niente panico; non è il caso di parlare di alieni. L’unica cosa che ha una qualche connessione con gli alieni è il fatto che lo studente dell’Università del North Carolina che ha progettato l’esperimento si chiama Bowman (ricordare 2001 Odissea nello Spazio).

Le spiegazioni finora ipotizzate sono legate ai venti e alle variazioni della pressione atmosferica (nella stratosfera c’è aria: è solo il secondo strato dell’atmosfera).

Nel frattempo la notizia è stata raccolta da tutti i principali giornali che l’hanno condita con la potente parola magica “X-Files” e Repubblica è riuscita, come sempre, a infilarci lo strafalcione traducendo “infrasound microphone” con “microfono a infrarossi”; un peccato veniale rispetto a quelli che fa di solito.

Eccovi la registrazione.

Fonte/Source: Live Science

NASA Sounds

nasaLa NASA ha aperto un proprio canale su SoundCloud e la cosa interessante è che i suoni ivi contenuti possono essere utilizzati senza vincoli a scopo educativo o informativo, ma anche a scopo commerciale, a patto che l’ente spaziale non sia coinvolto in nessun modo (ovvero, non puoi, per esempio, farti pubblicità dicendo che il tuo pezzo è fatto con suoni NASA; if the NASA material is to be used for commercial purposes, especially including advertisements, it must not explicitly or implicitly convey NASA’s endorsement of commercial goods or services; vedi qui).

Il contenuto è vario. Si va dagli annunci storici (“Houston, we’ve had a problem” o “The Eagle has landed“) fino a suoni di razzi, beep dei satelliti, emissioni radio registrate nei dintorni dei pianeti e convertite in audio.

Quello che segue è solo un estratto. Buon ascolto.

2001: A Space Odyssey

2001 Odissea nello Spazio, di Stanley Kubrick e Arthur Clarke, ritornerà nei cinema in edizione restaurata. L’uscita in Gran Bretagna è prevista per il 28 Novembre.

È una bella notizia soprattutto per quelli che non hanno potuto vederlo al cinema (il film è del 1968), ma anche per gli amanti del genere. Io, per esempio, credo proprio che andrò a vederlo quando uscirà in Italia (almeno, spero che esca anche qui).

Non ricordo se l’edizione originale qui da noi uscì proprio del 1968 o l’anno dopo. Ricordo solo che ero al liceo, ma ricordo molto bene l’effetto che mi fece. Avevo 14 o 15 anni e alla fine del film rimasi nel cinema per vederlo una seconda volta spostandomi in prima fila, nelle poltrone più vicine allo schermo (e da allora ho sempre avuto la mania di vedere certi film da sotto lo schermo).

Per pubblicizzare l’evento, il British Film Institute (BFI) ha messo in circolazione un nuovo trailer che potete vedere qui sotto e un sito.

Il trailer è notevole. Alcune di queste scene sono entrate a buon diritto nella storia del cinema. Non mi viene in mente un altro film di fantascienza così profondo, bello da vedere e da sentire (grande colonna sonora, da Strauss a Ligeti (anche se quest’ultimo è un po’ manipolato)). E pensate che all’epoca non avevano la computer graphic attuale.

Oltretutto credo sia uno dei pochi film del genere a rispettare la realtà fisica. Non si devono sentire le esplosioni nello spazio o nel vuoto, maledizione!

Il canto della cometa

Ok. Dimenticate il titolo aulico. Quello di cui parliamo è un fenomeno scientifico che comunque ha anche dei risvolti audio e ci offre  l’occasione di parlare di una delle più affascinanti missioni spaziali degli ultimi anni.

Rosetta è una missione spaziale sviluppata dall’Agenzia Spaziale Europea e lanciata nel 2004. L’obiettivo ultimo della missione è lo studio della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, una cometa periodica che ritorna ogni 6.45 anni terrestri.

