Curiosando qui e là ho trovato questo. Un po’ Genesis (nella seconda parte), ma adatto al momento.
Archivi categoria: Pop
Il tempo passa per tutti, maledizione
Quasi mi sfuggiva che oggi è anche il compleanno di Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan (Duluth, 24 maggio 1941).
Eccolo nel 1964, a 23 anni, al Newport Folk Festival e recentemente al David Letterman show con un brano tratto dall’ultimo album dove interpreta canzoni di Frank Sinatra.
Typedrummer
Un’altra drum machine online basata sui caratteri alfanumerici.
Questa è più carina del solito. Viene bene perfino “devi morire“.
Le maiuscole e le minuscole sono uguali; lo spazio introduce una pausa. Non si può cambiare il metronomo né scaricare un file (dovete registrare il loop).
Badate ad utilizzare un numero di caratteri multiplo di 4 se volete il vostro fanatico 4/4.
Post-human performance (was Aidoru)
Quando ho scritto questo post, nel 2010 con il titolo di Aidoru (Idol nella translitterazione inglese → giapponese), pensavo che Hatsune Miko sarebbe durata solo qualche anno, sostituita da qualche altro idolo in ologramma, invece è ancora lì, alive & kicking, e soprattutto per niente invecchiata 😛
Qui lo ripropongo e aggiungo qualche considerazione.
Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.
La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.
Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).
Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.
Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.
Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.
Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.
Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. L’idea nacque dalla constatazione che il contatto fra i fans e le star era sempre mediato da qualcosa (internet, TV, film, stampa). Non si incontra una star della musica o del cinema per caso in un centro commerciale o al ristorante. E in realtà lo star system non vende una persona, bensì una immagine totalmente idealizzata. La maggior parte dei fans non ha mai visto il proprio idolo in carne ed ossa, ma solo attraverso i media. Una parte riesce a vederlo, da lontano, in qualche concerto o mentre entra in un hotel ed è tutto. Una sparuta minoranza riesce a toccarlo facendosi fare un autografo dopo un lungo appostamento davanti alla sua casa, ma è una quantità trascurabile.
Quello che lo star system giapponese ha capito è che, se le cose stanno così, non è necessario che la star sia una persona vera. Può essere benissimo un personaggio virtuale. Per i fans non cambia proprio niente. E, si noti, alla base di questa idea non ci sono considerazioni economiche. Se è vero che le star virtuali non devono essere pagate, è anche vero che, al loro posto, bisogna pagare dei team di design e animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi. Non ha comportamenti censurabili, a meno che non lo si voglia. Non è mai di pessimo umore, non si monta la testa, può lavorare sempre ed essere in TV anche la mattina dopo un concerto, fresco come una rosa.
Considerate, infine, che le star virtuali che sono state create non sono certo attori di teatro avvezzi a confrontarsi con le tragedie shakespeariane e nemmeno musicisti classici, ma, tipicamente, si tratta di cantanti con target adolescenziale. Hanno, al massimo, la profondità concettuale di un Justin Bieber.
Qui vediamo Hatsune Miku insieme a Megurine Luka (ルカ 巡音). Il cognome di quest’ultima combina la parola “Meguri” (巡, “intorno”) e “Ne” (音, “suono”), mentre il nome Luka evoca le omofone parole giapponesi “nagare” (流, “flusso”) e “ka” (歌, “canzone”) o “ka” (香, “profumo”. Il risultato dell’unione di queste parole può quindi essere “flusso di canzoni che si diffondono come profumo”) [da wikipedia con correzioni mie].
Megurine Luka è un passo avanti rispetto a Hatsune Miku. Infatti altro non è che l’incarnazione del terzo applicativo di Vocaloid, lanciato nel 2009 insieme al personaggio che lo rappresenta.
Questa tendenza giapponese ad “incarnare” i software fin dal momento del lancio è unica nel panorama mondiale. In occidente, infatti, l’eventuale incarnazione arriva dopo, quando il software, tipicamente un gioco, ha già raggiunto un successo planetario e allora il personaggio diventa vero, impersonato da un attore/attrice, non virtuale (il caso più emblematico è proprio quello di Lara Croft).
Mappa dei generi
Forse finalmente capirò qualcosa di tutti quei maledetti nomi di generi musicali che mi sembrano venuti fuori dalla mente depravata di qualche kritiko allucinato in preda a frenesia classificatoria.
Andando su questa enorme pagina (Every Noise at Once) e cliccando un nome, parte un esempio audio. Tutto questo è possibile grazie alle API di Echo Nest che forniscono ogni sorta di informazioni su generi, artisti rappresentativi, generi simili e collegamenti a risorse sul web.
Le istruzioni a fine pagina permettono di passare ad altre mappe, per data, luogo, artista e altro.
Space Oddity nello spazio (davvero)
Space Oddity è del 1969. Chissà se Bowie, all’epoca, avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata cantata nello spazio, davvero (forse sì, visto che eravamo in piena era spaziale).
Questo video è stato registrato sulla stazione spaziale internazionale (ISS) dall’astronauta canadese Chris Hadfield, che se la cava anche non male come cantante, e in un solo anno ha avuto circa 23 milioni di visualizzazioni. Poi, però, è sparito per le solite e in questo caso, a mio avviso, molto stupide questioni di copyright: l’editore, titolare dei diritti sulla canzone, ne aveva concesso l’uso per un anno e Hadfield, fedele al contratto, l’aveva rimosso.
Tuttavia, visto il successo, Bowie e il suo editore si sono affrettati a prolungare la concessione per altri due anni e il video è tornato visibile.
Alcune considerazioni su questa faccenda del copyright:
- Ma che testa hanno gli editori? Lo dico proprio dal punto di vista squisitamente commerciale. Chi può pensare che un video come questo possa far perdere dei soldi ai titolari dei diritti (ovvero che questo video possa far calare le vendite dell’originale)? Casomai una canzone dedicata all’esplorazione spaziale eseguita sulla ISS è una pubblicità incredibile e del tutto gratuita!
- Sotto l’aspetto giuridico la cosa è dubbia. La ISS è una stazione internazionale. Una fettina di territorio di 15 paesi in cui sono in vigore leggi sul copyright completamente diverse, basti pensare alla Russia, dove il diritto d’autore praticamente non esiste. Inoltre la ISS fluttua costantemente su tutto l’orbe terracqueo. Quale giurisdizione deve essere applicata? (gli interessati possono leggere una dissertazione sull’argomento pubblicata sull’Economist).
- Ma gli avvocati non erano stati tutti sterminati durante il Grande Risveglio del 2023? [tratto da una parodia di Star Trek]
Ok. Ecco il video.
Unknown Pleasures 3D model
Se qualcuno ha una stampante 3D e vuole stamparsi un bel modellino del famoso sonogramma di Unknown Pleasures dei Joy Division può scaricare i dati da qui.
Nella foto mancano elementi di confronto, ma è piccolo: solo 10 cm. Un bel soprammobile.
Google Music Timeline
Ma voi avete visto la music timeline di google? (il cui fine, poi, è quello di vendere musica da google play).
Cliccando su un genere, si espande ai sotto-generi, ognuno dei quali si espande fino ai nomi dei musicisti. Solo Google può permettersi cose del genere…
Però, attenzione: il grafico non si riferisce agli ascolti o alle vendite di tutto il mondo, ma è costruito basandosi soltanto sugli ascolti effettuati tramite il servizio Google Play (cito le FAQ: The Music Timeline is based on album and artist statistics aggregated from Google Play Music — we define popularity by how many users have an artist or album in their music library).
Quindi non è una mappa della popolarità dei generi musicali nel mondo, cosa che ci si potrebbe aspettare, conoscendo il furore “schedatorio” di Google, ma una statistica ricavata dal proprio servizio di vendita. Il valore della mappa, quindi, dipende da alcuni dati che attualmente non conosco e cioè quanti utenti ha Google Play e soprattutto cosa è disponibile (un artista non appare se Google non lo vende).
Ciò nonostante, è carina. Per la cronaca, nonostante quello che alcuni hanno scritto, c’è anche un tot di musica italiana (ho trovato De André e perfino la Pausini).
Un’altra precisazione importante è che la timeline non mostra, come dicono alcuni, la popolarità di un genere nel corso degli anni, bensì la presenza nelle librerie degli utenti di Google Play di dischi pubblicati in quegli anni. Per esempio, la grossa bolla di jazz degli anni ’50 non significa che negli anni ’50 tutti ascoltavano jazz, bensì che, fra le incisioni degli anni ’50, gli utenti di Google Play hanno principalmente dischi di jazz.
Un piccolo problema è che tutti i grafici sono normalizzati, per cui, se si vede un solo artista, non si ha la minima idea della sua incidenza sul totale. Verò è che, in tal caso, molti grafici sarebbero stati troppo piccoli, però una qualche indicazione percentuale avrebbero potuto metterla.
Infine, peccato non ci sia la musica classica. Nelle FAQ si dice che la mancata inclusione della classica dipende dall’incertezza della modalità di piazzamento temporale: ci si deve basare sulla data di composizione o di incisione? Effettivamente l’utilizzo della prima avrebbe esteso il grafico di almeno 5 secoli, mentre, secondo loro, la seconda sarebbe risultata fuorviante. Vedremo.
Per sempre cool
Il 21 Marzo 1976, dopo un concerto alla Community War Memorial arena in Rochester, New York, quattro detectives e un investigatore della polizia locale piombarono nella suite dell’Americana Rochester Hotel dove alloggiava David Bowie, sequestrando 182 grammi di marijuana e arrestando 4 persone: lo stesso Bowie, Iggy Pop, un bodyguard, tale Dwain Voughns e una ragazza di Rochester, Chiwah Soo.
I quattro passarono la notte in cella e furono rilasciati mattino seguente dietro cauzione di $ 2000 cadauno. Bowie e Iggy Pop vennero registrati con i loro veri nomi: rispettivamente David Jones e James Osterberg, Jr. Tre giorni dopo, David Bowie dovette presentarsi per il processo, immediato e veloce come è tipico negli USA, almeno per questo tipo di reati e in quell’occasione venne scattata la seguente foto segnaletica che fu ritrovata molti anni più tardi da un impiegato di una casa d’asta, frugando fra i mobili di un ufficiale di polizia in pensione. La foto fu poi venduta su Ebay per $ 2700.
È incredibile e quasi inumano come Bowie riesca ad apparire perfetto anche in una foto segnaletica come questa. Se non avete mai avuto il piacere, sappiate che, nel 1976, in America, di solito, queste foto venivano prese con vetuste polaroid e due fari sparati in faccia mentre tu devi reggere il cartello con il numero e non hai ben chiaro come andrà a finire.
Devo la storia a Open Culture
Nosaj Thing
Nosaj Thing (born Jason Chung) è un giovane musicista di Los Angeles attivo nell’area hip hop, remix, etc.
Mi ha colpito questo video sul suo brano Eclipse/Blue per la connessione fra i due danzatori (uno reale, mentre l’altro sembra essere parte del video) e la proiezione (virtuale) alle loro spalle.
Un gioco di luci trasforma il personaggio reale in una silhouette monocromatica quasi virtuale che interagisce con una seconda silhouette la cui realtà non è chiara. Insieme generano e si fondono con le forme in evoluzione sullo schermo. Notevole.
Da quel che capisco i credit per il video dovrebbero andara a Daito Manabe, takcom, Satoru Higa, and MIKIKO with support from The Creators Project. Peraltro anche il brano non è così banale…
Grazie a Katja per la segnalazione.
UPDATE: le ballerine sono effettivamente due, una davanti e l’altra dietro allo schermo
Retromania
Sto leggendo Retromania, di Simon Reynolds (Isbn Edizioni, Milano, 2011, 506 pagg., € 26.90). Non l’ho ancora finito (sono circa a metà), quindi questa è una recensione parziale, comunque fin qui mi sembra un libro decisamente ben scritto e argomentato, ricco di fatti, quasi troppo e questo è il suo unico limite: avrebbe potuto risparmiarci un po’ di queste 433 (506 con bibliografia e indici) pagine. Però non mi lamento: avercene di critici con questa profondità di analisi e documentazione. Ottima anche la traduzione di Michele Piumini.
Qui Reynolds esamina la tendenza al remake che ha colpito la scena pop/rock a partire dal nuovo millennio, simboleggiata dall’apertura, nell’Aprile 2000, del Memphis Rock’n’Soul Museum presso lo Smithsonian Institution.
Questa faccenda, in effetti, è una delle cose che mi colpiscono maggiormente nella musica attuale, raramente in senso positivo, più spesso negativamente. Come recita l’introduzione,
un tempo il pop ribolliva di energia vitale … i duemila sembrano invece irrimediabilmente malati di passato …
Perché non sappiamo più essere originali? Cosa succederà quando esauriremo il passato a cui attingere? Riusciremo ad emanciparci dalla nostalgia e a produrre qualcosa di nuovo?
Ma mi rendo conto che il significato negativo che io attribuisco alla retromania può dipendere anche dal fatto che io ho vissuto quel passato e quell’energia vitale, perciò non riesco ad accettare facilmente i rifacimenti proposti dalla musica attuale che finiscono spesso per sembrarmi delle brutte copie prive della forza e del significato dell’originale.
Comunque, fra le domande che l’autore si pone, la prima e l’ultima mi sembrano le più stringenti. La seconda, a mio avviso, è inutile: il passato, infatti, non si esaurisce mai. Come le mode insegnano, c’è sempre qualcosa da rifare o qualche modo diverso di rifarlo.
Stiamo, infatti, assistendo ad una celebrazione del passato che interessa tutti i settori, nessuno escluso: dal più comune, quello dell’abbigliamento, fino all’arredamento, alla televisione, al cinema, a giocattoli e videogiochi, all’alimentazione, per arrivare al retro-porno (tipo il vintage hairy, il porno prima dell’avvento della depilazione totale).
