Kirk: Spock! l’Enterprise sta per esplodere!!
Spock: Negativo, Capitano. È solo saltato un fusibile.
Leonard Nimoy (1931 – 2015)
Edgar Froese è morto a Vienna il 20 Gennaio, ma l’annuncio è stato dato solo il 23.
Unico membro stabile dei Tangerine Dream e a tratti anche unico membro tout court, nel senso che numerose pubblicazioni uscite a nome Tangerine Dream sono in realtà lavori solisti di Froese stesso, è stato l’ispiratore delle sonorità più sperimentali del gruppo, quelle dei primi album legati alla cosiddetta Kosmische Musik degli anni ’70, ispirata da un lato alla psichedelia e dall’altro alla musica minimale e alle composizioni strumentali del Ligeti degli anni ’60 da cui i primi Tangerine Dream pescavano a piene mani.
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A ricordare Jack Bruce, Rawalpindi Blues, un lungo brano tratto da Escalator Over The Hill, l’opera (?) jazz di Carla Bley e Paul Haines incisa con la Jazz Composer’s Orchestra che raccoglieva la crème del jazz di file ’60 primi anni ’70, allargata a Jack Bruce, John McLaughlin e altri (vedi, in questo blog, qui).
Qui la voce di Jack, che mi piaceva quanto il suo basso (e forse anche di più), è in grande evidenza. Il brano è idealmente diviso in più sezioni in cui si alternano una Eastern Band formata da Don Cherry (ceramic flute and percussion as well as trumpet and voice), Calo Scott – cello, Leroy Jenkins – violin, Sam Brown – 12 string guitar, Souren Baronian – G clarinet and dumbek, Ron McClure – bass, Carla Bley – piano and organ, Paul Motian – drums, dumbek and bells e una Western Band con Jack Bruce – basso elettrico e voce, John McLaughlin – chitarra elettrica, Carla Bley – piano e organo e Paul Motian – batteria e percussioni (che alla fine, nelle note del disco, sarebbe apparsa con il nome di Desert Band).
Ovviamente la prima crea un sound tipicamente orientale fatto di atmosfere soffuse con un bordone, mentre la seconda ha un suono elettrico occidentale. Come già accennato, queste due visioni musicali si alternano, a volte all’improvviso e altre volte collegate dalle entrate della Jazz Composer’s Orchestra. È interessante sapere che, dato che era risultato impossibile riunire a New York tutti i musicisti a causa dei loro impegni (in quegli anni si suonava molto), il pezzo è stato registrato separatamente in varie sessioni. Prima una con Don Cherry e la Eastern Band il 30/11/1970, poi, il 7/12, quella con la Western Band. Altre piste sono state aggiunte in seguito durante il montaggio finale. Il tutto crea una bellissima fusion fra i due mondi, ben sintetizzata nel titolo.
Ovviamente ci sarebbero tante altre cose di Jack Bruce da ascoltare, ma ho voluto scegliere Rawalpindi Blues, in primo luogo perché posso parlare anche di Escalator Over The Hill, che mi è sempre piaciuta moltissimo e poi perché lui ha sempre scavalcato i generi, passando dal rock al jazz, al 900 europeo senza porsi problemi e poteva farlo con una certa facilità e senza forzature perché era maledettamente bravo, sia tecnicamente che musicalmente.
Pochi giorni dopo Jobs, muore anche Dennis Ritchie (qui con Ken Thompson; Ritchie è a destra).
Probabilmente pochi sanno chi era, infatti non ne hanno parlato in molti. Eppure Ritchie ha inciso sul mondo dell’informatica ben più di Jobs perché, alla fine degli anni ’60, ha sviluppato il sistema operativo Unix che oggi è alla base di Linux, Mac Os-X, iOS (il sistema operativo di iPhone e iPad), Android e di molti altri derivati.
La chiave del successo di Unix sta nel suo livello di astrazione. Prima di Unix, il programmatore doveva comportarsi diversamente con ogni computer e con ogni dispositivo (hard disk, stampanti, monitor, tastiera, schede varie). In pratica, stampare con una stampante IBM richiedeva comandi diversi da quelli di una stampante HP e anche cambiare scheda grafica significava mettere mano ai programmi. In Unix, invece, tutti i dispositivi sono visti nello stesso modo, ovvero come un file. Di conseguenza il programmatore può trattarli tutti con le stesse modalità. Spetta, poi, ai device driver interpretare i comandi del programma a basso livello, in modo da far funzionare correttamente quel particolare dispositivo.
Il fatto che anche macchine neonate prendano vita grazie a un SO creato 50 anni fa testimonia la validità e l’eleganza di Unix che ha attraversato i decenni senza invecchiare.
In seguito, insieme a Brian Kernighan e Ken Thompson, ha marcato un’altra tappa fondamentale dell’informatica creando il linguaggio di programmazione C, uno dei linguaggi più utilizzati al mondo, con cui sono state sviluppate migliaia di applicazioni di tutti i tipi e parti di vari sistemi operativi (fra gli altri, anche i sistemi Windows da NT a 7, sono in gran parte scritti in C).
