Listening to the Silence is a film by the english musician John Collins that explores a kaleidoscope of musical examples from Ghana: children’s games and their musical bands; traditional drums; sensual dances; trance dances; animated funeral music; and many other examples from the Ewe, Ashanti, Ga, and Frafra peoples of Ghana. Throughout the program, the leitmotif is social participation and the strikingly complex rhythmic sensibilities of the people.
Here is a gorgeous excerpt taped at a post office.
Vache Sharafyan (Վաչե Շարաֆյան): Devotion No. 2 (1999) for Tar, Kemanche, Dhol, Tam-Tam, Piano and string quartet.
Tar, Kemanche, Dhol are musical instruments adopted by various middle eastern cultures like Iran, Armenia, Azerbaijan, Georgia to the Indian subcontinent. Click the names to read details from wikipedia.
Sacred flutes are blown (“Windim Mambu”) to make the cries of spirits by adult men in the Madang region of Papua New Guinea. Pairs of long bamboo male and female flutes are played for ceremonies in the coastal villages near the Ramu River
These recordings were made in 1976 by Ragnar Johnson assisted by Jessica Mayer while conducting research in a remote village in the Eastern Highlands. Their intention was to preserve this traditional music as it is played in the villages of its origin.
Taiko (太鼓, o daiko nei composti) significa tamburo in giapponese. In realtà ne esistono diversi tipi, ma ormai, al di fuori del Giappone, questa parola designa tutti gli ensemble di tamburi.
L’origine del taiko è legata al Gagaku (雅楽, letteralmente “musica elegante”), uno stile musicale di corte molto antico tramandato attraverso i secoli (si esegue tuttora), ma ben presto questi tamburo trovarono anche un impiego militare.
Lo stile moderno, quello noto in tutto il mondo e che vediamo nel filmato, è recente. Venne fondato del 1951 da Daihachi Oguchi, un batterista jazz nato nel 1924 e morto il 27 giugno di quest’anno. Secondo la leggenda. Oguchi mise insieme il primo ensemble con diversi tamburi e vari esecutori volendo aggiungere un tocco più ritmico ad un brano che doveva eseguire dirante una cerimonia in un tempio. L’idea, poi, si diffuse e vennero fondati molti ensemble che svilupparono il concetto del taiko ensemble secondo i criteri di spettacolarità che vediamo nelle esibizioni attuali.
Esistono, tuttavia, varie combinazioni di esecutori e tamburi, che vanno dai normali ensemble con molti tamburi e molti esecutori, passando per molti tamburi con un solo esecutore oppure un tamburo con più di un esecutore, fino a un tamburo e un solo esecutore. In questa performance si possono vedere tutte queste combinazioni.
È interessante notare, infine, che i taiko sono spesso ricavati da un unico pezzo di legno ottenuto scavando il tronco di un albero sufficientemente grosso.
Lo shamisen (chiamato anche sangen [tre corde]) è uno strumento a corda della famiglia del liuto con una piccola cassa armonica di forma approssimativamente quadrata formata da una fascia di legno ricoperta da entrambi i lati di pelle di gatto o di cane. Il manico è lungo e sottile e penetra attraverso tutta la lunghezza della cassa fuoriuscendo dalla parte opposta; su questo spuntone del manico alla base della cassa sono legate le tre corde di seta, che passano poi su un ponticello appoggiato sulla parte inferiore della cassa armonica e su un secondo ponticello fisso alla sommità del manico (capotasto), per finire sui tre lunghi piroli di accordatura. Il manico è privo di tasti (ponticelli) e il cavigliere dei piroli è curvato all’indietro rispetto alla direzione del manico. La lunghezza totale dello strumento è 95 – 100 cm.
In generale la corda più bassa dello shamisen non è appoggiata sul capotasto ma su una tacca posta di fianco ad esso e passa sopra una protuberanza della superficie del manico (sawari no yama) contro cui urta quando è in vibrazione. Questo dispositivo serve a produrre un suono ronzante (chiamato sawari) che è una importante caratteristica timbrica dello strumento e che viene emesso quando la corda è lasciata “vuota”, sia che essa venga suonata direttamente, sia (in misura minore) quando vibra per risonanza con le altre corde.
Benché sia stato introdotto in Giappone in epoca relativamente tarda, lo shamisen ebbe un successo immediato ed una enorme diffusione sia nella musica classica che in quella popolare, tanto che oggi lo si può forse considerare come lo strumento più importante della musica giapponese. Tra i principali generi in cui esso svolge una parte di primo piano si possono citare il jôruri (musica del teatro classico dei burattini), il nagauta (musica del teatro kabuki) ed il jiuta (musica vocale da camera).
Lo shamisen viene suonato con un grosso plettro di legno chiamato bachi; il suonatore siede in posizione seiza e tiene lo strumento in diagonale, appoggiandone la cassa sulla coscia destra.
