David Foster Wallace

Maledizione, abbiamo perso un altro grande scrittore. David Foster Wallace è stato trovato morto alle 21.30 del 12 settembre 2008, impiccato nella sua abitazione di Claremont, in California (qui sul LA Times). Sembra trattarsi di un suicidio.

In realtà Foster Wallace non era ancora un grande scrittore, ma lo stava rapidamente diventando. La sua tecnica era incredibile, supportata da una capacità di osservazione fuori dal comune. Con lui un piccolo fatto, un dato che pochi altri notano e se lo notano, lo archiviano come una cosa di poco conto, si espande in pagine di saggio.

Quando il dritto di Joyce entra in contatto con la palla, la sua mano sinistra dietro di lui si apre, come se stesse lasciando una presa, un gesto decorativo che non ha niente a che fare con la meccanica del colpo. Michael Joyce non lo sa, ma la sua mano sinistra si apre nel momento dell’impatto sul dritto: è una cosa inconscia, un tic estetico che è cominciato quando era bambino e che ora è inestricabilmente connesso con un colpo che esso stesso è ormai automatico per il ventiduenne Joyce, dopo anni passati a colpire molti, molti più dritti di quanti uno ne potrebbe mai contare.

E poi, nella nota:

La bizzarra posizione di servizio di McEnroe, aperta e con le braccia rigide, con entrambi i piedi paralleli alla linea di fondo e il fianco rivolto così rigorosamente alla rete che sembrava una figura su un fregio egizio.

Ecco, tutti quelli che conoscono il tennis hanno ironizzato sul servizio di McEnroe, ma nessuno ha mai notato la somiglianza con un bassorilievo egizio e invece è vero, starebbe benissimo in mezzo a quelle figure con le manine di profilo.

La prosa di Wallace era così: piena di collegamenti imprevedibili, ma reali. Il titolo del saggetto da cui sono tratte le citazioni di cui sopra la dice lunga sulla sua prosa vulcanica: L’abilità professionistica del tennista Michael Joyce come paradigma di una serie di cose tipo la scelta, la libertà, i limiti, la gioia, l’assurdità e la completezza dell’essere umano.

Talmente vulcanica che il testo non gli bastava e doveva ricorrere in dosi massicce a un artificio che gli altri scrittori avevano eliminato da tempo: le note. Infinite Jest (Scherzo infinito), il suo romanzo principale ha 1280 pagine nell’edizione Einaudi, di cui 100 di sole note.

Come nota Roberto Bertinetti sul Messaggero online:

La cerimonia per la consegna degli Oscar del porno gli permette così di ragionare sui misteri della libido, un festival organizzato nel Maine per promuovere il consumo di crostacei lo spinge a riflettere sul dolore, un viaggio al seguito di un candidato alle primarie presidenziali del 2000 gli suggerisce considerazioni sull’influenza dei media sul dibattito politico. Foster Wallace si sofferma su vicende ordinarie accentuandone le caratteristiche surreali, mentre gli elementi di follia presenti negli uomini e nelle donne di cui si occupa vengono ritenuti indizi di un disagio di portata più generale. Sotto questo profilo il saggio migliore è quello in cui racconta la mattina dell’11 settembre 2001 in una città dell’Indiana: mentre le Torri crollano, gli uomini e le donne del Midwest cercano di sfuggire all’orrore mostrato dalle tv precipitandosi a tosare l’erba dei loro giardini. Un gesto istintivo, commenta Foster Wallace, compiuto per proteggere un piccolo mondo antico che gli effetti degli attentati distruggeranno in fretta.

La sua bibliografia italiana su wikipedia.