La missione è formata da due elementi: la sonda vera e propria Rosetta e il lander Philae. Quest’ultimo è destinato a staccarsi dalla sonda e atterrare sul nucleo della cometa, di cui la sonda ha già inviato splendide foto. Il distacco è avvenuto proprio oggi 12/11 e il lander sta scendendo verso il nucleo (incrociamo le dita).

La parte audio della faccenda è questa. Ovviamente la sonda trasporta molti strumenti per studiare da vicino la cometa. Cinque di questi costituiscono il cosiddetto Rosetta’s Plasma Consortium (RPC) e servono a studiare l’ambiente di plasma che circonda la cometa (il plasma è uno stato della materia che appare come un gas elettricamente conduttivo che circonda i campi magnetici e le correnti elettriche).

Già in Agosto, l’RPC ha scoperto che il campo magnetico della cometa ha una oscillazione con frequenza intorno ai 40-50 millihertz. Ora, qualsiasi oscillazione più o meno periodica può essere trasformata in suono. In questo caso il problema è che la frequenza è troppo bassa per essere udibile. Le frequenze più basse che siamo in grado di percepire stanno intorno a 20 Hz, mentre qui abbiamo a che fare con 0.05 Hz.

Il problema si può risolvere trasponendo (ovvero accelerando) il tutto di circa 10000 volte. Così 0.05 Hz diventano 500 Hz che sono perfettamente ascoltabili e il suono che ne esce è questo:

Ecco un’immagine del nucleo della cometa (il piccolo 747 che vedete al centro non è alieno; è lì per confronto; clicca per ingrandire)

nucleo cometaUna nota finale. Prima di delirare con toni mistici intorno al canto della cometa, rendetevi conto che qualsiasi fenomeno periodico può essere convertito in suono. Per esempio, la rotazione terrestre è periodica. Il giorno solare medio dura circa 24 ore, cioè 86400 secondi. Di conseguenza. dato che la frequenza è l’inverso del periodo, esso ha una frequenza di 0.000011574 Hz, troppo bassa per sentirla, ma basta trasporla di 24 ottave per avere circa 194.18 Hz, che corrispondono a una nota perfettamente udibile: un Sol appena calante (con La = 440 Hz).

Il Kosmofono

Musica pilotata dai raggi cosmici. Non è una rarità. Ogni tanto qualcuno fa esperimenti del genere. Effettivamente, da quando note e frequenze possono essere espresse numericamente e inviate agli algoritmi di sintesi, la cosa non è così complessa: bisogna solo scegliere come riscalare i dati di partenza.

Da alcuni anni questi procedimenti hanno anche assunto una valenza scientifica con il nome di sonification. La trasformazione di dati di qualsiasi tipo in audio, infatti, consente di individuare più facilmente schemi ripetuti, differenze e altre caratteristiche del fenomeno su cui si indaga.

Ovviamente, dal punto di vista compositivo la faccenda assume tutto un altro aspetto. Il fenomeno fisico che origina i dati non si preoccupa minimamente di assumere un andamento che per noi possa essere sensato o significativo. Anzi, di solito il risultato è ripetitivo, noioso e monotono (spesso anche monotòno, nel senso matematico che indica movimento sempre verso la stessa direzione, per es. una curva logaritmica che sale o scende sempre approssimando un limite).

Il Kosmophono di cui parliamo è abbastanza “anziano”, essendo in attività almeno dal 2005 (sito). Si tratta di uno spettrometro a raggi gamma che opera nel range di 3-7 MeV, il cui output viene inviato al MIDI IN di un sintetizzatore.

Una breve spiegazione. La maggior parte dei raggi gamma è prodotta da fenomeni extra-solari (nello spazio lontano) di grande potenza. Le onde prodotte da tali fenomeni non sono audio (altrimenti non arriverebbero fin qui), ma fanno parte dello spettro elettromagnetico (come le onde radio e la luce che vediamo). Inoltre ne occupano la parte più bassa in termini di lunghezza d’onda (< 0.006 nanometri = 6 millesimi di milionesimo di millimetro), che equivale alle frequenze più alte, circa 5×1019 Hz e sono anche molto dannose per noi.