Nel tentativo di dare una spiegazione, il testo di Reynolds si apre con una impressionante e un po’ angosciante retrologia: una lista di date e fatti che copre il decennio 2000/2009 e va dai musei celebrativi come il già citato Memphis Rock’n’Soul Museum o l’Experience Music Project di Paul Allen, passa per le reunion (più di 30, forse 40 in 10 anni: in molti casi una funerea parata di individui attempati e acciaccati, spesso ancora in grado di suonare bene, ma che si atteggiano squallidamente a ventenni), e arriva ai concerti delle tribute band e alle riedizioni/rifacimenti di dischi e perfino di avvenimenti storici (come l’attraversamento in massa di Abbey Road l’8 Agosto 2009, 40 anni dopo quello dei Beatles per la copertina dell’album omonimo).
Per quel che riguarda la musica pop, l’ipotesi centrale è che uno degli elementi scatenanti di questa tendenza sia l’accumulo reso possibile da internet. Sulla rete si mette ormai tutto e c’è posto per tutto. Fotografie, canzoni, video, spezzoni televisivi, libri, vecchie riviste, grafica e chi più ne ha, più ne metta. Con l’apparizione dei cellulari multifunzione, tutti girano con una videocamera, una macchina fotografica e un registratore. Documentare il presente e metterlo in rete è facilissimo, ma il presente diventa rapidamente passato. Inoltre, la gente, ormai, mette in internet non solo l’attualità, ma anche i propri ricordi e generalmente quello che ama o che reputa importante: cimeli sotto forma di immagini fisse, video e suono stanno saturando lo spazio disponibile in rete, spazio che, però, continua ad allargarsi grazie alla riduzione del costo delle memorie di massa.
La condivisione di tutto questo materiale, poi, è imposta da coloro che offrono lo spazio. Entità come You Tube guadagnano solo grazie alla pubblicità e quest’ultima è attirata solo dalla quantità dei contatti. Ne consegue che il materiale disponibile deve essere condiviso e deve essere molto (sia la qualità che i contenuti non hanno grande importanza; quello che conta è che generino contatti).
A questo punto, secondo Reynolds,
il puro e semplice volume del passato musicale accumulato ha cominciato ad esercitare una sorta di attrazione gravitazionale.
[…]
I musicisti divenuti maggiorenni in questo periodo sono cresciuti in un clima caratterizzato da un grado di accessibilità del passato travolgente e senza precedenti
Inoltre, aggiungo io, per ragioni anagrafiche, non hanno vissuto il passato e quindi ne sono affascinati.
Di conseguenza
l’esigenza di movimento, di arrivare da qualche parte, poteva essere soddisfatta altrettanto facilmente (anzi, più facilmente) volgendosi a questo immenso passato e non guardando avanti.
In effetti, un paragone fra la disponibilità attuale e quella mia o di Reynolds (io sono del ’54, lui del ’63) è improponibile. Ai nostri tempi, il passato spariva. Gli album andavano rapidamente fuori catalogo e se non si acquistavano nei primi anni erano facilmente perduti. Per di più, il file sharing dei tempi andati si limitava alle audio-cassette e l’accesso ai dischi dipendeva dalla disponibilità economica.
Oggi, nell’oceano di internet si può pescare quasi tutto al solo costo della connessione (peraltro necessaria anche per altre cose) ed è quindi normale andare ad ascoltarlo, così come è facile crogiolarvisi dentro. La situazione della creatività attuale è resa difficile proprio dal fatto che, a differenza di quanto avveniva prima di internet, il passato non scompare mai. Io, per esempio, avevo 12/13 anni quando ho iniziato ad ascoltare seriamente il rock e ho conosciuto prima i gruppi miei contemporanei (ex: Beatles, Stones e gli altri) e solo qualche anno dopo ho ascoltato quelle che erano le radici di queste band, cioè il blues e il rock’n roll. Attualmente, invece, tutto è contemporaneamente disponibile.
Nello stesso modo, io vedevo dei dischi e delle band diventare vecchi, mentre altri generi e band nascevano. Avevo, cioè, una percezione del tempo lineare e orientata da un passato verso un futuro. Attualmente, invece, il movimento è stato sostituito dall’accumulo: non si va da un passato, con delle cose che invecchiano e scompaiono, a un futuro che propone delle novità, ma si aggiungono altre cose che si stratificano in un immenso deposito che tende ad annullare il tempo e a produrre quello Reynolds chiama stallo temporale il cui effetto finale è di bloccare qualsiasi tendenza al progresso (inteso come semplice movimento, senza un giudizio di valore) e produrre un continuo rimescolamento di ciò che esiste o è esistito.
- Qui il blog dedicato al libro, in italiano, con ampi estratti.
- Altri blog dell’autore, in inglese
Cambiare modo
No, non è l’ennesimo appello per una nuova politica, ma la constatazione che nel mondo c’è qualcuno che si diverte a spostare le canzoni da maggiore a minore o viceversa.
In realtà, il fatto che il modo maggiore comunichi felicità, gioia e che il minore sia più adatto alla tristezza e alla malinconia è un po’ più di una credenza. Un ricercatore ha scoperto che l’intervallo di terza minore compare nella parlata degli attori quando vogliono comunicare tristezza (qui l’articolo su Scientific American), almeno nella cultura occidentale. Nella nostra musica, questa connotazione dei modi è in uso fin dal 17mo secolo.
Ora scopro che qualche buontempone impiega tempo e risorse per cambiare il modo delle canzoni producendo curiosi quanto, a mio avviso, discutibili risultati.
Ecco, per esempio, Hey Jude, spostata da maggiore a minore.
Notate che il farlo sarebbe semplice se il pezzo venisse rieseguito, ma questi lo fanno editando digitalmente il file originale e ri-intonando solo le note e gli accordi che vanno cambiati, la qual cosa non è così semplice.
Il principale autore di questo rifacimento è tale Oleg Berg, musicista ucraino, che ha varato il progetto Major versus minor.
Ancora più strana suona The House of Rising Sun
Vi riporto questa cosa come curiosità. Ovviamente non sono contrario. Ognuno è padrone di usare il suo tempo come vuole. Mi lascia solo un po’ perplesso il fatto che una cosa che facevamo per gioco quando eravamo al liceo venga proposta come un’idea interessante e soprattutto che venga messa in vendita. $10 per l’album e $1 per il singolo brano, come se fosse roba sua. Oltretutto, cambiare un brano di un autore senza il suo permesso e venderlo non è una cosa simpatica. Tecnicamente è anche un reato. Ora, a me del diritto d’autore interessa poco. I miei brani sono in CC, ma se qualcuno prende un mio pezzo cambiando qualcosa e lo vende, mi inca**o anch’io.
Kenzo Electric Jungle
Mat Maitland per Kenzo. Pop raffinato. Gustoso.
Visibile in grandi dimensioni su Vimeo (anche su You Tube, ma io in genere preferisco Vimeo: i video sono meno oppressi dal contorno e più valorizzati. Anche la qualità video mi sembra migliore)
Art Direction: Mat Maitland
Direction: Smith & Read / Mat Maitland
Animation: Natalia Stuyk
Production: Alastair Coe at Big Active
Music: ‘Mädchen Amick’ by Buffalo Tide
Bowie 66
David Bowie compie 66 anni e li festeggia rilanciando il suo sito e riempiendolo di video che vanno dal 1972 ad oggi ripercorrendo 40 anni di intelligente carriera.
Inoltre, dopo 10 anni di assenza, sta preparando il nuovo album The Next Day, atteso per Marzo, da cui è tratto il brano “Where Are We Now?”, lanciato con questo video diretto da Tony Oursler, in cui il viso di Bowie, insieme a quello di una donna sconosciuta, spunta da uno schermo su cui scorrono immagini in bianco/nero di una Berlino anni ’70, quasi da film di Wim Wenders.
Ricordi e nostalgia, anche nel testo:
Prossimo alla fine
Seduto alla discoteca Dschungel
A Nurnberger Strasse
Un uomo perduto nel tempo
Vicino alla KaDeWe
Semplicemente prossimo alla fineDove ci troviamo adesso?
Dove ci troviamo adesso?
Nel momento in cui sai
Tu sai
Tu saiFinché ci sarà il sole
Finché ci sarà la pioggia
Finché ci sarà il fuoco
Finché ci sarò io
Finché ci sarai tu
Gran classe, come (quasi) sempre…
Fondere due canzoni
The making of Strawberry Fields
Strawberry Fields Forever (1967) è sicuramente una delle canzoni più complesse di tutta la produzione del Beatles. Ricordo che quando l’ascoltai (avevo 13 anni e studiavo già musica) mi fece una grande impressione proprio perché era un brano armonicamente diverso dal solito e con sonorità per l’epoca nuove.
Uscita come singolo nel febbraio 1967, era il lato B di Penny Lane. Sono entrambe canzoni nostalgiche: “Strawberry Field” era il nome di un orfanotrofio situato in Beaconsfield Road, Woolton, Liverpool, vicino alla casa d’infanzia di Lennon (nella foto il cancello dell’orfanotrofio). Lui e i suoi compagni di giochi Pete Shotton, Nigel Whalley, e Ivan Vaughan erano soliti giocare nel giardino alberato dietro l’edificio.
Venne poi inserita nell’LP Magical Mistery Tour. È attribuita al solo Lennon che iniziò a lavorarci ad Almería, in Spagna, durante le riprese del film diretto da Richard Lester How I Won the War (Come ho vinto la guerra) nel settembre–ottobre del 1966. La sua gestazione fu lunga e complicata, con numerose registrazioni anche non complete, arrangiate in modo diverso, due delle quali sono state poi tagliate, collegate e mixate fino ad ottenere il prodotto finale.
Bisogna ricordare che i registratori disponibili all’epoca avevano al massimo 4 piste, non le 48 o 64 delle macchine degli anni ’80 o le centinaia dell’attuale HD recording, quindi le sovra-incisioni possibili erano molto limitate. Si potevano certamente prendere 4 piste e mixarle in una (mono) oppure in due (perché il brano alla fine doveva essere stereo), mettendole su un secondo registratore, per poi registrare altre 4 piste e rifare lo stesso processo, ma ogni mix introduceva un po’ di rumore di fondo e costringeva a sincronizzare più registratori, con la conseguenza che già arrivare a 16 tracce era difficile.
Fortunatamente i Beatles, che musicalmente erano più o meno autodidatti, non erano così bravi a scrivere su pentagramma le proprie idee: il loro metodo per memorizzarle era registrare. Oggi che anche i demo tapes e le registrazioni inutilizzate dei Beatles sono state pubblicate, si può così ricostruire l’intero processo che ha portato alla versione finale di Strawberry Fields e valutare anche il contributo essenziale del loro arrangiatore e tecnico George Martin.
Qui abbiamo due video che tentano di chiarire le varie fasi attraverso le quali il brano è passato: dai primi accenni del solo Lennon con chitarra, all’arrangiamento orchestrale di Martin. I video sono riportati qui sotto. Questo articolo di Joe Brennan della Columbia University (autore di una utile guida alle registrazioni dei Beatles) è più completo, ma meno immediato. Anche questa pagina di wikipedia offre molte informazioni utili.
Notate che in alcune parti del video il suono può uscire da una sola cassa (di solito la sin.) perché si tratta di un mix temporaneo monofonico. In altre si può sentire un insieme strumentale su una cassa e uno strumento singolo o due sull’altra: questi ultimi sono quelli incisi sulle nuove piste, usando il mix precedente come base.
Bob Dylan is 71
Tre giorni fa, il 24, Dylan ha compiuto 71 anni. (NB: il post è del 2012)
Che da quando lo ascoltavo da giovane, le cose siano cambiate non c’è dubbio. Nel 1965 “The Times they are a-changin” veniva urlata per la strada, mentre, nel video qui sotto, del Febbraio 2010, Dylan la canta alla Casa Bianca. Quest’anno Obama gli consegnerà la Presidential Medals of Freedom, la più alta onorificenza civile della nazione. Come aveva predetto John Cage, “tutto quello che facciamo, prima o poi finirà per diventare melodico”.
Nel frattempo, in una lunga intervista a 60 Minutes, Bob Dylan ha detto qualcosa che può essere interpretato come una ammissione di aver venduto l’anima al diavolo. Ancora più sorprendentemente, un sacco di gente gli ha creduto. È incredibile come la gente sia pronta a credere a uno che in un film dichiarava di chiamarsi Alias (il film è Pat Garrett & Billy the Kid).
Forse è meglio ascoltare questa stessa canzone nella versione originale, sotto la scena di apertura di Watchmen, in quest’altro video con la storia virata nel grottesco di una realtà alternativa.
Comunque mi piace sempre Dylan. Mi sembra un sopravvissuto, uno dei più onesti di tutta la scena pop. Il che è tutto dire.
Pink Floyd a Pompei
Lo storico film del 1972 è ormai disponibile su You Tube in edizione integrale (director’s cut).
Music history as a London tube map
100 anni di musica mappati nello stile della metro di Londra. Opinabile quanto divertente.
Cliccare qui per scaricare il pdf.
Robert Zimmerman compie 70 anni…
… Bob Dylan invece non ha età.
Aidoru
Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.
La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.
Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).
Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.
Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.
Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.
Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.
Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. Le star virtuali non devono essere pagate, ma questa considerazione è secondaria perché al loro posto bisogna pagare dei tecnici di animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi.
John Carpenter
Non tutti sanno che John Carpenter, regista di pellicole tendenzialmente horror come Halloween, la notte delle streghe (1978), 1997: fuga da New York (1981), La cosa (1982), Il signore del male (1987), Essi vivono (1988), Il seme della follia (1994), Villaggio dei dannati (1995), Fuga da Los Angeles (1996), Vampires (1998), Fantasmi da Marte (2001), scrive e registra anche molte delle colonne sonore dei suoi film (date un’occhiata anche al suo sito: non è niente male).
Potete ascoltare il tema del film del 1994 In The Mouth Of Madness
e vedere la tracklist di un suo album pubblicato da Sacred Bones record.
Qui un’intervista per Resident Advisors e qui sotto un mix delle sue colonne sonore compilato dal suo collaboratore Alan Howarth (John Carpenter Anthology – Movie Themes 1974 to 1998 – Full Album – Vinyl version)
Joy Division
Armonia 2 – Fantasia 0
Il gruppo satirico australiano Axis Of Awesome mostra quante volte la progressione I – V – VI – IV (es. Do – Sol – Lam – Fa) ha colpito nella storia della musica pop. E subito dopo averli visti, pensandoci un po’, mi sono venute in mente almeno altre 10 canzoni costruite nello stesso modo.