Le tre corde possono essere accordate in tre modi:
4a e 5a (es. DO – FA – DO)
5a e 4a (es. DO – SOL – DO)
4a e 4a (es. DO – FA – SIb)
Il brano che ascoltiamo è chiamato Tsugaru aiya bushi [Canto aiya di Tsugaru]. Aiya è uno stile e tsugaru è la regione all’estremo nord di Honshu (l’isola principale dell’arcipelago giapponese) e corrisponde all’odierna prefettura di Aomori.
Si tratta di musica tradizionale, ma in Asia non c’è distanza fra musica tradizionale e repertorio classico (per es., secondo la visione asiatica, i valzer di Strauss sarebbero musica tradizionale austriaca, ma anche gli autori molto caratterizzati geograficamente, come i compositori russi, alcuni spagnoli e altri ancora, verrebbero inseriti nella musica tradizionale).
In questo genere musicale si lascia spazio anche all’improvvisazione, ma questa esecuzione è abbastanza misurata.
Questo video mostra bene la tecnica esecutiva.
L’esecutore è Yu Takahashi, in concerto presso la Chiesa di Sant’Ambrogio, Milano, 16 febbraio 2012.
Kazue Sawai esegue un brano al koto.
Questo strumento è un cordofono appartenente alla famiglia della cetra introdotto dalla Cina in Giappone durante il periodo Nara (710 – 794 d.C.).
All’inizio il koto venne usato per lungo tempo solamente presso la corte imperiale. Questo stato di cose cambiò nel XVII secolo soprattutto ad opera di Yatsuhashi Kengyô (1614-1684) che sì applicò a rendere il koto maggiormente accessibile presso la popolazione. Ideò una nuova accordatura, detta hirajoshi, che divenne una delle più utilizzate e creò composizioni divenute dei classici della letteratura per questo strumento come Rokudan e Midare, che è il brano che ascoltiamo qui.
Si tratta quindi di un esempio di musica classica giapponese del ‘600.
È interessante osservare come la musica classica giapponese sia altamente formalizzata. Questo brano, per esempio, appartiene alla categoria dei danmono che è una forma classica di brani per koto solamente strumentali, composti da diverse sezioni chiamate dan [lett. “gradino, ripiano, livello”]. Nella forma più tradizionale di danmono, ogni dan è formato da 104 haku [pulsazione, battito, unità fondamentale di misura del tempo] e costituisce una variazione su un unico tema.
Questo brano, però, fa eccezione perché i vari dan non sono formati dallo stesso numero di beat e proprio per questo si intitola Midare [乱 lett. “confusione, caos”].
Per quanto riguarda il koto, il corpo dello strumento è costituito da una cassa armonica, lunga circa due metri e larga tra i 24 ed i 25 cm, costruita, in genere, con legname di Paulownia (Paulownia Tomentosa o kiri, in giapponese). Su di essa corrono tredici corde di uguale diametro ed aventi stessa tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile (ji, 柱).
Questo fatto va sottolineato perché è un sistema completamente diverso da quello occidentale in cui si usano corde di vario diametro e tensione.
Qui le corde sono tutte uguali e tirate alla stessa tensione. Per ottenere note diverse, quindi, l’unico sistema è variare la lunghezza della corda. Infatti ognuna di esse ha il proprio ponte che viene piazzato in punti diversi.
Le corde, poi, sono pizzicate con la destra, mentre la sinistra non suona, ma crea abbellimenti sotto forma di vibrati e di veloci glissati, sia nell’attacco che in coda al suono, ottenuti premendo la parte della corda che sta oltre il ponte. Naturalmente il fatto che tutte le corde abbiano la stessa tensione facilita questo compito perché così una data pressione genera un glissato della medesima estensione su ogni corda, cosa che non avverrebbe se la tensione fosse diversa.
L’esecutore si pone in ginocchio o seduto di fronte allo strumento e pizzica le corde tramite l’ausilio di tre plettri (tsume) fissati al pollice, all’indice ed al medio della mano destra.
Lo spartito per koto si presenta generalmente sotto forma di intavolatura che si legge dall’alto in basso e da destra verso sinistra (il senso di lettura normale anche nel giappone moderno: i libri sono impaginati così, sebbene ormai sia diffusa anche la scrittura orizzontale).
Il koto viene paragonato al corpo di un drago cinese disteso. Per tale motivo, le diverse parti di cui esso è formato assumono dei nomi che ricordano quelle del mitico animale, come ad esempio:
Ryuko (schiena del drago): è la parte superiore della cassa armonica,
Ryuto e ryubi (testa e coda del drago): sono le estremità dello strumento.
Kazue Sawai è considerata uno dei massimi virtuosi viventi di questo strumento.
Ora, invece, vediamo la stessa interprete impegnata in una composizione contemporanea per koto.