Kernighan e Ritchie hanno anche scritto lo storico manuale “The C Programming Language“, su cui si sono formate generazioni di programmatori (anche il sottoscritto), tanto da essere universalmente noto semplicemente come il K&R.
Insieme al suo collega Ken Thompson, ha ricevuto il Turing Award nel 1983, la IEEE Richard W. Hamming Medal nel ’90, la National Medal of Technology nel 1999 e il Japan Prize for Information and Communications proprio quest’anno.
Eppure nessuno è andato in TV a dire che Ritchie era un genio e lui stesso avrebbe rifiutato questo appellativo. Di carattere riservato e schivo, rifuggiva le platee, preferendo rimanere nella sua cerchia di hacker (nel senso originale del termine). Però, se Ritchie fosse l’inventore del motore a scoppio e qualcun altro ci avesse costruito intorno l’automobile, Jobs sarebbe al massimo l’inventore della vernice metallizzata.
Benoît Mandelbrot, l'”inventore” della geometria frattale, è morto giovedì scorso a Cambridge (Massachusetts) all’età di 85 anni. Che i frattali siano con lui.
Il chitarrista Les Paul (il cui vero nome era Lester William Polsfuss), inventore della chitarra solid-body e curatore della linea di strumenti Gibson che porta il suo nome, si è spento ieri a White Plains (NY) alla veneranda età di 94 anni.
Questa lunga e bella commemorazione del NY Times ne rievoca la carriera, raccontando anche alcuni gustosi aneddoti, fra cui quello, ormai abusato, secondo il quale il suo insegnante di pianoforte scrisse alla madre “Your boy, Lester, will never learn music” (sembra che una storia di questo tipo ormai sia comunissima, fra i musicisti e non solo ed è quasi obbligatoria per coloro che avrebbero poi portato un grande cambiamento nel proprio settore, da John Cage ad Einstein).
In una intervista del 1991, con una certa dose di umiltà, ebbe a dire “The only reason I invented these things was because I didn’t have them and neither did anyone else. I had no choice, really.”
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Nato nel 1919 a Centralia, nello stato di Washington, inizia la sua formazione alla Cornish School of Performing and Visual Arts di Seattle. Nel 1939 Merce Cunningham si reca a New York dove diventa solista nella compagnia di Martha Graham, la sua collaborazione con la grande danzatrice (sua insegnante) durerà fino al 1945. Durante la sua permanenza a New York incontra il grande compositore John Cage con cui stringerà un profondo sodalizio artistico e di vita che durerà circa 50 anni; insieme hanno proposto una serie di innovazioni radicali nel paesaggio artistico, tra le più note è la rivoluzione relativa al rapporto fra musica e danza che diventeranno due elementi concepiti come indipendenti, che vengono sovrapposti solamente nel momento della performance. Nel 1947, infatti, viene messa in scena “The Seasons“, le cui coreografie vengono elaborate nel silenzio, mentre Cage compone la musica che sarà associata con la danza soltanto la sera del debutto.
Nel 1944 presenta a New York la sua prima coreografia su musica di Cage, e nel 1953 fonda la “Merce Cunningham Dance Company” che è considerata una delle più importanti compagnie di danza, e per quasi quarant’anni, fino alla sua morte (1992) John Cage ne è stato il direttore musicale.
È interessante notare anche il nome dei direttori artistici: fino al 1968, Robert Rauschenberg; dal 1968 al 1980, Jasper Johns. Proprio su suggestione di quest’ultimo, utilizza come scenario per un suo spettacolo intitolato “Walkaround Time“, un opera di Duchamp “Il Grande Vetro” come una sorta di omaggio, nell’anno della sua scomparsa, alla sua arte.
Sempre in questo periodo il suo interesse si riversa anche verso la realizzazione di alcuni film e video sulla danza, ciò gli permette di declinare in nuove forme artistiche la sua straordinaria visione della danza. Si dedica in particolare e con grande interesse alle possibilità creative della cinepresa, soprattutto riguardo al modificare il punto di vista consueto sul movimento, una sorta di anticipazione di quello che realizzerà in futuro attraverso l’uso di particolari software.
Nel 1966 realizza con Stan Van Der Beek, Variations che si svolge in uno spazio scuro in cui dei ballerini attivano dei sensori interrompendo un raggio luminoso, innescando inserti musicali di Cage, mentre su alcuni schermi sono riprodotte immagini di film o di vita quotidiana. Nel 1973 fa ingresso all’Opéra di Parigi con la creazione Un jour ou deux.
A partire dagli anni settanta Cunningham coltiva questo suo interesse che vede l’interazione tra danza e video, realizza infatti le coreografie di numerosi video e documentari collaborando con diversi film maker tra i quali Frank Stella, Andy Warhol, Robert Morris, Charles Atlas e Elliot Caplan. Nel 1986 crea insieme a Cage, Life Forms, primo software di notazione dei movimenti di danza. Nel 1989 crea con Elliot Caplan, Changing steps (rielaborazione di uno spettacolo del 1975).