Fortunatamente, non arrivano fino al suolo ma si infrangono sugli strati alti dell’atmosfera e sono queste collisioni che lo spettrometro rileva. Ognuno di questi eventi produce una emissione di energia che viene misurata e convertita da un ADC a 12 bit di cui i 7 più alti vengono utilizzati come pitch MIDI e i 4 seguenti come velocity (l’ultimo bit si butta via).

Il player è un sintetizzatore MIDI, di solito un Roland JX-305 o un Alesis QSR.

Ora si può ascoltare una singola sequenza inviata al Roland. Essendo una sequenza singola è monofonica e piuttosto noiosa, però serve per capire il range e la densità degli eventi. È un MP3.

Percettivamente, le cose cambiano quando si sovrappongono due sequenze. La sovrapposizione non è in tempo reale. Semplicemente vengono mandate alla porta MIDI due sequenze salvate in tempi diversi (una è la sequenza precedente). Ne consegue che le due sequenze sono del tutto scorrelate, però è interessante notare che il nostro sistema percettivo (almeno quello di chi è abituato ad ascoltare un certo tipo di musica contemporanea) tende a fabbricare delle correlazioni. In effetti, complice anche il fatto che qui si utilizzano due timbri diversi, questo frammento è più interessante del precedente.

Un’altra sovrapposizione di varie sequenze a cui sono assegnati diversi timbri, ma tutti riconducibili a suono “biologici” (uccelli, insetti, miagolii, etc). Il risultato è decisamente piacevole perché tutti i suoni ricadono in una ben determinata tipologia e il nostro cervello ha gioco facile nel costruire delle connessioni e interpretare il tutto come un paesaggio sonoro abbastanza coerente.

Nel sito del Kosmofono potete ascoltare vari altri esempi.

Kosmophone

Space Oddity nello spazio (davvero)

Space Oddity è del 1969. Chissà se Bowie, all’epoca, avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata cantata nello spazio, davvero (forse sì, visto che eravamo in piena era spaziale).

Questo video è stato registrato sulla stazione spaziale internazionale (ISS) dall’astronauta canadese Chris Hadfield, che se la cava anche non male come cantante, e in un solo anno ha avuto circa 23 milioni di visualizzazioni. Poi, però, è sparito per le solite e in questo caso, a mio avviso, molto stupide questioni di copyright: l’editore, titolare dei diritti sulla canzone, ne aveva concesso l’uso per un anno e Hadfield, fedele al contratto, l’aveva rimosso.

Tuttavia, visto il successo, Bowie e il suo editore si sono affrettati a prolungare la concessione per altri due anni e il video è tornato visibile.

Alcune considerazioni su questa faccenda del copyright:

  1. Ma che testa hanno gli editori? Lo dico proprio dal punto di vista squisitamente commerciale. Chi può pensare che un video come questo possa far perdere dei soldi ai titolari dei diritti (ovvero che questo video possa far calare le vendite dell’originale)? Casomai una canzone dedicata all’esplorazione spaziale eseguita sulla ISS è una pubblicità incredibile e del tutto gratuita!
  2. Sotto l’aspetto giuridico la cosa è dubbia. La ISS è una stazione internazionale. Una fettina di territorio di 15 paesi in cui sono in vigore leggi sul copyright completamente diverse, basti pensare alla Russia, dove il diritto d’autore praticamente non esiste. Inoltre la ISS fluttua costantemente su tutto l’orbe terracqueo. Quale giurisdizione deve essere applicata? (gli interessati possono leggere una dissertazione sull’argomento pubblicata sull’Economist).
  3. Ma gli avvocati non erano stati tutti sterminati durante il Grande Risveglio del 2023? [tratto da una parodia di Star Trek]

Ok. Ecco il video.

Il panorama di Marte

Guardatevi questo bellissimo panorama a 360° di Marte. È interattivo, permette di guardare in qualsiasi direzione regolando l’ingrandimento.

