Curiosando qui e là ho trovato questo. Un po’ Genesis (nella seconda parte), ma adatto al momento.
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Il tempo passa per tutti, maledizione
Quasi mi sfuggiva che oggi è anche il compleanno di Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan (Duluth, 24 maggio 1941).
Eccolo nel 1964, a 23 anni, al Newport Folk Festival e recentemente al David Letterman show con un brano tratto dall’ultimo album dove interpreta canzoni di Frank Sinatra.
Typedrummer
Un’altra drum machine online basata sui caratteri alfanumerici.
Questa è più carina del solito. Viene bene perfino “devi morire“.
Le maiuscole e le minuscole sono uguali; lo spazio introduce una pausa. Non si può cambiare il metronomo né scaricare un file (dovete registrare il loop).
Badate ad utilizzare un numero di caratteri multiplo di 4 se volete il vostro fanatico 4/4.
Post-human performance (was Aidoru)
Quando ho scritto questo post, nel 2010 con il titolo di Aidoru (Idol nella translitterazione inglese → giapponese), pensavo che Hatsune Miko sarebbe durata solo qualche anno, sostituita da qualche altro idolo in ologramma, invece è ancora lì, alive & kicking, e soprattutto per niente invecchiata 😛
Qui lo ripropongo e aggiungo qualche considerazione.
Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.
La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.
Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).
Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.
Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.
Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.
Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.
Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. L’idea nacque dalla constatazione che il contatto fra i fans e le star era sempre mediato da qualcosa (internet, TV, film, stampa). Non si incontra una star della musica o del cinema per caso in un centro commerciale o al ristorante. E in realtà lo star system non vende una persona, bensì una immagine totalmente idealizzata. La maggior parte dei fans non ha mai visto il proprio idolo in carne ed ossa, ma solo attraverso i media. Una parte riesce a vederlo, da lontano, in qualche concerto o mentre entra in un hotel ed è tutto. Una sparuta minoranza riesce a toccarlo facendosi fare un autografo dopo un lungo appostamento davanti alla sua casa, ma è una quantità trascurabile.
Quello che lo star system giapponese ha capito è che, se le cose stanno così, non è necessario che la star sia una persona vera. Può essere benissimo un personaggio virtuale. Per i fans non cambia proprio niente. E, si noti, alla base di questa idea non ci sono considerazioni economiche. Se è vero che le star virtuali non devono essere pagate, è anche vero che, al loro posto, bisogna pagare dei team di design e animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi. Non ha comportamenti censurabili, a meno che non lo si voglia. Non è mai di pessimo umore, non si monta la testa, può lavorare sempre ed essere in TV anche la mattina dopo un concerto, fresco come una rosa.
Considerate, infine, che le star virtuali che sono state create non sono certo attori di teatro avvezzi a confrontarsi con le tragedie shakespeariane e nemmeno musicisti classici, ma, tipicamente, si tratta di cantanti con target adolescenziale. Hanno, al massimo, la profondità concettuale di un Justin Bieber.
Qui vediamo Hatsune Miku insieme a Megurine Luka (ルカ 巡音). Il cognome di quest’ultima combina la parola “Meguri” (巡, “intorno”) e “Ne” (音, “suono”), mentre il nome Luka evoca le omofone parole giapponesi “nagare” (流, “flusso”) e “ka” (歌, “canzone”) o “ka” (香, “profumo”. Il risultato dell’unione di queste parole può quindi essere “flusso di canzoni che si diffondono come profumo”) [da wikipedia con correzioni mie].
Megurine Luka è un passo avanti rispetto a Hatsune Miku. Infatti altro non è che l’incarnazione del terzo applicativo di Vocaloid, lanciato nel 2009 insieme al personaggio che lo rappresenta.
Questa tendenza giapponese ad “incarnare” i software fin dal momento del lancio è unica nel panorama mondiale. In occidente, infatti, l’eventuale incarnazione arriva dopo, quando il software, tipicamente un gioco, ha già raggiunto un successo planetario e allora il personaggio diventa vero, impersonato da un attore/attrice, non virtuale (il caso più emblematico è proprio quello di Lara Croft).