Nel 1999 la collaborazione con Atlas ha dato vita alla produzione del documentario Merce Cunningham: A Lifetime in Dance.
Sito web: merce.org
Due parole per ricordare James Graham Ballard, scrittore, principalmente di fantascienza, ma non solo. Uno dei miei preferiti nel genere, con i suoi romanzi sulla fine del mondo descritta in molti modi (Il vento dal nulla, Deserto d’acqua, Terra bruciata, Foresta di cristallo), ma anche con la potente immagine dell’uomo asserragliato su un balcone che mangia un cane con cui inizia Condominium, o con la New York fantasma, abbandonata di Hello America.
Poi celebrato come il narratore dello spazio interno e divenuto infine un scrittore iperrealista, in un percorso artistico analogo a quello di William Gibson. La sua Atrocity Exhibition, ambientata in una clinica psichiatrica, fonde il panorama esterno ed interno, in un universo frammentato dai media. Di Crash, portato in film da David Cronenberg, Baudrillard scrisse:
Crash è il nostro mondo, niente vi è “inventato”: lì tutto è iperfunzionale, la circolazione e l’incidente, la tecnica e la morte, il sesso e l’obiettivo fotografico; tutto è come una grande macchina sincrona, simulata… In Crash non c’è più finzione né realtà: l’iperrealtà le abolisce entrambe.
Nato a Shanghai nel 1930 da genitori britannici, Ballard ci ha lasciato il 19 Aprile a 78 anni.
Maledizione, abbiamo perso un altro grande scrittore. David Foster Wallace è stato trovato morto alle 21.30 del 12 settembre 2008, impiccato nella sua abitazione di Claremont, in California (qui sul LA Times). Sembra trattarsi di un suicidio.
In realtà Foster Wallace non era ancora un grande scrittore, ma lo stava rapidamente diventando. La sua tecnica era incredibile, supportata da una capacità di osservazione fuori dal comune. Con lui un piccolo fatto, un dato che pochi altri notano e se lo notano, lo archiviano come una cosa di poco conto, si espande in pagine di saggio.
Quando il dritto di Joyce entra in contatto con la palla, la sua mano sinistra dietro di lui si apre, come se stesse lasciando una presa, un gesto decorativo che non ha niente a che fare con la meccanica del colpo. Michael Joyce non lo sa, ma la sua mano sinistra si apre nel momento dell’impatto sul dritto: è una cosa inconscia, un tic estetico che è cominciato quando era bambino e che ora è inestricabilmente connesso con un colpo che esso stesso è ormai automatico per il ventiduenne Joyce, dopo anni passati a colpire molti, molti più dritti di quanti uno ne potrebbe mai contare.
E poi, nella nota:
La bizzarra posizione di servizio di McEnroe, aperta e con le braccia rigide, con entrambi i piedi paralleli alla linea di fondo e il fianco rivolto così rigorosamente alla rete che sembrava una figura su un fregio egizio.
Ecco, tutti quelli che conoscono il tennis hanno ironizzato sul servizio di McEnroe, ma nessuno ha mai notato la somiglianza con un bassorilievo egizio e invece è vero, starebbe benissimo in mezzo a quelle figure con le manine di profilo.
La prosa di Wallace era così: piena di collegamenti imprevedibili, ma reali. Il titolo del saggetto da cui sono tratte le citazioni di cui sopra la dice lunga sulla sua prosa vulcanica: L’abilità professionistica del tennista Michael Joyce come paradigma di una serie di cose tipo la scelta, la libertà, i limiti, la gioia, l’assurdità e la completezza dell’essere umano.
Talmente vulcanica che il testo non gli bastava e doveva ricorrere in dosi massicce a un artificio che gli altri scrittori avevano eliminato da tempo: le note. Infinite Jest (Scherzo infinito), il suo romanzo principale ha 1280 pagine nell’edizione Einaudi, di cui 100 di sole note.
Come nota Roberto Bertinetti sul Messaggero online:
La cerimonia per la consegna degli Oscar del porno gli permette così di ragionare sui misteri della libido, un festival organizzato nel Maine per promuovere il consumo di crostacei lo spinge a riflettere sul dolore, un viaggio al seguito di un candidato alle primarie presidenziali del 2000 gli suggerisce considerazioni sull’influenza dei media sul dibattito politico. Foster Wallace si sofferma su vicende ordinarie accentuandone le caratteristiche surreali, mentre gli elementi di follia presenti negli uomini e nelle donne di cui si occupa vengono ritenuti indizi di un disagio di portata più generale. Sotto questo profilo il saggio migliore è quello in cui racconta la mattina dell’11 settembre 2001 in una città dell’Indiana: mentre le Torri crollano, gli uomini e le donne del Midwest cercano di sfuggire all’orrore mostrato dalle tv precipitandosi a tosare l’erba dei loro giardini. Un gesto istintivo, commenta Foster Wallace, compiuto per proteggere un piccolo mondo antico che gli effetti degli attentati distruggeranno in fretta.