Adesso sapete come scrivere un hit. Datevi da fare.
Australian comedy group ‘Axis Of Awesome’ perform a sketch demonstrating how many hit songs are made by the same harmonic progression.
Francobollo Mino Reitano?
Non voglio sembrare inutilmente polemico, però un francobollo dedicato a Mino Reitano nella Giornata della Musica 2009 mi sembra eccessivo.
E proprio nel 2009 ci sarà un bis per la musica leggera italiana con un francobollo che sarà dedicato a un altro brano di popolarità indiscussa: la canzone di Mina «Tintarella di luna». La Consulta ha dato l’ok a vari francobolli aggiuntivi tra i quali quelli destinati a celebrare il centenario del Corriere dei piccoli, la storica moto italiana «Ducati», il terremoto di Messina del 1908, il centenario della morte di Edmondo De Amicis. La Consulta ha pure integrato il Programma delle emissioni 2009 con francobolli dedicati a Indro Montanelli e Norberto Bobbio, nel centenario della nascita, e a padre Agostino Gemelli, nel cinquantenario della morte.
Immagino che quello dedicato a Mike Bongiorno sia in preparazione…
Nello stesso giorno, ne hanno emessi atri due dedicati a Nino Rota e Pavarotti. In entrambi i casi anche la grafica fa un po’ pena.
Oltre a quello già citato, un altro francobollo legato alla musica leggera è quello che ricorda il 50mo anniversario di Volare (Nel blu dipinto di blu).
La gerontocrazia commemora sé stessa. Come tale, non è in grado di celebrare non dico il futuro, ma nemmeno la contemporaneità.
Cfr. la serie delle poste inglesi Classic Album Covers – 7 January 2010.
Ecco i dati del francobollo:
Data di emissione: 24 ottobre 2009
Valore: € 1,00
Tiratura: tre milioni di esemplari
Vignetta: il valore di € 1,00 raffigura il cantante Mino Reitano durante un’esibizione;
Su ogni francobollo è riprodotto, in basso al centro, il logo della manifestazione “ITALIA 2009”.
Completano ciascun francobollo le leggende “GIORNATA DELLA MUSICA” e “FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA FILATELIA”, la scritta “ITALIA”, il nome e la data “MINO REITANO 1944 – 2009”,e il valore “€ 1,00”
Bozzettista: Rita Fantini
Stampa: Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., in rotocalcografia
Colori: sei
Carta: fluorescente, non filigranata
Formato carta: mm 30 x 40
Formato stampa: mm 26 x 36
Dentellatura: 13¼ x 13
Foglio: cinquanta esemplari, valore “€ 50,00”
N.A.S.A. music project
Boing Boing Video proudly debuts a new piece from the “great god almighty could it get any more awesome?” N.A.S.A. music project, this one from two personal music heroes: Tom Waits, and Kool Keith. The track is called Spacious Thoughts, and you can pick it up on the project’s debut album, Spirit of Apollo.
NASA, short for “North America South America,” is a music collaboration project assembled by Squeak E. Clean (aka Sam Spiegel, brother of film director Spike Jonze) and DJ Zegon (Ze Gonzales, professional skateboarder).
The music video was created by Montreal-based Fluorescent Hill and can be downloaded here. More on “the making of”, and interview with artists here.
Note that this version is in HD and needs a fast connection. If yours is too slow, go see it on the YouTube site.
AC/DC video in excel
This one could be the first music video running in Excel spreadsheet. It’s an ASCII film really moving in the spreadsheet, as you can see in this video.
Coraggiosi
Questi hanno un bel coraggio… Ma almeno sono sinceri… E hanno della tecnica…
A proud band. Of course I don’t appreciate this kind of arrangement, but this guys are really honest. They don’t bother with false or cerebral pronouncements. They play hard. Cool! 😛
Woodstock 1969-2009
RIP Les Paul
Il chitarrista Les Paul (il cui vero nome era Lester William Polsfuss), inventore della chitarra solid-body e curatore della linea di strumenti Gibson che porta il suo nome, si è spento ieri a White Plains (NY) alla veneranda età di 94 anni.
Questa lunga e bella commemorazione del NY Times ne rievoca la carriera, raccontando anche alcuni gustosi aneddoti, fra cui quello, ormai abusato, secondo il quale il suo insegnante di pianoforte scrisse alla madre “Your boy, Lester, will never learn music” (sembra che una storia di questo tipo ormai sia comunissima, fra i musicisti e non solo ed è quasi obbligatoria per coloro che avrebbero poi portato un grande cambiamento nel proprio settore, da John Cage ad Einstein).
In una intervista del 1991, con una certa dose di umiltà, ebbe a dire “The only reason I invented these things was because I didn’t have them and neither did anyone else. I had no choice, really.”
Liberace da Allevi
Barbara mi ha segnalato questa simpatica storiella disegnata da Joshua Held.
Cliccate sull’immagine per ingrandirla (e se avete un browser che la stringe, poi cliccate sull’immagine).
Quelli che non sanno chi era Liberace, clicchino qui.
Sarai il mio specchio?
Lui è del 1942, lei del 1947, la canzone è del 1965. Tanto vecchi quanto affascinanti.
Update 4/7
Effettivamente, la grandezza di Lou Reed sta nella capacità di cantare sempre la stessa canzone. Saranno 40 anni che Lou scrive brani su due accordi, tipicamente tonica e dominante, qualche volta un’altra combinazione, e ci canta sopra nello stesso modo, a volte con le stesse parole.
Ill be your mirror
Reflect what you are, in case you dont know
Ill be the wind, the rain and the sunset
The light on your door to show that you’re home
When you think the night has seen your mind
That inside youre twisted and unkind
Let me stand to show that you are blind
Please put down your hands
cause I see you
I find it hard to believe you dont know
The beauty that you are
But if you dont let me be your eyes
A hand in your darkness, so you wont be afraid
When you think the night has seen your mind
That inside youre twisted and unkind
Let me stand to show that you are blind
Please put down your hands
cause I see you
The Beatles: Rock Band
Doveva succedere prima o poi. I Beatles sono finiti in un videogame. Realizzato da MTV Games, sarà rilasciato in settembre. Alla conferenza di presentazione si sono riuniti tutti i detentori dei diritti: Paul McCartney, Ringo Starr, Yoko Ono Lennon e Olivia Harrison. Cosa non può il denaro…
Paul (“We love the game”) e Ringo (“The game is good”), hanno detto poco. Le vedove, ancora meno. Sono state anche rese note 10 delle 45 canzoni incluse nel gioco fra le quali “I Saw Her Standing There,” “Day Tripper,” “Taxman,” “Here Comes the Sun” e “Get Back.”
La notizia è apparsa dapprima sull’Ansa, ma io ho trovato anche la schermata e il trailer .
Residents
Attivi dalla fine degli anni ’60, i Residents continuano la loro straordinaria avventura restando sempre nell’anonimato.
Pur avendo pubblicato circa 60 (!) album, realizzato vari video, 3 DVD ed essersi esibiti centinaia di volte in pubblico, i componenti del gruppo hanno sempre avuto il volto coperto da maschere grottesche (la più celebre delle quali è quella di un gigantesco bulbo oculare), non mostrando mai quindi il loro vero volto al pubblico. Per tale motivo è possibile che nel corso degli anni si siano avvicendati numerosi musicisti nelle vesti dei quattro componenti della formazione. I Residents si sono sempre autoesclusi dai grandi circuiti di musica commerciale, mescolando rock, elettronica, noise, vaudeville e sperimentazione, producendosi inoltre in numerose reinterpretazioni dissacranti di brani classici del repertorio della musica pop.
L’ultima loro produzione è l’Icky Flix Live DVD, che uscirà l’8 Aprile:
The Icky Flix DVD is a documentary shot entirely from an audience perspective. The DVD runs in real time from the start of the show to the end with nothing edited out. There is no post production on the sound or the picture. The event was captured on six consumer level DV cameras. The sound comes from one of the cameras.
Ecco un video del 1999
Leonard Cohen in concert
Il poeta e cantautore canadese Leonard Cohen è di nuovo in tournée negli States dopo 15 anni.
In questo link di npr-music potete ascoltare buona parte del concerto al Beacon Theatre in Manhattan. 12 pezzi per 1 ora e 14. Cohen rivisita famosissimi brani come “Dance Me to the End of Love,” “Bird on a Wire,” “Chelsea Hotel,” “Sisters of Mercy,” “Suzanne,” “Hallelujah,” “I’m Your Man,” “Famous Blue Raincoat.” Non occorre essere dei nostalgici per apprezzarlo.
Cliccate “Hear the music“, sopra l’articolo. Si apre una pagina con il player, vi beccate la pubblicità dell’ultimo disco di Van Morrison e poi inizia lo show (solo audio).
Be quick; non so quanto dura (invece dura ancora dopo 15 anni)
UPDATE
Mi sono reso conto solo adesso che nella pagina del podcast c’è, per forza di cose, l’mp3 (a volte non sono sveglissimo). Potete ascoltarlo o scaricarlo (tasto destro e salva) a questo link.
Abbey Road reloaded
In questo video di Blame Ringo, la gente cammine sulle zebre in Abbey Road ricreando il famoso attraversamento dei Beatles impresso sulla copertina dell’omonimo album, uno dei più belli e ricercati dell’intera storia del pop. La canzoncina di Blame Ringo sarà anche simpatica, ma mi fa sentire quanto tempo è passato.
L’8 agosto 1969 i Beatles attraversarono le strisce pedonali poste davanti agli studi di registrazione. Nessuno sapeva che era il loro ultimo album insieme, tranne loro e le persone a loro vicine.
Curiosamente tale data coincide con la strage di Bel Air in cui, quella notte dell’8 agosto, fu massacrata l’attrice Sharon Tate dai seguaci della setta di Charles Manson che ammise poi di aver tratto l’ispirazione per quella insana azione demoniaca dalla canzone dei Beatles Helter Skelter (tratta dal White Album). Anche un’altra canzone scritta da Harrison, Piggies, fu ispiratrice di quel massacro dato che gli assassini scrissero con il sangue delle vittime la parola PIGGIES sulla porta della villa di Bel Air.
Nel video non mi sembra di vedere nessuno scalzo come Paul.
John Martyn
Iain David McGeachy, meglio noto come John Martyn è morto in Irlanda all’età di 60 anni. Nato nel 1948, nel Surrey (Inghilterra), era cresciuto a Glasgow (Scozia), dove, a 19 anni, aveva cominciato a farsi conoscere per il suo stile caratterizzato da una miscela di blues e folk.
Nel 1973 incise uno dei più importanti album britannici degli anni settanta, Solid Air, in cui continuò a sviluppare un suo stile vocale nuovo, inarticolato e modulato, con inflessioni paragonabili a quelle di un sax. Mi è sempre piaciuta quella voce.
Seguirono vari altri album, tutti di buon livello, anche nei periodi più scuri della sua vita (“Alcune persone tengono un diario, io faccio dischi”).
John Martyn – Solid Air (1973)
Stand by Me around the world
What happens when you take Ben King’s 1961 hit, Stand By Me, and then travel around the world, having different international artists offer their own interpretations, and finally you stitch them all together in one seamless tune? The clip below starts in California, moves to New Orleans, then heads off to Amsterdam, France, Brazil, Moscow, Venezuala, South Africa and beyond. And I’m willing to bet that you’ll like how it turns out. The clip comes from the documentary, ”Playing For Change: Peace Through Music.”
Via Open Culture
De André 10
Little Drummer Boy
YouTube è pieno di sorprese. Per un post-natale alquanto melenso eccovi una clip di 30 anni fa: 1977, David Bowie e Bing Crosby cantano in duo The Little Drummer Boy, una canzone natalizia americana della peggior specie che parla di
a poor young boy who, unable to afford a gift for the infant Jesus, plays his drum for the newborn with the Virgin Mary‘s approval. Miraculously, the baby, although a newborn, seems to understand and smiles at the boy in gratitude. [wikipedia]
Nota del 2024
Questo non è il video originale del 2008. Cioè, la parte video è quella, ma nell’originale i due cantavano a cappella (trad: senza alcun accompagnamento orchestrale).
Nella versione attuale, invce, è stato inserito un accompagnamento orchestrale e la vecchia versione non si trova più.
8-bit Jesus
Doctor Octoroc rilascia un album composto da revisioni di carole natalizie arrangiate nel classico stile 8-bit dei vecchi videogames. Il tutto è ascoltabile e acquistabile qui o da una playlist su youtube.
L’accordo segreto (?)
Dunque, questa faccenda dell’accordo iniziale di A Hard Day’s Night deve essere esplosa in questi giorni, perché mi sono arrivate ben due segnalazioni.
In breve, la storia è questa: ricordate il klang iniziale di A Hard Day’s Night? (Beatles, 1964). Se la risposta è no, avviate il video qui sotto: è proprio la prima cosa che sentite.
Il problema è che non si riusciva a determinare esattamente la composizione di questo accordo e non si riusciva a riprodurlo accuratamente con 2 chitarre (una a 12 corde) e basso (l’organico dell’incisione). In pratica, sembrava fosse impossibile ottenere esattamente quella sonorità con la strumentazione di cui sopra. Sebbene le note fossero state identificate, non si riusciva a rendere conto della loro distribuzione fra gli strumenti.
Nella sua ponderosa analisi, Alan Pollack, che ha analizzato l’intera produzione dei quattro, dice:
I’ve seen better people than myself argue (and in public, no less) about the exact guitar voicing of this chord and I’ll stay out of that question for now (what a cop-out, Alan!), and merely state that its sonority is akin to a superimposition of the chords of d-minor, F-Major, and G-Major; i.e. it contains the notes D, F, A, C, and G – to my ears, only the B is missing. Even if you don’t know a thing about harmony or musical dictation, you can at least hear the G as a suspended fourth over the D on the bottom. Hullaballoo aside, this chord functions as a surrogate dominant (i.e. V) with respect to the chord on G which begins the first verse.
