A ricordare Jack Bruce, Rawalpindi Blues, un lungo brano tratto da Escalator Over The Hill, l’opera (?) jazz di Carla Bley e Paul Haines incisa con la Jazz Composer’s Orchestra che raccoglieva la crème del jazz di file ’60 primi anni ’70, allargata a Jack Bruce, John McLaughlin e altri (vedi, in questo blog, qui).
Qui la voce di Jack, che mi piaceva quanto il suo basso (e forse anche di più), è in grande evidenza. Il brano è idealmente diviso in più sezioni in cui si alternano una Eastern Band formata da Don Cherry (ceramic flute and percussion as well as trumpet and voice), Calo Scott – cello, Leroy Jenkins – violin, Sam Brown – 12 string guitar, Souren Baronian – G clarinet and dumbek, Ron McClure – bass, Carla Bley – piano and organ, Paul Motian – drums, dumbek and bells e una Western Band con Jack Bruce – basso elettrico e voce, John McLaughlin – chitarra elettrica, Carla Bley – piano e organo e Paul Motian – batteria e percussioni (che alla fine, nelle note del disco, sarebbe apparsa con il nome di Desert Band).
Ovviamente la prima crea un sound tipicamente orientale fatto di atmosfere soffuse con un bordone, mentre la seconda ha un suono elettrico occidentale. Come già accennato, queste due visioni musicali si alternano, a volte all’improvviso e altre volte collegate dalle entrate della Jazz Composer’s Orchestra. È interessante sapere che, dato che era risultato impossibile riunire a New York tutti i musicisti a causa dei loro impegni (in quegli anni si suonava molto), il pezzo è stato registrato separatamente in varie sessioni. Prima una con Don Cherry e la Eastern Band il 30/11/1970, poi, il 7/12, quella con la Western Band. Altre piste sono state aggiunte in seguito durante il montaggio finale. Il tutto crea una bellissima fusion fra i due mondi, ben sintetizzata nel titolo.
Ovviamente ci sarebbero tante altre cose di Jack Bruce da ascoltare, ma ho voluto scegliere Rawalpindi Blues, in primo luogo perché posso parlare anche di Escalator Over The Hill, che mi è sempre piaciuta moltissimo e poi perché lui ha sempre scavalcato i generi, passando dal rock al jazz, al 900 europeo senza porsi problemi e poteva farlo con una certa facilità e senza forzature perché era maledettamente bravo, sia tecnicamente che musicalmente.