Compositore: Tadao Sawai (Composto nel dicembre 1988. Per commemorare il decimo anniversario della fondazione dell’Istituto Sawai Koto. Eseguito per la prima volta da Kazue Sawai)
Lo strumento a 17 corde, inventato da Michio Miyagi, ha una storia di circa 70 anni (nota: all’epoca della sua composizione), e ha superato di gran lunga il suo scopo originale come supplemento per basso, ed è stato recentemente utilizzato come strumento solista . Naturalmente, il processo per arrivare a questo punto è dovuto ai grandi sforzi degli esecutori, dei compositori e delle persone che creano gli strumenti, ma la profondità e la forza del suono della 17 corde, così come la lunghezza del suono persistente, sono fattori importanti. Il suo fascino continuerà a catturare i cuori delle persone. E ora sembra che Jushichigen stia diventando il fiore all’occhiello del mondo musicale giapponese. [Testo: Tadao Sawai, Trad. Google]
Sawako is a sound sculptor and timeline-based artist who understands the value of dynamics and the power of silence. Beginning in video art, Sawako shifted her focus from the video camera to sound. Once through the processor named Sawako, fragments in everyday life – field recordings, instruments, voice and electronic sounds – float in space vividly with a digital yet organic texture. Her unique sonic world has been called “post romantic sound” by Boston’s Weekly Dig.
Maybe someone remember this 1973 vinyl (now out of print) called Tibetan Bells by Henry Wolff and Nancy Hennings.
Not so deep from a composer’s point of view but beautiful sounds.
Non so se qualcuno di voi ricorda questo vinile del 1973 ormai fuori catalogo, fatto tutto con campane tibetane e firmato Henry Wolff and Nancy Hennings.
Compositivamente debole, ma gran suono.
from Henry Wolff and Nancy Hennings – Tibetan Bells (1973)
Takemitsu’s recent works have been marked by the use of traditional Japanese instruments as in the case of Eclypse for the Shakuhachi and Koto, or the music in the film, Kwaidan (Ghost Stories), which includes extremely original concepts. Here again, the motive of composition seems to seek through these instruments special effects which otherwise could not be obtained. And it is true that he has until now been so successful that one could not expect more. It seems as if it were aimed at producing an interminable dynamic drama from the succession of the momentary sounds from the hand and the mouth of the musician. This is the quality very akin to that which realizes infinite freedom at the very moment of heightened tension as in the case of Japanese calligraphy and the tea ceremony.
Born in Tokyo, Takemitsu first became interested in western classical music around the time of World War II. He heard western music on American military radio while recuperating from a long illness. He also listened to jazz from his father’s ample collection.
Takemitsu was largely self-taught in music. He was greatly influenced by French music, and in particular that of Claude Debussy and Olivier Messiaen. In 1951 he founded the Jikken Kobo, a group which introduced many contemporary western composers to Japanese audiences.
Takemitsu at first had little interest in traditional Japanese music, but later incorporated Japanese instruments such as the shakuhachi (a kind of bamboo flute) into the orchestra. November Steps (1967), a work for shakuhachi and biwa (a kind of Japanese lute) solo and orchestra was the first piece to combine instruments from east and west. In an Autumn Garden (1973-79) is written for the kind of orchestra that would have played gagaku (traditional Japanese court music). Works such as Eclipse, (1966) for shakuhachi and biwa, Voyage (1973), for three biwas should also been mentioned as works that are decidedly derived from traditional genres.
Takemitsu first came to wide attention when his Requiem for string orchestra (1957) was accidentally heard and praised by Igor Stravinsky in 1959. (Some Japanese people wanted Igor Stravinsky to hear some tape recorded music by Japanese composers and put in the wrong side of the tape; when they tried to take it out, Stravinsky didn’t let them.) Stravinsky went on to champion Takemitsu’s work.
During his career, Takemitsu composed music for motion pictures, including scores for directors Hiroshi Teshigahara, Akira Kurosawa, Masaki Kobayashi, and Shohei Imamura.
Takemitsu died in Tokyo on February 20, 1996
Commissioned in 1968 by RCA Records, this work is for piano and orchestra with an expanded percussion section with unusual methods of articulation: the spine of a comb is run across a suspended cymbal, a double-bass bow used on three suspended cymbals, and so on. All three definitions of the title constitute the poetic meaning of this music – a group of stars, a constellation; crystallized minerals showing a starlike luminous figure in transmitted or reflected light; and the three asterisks placed before a passage to direct attention to it. The music is characterised by lovely crystalline textures from glockenspiel, harp, metallic percussion and the piano. Impressionistic chords from the high strings, and Messiaen-like brass chords provide celestial imagery. Sliding tones from plucked strings and lower brass suggest more earthiness. A brief solo statement from the piano is followed by breaking sounds (light bells, ratchets, rattles) from the percussion suggest the punctuation nature of the title. Toward the end, the music enters a quasi-random chaotic crescendo of uncoordinated cycling motifs and sizzling cymbals and gongs. Suddenly, the sound is suspended and a quiet transparent texture emerges, then silence, and a single final note from the piano. A lovely, brief, poetic vision.