Mappa dei generi
Forse finalmente capirò qualcosa di tutti quei maledetti nomi di generi musicali che mi sembrano venuti fuori dalla mente depravata di qualche kritiko allucinato in preda a frenesia classificatoria.
Andando su questa enorme pagina (Every Noise at Once) e cliccando un nome, parte un esempio audio. Tutto questo è possibile grazie alle API di Echo Nest che forniscono ogni sorta di informazioni su generi, artisti rappresentativi, generi simili e collegamenti a risorse sul web.
Le istruzioni a fine pagina permettono di passare ad altre mappe, per data, luogo, artista e altro.
Space Oddity nello spazio (davvero)
Space Oddity è del 1969. Chissà se Bowie, all’epoca, avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata cantata nello spazio, davvero (forse sì, visto che eravamo in piena era spaziale).
Questo video è stato registrato sulla stazione spaziale internazionale (ISS) dall’astronauta canadese Chris Hadfield, che se la cava anche non male come cantante, e in un solo anno ha avuto circa 23 milioni di visualizzazioni. Poi, però, è sparito per le solite e in questo caso, a mio avviso, molto stupide questioni di copyright: l’editore, titolare dei diritti sulla canzone, ne aveva concesso l’uso per un anno e Hadfield, fedele al contratto, l’aveva rimosso.
Tuttavia, visto il successo, Bowie e il suo editore si sono affrettati a prolungare la concessione per altri due anni e il video è tornato visibile.
Alcune considerazioni su questa faccenda del copyright:
- Ma che testa hanno gli editori? Lo dico proprio dal punto di vista squisitamente commerciale. Chi può pensare che un video come questo possa far perdere dei soldi ai titolari dei diritti (ovvero che questo video possa far calare le vendite dell’originale)? Casomai una canzone dedicata all’esplorazione spaziale eseguita sulla ISS è una pubblicità incredibile e del tutto gratuita!
- Sotto l’aspetto giuridico la cosa è dubbia. La ISS è una stazione internazionale. Una fettina di territorio di 15 paesi in cui sono in vigore leggi sul copyright completamente diverse, basti pensare alla Russia, dove il diritto d’autore praticamente non esiste. Inoltre la ISS fluttua costantemente su tutto l’orbe terracqueo. Quale giurisdizione deve essere applicata? (gli interessati possono leggere una dissertazione sull’argomento pubblicata sull’Economist).
- Ma gli avvocati non erano stati tutti sterminati durante il Grande Risveglio del 2023? [tratto da una parodia di Star Trek]
Ok. Ecco il video.
Unknown Pleasures 3D model
Se qualcuno ha una stampante 3D e vuole stamparsi un bel modellino del famoso sonogramma di Unknown Pleasures dei Joy Division può scaricare i dati da qui.
Nella foto mancano elementi di confronto, ma è piccolo: solo 10 cm. Un bel soprammobile.
Per sempre cool
Il 21 Marzo 1976, dopo un concerto alla Community War Memorial arena in Rochester, New York, quattro detectives e un investigatore della polizia locale piombarono nella suite dell’Americana Rochester Hotel dove alloggiava David Bowie, sequestrando 182 grammi di marijuana e arrestando 4 persone: lo stesso Bowie, Iggy Pop, un bodyguard, tale Dwain Voughns e una ragazza di Rochester, Chiwah Soo.
I quattro passarono la notte in cella e furono rilasciati mattino seguente dietro cauzione di $ 2000 cadauno. Bowie e Iggy Pop vennero registrati con i loro veri nomi: rispettivamente David Jones e James Osterberg, Jr. Tre giorni dopo, David Bowie dovette presentarsi per il processo, immediato e veloce come è tipico negli USA, almeno per questo tipo di reati e in quell’occasione venne scattata la seguente foto segnaletica che fu ritrovata molti anni più tardi da un impiegato di una casa d’asta, frugando fra i mobili di un ufficiale di polizia in pensione. La foto fu poi venduta su Ebay per $ 2700.