[A. Pollack – Notes on “A Hard Day’s Night”]
Ma finalmente il dott. Jason I. Brown, della Dalhousie University, ha pensato bene di fare una analisi FFT sull’accordo, elencando tutte le frequenze in esso contenute. L’analisi ha permesso di determinare la composizione esatta dell’accordo, mettendo in luce il fatto che le note coinvolte non possono essere state prodotte solo con due chitarre e basso (e non risulta traccia di sovraincisioni, che nel 1964 erano un po’ problematiche).
L’ipotesi finale, quindi, è che dentro il “klang” ci sia anche il pianoforte di George Martin, che, d’altronde, più avanti, doppia anche il solo di George. L’accordo lo vedete in figura (click here to enlarge). I raddoppiamenti di 8va di La, Re e Sol che vedete nella parte di GH sono dovuti alla 12 corde. Qui trovate l’articolo di Jason Brown (pdf) con tutte le sue deduzioni.
Tanto per chiarire
Steve Albini (qui su wikipedia in inglese e qui in italiano) è un musicista, produttore discografico, tecnico del suono e critico musicale americano. È una persona che conosce molto bene il mercato musicale; fra l’altro è stato produttore dei Nirvana.
Nei primi anni ’90 ha scritto un articolo chiamato The Problem With Music in cui descrive la situazione di una band esordiente di un certo successo, come ne ha viste tante, che arriva a firmare il suo primo contratto con una major. Con la sua esperienza, Albini fa letteralmente i conti in tasca alla band, alla major, a produttori, manager e a molti personaggi che gravitano intorno al business musicale. È in articolo interessante anche perché, nonostante il fatto che circoli su internet ormai da 10 anni, non è stato mai direttamente smentito dalle major, evidentemente perché non sono in grado di farlo. D’altra parte le major si sono sempre sottratte alle discussioni sui loro margini di profitto (e su quelli di band, produttori, manager, etc.) adducendo il fatto che le situazioni sono troppo differenziate.
Ma, come ben sanno gli statistici, in economia le medie si possono sempre fare: basta riferirle a situazioni tipiche ed è quello che fa questo articolo.
Ho sempre voluto proporlo, ma finora sono stato trattenuto dal fatto che è in inglese-americano non proprio semplice e non ho mai avuto la voglia e il tempo di tradurlo (è piuttosto lungo). Oggi finalmente qualcuno lo ha fatto, quindi un plauso a LOR15, di cui vi segnalo il blog e da cui ho tratto la traduzione che riporto qui sotto e che mi sembra ben fatta.
Se a qualcuno interessa l’originale inglese, lo può leggere qui o qui, ma basta una ricerca in Google per trovarlo in molti siti.
È lungo, ma chiarisce molte cose. Se ne avete voglia e se vi interessa leggetelo, tanto per chiarire, fra l’altro, chi sono quelli che danno dei ladri ai ragazzini che si scaricano i CD.
A great gig in the sky
Doppia maledizione, se continua così dovrò creare la categoria necrologi.
La tanto sospirata reunion dei Pink Floyd non potrà esserci mai, almeno con tutti i membri originali. A 65 anni, ieri si è spento Richard Wright, tastierista fin dalla fondazione del gruppo e autore unico, fra le altre, di the great gig in the sky.
Gorbačëv: il video
Difficilmente il metal trova spazio su questo blog, ma stavolta facciamo un’eccezione, non tanto per la musica, quanto per il video. Girato qualche mese fa da Tom Stern per la band russa ANJ, è sufficientemente assurdo da meritarsi una citazione.
L’allegoria di Stalin come zombie e di Gorbačëv come una specie di Conan con tanto di ascia bipenne è già divertente, ma secondo me, le cose migliori sono i manifesti della vecchia propaganda sovietica che, animati, fanno da sfondo al video.
Potete vederlo qui in alta risoluzione
Robot Band
Robot bands are coming. Questi sono The Trons, neozelandesi. Eccoli provare “Sister Robot” (la loro versione di Sister Ray dei Velvet).
Trovo la voce fantastica. Per ora, comunque, abbiamo solo questo video e non è per niente chiaro se si ascoltano e come si sincronizzano oppure come siano controllati. E nemmeno come venga generata la voce. Vedremo.
Riconoscere le canzoni…
… dal primo verso. È l’ultimo meme viaggiante sui blog musicali americani, classici e non. Il vecchio giochino ogni tanto rispunta con qualche variante. In questa, non si devono proporre apposta canzoni difficili, ma devono essere quelle canticchiate in questo periodo.
Ecco i primi versi delle mie. La cosa buffa è che mi rendo conto che alcune le canticchio da anni.
- È una storia da dimenticare
- I was five and she was six
- E se l’amore che avevo non sa più il mio nome (questo non è il primo verso in assoluto; è il primo dell’inciso ed da lì che la canto)
- When I’m lyin’ in my bed at night
- In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità
- It’s a God awful small affair
- Got no time for the corner boys
- Didn’t know what time it was and the lights were low
- I’ll find a place somewhere in the corner
- Pushing thru the market square
- Stranger still in another town
- Dónde estás, caballero gallardo
- So, so you think you can tell
- The killer lives inside me
- There is no pain you are receding (questo non è il primo verso in assoluto; è il primo dell’inciso ed da lì che la canto)
- Goodbye to my Juan, goodbye, Rosalita (idem)
Qualcuna è molto facile, altre no. Vi do qualche giorno, poi metterò un aiutino…
UPDATE
Siete un po’ deludenti. Per facilitarvi le cose, ecco la lista degli esecutori originali in ordine sparso:
Pink Floyd, De André. Fossati, Woody Guthrie, Van Der Graaf, Hammill, Nicolis, Bowie, Tom Waits, Eno, Sonny and Cher.
Beyond The Beat Generation
Se vi interessa una net-radio che trasmette sconosciute ma originali band dei roaring sixties, dal mod all’acid rock, dal merseybeat alla psychedelia, eccola:
In questo momento sta passando Short Yellow, una band californiana, ca. 67, che imitava piuttosto bene i Jefferson Airplane. La cosa incredibile è che mi sembra continuamente di sentire gruppi conosciuti, ma guardando la playlist mi rendo conto di non averne mai sentito nominare nemmeno uno.
OK, finalmente ne è arrivato uno conosciuto: i Quicksilver di John Cipollina.
La canzone più orrenda
Una coppia di artisti concettuali russi (Vitaly Komar e Alex Melamid) ha cercato di determinare, mediante una serie di interviste, quali siano le caratteristiche musicali più odiate in una canzone al fine di comporre il brano più nefando di tutti i tempi. Fra le le cose più citate troviamo le seguenti
The most unwanted music is
- over 25 minutes long,
- veers wildly between loud and quiet sections,
- between fast and slow tempos,
- and features timbres of extremely high and low pitch,
- with each dichotomy presented in abrupt transition.
- The most unwanted orchestra was determined to be large, and features the accordion and bagpipe (which tie at 13% as the most unwanted instrument), banjo, flute, tuba, harp, organ, synthesizer (the only instrument that appears in both the most wanted and most unwanted ensembles).
- An operatic soprano raps and sings atonal music, advertising jingles, political slogans, and “elevator” music, and a children’s choir sings jingles and holiday songs.
- The most unwanted subjects for lyrics are cowboys and holidays, and the most unwanted listening circumstances are involuntary exposure to commercials and elevator music.
Poi, naturalmente, l’hanno composta. Eccovi quindi, di Vitaly Komar e Alex Melamid, The Most Unwanted Song
Secondo gli autori, fatti i debiti calcoli statistici, questo brano dovrebbe essere gradito al massimo a 200 persone al mondo. Per quanto mi riguarda, nel complesso è piuttosto orrendo, però alcuni punti mi piacciono…
Via ArtsJournal
Thiaz Itch
“El baile de los fantasmas” note di copertina:
Questo speciale album dei Thiaz Itch è una raccolta di musiche horror e spaventose del periodo 2005-2007. Mescola dark ambient e beat spettrali, raccontando una storia fantasmagorica e sbalorditiva.
_______________________
This special Thiaz Itch album is a collection of horror and frightening musics from 2005 to 2007. It blends dark ambient and ghostly beats together, recounting a phantasmal stunning story.
About Thiaz Itch:
Born near 1999, half-way between crude-hardcore and infantile naivety, this unstable toon tells the musical stories of his coloured and pixellized universe. By his eclectic influences and his sound research, he intersects marrowy atmospheres and diabolic rhythmics, metal aggressiveness and puerile happiness, for finally producing a musical flow in constant mutation
Across the universe
Nella notte fra lunedì e martedì, a mezzanotte UTC (l’una ora italiana), la NASA ha lanciato via radio Across the universe da una antenna presso Madrid verso la stella polare.
Il tutto per celebrare i 40 anni della canzone (uscita nel 1969 ma composta nel 1968), i 45 anni del NASA’s Deep Space Network e i 50 anni della stessa NASA.
Il brano dei Beatles, principalmente opera di John Lennon, viaggerà alla velocità della luce per 431 anni percorrendo 2.5 quadrilioni di miglia fino a raggiungere Polaris, la stella del nord.
Across the universe, appunto…
Nothing’s gonna change my world
Tanto per restare in tema, oggi hanno sparato a John Lennon.
La lista delle canzoni attribuite a Lennon, con e senza Beatles, è qui.
Grazie a Deezer, possiamo goderci questa playlist del nostro in modo del tutto legale (mi rendo conto sempre di più che Deezer è un passo avanti incredibile per la diffusione della musica in rete, ammesso che lui funzioni e che telecom ci dia una linea decente; in effetti alle 18 sono casini).
Fate doppio click su uno dei titoli se la musica non parte cliccando il play. Come al solito i fortunati possessori di Internet Explorer devono cliccare un paio di volte, una per attivare l’oggetto, l’altra per usarlo (ma perché non vi scaricare un browser decente?).
La cosa interessante delle playlist come questa è che vengono fatte seguendo un ordine che non ha niente a che fare con quello temporale. Dopo aver cercato Beatles su Deezer, ho fatto un pallido tentativo di ottenere una lista ordinata in base alla data, ordinando l’elenco per album.
Per i Beatles, però, è inutile, perché le case discografiche hanno messo in giro una tale quantità di raccolte e antologie che nello stesso disco ti trovi cose temporalmente lontanissime. Così ho abbandonato l’idea e ho preso i pezzi come venivano. Il risultato è che spesso ci sono dei salti temporali che, in un istante, ti buttano in un’atmosfera completamente diversa. D’altronde la non-sequenzialità è post moderna…
______________________
Continuing this obituary theme, 27 years ago John Lennon had been shot.
Thanks to Deezer, we can enjoy this Lennon playlist. A complete list of the songs credited to Jonh Lennon is here.
Please, double click a title in the list if the music don’t start clicking the play button.
Congotronics
Konono N°1 was founded over 25 years ago by Mingiedi, a virtuoso of the likembé (a traditional instrument sometimes called “sanza” or “thumb piano”, consisting of metal rods attached to a resonator). The band’s line-up includes three electric likembés (bass, medium and treble), equipped with hand-made microphones built from magnets salvaged from old car parts, and plugged into amplifiers. There’s also a rhythm section which uses traditional as well as makeshift percussion (pans, pots and car parts), three singers, three dancers and a sound system featuring these famous megaphones.
Konono N°1 is the first volume of Crammed’s new series Congotronics, which is devoted to electrified traditional music from the Congo.
Out now: Congotronics vol.2, entitled Buzz and Rumble in the Urban Jungle, is a CD+DVD featuring no less than six different Kinshasa bands. (audio excerpts below)
______________________
Anche nelle attività creative l’Africa costruisce riciclando la spazzatura del primo mondo.
Konono N°1 è una band formata da musicisti provenienti dall’area di confine fra Congo e Angola. Il loro repertorio attinge largamente alla Bazombo trance music, ma, grazie anche ai loro impianti autocostruiti, hanno sviluppato un stile che, dal punto di vista fonico, sfiora il rock sperimentale e la musica elettronica.
Nella foto a sinistra, per esempio, potete vedere un mixer e un microfono costruiti a mano e quasi totalmente in legno.
In quella a destra, invece, una serie di ikembé elettrificati (uno strumento tradizionale noto anche come sanza e conosciuto da noi nella versione caraibica con il nome di kalimba) nelle versioni bassa, solista e accompagnamento (da sin. a des.).
C’è da scommettere che fra poco, diventeranno di moda.
Dopo il primo CD di Konono N°1, ora esce il secondo, in formato CD+DVD nella serie Congotronics dell’etichetta Crammed/SSR. È una compilation di 6 bands e si intitola Buzz and Rumble in the Urban Jungle.
_________________
Estratti audio / Audio excerpts
Konono N°1 – Lufuala Ndonga (mp3)
Masanka Sankayi (RealAudio)
Basokin (RealAudio)
1/2 Mensch
Gli Einstürzende Neubauten occupano quel territorio di confine in cui confluiscono estetiche legate sia al rock che alla scena rumorista tedesca derivante dalla musica concreta. A differenza di questi ultimi, però, loro tendono ad inserire il materiale concreto in una forma rock, tipicamente con funzioni percussive (su oggetti di metallo e legno) o di drone (usando trapani, fresa e sega a nastro).
Sono fra i fondatori della corrente Industrial che sconvolse la scena musicale europea (e non) all’inizio degli anni 80 con l’utilizzo di strumentazioni atipiche, comprendenti martelli pneumatici, lamiere metalliche, tubi flessibili, compressori e altri elementi capaci di creare un suono alienante, ricco di dissonanze, rappresentativo della moderna civiltà industriale.
Dagli anni 90 in poi, la loro foga distruttiva si è stemperata in brani più lineari.
Devo dire che li preferivo iconoclasti, come in questo estratto di circa 9 minuti dal film Halber Mensch (half humans) di Sogo Ishii.
______________________________
A 9 minutes excerpt from the Sogo Ishii film Halber Mensch (half humans) featuring the Einstürzende Neubauten.
L’oscuro lavoro del bassista
Sometimes someone ask me what a bass player exactly does in a rock band. Some people think the bass plays only a few notes.
