Miri Kat’s debut EP brings ephemeral collages, in turns frenetic and and lyrical, in a unique brand of glitchy grindcore for a post-Internet age. Miri’s hyperactive textures are rooted in original engineering, live-coded from found sounds with open source tools, derived from open ecosystems in both sounds and software. For Establishment, she is producing an original audiovisual edition, pairing her live visual talents with the compositional ones.
The London-based artist self-described as “oriental” in origin has fast become a mainstay of the underground livecoding scene. Her day job is as an engineer of electronic musical instruments, with expertise in music tech, web technologies, hacking, creative coding, algorithmic music, immersive multimedia, and generative visuals.
Costruire spazi virtuali intorno ai danzatori è particolarmente di moda ultimamente (oltre che di sicuro effetto). Ecco un altro esempio da parte della compagnia Adrien M / Claire B (gli stessi di Pixel: Adrien Mondot, artista multidisciplinare, programmatore; Claire Bardainne, artista, scenografa e designer).
Hakanaï è una performance coreografica per una ballerina in un volume di immagini in movimento. Nella lingua giapponese, Hakanaï definisce ciò che è non permanente, fragile, effimero, transitorio, tra sogno e realtà. Una parola antica che evoca un materiale sfuggente associato con la condizione umana e la sua incertezza, ma anche associata con la natura. Si scrive combinando due ideogrammi, quello che significa l’uomo e quello che designa il sogno. Un legame simbolico che è il punto di partenza di questa partitura per una ballerina che incontra delle immagini, dando vita a uno spazio ai margini dell’immaginario e del reale. Le immagini sono animate in diretta, secondo schemi fisici di movimento, al ritmo di una creazione sonora anch’essa eseguita dal vivo. Dopo l’esecuzione, rimane una installazione aperta agli spettatori.
In Japanese, the word ‘hakanaï’ is used to define the ephemeral, the fragile. The French group, Company Adrien M/Claire B invites the public to join them in the illusory world of dreams. The audience is invited to peer into a cloth cube where a visual haiku of a dancer and thousands of dancing images is unfolding. Hakanaï is an impressive convergence of dance and visual art, of bodies and moving graphics, of reality and dreams.
Since 2004, Company Adrien M/Claire B has been connecting digital culture with the performing arts. The collective develops performances and exhibitions that combine the real with the virtual. By focussing on man and body within a technological framework, they create timeless, poetic works.
Un altra performance in cui la grafica computerizzata crea un ambiente virtuale con cui i danzatori interagiscono. Come spesso accade in questi casi, imho la musica lascia un po’ a desiderare, ma la parte grafica e l’interazione sono ben studiate, con alcune belle idee.
“Pixel”
Dance show – created in 2014
Pixel is a dance show for 11 dancers in a virtual and living visual environement. A work on illusion combining energy and poetry, fiction and technical achievement, hip hop and circus. A show at the crossroads of arts and at the crossroads of Adrien M / Claire B’s and Mourad Merzouki’s universes.
Artistic Direction and Choreography: Mourad Merzouki
Composed by Mourad Merzouki & Adrien M / Claire B
Digital Design: Adrien Mondot & Claire Bardainne
Music: Armand Amar
Produced by CCN de Créteil et du Val-de-Marne / Compagnie Käfig
This video is a cut of extracts from the actual show shot during the last day of creation on November the 14th 2014. Shooting and editing : Adrien M / Claire B.
Premiered at Maison des Arts de Créteil on November the 15th 2014. Duration of the show : 1h10.
The Adrien M / Claire B Company has been acting in the fields of the digital arts and performing arts since 2004. They create many forms of art, from stage performances to exhibitions combining real and virtual worlds with IT tools that were developed and customised specifically for them. They place the human body at the heart of technological and artistic challenges and adapt today’s technological tools to create a timeless poetry through a visual language based on playing and enjoyment, which breeds imagination. The projects are carried out by Adrien Mondot and Claire Bardainne. The company operates as a research and creativity workshop based out of Presqu’île in Lyon.
Un video ispirato a Solaris (suppongo l’ultima versione, visto che ne ha ereditato la musica di Cliff Martinez) realizzato da Odaibe durante lo studio di Touch Designer.
IMHO, la parte musicale è un po’ povera e soprattutto non ha alcun collegamento strutturale con l’immagine, ma quella video, composta da migliaia di particles che si organizzano secondo diversi campi di forza è affascinante.
Peraltro, video come questo segnano punti a favore del tempo differito rispetto al tempo reale.
Generative Gestaltung è un simpatico sito di codice Processing che offre accesso diretto al codice di tutti gli esempi. In realtà gli esempi sono parte di un libro (Generative Design) acquistabile sul sito, comunque, anche da soli, possono dare spunti interessanti.
Questo post è la revisione di uno del 2006. Mi sembra che, essendo Myers non molto noto, sia il caso di parlarne ancora.
David Lee Myers è un compositore che si trova nella scomoda situazione di essere sconosciuto al grande pubblico perché non fa “pop” e sconosciuto agli accademici perché i suoi lavori non si inseriscono nella tradizione “colta”. Però è conosciuto dagli sperimentatori a oltranza, da quelli che non si accontentano di ri-elaborare delle idee maturate nell’ambito di una corrente, quelli un po’ scontenti e un po’ solitari che regolarmente disfano quello che hanno appena fatto per il gusto di ricominciare da capo.
Nel 1988 affermava che
True electronic music does not imitate the classical orchestra or lend well worn melodies the cloak of unexpected timbres – it exists to evoke the hitherto unknown. And it comes from circuits and wires, though I do not believe that electronic sound is “unnatural”, as some people might.