È incredibile e quasi inumano come Bowie riesca ad apparire perfetto anche in una foto segnaletica come questa. Se non avete mai avuto il piacere, sappiate che, nel 1976, in America, di solito, queste foto venivano prese con vetuste polaroid e due fari sparati in faccia mentre tu devi reggere il cartello con il numero e non hai ben chiaro come andrà a finire.
Devo la storia a Open Culture
Nosaj Thing
Nosaj Thing (born Jason Chung) è un giovane musicista di Los Angeles attivo nell’area hip hop, remix, etc.
Mi ha colpito questo video sul suo brano Eclipse/Blue per la connessione fra i due danzatori (uno reale, mentre l’altro sembra essere parte del video) e la proiezione (virtuale) alle loro spalle.
Un gioco di luci trasforma il personaggio reale in una silhouette monocromatica quasi virtuale che interagisce con una seconda silhouette la cui realtà non è chiara. Insieme generano e si fondono con le forme in evoluzione sullo schermo. Notevole.
Da quel che capisco i credit per il video dovrebbero andara a Daito Manabe, takcom, Satoru Higa, and MIKIKO with support from The Creators Project. Peraltro anche il brano non è così banale…
Grazie a Katja per la segnalazione.
UPDATE: le ballerine sono effettivamente due, una davanti e l’altra dietro allo schermo
Retromania
Sto leggendo Retromania, di Simon Reynolds (Isbn Edizioni, Milano, 2011, 506 pagg., € 26.90). Non l’ho ancora finito (sono circa a metà), quindi questa è una recensione parziale, comunque fin qui mi sembra un libro decisamente ben scritto e argomentato, ricco di fatti, quasi troppo e questo è il suo unico limite: avrebbe potuto risparmiarci un po’ di queste 433 (506 con bibliografia e indici) pagine. Però non mi lamento: avercene di critici con questa profondità di analisi e documentazione. Ottima anche la traduzione di Michele Piumini.
Qui Reynolds esamina la tendenza al remake che ha colpito la scena pop/rock a partire dal nuovo millennio, simboleggiata dall’apertura, nell’Aprile 2000, del Memphis Rock’n’Soul Museum presso lo Smithsonian Institution.
Questa faccenda, in effetti, è una delle cose che mi colpiscono maggiormente nella musica attuale, raramente in senso positivo, più spesso negativamente. Come recita l’introduzione,
un tempo il pop ribolliva di energia vitale … i duemila sembrano invece irrimediabilmente malati di passato …
Perché non sappiamo più essere originali? Cosa succederà quando esauriremo il passato a cui attingere? Riusciremo ad emanciparci dalla nostalgia e a produrre qualcosa di nuovo?
Ma mi rendo conto che il significato negativo che io attribuisco alla retromania può dipendere anche dal fatto che io ho vissuto quel passato e quell’energia vitale, perciò non riesco ad accettare facilmente i rifacimenti proposti dalla musica attuale che finiscono spesso per sembrarmi delle brutte copie prive della forza e del significato dell’originale.
Comunque, fra le domande che l’autore si pone, la prima e l’ultima mi sembrano le più stringenti. La seconda, a mio avviso, è inutile: il passato, infatti, non si esaurisce mai. Come le mode insegnano, c’è sempre qualcosa da rifare o qualche modo diverso di rifarlo.
Stiamo, infatti, assistendo ad una celebrazione del passato che interessa tutti i settori, nessuno escluso: dal più comune, quello dell’abbigliamento, fino all’arredamento, alla televisione, al cinema, a giocattoli e videogiochi, all’alimentazione, per arrivare al retro-porno (tipo il vintage hairy, il porno prima dell’avvento della depilazione totale).
Nel tentativo di dare una spiegazione, il testo di Reynolds si apre con una impressionante e un po’ angosciante retrologia: una lista di date e fatti che copre il decennio 2000/2009 e va dai musei celebrativi come il già citato Memphis Rock’n’Soul Museum o l’Experience Music Project di Paul Allen, passa per le reunion (più di 30, forse 40 in 10 anni: in molti casi una funerea parata di individui attempati e acciaccati, spesso ancora in grado di suonare bene, ma che si atteggiano squallidamente a ventenni), e arriva ai concerti delle tribute band e alle riedizioni/rifacimenti di dischi e perfino di avvenimenti storici (come l’attraversamento in massa di Abbey Road l’8 Agosto 2009, 40 anni dopo quello dei Beatles per la copertina dell’album omonimo).