Well, I don’t know what today’s bass players do, but I know what they could do. Click the link below to see two videos. In the first there are the Who playing Wont Get Fooled Again. In the second, the bass player only.
__________________________________
Quando, da piccolo, suonavo in una rock band, suonavo il basso. Mi divertivo molto perché il basso è uno strumento che nessuno ascolta e così potevo fare quasi tutto quello che volevo.
Ancora oggi, trovo gente che si chiede cosa faccia esattamente il basso, oltre a quelle poche note che per caso si sentono.
Bene, che cosa faccia nel panorama pop attuale non lo so, ma so cosa dovrebbe fare. Cliccate qui sotto e date un’occhiata. Ci trovate il video di una canzone degli Who dei tempi andati e poi un altro della stessa canzone in cui si vede e si sente solo il basso (va detto che Entwistle era un caso raro; un altro così era Jack Bruce).
L’intera canzone – The whole song
Solo il basso – Bass player only
500 Greatest Songs
Un’altra lista: le 500 migliori canzoni di tutti i tempi secondo la rivista Rolling Stone, con un commento per ogni brano.
Guarda caso, la prima in classifica è Like a rolling stone…
Sempre da Rolling Stones, i 500 migliori album.
_____________________
The 500 Greatest Songs of All Time and the 500 Greatest Albums according to Rolling Stone.
Quarti di tono, sì!
Cosa succede se i tuoi campionamenti vengono suonati a 48K invece che a 44.1?
Ecco cosa succede! Ce lo mostra Van Halen in un concerto registrato a Greensboro, NC, dieci giorni fa.
Sopportate l’intro e ascoltate cosa accade quando il nostro tenta di suonare sul riff…
Da create digital music che ha avuto anche la spudoratezza di piazzarlo nella categoria “alternative tunings”.
Deezer
Segnalato da Tertium Auris
Tanto per smentire il post precedente, piazzo questa segnalazione nella notte che precede l’upgrade day.
Deezer è un simpatico servizio in cui si possono cercare e ascoltare canzoni gratuitamente e legalmente, nonché creare le proprie playlist e condividerle.
L’area è fondamentalmente pop con un po’ di classica. È possibile anche richiedere l’inserimento di brani attualmente non presenti.
La disponibilità pop, comunque, è molto buona e va anche piuttosto indietro nel tempo. Tutto dipende dal grado di notorietà dell’individuo, es. di Robert Wyatt si trova Rock Bottom più due brani sparsi, dei Soft Machine 4 album, dei Genesis quasi tutto.
Il sistema di ricerca, però è idiota: qualsiasi parola si introduca viene cercata in titolo della canzone, band, album. Non ho trovato una ricerca avanzata.
Radiohead Update
Davide e Luca ci fanno gentilmente sapere che In Rainbows, il disco dei Radiohead venduto via internet è in formato MP3, 160 Kbps, senza DRM. In tutto 10 brani per un totale di 48 Mb (zippati)
Grazie.
I download sono iniziati oggi 10/10 (10 brani il 10/10… numerologia?)
Praise Ye The Lord
The Legendary Guitar Amp Tape
On March 15, 1969, The Velvet Underground played its last show of a three-day engagement at The Boston Tea Party in Boston, Massachusetts. The entire set was recorded by a fan directly from Lou Reed’s guitar amplifier. The result is that Lou’s guitar is out in front of everything else. Vocals and bass are nearly inaudible, so the songs become raw blasting instrumentals.
This is one of the most interesting Velvet Underground recordings available and definitively a very special experience…
PLAY LOUD!
The Velvet Underground – Sister Ray (RealAudio)
UPDATE
Sometimes the site is unavailable due to the Geocities band limit. Try later.
I Radiohead saltano il fosso
Da vari giorni, ormai, tutti parlano dell’iniziativa dei Radiohead che hanno deciso di tagliare fuori le major del disco e vendere il nuovo disco, In Rainbows, direttamente dal proprio sito.
Hanno colpito anche le modalità della vendita, con il pubblico chiamato a fare un’offerta libera per la versione digitale del disco.
In breve, i prodotti in vendita sul sito radiohead.com sono due, l’uno fisico, l’altro digitale:
- quello fisico è un lussuoso discbox comprendente due CD e due vinili con materiale inedito. Uno dei CD è un mixed con alcuni brani, immagini e artwork vario. L’acquisto include anche la versione digitale del disco.
Il box è a prezzo fisso: £ 40 (circa € 60) e sarà spedito a partire dal 3 dicembre (si accettano prenotazioni). - Il prodotto digitale, invece, è il nuovo disco senza il materiale extra contenuto nel box. Suppongo che il formato sia MP3, ma ne ignoro la qualità (nulla è riportato sul sito; sarebbe bello poter scaricare anche un formato senza perdita). Soprattutto, però, non si specifica se il formato digitale è affetto da DRM (protezione contro la copia). I download inizieranno il 10 ottobre, ma anche qui si può prenotare.
Il punto interessante di questa seconda opzione, però, è il prezzo: come si dice sul sito, “really, it’s up to you”. Trattasi, cioè, di offerta libera: l’acquirente può offrire un prezzo qualsiasi scrivendolo nelle apposite caselline. Il minimo è nulla (ma se scrivi £ 00.00 finisci in una lunga coda, poi passi; non ho provato ad andare avanti, al limite si può offrire 1 penny + 45 pence di commissione carta di credito).
Non si tratta di una novità: gia la netlabel Magnatune (di cui abbiamo già parlato) e il negozio canadese Sheeba, fanno così (anche se Magnatune ha un’offerta minima di € 4). Quello che è importante, però, è che a farlo sia una delle più famose band del pianeta, il che dà coraggio anche agli altri e se non bastasse, offre alla gente un argomento sensato: “questo significa che vendere un disco a pochi soldi è possibile, quindi, perché dovremmo pagare € 18?”.
In effetti, come riferisce il Times, la notizia, annunciata con 4 righe sul blog della band, ha lasciato attoniti parecchi dirigenti delle major. Sempre secondo il Times, uno di loro ha dichiarato:
Sembra un’altra campana a morto; se la migliore band del mondo vuole andare avanti senza di noi, qual è il futuro del business musicale?
Fra le star, aveva cominciato Prince, vendendo il proprio disco come allegato a un periodico, anche se in cambio di un sostanzioso assegno.
Ora Thom Yorke ricara la dose spiegando la posizione della band con parole educate, ma pesanti (all’inglese):
I like the people at our record company, but the time is at hand when you have to ask why anyone needs one. And, yes, it probably would give us some perverse pleasure to say ‘F___ you’ to this decaying business model.
Trad. mia
Mi piace la gente della nostra compagnia discografica, ma è venuto il momento di chiedersi se qualcuno ha ancora bisogno di loro. E sì, probabilmente c’è anche un certo piacere perverso nel mandare questo decadente modello di business a farsi fottere.
R.E.M. Reloaded
Dopo aver convinto una dozzina di band a risuonare l’intero Ok Computer dei Radiohead a dieci anni dall’uscita, il blog Stereogum ha fatto la stessa cosa per Automatic for the People dei R.E.M., del quale si festeggia il quindicesimo anniversario.
L’ascolto, a fronte dell’originale, è un ottimo test per capire come sia mutato il sound negli ultimi 15 anni.
Il disco, che in questa versione ha assunto il titolo di Drive XV, coinvolge band come Veils, Rogue Wave, Meat Puppets e può essere scaricato liberamente da questa pagina.
Potete ascoltarlo anche da qui grazie al player di Stereogum.
you should see the stereogum.com drive xv player here if you have flash
Devolution
Quando li ho rivisti in YouTube non ho resistito alla tentazione di piazzare qui un video dei primi Devo, gruppo degli anni ’70 che già allora esplorava il concetto di Devolution, dandogli il corretto significato di inversione del processo evolutivo; in soldoni: stiamo tornando alle scimmie.
Eccoli eseguire con fare robotico la loro cover di Satisfaction.
Kronos Quartet & Tom Waits
In September 2003, Kronos teamed up with Tom Waits for a concert at Lincoln Center in New York to benefit the humanitarian organization Healing the Divide, and a live recording of the performance was released on July 10th.
Other performers that night included Philip Glass, Anoushka Shankar, and Foday Musa Suso.
Un’altra esibizione con la stessa formazione
0:00 Way Down In The Hole (Intro by James Hetfield)
5:02 Cold Cold Ground
9:44 Little Drop Of Poison
12:52 The Part You Throw Away
17:30 God’s Away On Business
21:03 Day After Tomorrow
26:48 What Keeps Mankind Alive
29:58 Diamond In Your Mind
Tom Waits – Vocals, Guitar, Organ David Harrington – Violin, John Sherba – Violin, Hank Dutt – Viola, Jeffrey Zeigler – Cello, Larry Taylor – Upright Bass
Performed at The Shoreline Amphitheatre, Mountain View, California, United States
Ancora Procol Harum
Tanto per continuare a parlare dei Procol Harum (una delle mie band preferite quando ero piccolo; la presenza contemporanea del piano e dell’organo era una grande idea), ascoltate un po’ questa canzone (Pilgrim’s Progress). Se orecchiate l’armonia (per i meno addetti, seguite la parte dell’organo), noterete che è praticamente identica alla più famosa Whiter Shade of Pale.
Al gruppo è stato dedicato l’asteroide 14024 scoperto nel 1986.
Procol Harum again (a favorite band when I was a boy).
Listen to this song (the first) called Pilgrim’s Progress, from a German TV show, about 1972.
You’ll see that the harmony is very closed to the famous Whiter Shade of Pale.
A Salty Dog
Una delle più belle progressioni armoniche nella storia del pop (1969).
“All hands on deck! We’ve run afloat!”
I heard the captain cry
“Explore the ship! Replace the cook!
Let no one leave alive!”
Across the straits, around the horn
How far can sailors fly?
A twisted path, our tortured course
And no one left alive
We sailed for parts unknown to man
Where ships come home to die
No lofty peak, nor fortress bold
Could match our captain’s eye
Upon the seventh sea-sick day
We made our port of call
A sand so white, and sea so blue
No mortal place at all
We fired the guns and burned the mast
And rowed from ship to shore
The captain cried, we sailors wept
Our tears were tears of joy
Now many moons and many Junes
Have passed since we made land
Salty Dog, the seaman’s log
Your witness in my own hand
[NB; a salty dog, lett. un cane salato, è l’espressione inglese per un lupo di mare]
Ruby Tuesday
AnteScriptum per te: niente paura, non sono triste; me la sto solo tirando un po’
Ho sempre amato le canzoni lente dei Rolling Stones perché chi ha davvero dentro il rock ha dentro anche una buona dose di malinconia…
E fra tutte ho sempre amato Ruby Tuesday, dal testo all’apparenza sciocchino, ma con quel bel verso “While the sun is bright Or in the darkest night No-one knows She comes and goes” e il finale dell’inciso “Still I’m gonna miss you”.
Adesso su absonderpop trovo questo post in cui sono raccolte molte (tutte?) le versioni di questo brano: dall’originale degli Stones fino a questa bella interpretazione di Melanie Safka (ascoltatela!), passando anche per una versione jazzata by Sex Mob.
Ascoltandole, forse noterete che, a parte l’originale, questa canzone viene meglio alle donne che agli uomini (my opinion), a parte Julian Lennon che a tratti riesce quasi ad assomigliare a suo padre e dell’originale mantiene sia la rullata che la parte di flauto dolce che fu di Brian Jones.
So che, dati i miei gusti musicali, dovrebbe piacermi quella di Battiato, ma non ci riesco: se la tira troppo. È solo una canzone, maledizione!
1 giugno 1967
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band compie 40 anni. L’album venne messo in vendita in Gran Bretagna il 1 giugno 1967 e in America il giorno seguente, dopo un periodo di registrazione durato ben 129 giorni nello studio 2 della Emi equipaggiato con 2 Studer a 4 piste, equipaggiamento notevole per quei tempi, ma che appare assolutamente ridicolo oggi.
Oltre a una incredibile quantità di innovazioni artistiche e stilistiche, con questo album i Beatles (ma anche George Martin, produttore e Geoff Emerick, sound engineer) portarono molte novità tecniche. Dall’uso di wah-wah e fuzzbox, nuovo per i Beatles ma non in assoluto, a voci e strumenti passati attraverso al leslie, fino al direct input del basso. collegato direttamente al mixer invece che a un amplificatore con relativo microfono e all’utilizzazione del Dolby in registrazione per ridurre il rumore di fondo generato dal bouncing (il pre-mixer delle 4 piste di un registratore su una dell’altro per aumentare in numero delle sovraincisioni).
Altri effetti usati per la prima volta in questo album sono l’automatic double tracking (ADT), un sistema inventato nel 1965 dal tecnico Emi Ken Townshend, che produce automaticamente uno sdoppiamento (doubling) del suono con alcuni millisecondi di ritardo e il varispeed che consiste nel registrare varie piste a velocità leggermente diverse (si sente bene sul backing voice di Lucy in the Sky with Diamonds).
Infine, l’album originale (ovvero, non in edizione americana) finisce con alcuni secondi di un tono a 15 kilohertz, suggerito da Lennon e secondo le sue parole, “especially intended to annoy your dog”, che portava la gente a chiedersi perché al termine del disco il cane abbaiasse sempre, seguito da un loop senza fine di voci, risate e vari rumori che venne spesso interpretato come un messaggio segreto. In realtà, anche ad una attenta analisi, l’unica frase che si distingue è quella di una voce accelerata che dice “never could see any other way”.