La vera musica elettronica non imita l’orchestra classica e non presta un mantello di timbri inattesi a melodie ben formate – essa esiste per evocare ciò che fino ad ora è sconosciuto. E nasce da circuiti e cavi, ciò nonostante io non credo che il suono elettronico sia così “innaturale” come qualcuno pensa.
Proprio queste considerazioni hanno condotto D. L. Myers alla pratica di una musica estrema, quasi totalmente priva di input: niente partitura, nessuna tastiera, nessun suono da elaborare, nessun sistema di sintesi propriamente detto. Una musica in cui sia i suoni che le strutture non nascono dalla pressione di un tasto o dal fatto che qualcuno mette giù un accordo, ma dall’interazione spontanea di una serie di circuiti collegati fra loro in retroazione che l’essere umano si limita a controllare.
Al massimo l’input viene utilizzato solo come sorgente di eccitazione per il circuito di feedback.
Quello che Myers faceva, già nel 1987 con apparecchiature analogiche, era feedback music.
Il feedback positivo in una catena elettroacustica è stato sperimentato, con fastidio, da chiunque abbia usato un microfono e lo abbia inavvertitamente puntato verso gli altoparlanti. In breve si produce un fischio lancinante, mentre i tecnici si lanciano verso il mixer per abbassare il volume.
Questo problema, più conosciuto come Effetto Larsen, si verifica perché il microfono capta dei suoni che vengono amplificati e inviati all’altoparlante. Se gli stessi suoni, in uscita dall’altoparlante, vengono nuovamente captati dal microfono, amplificati e ri-inviati all’altoparlante, si crea una retroazione positiva tale per cui entrano in un circolo chiuso in cui vengono continuamente amplificati fino ad innescare un segnale continuo a forte volume.
Come si può immaginare, il feedback è un po’ il terrore di tutti i tecnici del suono, ma in determinate circostanze può essere controllato e se può essere controllato, può anche diventare uno stimolo per uno sperimentatore.
Bisogna puntualizzare che non si tratta di una idea di Myers. Ai tempi della musica elettronica analogica questo effetto è stato utilizzato in parecchi contesti. Anch’io ne ho fatto uso in una installazione del 1981 (si chiamava “Feedback Driver”, appunto), ma credo che negli anni ’80 l’abbiano provato un po’ tutti, con alterni risultati. I miei primi ricordi relativi a questa tecnica risalgono al lavoro di Tod Dockstader, un ricercatore e musicista americano relativamente poco noto, anche se alcune sue musiche sono finite nel Satyricon di Fellini.
Quello che distingue Myers dagli altri, però, è l’averne fatto una vera e propria poetica. Lui non sfrutta il feedback per elaborare qualcosa, non parte da algoritmi di sintesi, ma collega in retroazione una serie di dispositivi (principalmente mixer e multi-effetti) e variando i volumi sul mixer (che a questo punto diventa la sua “tastiera”) e cambiando tipo e profondità degli effetti ne trae una serie di sonorità suggestive, sempre in bilico fra il fascino di una musica che si muove in modo quasi biologico e il totale disastro delle macchine fuori controllo.
Senza dubbio, Myers è un virtuoso, ma, a differenza del virtuoso tradizionalmente inteso, lui non domina il proprio strumento. Piuttosto lo asseconda, cercando di spingerlo in una direzione. Qui la composizione consiste nel definire una rete di collegamenti fra i dispositivi e la tecnica si fa estetica.
Inoltre, come si vede in questo breve video, Myers si fa anche artista visuale elaborando una serie di tracce create dalla sua stessa musica.
Un altro video da Possible Metrics (Renaud Hallee) di cui abbiamo già pubblicato Sonar.
Come nel precedente, immagine e suono sono strettamente collegati (si fa prima a vederlo che a descriverlo). Anche qui, comunque, la struttura dell’insieme è piuttosto elementare, basata sulla corrispondenza diretta fra evento acustico e visivo. In questo caso, però, la semplicità è un pregio perché rende il tutto immediatamente percepibile senza bisogno di cercarci dentro chissà quali analogie strutturali. Di conseguenza il video è godibile, anche se al sottoscritto un maggiore tasso di sperimentazione non dispiacerebbe.
Sto esplorando alcune produzioni di Julien Bayle (aka Protofuse). Abbastanza giovane (b. 1976, Marsiglia). Studi di biologia, informatica, forse musica. In quest’ultima spazia dalla techno all’ambient. In effetti ha iniziato come DJ Techno per passare, poi, ad Ableton, Max for Live e Max6 [notizie da wikipedia]. Si occupa anche di installazioni audio-visuali via Max + Jitter.
Musica di Julien Bayle si può ascoltare qui. Ecco un brano: void propagate #2
Ed ecco una immagine tratta da una installazione recente: Disrupt!on (2014) realizzata con Max6, OSC, OpenGL, Network connection.
Dato che, come autore, spazia fra vari generi, alcune cose possono piacere, altre no, ma il suo è sicuramente un sito da visitare.
PS: mi sto anche chiedendo se non abbia qualcosa a che fare con François Bayle…
Box explores the synthesis of real and digital space through projection-mapping on moving surfaces. The short film documents a live performance, captured entirely in camera.
Bot & Dolly produced this work to serve as both an artistic statement and technical demonstration. It is the culmination of multiple technologies, including large scale robotics, projection mapping, and software engineering. We believe this methodology has tremendous potential to radically transform theatrical presentations, and define new genres of expression.