Renewable Music riporta una bella citazione in cui Boulez paragona la tradizione al telefono senza fili
C’è un gioco che facevamo da bambini. Ci si siede intorno a un tavolo, il primo sussurra una frase all’orecchio del proprio vicino “Ho il fazzoletto in tasca”.
La frase passa da orecchio a orecchio, sempre più veloce, e come diventa alla fine? “Il gatto mangia la cioccolata”.
Ecco. Questa è la tradizione – spesso solo l’eredità di manierismi. Qualcuno imita gesti senza capire il loro spirito.
[trad. mia]
Trovo questo paragone molto bello e centrato. Rende conto anche della distanza.
D’altronde Boulez non è mai stato tenero con i recuperi di qualsiasi tipo. Leggete questa intervista a Repubblica datata 2000:
Maestro Boulez, come vede la musica del nostro tempo?
“In uno stato di regressione, pigrizia e mancanza di coraggio. Per paura del presente ci si rifugia in brutte copie del passato, ovvero il cosiddetto post-modernismo, esecrabile. Negli anni ’50, dopo la guerra, quando non c’era più niente da perdere, la guerra aveva già azzerato tutto, si era più intrepidi, non si temevano sperimentazioni radicali. Ora si è ossessionati dalla conservazione. Nelle arti, e nella società in generale, si teme la perdita d’identità: in quella gran miscela che è diventato il mondo si ha come il terrore di annullarsi dentro una massa ibrida e confusa, senza più profili e caratteri. Perciò ci si difende tuffandosi nella propria cultura e nel passato. Col risultato di due tendenze: la mania dell’ autenticità e della filologia, vedi il revival di Bach e del barocco mitizzato come epoca d’oro; e il mito della caricatura, ovvero rifare, naturalmente meno bene, cose immaginate cento anni fa o di più. Accade ovunque, nella musica come in architettura, coi vari orripilanti neoellenismi… Spaventosi come il post- moderno in musica”.
Crede nelle contaminazioni con la musica pop?
“No! Trovo il pop alienante e opprimente. Apprezzo la vitalità dei suoi interpreti, ma è un’energia che potrebbe essere indirizzata verso obiettivi più interessanti. E’ una musica fatta di cliché che cambiano, come la moda. Mi fa pensare a un certo modo di mettere il berretto: un anno con la visiera davanti, l’ anno dopo di lato, e ora tutti la portano indietro… Il pop è dominato da superficialità e imitazione. L’unico che mi ha interessato è stato Frank Zappa, curioso, avventuroso, radicale. Apparizione eccezionale in quel contesto”.
Lei fu un pioniere nel campo dell’informatica musicale. I risultati attuali sono pari alle sue aspettative?
“Lo sviluppo è interessante ma ancora molto deve accadere. Se un tempo si temeva che la tecnica soffocasse l’interprete, oggi ci si rende conto che è salvaguardato. L’elettronica non domina: è funzionale. E’ una possibilità fantastica di estensione del mondo strumentale. Non indispensabile: si può benissimo scrivere ancora solo per strumenti. Ma per un universo musicale può fungere da arricchimento formidabile”.
Il pensiero di Boulez sulla tradizione è ulteriormente chiarito in questo frammento tratto da una intervista al Telegraph:
No, non credo nella tradizione. Io credo nella storia. Le lezioni che ricavi dalla storia sono le tue proprie lezioni, tu stai insegnando a te stesso. La tradizione è semplicemente il manierismo di gente che è venuta prima di te. La tradizione è passiva, la storia è attiva.