Il collage in copertina venne ideato dall’art director Robert Fraser, un artista inglese di una certa rilevanza negli anni ’60, e progettato dall’artista pop Sir Peter Thomas Blake (per sole 200 sterline). Dalla lista originale di 65 personaggi (+ 2 * 4 Beatles), vennero poi epurati: Cristo (la dichiarazione di Lennon sulla popolarità dei Beatles superiore a quella di Cristo aveva già prodotto abbastanza guai), Gandhi, per non avere noie con il mercato indiano e il comico Leo Gorcey che aveva chiesto £ 500 per l’uso della sua immagine. Anche Adolf Hitler era presente in alcune immagini, ma venne coperto nella foto finale, spostandolo dietro le immagini dei Beatles. La lista completa dei personaggi, tratta da wikipedia, è (dall’alto al basso)
Top row:
- Sri Yukteswar Giri (guru)
- Aleister Crowley (occultist)
- Mae West (actress)
- Lenny Bruce (comedian)
- Karlheinz Stockhausen (composer)
- W. C. Fields (comedian/actor)
- Carl Gustav Jung (psychologist)
- Edgar Allan Poe (writer)
- Fred Astaire (actor/dancer)
- Richard Merkin (artist)
- The Vargas Girl (by artist Alberto Vargas)
- Leo Gorcey (actor) (removed)
- Huntz Hall (actor)
- Simon Rodia (designer and builder of the Watts Towers)
- Bob Dylan (singer/songwriter)
Second row:
- Aubrey Beardsley (illustrator)
- Sir Robert Peel (British Prime Minister)
- Aldous Huxley (writer)
- Dylan Thomas (poet)
- Terry Southern (writer)
- Dion (singer)
- Tony Curtis (actor)
- Wallace Berman (artist)
- Tommy Handley (comic)
- Marilyn Monroe (actress)
- William S. Burroughs (writer)
- Sri Mahavatar Babaji (guru)
- Stan Laurel (comedian/actor)
- Richard Lindner (artist)
- Oliver Hardy (comedian/actor)
- Karl Marx (political philosopher)
- H.G. Wells (writer)
- Sri Paramahansa Yogananda (guru)
- Sigmund Freud (psychologist) – barely visible below Bob Dylan
- Anonymous (wax hairdresser’s dummy)
Third row:
- Stuart Sutcliffe (artist/former Beatle)
- Anonymous (wax hairdresser’s dummy)
- Max Miller (comedian)
- The Petty Girl (by Artist George Petty)
- Marlon Brando (actor)
- Tom Mix (actor)
- Oscar Wilde (writer)
- Tyrone Power (actor)
- Larry Bell (artist)
- Dr. David Livingstone (missionary/explorer)
- Johnny Weissmuller (swimmer/actor)
- Stephen Crane (writer) – barely visible between the hand above Paul McCartney’s head, and the next head to the right
- James Dean (actor) – right above the wax Mccartney’s head
- Issy Bonn (comedian) – his hand is above McCartney’s head
- George Bernard Shaw (playwright)
- H.C. Westermann (sculptor)
- Albert Stubbins (soccer Player)
- Sri Lahiri Mahasaya (guru)
- Lewis Carroll (writer)
- T.E. Lawrence (“Lawrence of Arabia“)
Front row:
- Wax model – Sonny Liston (boxer)
- The Petty Girl (by George Petty)
- Wax model – George Harrison
- Wax model- John Lennon
- Shirley Temple (actress and diplomat)
- Wax model – Ringo Starr
- Wax model – Paul McCartney
- Albert Einstein (physicist)
- John Lennon
- Ringo Starr
- Paul McCartney
- George Harrison
- Bobby Breen (singer)
- Marlene Dietrich (actress/singer)
- Gandhi (Indian Leader) (removed)
- Tin Tan (Mexican Actor) (Changed )
- Legionnaire from the Order of the Buffalos
- Diana Dors (actress)
Cliccate qui per una immagine più grande, mentre qui trovate una immagine numerata.
Il lento stillicidio del diventare vecchi
Time – Goddamn, you’re looking old
You’ll freeze and catch a cold
‘Cause you’ve left your coat behind
Take your time
Breaking up is hard, but keeping dark is hateful
I had so many dreams, I had so many breakthroughs
But you, my love, were kind, but love has left you dreamless
The door to dreams was closed. Your park was real and greenless
Perhaps you’re smiling now, smiling through this darkness
But all I had to give was the guilt for dreaming
We should be on by now
Atti convegno su rock britannico
Here you can download the Proceedings of the International Conference “Composition and Experimentation in British Rock 1966-1976” held in Cremona, Italy, 2005.
There are very interesting lectures by reaserchers and musicians. Here is the index in english.
Da questo sito dell’Università di Pavia si possono scaricare gli atti del convegno “Composizione e sperimentazione nel rock britannico:1966-1976”, tenutosi a Cremona nell’ottobre 2005.
Alcuni interventi sono molto interessanti. Ecco l’indice in italiano:
Introduzione
Gianmario Borio / Serena Facci, Quarant’anni dopo… Una musicologia pluralistica per il rock britannico
Il paesaggio culturale
John Covach, L’estetica hippie: posizionamento culturale e ambizioni musicali nel primo progressive rock
Franco Fabbri, “Non al primo ascolto.” Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967
Veniero Rizzardi, Il rock e l’autocritica del compositoreNuovi strumenti e nuove tecnologie
Christophe Pirenne, Romanticismo vs economia: le tecnologie e lo sviluppo del progressive rock
Lelio Camilleri, Loop, trasformazioni e spazio sonoro
Laura Leante, Aspetti multimediali dell’esibizione concertisticaTecniche compositive
Mark Spicer, Foxtrot dei Genesis
Allan Moore, Octopus dei Gentle Giant
Vincenzo Caporaletti, Third dei Soft MachinePoesia e canto
Dai Griffiths, Musica memorabile, parole trascurabili? I dilemmi della canzone del progressive rock inglese tra underground e mainstream, circa 1972
Roberto Agostini / Luca Marconi, Voce, melodia e parole nel primo progressive rock ingleseWorkshop: Le procedure compositive nei gruppi progressive rock
Chris Cutler (Henry Cow)
Hugh Hopper (Soft Machine)
Toni Pagliuca (ex Orme)Tavola rotonda: Le procedure compositive all’incrocio tra i generi
Mario Garuti, Come angeli annoiati
Maurizio Pisati, Insegnare e segnare utopie
Nicola Sani
Goto80
Divertiamoci un po’.
Da 10 anni, Goto80 fa 8 bit music, ovvero musica eseguita da un paio di oscillatori e un noise generator tipo Commodore64.
È una tendenza anti tecnologica a metà, lo-fi e anti-colta che mette in discussione una hi-fi imperante che serve solo a riprodurre band sempre più uguali a se stesse e con sempre meno cose da dire.
E se Barking at the Wrong Dog (trad: abbaiando al cane sbagliato, un titolo da segnarsi) ti ributta nell’atmosfera dei videogames C64, Love Crime fa il verso ai Kraftwerk seconda maniera.
A piccole dosi, mi piace.
The Musical Box
“C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”
[W. Benjamin “Tesi sul concetto di storia” (1940) Einaudi, Torino 1997, pp. 35-7]
Sono rimasto quasi sconvolto nell’apprendere dell’esistenza di The Musical Box, una band canadese che riproduce i Genesis
fedelmente, dai vestiti agli strumenti (uno prestato direttamente da Rutherford), dalle scenografie alle luci, non tralasciando nemmeno le mosse e i discorsi tra una canzone e l’altra di Peter Gabriel.
Quando nel 73 sono venuti in Italia, il cantante dei Genesis HA DETTO le cose che ieri sera il cantante dei Musical Box ha ripetuto fedelmente, accenti, toni, errori grammaticali in italiano compresi.
Perché sconvolto?
Perché questa tendenza mi sembra esattamente quella che si è prodotta nella seconda metà dell’800 e ha segnato il passaggio dalla musica tout court alla musica classica:
Così cominciò anche ad emergere l’idea di musica classica; l’idea, cioè, che la musica di alcuni compositori del passato avesse un valore trascendente, che non fosse mero entertainment e quindi che dovesse essere ascoltata con grande attenzione e che dovesse essere eseguita esattamente com’era stata scritta.
E naturalmente anche i compositori del’800 cominciarono ad aspirare a scrivere musica del genere. Una musica che esprimesse sentimenti superiori, non un semplice divertimento. Una musica che li rendesse immortali, anche. E per il romanticismo, così pieno di nostalgia, di grandi ideali e di spinta verso l’assoluto, una concezione del genere era perfetta.
Citato in questo mio post
Detto da uno che insegna in una scuola chiamata Conservatorio, può far ridere (anche se insegno musica elettronica). Ma il fatto che una cosa del genere si palesi anche nella musica “pop” è un indice di decadenza assoluta. Attenzione: non si tratta solo di incapacità di innovare restando all’altezza del passato, ma anche di consapevolezza della propria incapacità di innovare. In altre parole, di resa.
Esattamente la stessa resa che si è manifestata in altre arti, per esempio con i pittori neo-rinascimentali, oppure, in architettura, qui da noi, con cose come la ricostruzione fedele del Teatro La Fenice a Venezia.
Perché, ragazzi miei, quando nel ‘700 crollava una chiesa che magari era lì da qualche secolo, pochi avrebbero pensato di ricostruirla uguale. Si sarebbe detto, invece, adesso la ricostruiremo nuova e più bella di prima, esprimendo fiducia nelle proprie capacità creative.
Con questo non dico che bisogna stendere una bella gittata di cemento sul passato (roll over Beethoven). Il passato va conservato, però il rifarlo uguale è indice della nascita di un culto (in senso culturale), anche perché dei Genesis di allora esistono dischi, filmati, registrazioni. Nulla è andato perso. Non è come il caso della musica classica di cui non abbiamo esecuzioni originali e ogni nuova esecuzione è un’interpretazione e un unicum.
Qui è peggio, perché non c’è interpretazione. Perché, notate bene, senza queste testimonianze tecniche (dischi, filmati), The Musical Box non potrebbe riprodurre pari pari, non solo la musica, ma anche l’evento (i costumi, le mosse, i discorsi, gli errori).
È la resa della creatività. È la chiusura del cerchio di Benjamin: l’opera d’arte, riprodotta tecnicamente, perde il suo status di unicità, per dirla con Benjamin, la sua “aura”. Ed ecco che proprio questa riproduzione tecnica viene usata da qualcuno al fine di riprodurre, fino ai particolari più secondari, quell’opera d’arte. Ma l’aura non può essere riconquistata.
Notate ancora una volta la differenza con la musica classica. Quando ascolto Michelangeli che esegue Beethoven, io, in cuor mio, non ascolto Beethoven, ascolto Michelangeli. In realtà, per me, Michelangeli non è Beethoven. Beethoven è la partitura, non l’interpretazione. Nella musica classica il messaggio viene trasmesso attraverso la partitura, non attraverso l’esecuzione perché ogni esecuzione è una interpretazione e la mia può essere diversa dalla tua. Così, anche quando sento per la prima volta un brano contemporaneo che mi piace, la prima cosa che penso è di vedere la partitura perché solo così posso capirlo e farlo mio.
Ma qui non è così. Qui ricadiamo nel caso della Fenice ricostruita. Il concerto di The Musical Box non è il concerto dei Genesis, è solo un tentativo di riconquistarne l’aura. E così è solo una pallida illusione, un simulacro dickiano.
Qualche volta si fa festa, altre volte c’è carestia: in mezzo il nulla.
Su Repubblica del 10 novembre 2006, in occasione della presentazione di “Brawlers, bawlers and bastards”, il nuovo triplo cd, era uscita un’intervista con Tom Waits breve, ma così bella che non riesco a resistere alla tentazione di riportarla.
Tom parla nel modo che mi è sempre piaciuto: facendo poesia (la descrizione finale della vita è grandiosa). Una cosa che riesce a pochissime persone (uno grandioso in questo era William Burroughs).
In ogni caso riconosco che la proprietà dell’intervista è di Repubblica e dell’autore, Giuseppe Videtti. Mi impegno fin d’ora a toglierla dietro semplice richiesta via mail.
Pensate però che questa vostra bella pagina ormai è finita nel dimenticatoio perché, come dicevano i Rolling Stones, “who wants yesterday’s papers?”. Così, almeno, un po’ di gente la legge di nuovo…
Ecco l’intervista. Godetevela ascoltando Bottom of the world, il brano diffuso in internet come trailer del disco.
Lei dice di scrivere canzoni che, a volte, non vogliono essere cantate.
“Incidere una canzone è come catturare un passero: devi farlo senza rischiare di ucciderlo. A volte per la fretta di trasferire una canzone su disco ti resta in mano con un pugno di piume, e il passero, cioè la canzone, è volato via”.
Quando capisce che è il momento di cantare questa o quella canzone?
“Le canzoni hanno una loro gestazione, alcune hanno urgenza di essere diffuse, altre vogliono restare nell’ombra e continuare a cambiare col tempo. La canzone ha una tradizione millenaria, l’industria discografica, al contrario, ha appena cent’anni di vita. Per secoli le canzoni sono state tramandate oralmente. Nessuno può assicurarci che i brani “popolari” sono giunti a noi nel modo in cui furono scritti in origine”.
Qual è stata la prima volta che una canzone le ha attraversato la mente e le ha fatto desiderare di essere un cantautore.
“Quando mio padre mi cantava le arie messicane accompagnandosi con la chitarra. Dovevo avere 4 anni, non di più. Poi arrivò Harry Belafonte e fu amore al primo ascolto. Anch’io sono sempre stato attratto da culture “altre”, la mia musica nasce dalla lotta d’influenze inconciliabili fra loro. Mi piacciono Judy Garland e Black Flag, Frank Sinatra e Sex Pistols, mariachi, rumba, bossa nova…”.
E tango…
“Molto tango… una volta alla radio si ascoltava di tutto, quella è stata la mia scuola. Non ero io che scoprivo la musica, erano quelle canzoni che mi cercavano. Da adolescente ascoltavo il leggendario dj Wolfman Jack, fu lui a spalancarmi gli occhi sulla black music, poi finii in una scuola superiore frequentata in massima parte da neri, e allora scattò la scintilla per James Brown e tutta la musica nera. Che bei tempi, quanti talenti. Oggi l’industria è piena di bugiardi e disonesti. Cercano di convincere il primo venuto che sarà il prossimo Elvis, questo è l’inganno; poi se non vende subito lo buttano via come un barbone, anche se è un genio”.
Com’era l’industria quando lei esordì, negli anni 70?
“C’erano sciacalli e pescecani, come oggi, ma anche a personaggi naïf come me veniva offerta una chance”.