Vi consiglio di andare a schermo intero. Starsene sul divano e guardare i particolari di un altro pianeta ruotando la camera come se si fosse laggiù è incredibile. Non ho parole. Gran lavoro!

Stardust

Stardust from PostPanic on Vimeo.

PostPanic director Mischa Rozema’s new short film, Stardust, is a story about Voyager 1 (the unmanned spacecraft launched in 1977 to explore the outer solar system). The probe is the furthest man-made object from the sun and witnesses unimaginable beauty and destruction. The film was triggered by the death of Dutch graphic designer Arjan Groot, who died aged 39 on 16th July 2011 from cancer.

The entire team at PostPanic (the Amsterdam-based creative company) pushed themselves in their own creative post techniques to produce a primarily CG short film crafted with love.

The film’s story centers on the idea that in the grand scheme of the universe, nothing is ever wasted and it finds comfort in us all essentially being Stardust ourselves. Voyager represents the memories of our loved ones and lives that will never disappear.

From a creative standpoint, Rozema wanted to explore our preconceived perceptions of how the universe appears which are fed to us by existing imagery from sources such NASA or even sci-fi films. By creating a generated universe, Rozema was able to take his own ‘camera’ to other angles and places within the cosmos.
Objects and experiences we are visually familiar with are looked at from a different point of view. For example, standing on the surface of the sun looking upwards or witnessing the death and birth of a star  – not at all scientifically correct but instead a purely artistic interpretation of such events.

Rozema says, ‘I wanted to show the universe as a beautiful but also destructive place. It’s somewhere we all have to find our place within. As a director, making Stardust was a very personal experience but it’s not intended to be a personal film and I would want people to attach their own meanings to the film so that they can also find comfort based on their own histories and lives.’

Rozema turned to his regular audio partner, Guy Amitai, to create the music for the film.

I approached Guy to make the music because I trust him and knew he would instinctively understand what I wanted to communicate with this film.’  Their long-term collaboration over the years helped them explore different musical approaches before finally settling on a musical journey featuring analogue instruments. Amitai explains, Once we started working on this project and I told people about Stardust and what Arjan meant to us all, the offers started pouring in. Musician friends and friends-of-friends all wanting to join in and record even the smallest parts. It was an incredibly emotional and personal journey for us all – not something you can professionally detach yourself from.

Credits:

A PostPanic Production
Written & directed by Mischa Rozema
Produced by Jules Tervoort
VFX Supervisor: Ivor Goldberg
Associate VFX Supervisor: Chris Staves
Senior digital artists: Matthijs Joor, Jeroen Aerts
Digital artists: Marti Pujol, Silke Finger, Mariusz Kolodziejczak, Dieuwer Feldbrugge, Cara To, Jurriën Boogert
Camera & edit: Mischa Rozema
Production: Ania Markham, Annejes van Liempd
Audio by Pivot Audio , Guy Amitai
Featuring “Helio” by Ruben Samama
copyright 2013 Post Panic BV, All rights reserved

L’arte della Terra

Richat StructureTrovo che le foto aree abbiano una loro particolare bellezza. In immagini come questa il suolo diventa pura forma e colore, quasi un’opera astratta i cui tratti non sono mai banali o ripetitivi, ma sempre diversi pur restando simili.

Quella che vedete è la Struttura di Richat, conosciuta anche come Occhio del Sahara o Guelb er Richat. Si trova in Mauritania, in una parte di deserto sahariano altrimenti vuota. Ha un diametro di più di 40 km e si ritiete sia un formazione geologica risalente al paleozoico (click per ingrandire).

Per la fine del 2012 la NASA ci regala The Earth as Art, un libro con 75 immagini riprese da satellite liberamente distribuito e scaricabile qui in pdf.

Per l’iPad, inoltre, è disponibile questa App gratuita con lo stesso contenuto.

Per gli amanti del genere segnalo anche il sito The Gateway to Astronaut Photography che, semplicemente “hosts the best and most complete online collection of astronaut photographs of the Earth”.