Per quel che riguarda la musica pop, l’ipotesi centrale è che uno degli elementi scatenanti di questa tendenza sia l’accumulo reso possibile da internet. Sulla rete si mette ormai tutto e c’è posto per tutto. Fotografie, canzoni, video, spezzoni televisivi, libri, vecchie riviste, grafica e chi più ne ha, più ne metta. Con l’apparizione dei cellulari multifunzione, tutti girano con una videocamera, una macchina fotografica e un registratore. Documentare il presente e metterlo in rete è facilissimo, ma il presente diventa rapidamente passato. Inoltre, la gente, ormai, mette in internet non solo l’attualità, ma anche i propri ricordi e generalmente quello che ama o che reputa importante: cimeli sotto forma di immagini fisse, video e suono stanno saturando lo spazio disponibile in rete, spazio che, però, continua ad allargarsi grazie alla riduzione del costo delle memorie di massa.
La condivisione di tutto questo materiale, poi, è imposta da coloro che offrono lo spazio. Entità come You Tube guadagnano solo grazie alla pubblicità e quest’ultima è attirata solo dalla quantità dei contatti. Ne consegue che il materiale disponibile deve essere condiviso e deve essere molto (sia la qualità che i contenuti non hanno grande importanza; quello che conta è che generino contatti).
A questo punto, secondo Reynolds,
il puro e semplice volume del passato musicale accumulato ha cominciato ad esercitare una sorta di attrazione gravitazionale.
[…]
I musicisti divenuti maggiorenni in questo periodo sono cresciuti in un clima caratterizzato da un grado di accessibilità del passato travolgente e senza precedenti
Inoltre, aggiungo io, per ragioni anagrafiche, non hanno vissuto il passato e quindi ne sono affascinati.
Di conseguenza
l’esigenza di movimento, di arrivare da qualche parte, poteva essere soddisfatta altrettanto facilmente (anzi, più facilmente) volgendosi a questo immenso passato e non guardando avanti.
In effetti, un paragone fra la disponibilità attuale e quella mia o di Reynolds (io sono del ’54, lui del ’63) è improponibile. Ai nostri tempi, il passato spariva. Gli album andavano rapidamente fuori catalogo e se non si acquistavano nei primi anni erano facilmente perduti. Per di più, il file sharing dei tempi andati si limitava alle audio-cassette e l’accesso ai dischi dipendeva dalla disponibilità economica.
Oggi, nell’oceano di internet si può pescare quasi tutto al solo costo della connessione (peraltro necessaria anche per altre cose) ed è quindi normale andare ad ascoltarlo, così come è facile crogiolarvisi dentro. La situazione della creatività attuale è resa difficile proprio dal fatto che, a differenza di quanto avveniva prima di internet, il passato non scompare mai. Io, per esempio, avevo 12/13 anni quando ho iniziato ad ascoltare seriamente il rock e ho conosciuto prima i gruppi miei contemporanei (ex: Beatles, Stones e gli altri) e solo qualche anno dopo ho ascoltato quelle che erano le radici di queste band, cioè il blues e il rock’n roll. Attualmente, invece, tutto è contemporaneamente disponibile.
Nello stesso modo, io vedevo dei dischi e delle band diventare vecchi, mentre altri generi e band nascevano. Avevo, cioè, una percezione del tempo lineare e orientata da un passato verso un futuro. Attualmente, invece, il movimento è stato sostituito dall’accumulo: non si va da un passato, con delle cose che invecchiano e scompaiono, a un futuro che propone delle novità, ma si aggiungono altre cose che si stratificano in un immenso deposito che tende ad annullare il tempo e a produrre quello Reynolds chiama stallo temporale il cui effetto finale è di bloccare qualsiasi tendenza al progresso (inteso come semplice movimento, senza un giudizio di valore) e produrre un continuo rimescolamento di ciò che esiste o è esistito.
- Qui il blog dedicato al libro, in italiano, con ampi estratti.
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