Vuol dire che aveva una dose sufficiente di creatività?
“Creatività? Sì, e molti desideri e sogni, ma ero anche giovane e stupido. E molto fragile, e a qualcuno questa mia fragilità piacque, e decise di proteggermi facendomi incidere un disco. Ma a quel punto ebbi bisogno di un manager e, come succede a tutti, fui frodato”.
A lei fu data la possibilità di continuare a incidere.
“Ognuno vive il suo tempo, io esordii in un periodo in cui l’industria cercava di fertilizzare le uova che aveva nel pollaio. Oggi iPod, Mp3 e Internet hanno atrofizzato l’interesse del pubblico, anche gli artisti hanno perso quel senso d’avventura che ci spingeva a sperimentare. Quel che mi consola è che, nonostante tutto, c’è ancora voglia di suonare dal vivo; la musica continua a essere un bisogno primario”.
Non c’è da essere pessimisti con 33 anni di carriera come la sua.
“Ogni cosa ha il suo prezzo. Fin dall’inizio sapevo che non volevo arrivare a 24 anni e odiare la musica, sapevo che c’erano meccanismi che non mi piacevano e un certo tipo di pop che non avrei mai voluto fare. La mia longevità ha a che fare con una sorta d’integrità che, ovviamente, ha richiesto dei sacrifici economici. Sa come va la storia, no? La tua foto sui giornali diventa sempre più piccola, le recensioni dei tuoi dischi sempre più brevi. Ma è ok, non ho mai pensato di diventare come Beatles e Rolling Stones”.
Che successe nel 1983, quando con Swordfishtrombones diede un taglio netto al passato?
“Mia moglie e io volevamo produrci il disco da soli, sapevamo che era un album diverso, ma tutti volevano che io rimanessi lo stesso, neanche fossi la ricetta di un soft drink. Mi trattavano come una 7Up, io invece ero alla ricerca di qualcosa che non riuscivo a trovare dentro di me. Kathleen diceva: “I tuoi dischi suonano come se avessi sul viso una maschera”, voleva che somigliassi di più a me stesso”.
Cosa la colpì di Kathleen all’inizio, la donna o l’artista?
“La donna. Se non ci fosse stato amore non saremmo ancora insieme dopo 26 anni. E mi creda, collaborare con qualcuno che ami è la cosa più bella. Noi due siamo come la ciurma di una nave, devi saper cucinare, riparare, rammendare, governare, nuotare. La nostra è una grande cucina”.
Sua moglie dice di lei che è l’uomo più testardo che abbia mai conosciuto.
“È vero, è difficile farmi cambiare idea, anche se la paternità mi ha fatto diventare più… malleabile. Il vero matrimonio indissolubile è quello con i figli (io ne ho tre, il più grande suona con la mia band), da loro non puoi divorziare. Riesco a mantenere la calma anche quando mi chiedono: “Hey pa’, puoi trovarmi un paio di biglietti per il concerto dei Red Hot Chili Peppers?””.
Come scorre la sua vita in mezzo a tutto questo silenzio?
“Diversa ogni giorno. È come stare sulla torre di controllo di un aeroporto: momenti di noia mortale, momenti di terrore assoluto. A volte la barca è piena di pesci, a volte sei in cerca della tua fede nuziale in fondo all’oceano, a volte il vento soffia così forte che quasi ti strappa la pelle dal viso, a volte sorseggi un limonata sul bordo della piscina. Qualche volte si fa festa, altre volte c’è carestia: in mezzo il nulla. A volte, come diciamo noi americani per dire che diluvia, piovono cani e gatti, altre volte anche tori, mucche e topi. E qualche volta la mia vita galleggia su un petalo di giglio”.
Pop (?) music that I loved (6)
Rock Bottom è il primo disco di Wyatt dopo l’incidente del 1973 che lo sbatte su una sedia a rotelle per il resto della vita.
Al di là del risvolto umano, è un bel lavoro con musicisti di eccezione che fonde vena melodica e vocalismo sperimentale, il tutto contornato da accenti vagamente jazz che si mescolano con il sound di Canterbury (sebbene questa definizione sia stata sempre negata e al limite odiata dai musicisti, ormai identifica una certa scena musicale).
Robert Wyatt – from Rock Bottom (1974), Alifib/Alife
Personnel
- Robert Wyatt, vocals, keyboards, percussion, guitar
Richard Sinclair, bass
Hugh Hopper, bass
Laurie Allan, drums
Mongezi Feza, trumpet
Ivor Cutler, voice, baritone concertina
Gary Windo, bass clarinet, tenor sax
Fred Frith, viola
Mike Oldfield, guitar
Alfreda Benge, voice
Pop (?) music that I loved (5)
Gone To Earth (1986).
Le melodie di Sylvian sono abbastanza sghembe da piacermi, le trombe di Beckett e Wheeler tirano linee angolate su una base abbastanza liquida…
Insomma, godibile e suggestivo (anche se non capisco come fanno certe recensioni a parlare di capolavoro; secondo me il 99% delle recensioni di “pop” music sovrastima ampiamente il proprio oggetto e i recensori dovrebbero darsi una bella regolata).
David Sylvian – from Gone To Earth (1986),
Before The Bullfight
Personnel
-
David Sylvian: vocals, guitar, keyboards
Harry Beckett: flugelhorn
B.J. Cole: steel guitar
Mel Collins: soprano saxophone
Robert Fripp: guitar
Steve Jansen: percussion, drums
Ian Maidman: bass
Bill Nelson: electric and acoustic guitars
Steve Nye: percussion
Phil Palmer: acoustic guitar
John Taylor: piano
Kenny Wheeler: flugelhorn
Silent Night
Questa mi era sfuggita.
Sarà melensa, ma sentirla cantata da Tom Waits è un’altra cosa.
Pop (?) music that I loved (4)
Una delle canzoni più romantiche…
…che abbia mai sentito questa “This Is A Rebel Song” di Sinead O’Connor.
Qualcuno potrà obiettare che è anche una delle più melense (= spudoratamente sentimentali), ma non è vero. In realtà questa è davvero una canzone ribelle e di grande coraggio perché ai tempi in cui l’Ulster era in fiamme, un amore fra una ragazza irlandese e un soldato inglese era una cosa di cui non si poteva parlare.
I love you my hard englishman
Your rage is like a fist in my womb
Can’t you forgive what you think I’ve done
And love me, I’m your woman
And I desire you my hard englishman
And there is no more natural thing
So why should I not get loving
Don’t be cold englishman
how come you never said you love me
in all the time you’ve known me
how come you never say you’re sorry
i do
Oh please talk to me englishman
What good will shutting me out get done
Meanwhile crazies are killing our sons
Oh listen, englishman
I’ve honored you hard englishman
Now I am calling your heart to my own
Oh let glorious love be done
Be truthful englishman
African Autobahn
Sebbene Athletic Automaton di solito non mi entusiasmi, devo ammettere che trovo questo brano, tratto da “5 Days In Africa”, piuttosto accattivante.
Guitar & Lap Steel Guitar: Stephen Mattos
Originally from Providence, Rhode Island; an ex-member of Arab on Radar
Percussion: Patrick Crump
Originally from Kansas City, Missouri: an ex-member of Pellum 1-2-3 and Saturday Night Palsy
Athletic Automaton – African Autobahn
Yellow Submarine
Hi, hi…..
The Beatles cartoon Yellow Submarine is on Internet Archive. The whole!! (1h25m).
Download: click here, then right click the film and select “Save link as…”
C’è Yellow Submarine su Internet Archive. Tutto!! (1h25m).
Presto, prima che se ne accorgano…
Tomorrow Never Knows
Erano molti anni che non vedevo queste immagini dei Beatles fotografate ed elaborate da Richard Avedon nel 1967, quando me le sono trovate davanti in un sito (che peraltro vende manifesti non musica).
Così ho pensato di invitarvi a riascoltare quella che considero una delle canzoni più sperimentali che i Beatles abbiano mai scritto. E non è A Day in the Life e nemmeno Revolution #9, ma Tomorrow Never Knows, il brano che chiude l’album Revolver del 1966.
Ci sono decine di loops che entrano ed escono di continuo. E sono loops veri, fatti tagliando e misurando il nastro. La leggenda racconta che Paul arrivò allo studio portandosi i nastri in un sacchetto di plastica e che furono caricati su una serie di registratori piazzati qui e la nello studio, tutti collegati a un mixer che permetteva di controllarli.
Qui trovate l’analisi di Alan W. Pollack.
The Beatles – Tomorrow Never Knows (1966)
Illegal Art
L’organizzazione Illegal Art pubblica, nella sua sezione audio, un nuovo album totamente illegale in quanto i pezzi sono quasi totalmente composti di campionamenti per cui non sono stati pagati i diritti.
Aderiscono all’iniziativa gruppi più o meno noti, fra cui Public Enemy, Beastie Boys, JAMs, Elastica, Verve, Xper.Xr.
Trovate l’intero album, qui.
Io vi posto un simpatico frammento di De La Soul, “Transmitting live from Mars”, materia di scontro con i Turtles (quelli di Happy Together), ma non perdetevi They Aren’t the World dei Culturcide, cattivissima e stonatissima risposta ai We Are the World di natalizia memoria.
Pop (?) music that I loved (3)
Dylan non canta, abbaia.
Con questo statement mi sono attirato le ire di parecchi dylaniani. Nessuno ha capito che il mio era un apprezzamento.
Perché mi piace Dylan quando abbaia, ve lo spiegherò con una canzone di Woody Guthrie. Quello che sulla chitarra aveva scritto “questa macchina ammazza i fascisti”.
Si intitola Deportee (Plane Wreck at Los Gatos). È stata scritta nel 1948 e parla di quando gli americani riempivano di messicani qualche aereo residuato bellico (tipicamente i vecchi bimotori dakota) e li portavano a lavorare negli USA per poi riportarli indietro. Non li volevano come immigrati, ma solo come braccianti a basso costo. E poi, ogni tanto, uno di questi aerei cadeva e allora il New York Times riportava solo i nomi del pilota e dei 3 americani che erano a bordo, perché gli altri 28 morti, lavoratori messicani, erano soltanto dei deportati.
Questa canzone, resa famosa da Pete Seeger, esiste in moltissime versioni, tutte più o meno nello stile del country e/o western. Questa, per esempio, è di Arlo Guthrie, nello stile canonico.
La canzone viaggia. Arriva nelle mani di un quartetto d’eccezione nell’area country: Johnny Cash, Kris Kristofferson, Waylon Jennings, Willie Nelson (scusate l’interruzione brutale alla fine; il file era danneggiato) che ne danno una versione struggente e dondolante, come l’andare a cavallo.
Ai tempi di Easy Rider, poi, passa fra le dita dei Byrds e arrivano le frasettine bottleneck e le chitarre sono più libere. Tira aria di California, ma l’insieme è sempre maledettamente educato; i 3/4 ben scanditi.
La cantano anche Nancy Griffith & Lucinda Williams con contorno di amici vari: voci fra Joan Baez e Peter, Paul & Mary. Il country diventa folk, malinconico, ma gentile.
Anche Billy Bragg, pur essendo un cantautore della classe operaia (e per di più inglese) non è molto più arrabbiato. Non si sfugge alla tradizione.
Le cose cambiano un po’ con il Boss. Springsteen ha una voce leggendaria e qui si mangia ritmo e strofe, un po’ come fa con un altra canzone di Guthrie, This Land is your Land. La testimonianza di una memoria con uno stile ormai lontano dal country e anche dal folk, un modo per parlare del presente ricordando il passato.
Ma in un certo momento del 1976, Dylan la esegue ad un festival con Joan Baez. Lei cantava spesso questa canzone, con la sua bella voce impostata. Bella occasione per un duetto.
Però da subito si trova a correre disperatamente dietro a Dylan, che si accompagna malamente con la chitarra andando al 50% più veloce del normale e dal primo inciso in poi, abbaia il testo senza un attimo di respiro, annullando quasi del tutto le pause fra le strofe come solo lui e Mick Jagger sapevano fare. Ed è una corsa da brivido in cui le parole non sono più gentili, ma ti arrivano addosso come sassate, perché la rabbia è rabbia e si deve sentire.
Noi siamo morti sulle vostre colline e nei vostri deserti. Siamo morti nelle vostre valli e nelle vostre pianure. Siamo morti sotto i vostri alberi e nelle vostre foreste. Di qui e di la del fiume, siamo morti nello stesso modo.
Mi piace Bob Dylan quando abbaia…
The crops are all in and the peaches are rott’ning, The oranges piled in their creosote dumps; They’re flying ’em back to the Mexican border To pay all their money to wade back again
Goodbye to my Juan, goodbye, Rosalita, Adios mis amigos, Jesus y Maria; You won’t have your names when you ride the big airplane, All they will call you will be “deportees”
My father’s own father, he waded that river, They took all the money he made in his life; My brothers and sisters come working the fruit trees, And they rode the truck till they took down and died.
Some of us are illegal, and some are not wanted, Our work contract’s out and we have to move on; Six hundred miles to that Mexican border, They chase us like outlaws, like rustlers, like thieves.
The sky plane caught fire over Los Gatos Canyon, A fireball of lightning, and shook all our hills, Who are all these friends, all scattered like dry leaves? The radio says, “They are just deportees”
We died in your hills, we died in your deserts, We died in your valleys and died on your plains. We died ‘neath your trees and we died in your bushes, Both sides of the river, we died just the same.
Is this the best way we can grow our big orchards? Is this the best way we can grow our good fruit? To fall like dry leaves to rot on my topsoil And be called by no name except “deportees”?
Henry Cow, again
Da non perdere questa “Nine Funerals of the Citizen King” di Henry Cow che mostra che l’intelligenza e la sensibilità musicale travalicano i generi.
“Nine Funerals of the Citizen King” by Henry Cow showing that artistic flair and creativity run through the walls of different kinds of music.
Games without frontiers
Una vecchia canzone di Peter Gabriel in un famoso remix di Massive Attack.
Un bel testo pieno di doppi sensi:
Hans gioca con Lotte, Lotte gioca con Jane
Jane gioca con Willi, Willi è di nuovo felice
Suki gioca con Leo, Sacha gioca con Britt,
Adolf fa un falò, Enrico ci gioca.
Fischiettando melodie ci nascondiamo fra le dune lungo la spiaggia
Fischiettando melodie baciamo babbuini nella giungla
È un successo
Se gli sguardi potessero uccidere, probabilmente lo farebbero
in Giochi senza frontiere, guerra senza lacrime.
An old and loved Peter Gabriel’s song in a Massive Attack remix.
Good lyrics full of double meanings
Pop (?) music that I loved (2)
Allora, finché qualcuno non mi indicherà un modo formale per distinguere il pop dal resto, andrò avanti con questo titolo.
1971. Robert Wyatt lascia i Soft Machine (altro gruppo che farà parte di questa serie) e forma i Matching Mole, che da un lato significa “le talpe combattenti” e dall’altro è una storpiatura in francese del nome della precedente band (machine molle).
-
- Formazione
Robert Wyatt – drums, voice, mellotron
Phil Miller – guitar
Dave McRae – electric piano, organ
Bill McCormick – bass
David Sinclair – piano, organ
Intellettuali, comunisti, un pizzico di dadaismo. Interessanti trovate armoniche e vocalismi che Wyatt interpreta nel suo personalissimo modo, come un canticchiare sotto la doccia.
Qui abbiamo un pezzo che parla di sè stesso. Si intitola Signed Curtain. Il testo è quasi meta-musicale:
seguitelo insieme alla musica.
This is the first verse The first verse And this is the chorus Or perhaps is a bridge Or just another part Of the song that I am singingThis is the second verse Could be the last verse The second verse Probably the last verse And this is the chorus Or perhaps is a bridge Or just another key changeNever mind It doesn’t hurt And only means that I Lost faith in this song ‘Cause it won’t help me reach you… |
Questo è il primo verso Il primo verso E questo è il ritornello O forse un ponte O un’altra parte Della canzone che sto cantandoQuesto è il secondo verso E potrebbe essere l’ultimo È il secondo verso Probabilmente l’ultimo E questo è il ritornello O forse un ponte O solo un’altra modulazioneNon importa Non fa male Significa solo che Ho perso fiducia in questa canzone Perché non mi aiuta a raggiungerti… |
Dubliners
No, non sono impazzito.
Mi sono sempre piaciuti i Dubliners. Fanno tanto pub, ma anche erba sotto i piedi e pioggia sopra la testa…
No, I’m not gone crazy.
I always loved the Dubliners. Feel like in a pub, or with your foot on the grass and rain over you…
Ancora su Dowland – Sting
Alla fine, discutendo via mail con un amico, ho chiarito anche a me stesso la mia opinione su questo affaire Dowland – Sting e ve la posto, non perché sia, come dicono in america, “autoritativa”, ma per sapere cosa ne pensate.
Allora, secondo me il problema è se questo è un disco pop o no, cioè, che tipo di operazione fa Sting.
Quando un tot di anni fa, Emerson, Lake & Palmer facevano Pictures at an Exibition, non c’erano dubbi: quello era un disco pop (peraltro molto più becero di questo). EL&P riarrangiavano Musorgskij-Ravel in toto. Prendevano la partitura e la suonavano con un linguaggio completamente diverso, suoni diversi, strumenti diversi etc. Ne usciva un ibrido fortemente sbilanciato verso il pop.
Per restare su Sting, Russians è una versione pop dell’originale di Prokof’ev: resta la melodia, un po’ dell’armonia, ma il linguaggio è diverso. Tanto che quando l’ho sentita la prima volta, ho pensato “che bella melodia” senza rendermi conto dove l’avevo già sentita.
In questo disco, invece, Sting prima dice che vuole cantare Dowland “come se fossero canzoni pop del ‘600”, ma poi si cala nel ruolo dell’interprete tradizionale di Dowland. Si fa accompagnare solo dal liuto e da un esecutore classico, sebbene capace di inventare, rispetta perfino le tonalità, cerca di cantare decisamente più impostato e meno sguaiato del solito e così rovina anche la sua bella voce e la sua qualità interpretativa che di solito è buona, migliore di questa (prendete an englishman in new york come esempio di canzone tranquilla che lui canta bene).
Quindi, a mio avviso, non fa quello che dice. Lui cerca di cantare Dowland con gli arrangiamenti di Dowland (probabilmente qualsiasi liutista bravo del ‘600 si sarebbe preso un tot di libertà come fa Karamazov), i suoni di Dowland (liuto e voce), e un modo di cantare molto più misurato di quello di un cantante pop. Di conseguenza, il linguaggio di questo disco è più classico che pop e così deve misurarsi per forza con gli esecutori tradizionali (e non scrivere il nome dell’autore in piccolo).
In definitiva, probabilmente avrei preferito che si fosse circondato dei suoi soliti esecutori megagalattici un po’ pop un po’ jazz, avesse riarrangiato tutto usando strumenti moderni e trasformato Dowland in vere canzoni pop.
Abominio!
Se riuscite a non svenire, ecco una versione dub dell’intero Dark Side of the Moon ovviamente reintitolata dub side of the moon.
Eccovi The Great Dub (Gig) in the Sky (resistete fino alla parte della cantante, ne vale la pena) e un Time con tanto di voce dai sussulti reggae.
Dowland by Sting
Finalmente esce il nuovo disco DGG in cui Sting canta Dowland accompagnato da Edin Karamazov, di cui tutti dicono un gran bene.
Considerato lo spirito con cui Sting ha registrato questi pezzi (“Per me queste sono canzoni pop del 1600, e così le eseguo; bellissime melodie, testi fantastici e geniale accompagnamento”), questi due brani, gli unici che ho ascoltato, non mi sembrano niente male, anche se, in questa stessa ottica, preferivo Maddy Prior (Steeleye Span).
A volte Sting suona un po’ finto, nel senso che sembra si sforzi di cantare in un modo più controllato del solito. Un’altra cosa che a tratti noto, soprattutto nel primo dei due pezzi, è un certo contrasto fra la non abitudine di Sting a queste musiche e la naturalezza del suono di Edin Karamazov, per cui Dowland è la cosa più normale del mondo.
Comunque l’idea che per ora mi sono fatto non è negativa. Anzi, pensandolo come un disco da top ten, avercene di dischi così.
Una cosa che, invece, mi disturba, è il fatto che, in copertina, il nome di Dowland è alto 1/10 di quello di Sting (e peraltro, anche quello di Karamazov che non è proprio un comprimario banale, quasi non si vede). Non dite che esagero. Nemmeno Abbado se lo può permettere e comunque non lo penserebbe neppure.
Mi spaventano, inoltre, le cazzate totali sparate dai soliti giornalisti le cui dita hanno da tempo dichiarato la secessione dal cervello. Oggi l’Indipendent scrive: “Sting plucks lute composer from obscurity”.
Obscurity? Dowland è uno che viene eseguito da 500 anni e tuttora viene saccheggiato a man bassa dai cantautori. Sting non so.
Ecco una playlist
Soft Machine 1970
Per dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, la potenza della condivisione…
I Soft Machine con Robert Wyatt alla batteria non si erano praticamente mai visti qui da noi. Proprio 3 giorni fa spunta su YouTube questo video di 6 minuti registrato dal vivo al festival di Kralingen in Olanda nel 1970.
Il brano è “Out bloody rageous”, tratto dal doppio album Third. La formazione è Elton Dean, Mike Ratledge, Robert Wyatt, and Hugh Hopper.
Update: ho aggiunto “Moon in June” registrato dal vivo al Bilzen Jazz And Pop Festival, 1969
Buona visione.
The power of sharing at work…
Videos of the Soft Machine with Robert Wyatt on drum are vary rare and difficult to find. I found on YouTube this 6 minutes video recorded at the Kralingen (NL) festival in 1970.
The piece is “Out bloody rageous”, from double album Third. Players are Elton Dean, Mike Ratledge, Robert Wyatt, and Hugh Hopper.
Update: added “Moon in June” live at Bilzen Jazz And Pop Festival, 1969.
The Internet Archive
Internet è volatile. Oggi trovate un bel sito che domani può essere sparito.
L’Internet Archive archivia siti e altri contenuti culturali di tutti i tipi in forma digitale. La WayBack Machine, che recupera i contenuti di siti ormai andati, ospita attualmente circa 55 miliardi di pagine. Ma ci trovate anche musica, testi, interviste, immagini in movimento.
C’è un vasto archivio di musica dal vivo di band per lo più sconosciute, più di 30.000 libri e anche materiale interessante per questo blog. Le chiavi da usare per accedervi sono “Avantgarde” e “20th Century Classical”, oltre alla ricerca diretta con i nomi dei compositori. Ne abbiamo un piccolo esempio nel post precedente.
L’accesso è libero, ma qualche volta il motore di ricerca che gestisce tutto questo materiale è sovraccarico e non risponde. Abbiate pazienza.
Nel frattempo, alla faccia della musica contemporanea, beccatevi i Grateful Dead.
Beatles analizzati
Nel 1989 il musicologo americano Alan W. Pollack ha iniziato la sua analisi delle canzoni dei Beatles, pubblicando i risultati in internet.
Nel 1991, dopo aver terminato le prime 28 canzoni, ha deciso, coraggiosamente, di continuare. 10 anni dopo, nel 2000, ha completato l’analisi dell’intero corpus ufficiale delle canzoni dei Beatles che consiste di 187 pezzi e 25 cover. Ora la rivista soundscapes.info ha riorganizzato il grande lavoro di Pollack e creato degli indici (alfabetico, cronologico e canonico). Il tutto è liberamente consultabile in rete qui.
Il lavoro è notevole. Per ogni canzone Pollack esamina la struttura generale del pezzo soffermandosi poi su stile, forma, melodia, armonia e arrangiamento. Segue poi una analisi dettagliata sezione per sezione. Una risorsa imperdibile per un cultore di popular music.
Dead Elvis
Ieri, 16 agosto, erano 29 anni dalla morte di Elvis Presley (1977, l’anno prossimo sarà il trentennale, preparatevi).
La fama di Elvis non accenna a diminuire. “The Pelvis”, che da morto è molto più comodo che da vivo, fattura attualmente più di 30 milioni di dollari l’anno fra diritti d’autore e di sfruttamento dell’immagine, tanto che le major del disco hanno già in mente di proporre, anche per l’Unione Europea, una estensione del periodo di tutela dei produttori discografici, sulla scorta del “Sonny Bono Copyright Term Extension Act”, con il quale gli Stati Uniti hanno portato tale termine a 95 anni dalla data di registrazione (con grande soddisfazione della Walt Disney, che ha così scongiurato il pericolo di veder liberamente utilizzata l’immagine di Topolino).
La fama di Elvis, però, supera anche quella di Topolino. C’è, per esempio, un libro intitolato “Dead Elvis: A Chronicle of a Cultural Obsession” che raccoglie tutti gli avvistamenti di Elvis dopo la sua morte (nessuno, invece, sostiene di aver visto Topolino 😛 ).
Nel 1993, il compositore americano Michael Daugherty ha scritto un brano, il cui titolo è ancora “Dead Elvis”, in cui il fagotto solista impersona Elvis Presley e dove si racconta la storia di una rock&roll star che vende la propria anima a Hollywood in cambio della fama, in uno scenario faustiano che cita, anche nella formazione, l’Histoire du Soldat in cui un soldato vende il suo violino e la sua anima al diavolo per un libro magico (note di programma qui).
Questo pezzo è forse uno di quei collage post-modern contro cui si scaglia Boulez (vedi post precedente).
I 50 album che hanno cambiato la musica?
Per celebrare il cinquantenario della propria chart degli album più venduti, l’Observer Review pubblica una classifica dei “50 album che hanno cambiato la musica” con tanto di note esplicative. La segnalo solo come curiosità, perché, come tutte le iniziative di questo tipo, anche questa lascia il tempo che trova, ma può essere vista come qualcosa di cui discutere in spiaggia, o in qualsiasi altro posto, nell’ozio più totale.
Ovviamente, l’area musicale di cui si parla è il pop (inteso nel senso più generale possibile, nell’accezione di popular music). Non si arriva nemmeno al jazz, al massimo c’è Miles Davis.
In ogni caso, può essere uno stimolo per i più giovani per ascoltare qualcosa di “nuovo”.
Ai primi posti troviamo:
- The Velvet Underground and Nico (1967), l’album con la banana di Warhol in copertina.
- The Beatles – Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967)
- Kraftwerk – Trans-Europe Express (1977)
Syd Barrett
Syd Barrett è deceduto venerdì 7 luglio all’età di 60 anni nella sua casa del Cambridgeshire, a quanto sembra per problemi legati al diabete di cui soffriva da tempo.
Sparito dalla vita pubblica negli anni ’70 era praticamente una leggenda.
Syd Barrett died of (it seems) a diabetes-related illness on July 7, 2006 at his home in Cambridgeshire at the age of 60.
Retired from public eye from the seventies, he was a living legend.
Lucy Leave – 0:00 I’m A King Bee – 2:59 – recorded summer 1965 Interstellar Overdrive (Demo) – 6:11 – recorded 10/31/1966 Candy and a Currant Bun (Alt. Mix) – 21:17 – recorded 1/27/1967 See Emily Play (Alt. Mix) – 23:19 – recorded 5/21/1967 Astronomy Domine (BBC TV) – 26:13 – recorded 5/14/1967 Scream Thy Last Scream (Outtake) – 30:12 – recorded 8/7/1967 Vegetable Man (Outtake) – 34:45 – recorded 10/9/1967 No Title (Outtake) – 37:16 – recorded 9/4/1967 [BBC RADIO] The Gnome – 38:51 Matilda Mother – 41:19 The Scarecrow – 44:51 Flaming – 46:59 Set the Controls for the Heart of the Sun – 49:43 Reaction In G – 53:13 – recorded 9/25/1967 [BBC RADIO 4] Vegetable Man – 53:55 Scream Thy Last Scream – 57:32 Jugband Blues – 1:04:18 Pow R Toc H – 1:09:25 – recorded 12/20/1967 Interstellar Overdrive + interview – 1:11:04 – recorded 12/1966