Regali per musicisti 2014

2014 perché esiste un post con lo stesso titolo del 2007 ed esiste anche una volpe che, avendolo letto nel 2010, si è lamentata per la qualità dell’informazione (molti link erano scomparsi).

Quindi, questo è un upgrade improntato al consumismo più inutile e skifoso, per una volta con un po’ di kattiveria.

La prima cosa notevole è questa: do it yourself guitar, ovvero una chitarra elettrica in scatola di montaggio. Purtroppo non è difficile: è indicata per beginners (con i pick-up già inseriti sono capaci tutti). L’unica cosa imho un po’ complessa è fissare il manico dritto. Ne esistono di varie forme, tipo Fender o Les Paul. Prezzo da 70 a 100 sterline. Nella speranza che li impegni per un bel po’ di tempo.
Altra cosa interessante è il Guitar Pick Punch, ovvero una macchinetta tipo pinza che consente di ricavare un plettro da qualsiasi superficie plasticosa e abbastanza rigida. $ 20 o € 21.25 da uncommon goods. Ma poi non fateli entrare a casa vostra.
Per i rappers bambini (ma anche no; in fondo i rappers sono sempre un po’ bambini affetti da parafrenia sistematica) abbiamo il Gangsta Rap Coloring Book. 48 pagine di disegni da colorare in stile outlaw image. Solo $ 8.95 da Amazon. Magari così stanno zitti per un po’.
Per i batteristi è d’obbligo il Drum Set Alarm Clock, una sveglia con batteria che li farà alzare con un solo in 50’s style rock song. $ 45.90. Giusta vendetta per quello che ci hanno fatto subire.  
Per i chitarristi più fanatici c’è il Jammin Johns Electric Guitar Toilet Seat, in raffinatissima colorazione sunburst. Un po’ caro ($ 179), ma ne vale la pena. Per molti di loro, è il luogo dove dovrebbero stare (rende meglio la bella espressione inglese “where they belong”).
Per tutti gli elettrici e i tecnici audio, il 6-in-1 Cable Tester, una scatoletta in grado di testare la funzionalità di qualsiasi cavo jack, xlr, rca o cannon. $ 83.15. Molto utile. Forse il testare tutti i loro cavi li terrà lontani per un tot.
Infine, per i musicisti amanti del bere (quasi tutti quelli che conosco) posso consigliare i Major Scale Musical Wine Glasses, due bicchieri graduati sulla scala maggiore di LA, da riempire fino al segno corrispondente alla nota desiderata. Magari, una volta ubriachi, dormiranno. Per sempre.  

Se non siete soddisfatti arrangiatevi cliccando qui o qui.

Google Music Timeline

Ma voi avete visto la music timeline di google? (il cui fine, poi, è quello di vendere musica da google play).

Cliccando su un genere, si espande ai sotto-generi, ognuno dei quali si espande fino ai nomi dei musicisti. Solo Google può permettersi cose del genere…

Però, attenzione: il grafico non si riferisce agli ascolti o alle vendite di tutto il mondo, ma è costruito basandosi soltanto sugli ascolti effettuati tramite il servizio Google Play (cito le FAQ: The Music Timeline is based on album and artist statistics aggregated from Google Play Music — we define popularity by how many users have an artist or album in their music library).

Quindi non è una mappa della popolarità dei generi musicali nel mondo, cosa che ci si potrebbe aspettare, conoscendo il furore “schedatorio” di Google, ma una statistica ricavata dal proprio servizio di vendita. Il valore della mappa, quindi, dipende da alcuni dati che attualmente non conosco e cioè quanti utenti ha Google Play e soprattutto cosa è disponibile (un artista non appare se Google non lo vende).

Ciò nonostante, è carina. Per la cronaca, nonostante quello che alcuni hanno scritto, c’è anche un tot di musica italiana (ho trovato De André e perfino la Pausini).

Un’altra precisazione importante è che la timeline non mostra, come dicono alcuni, la popolarità di un genere nel corso degli anni, bensì la presenza nelle librerie degli utenti di Google Play di dischi pubblicati in quegli anni. Per esempio, la grossa bolla di jazz degli anni ’50 non significa che negli anni ’50 tutti ascoltavano jazz, bensì che, fra le incisioni degli anni ’50, gli utenti di Google Play hanno principalmente dischi di jazz.

Un piccolo problema è che tutti i grafici sono normalizzati, per cui, se si vede un solo artista, non si ha la minima idea della sua incidenza sul totale. Verò è che, in tal caso, molti grafici sarebbero stati troppo piccoli, però una qualche indicazione percentuale avrebbero potuto metterla.

Infine, peccato non ci sia la musica classica. Nelle FAQ si dice che la mancata inclusione della classica dipende dall’incertezza della modalità di piazzamento temporale: ci si deve basare sulla data di composizione o di incisione? Effettivamente l’utilizzo della prima avrebbe esteso il grafico di almeno 5 secoli, mentre, secondo loro, la seconda sarebbe risultata fuorviante. Vedremo.

Horror Vacui

“La natura aborre il vuoto”. Così diceva Aristotele dopo aver osservato che quando da un luogo veniva tolta tutta la materia, producendo appunto il vuoto, immediatamente nuova materia vi si precipitava a colmarlo.

E così è stato per Limewire, un popolare client P2P che era stato chiuso a seguito di un’ingiunzione da parte di un giudice di New York, che aveva ordinato la cessazione di qualsiasi attività online del servizio. Sia la sua versione base che quella a pagamento avevano all’improvviso smesso di esistere, dopo che il legali della RIAA avevano già ottenuto una condanna per incitazione alla violazione del copyright nei confronti della società LimeWire LCC.

Adesso, un gruppo di sviluppatori ha ripristinato le principali funzioni del servizio di sharing, dopo essere fuoriuscito dal team originario. Così LimeWire è tornato alla vita, apparendo nuovamente online con il nome di LimeWire Pirate Edition (LPE), con tanto di trailer su You Tube.

La versione LPE è ora apparsa tra i meandri del web, basata sulla precedente release 5.6 beta del client P2P. Gli stessi sviluppatori hanno sottolineato come questa nuova incarnazione di LimeWire sia ancora più efficiente, perché priva di pubblicità e spyware. Quindi dedicata esclusivamente ai bisogni essenziali di condivisione degli utenti (per ora esiste solo la versione Windows).

Il trailer è piaciuto al punto che, in breve, sono comparsi decine di remix.

La faccenda dimostra, ancora una volta, quanto la rete sia difficilmente controllabile senza una militarizzazione che ne annullerebbe anche qualsiasi possibilità di sfruttamento commerciale.

Fonte: Punto Informatico, Torrent Freak

Rdio

Non è una bestemmia, ma il nuovo servizio di streaming e sottoscrizione musicale supportato dai denari di Niklas Zennstrom e Janus Friis, due che con la musica e il multimedia in rete ci trafficano da sempre o quantomeno sin dai tempi dell’esplosione della supernova di Napster nel 2001. Per la coppia Zennstrom/Friis il nuovo orizzonte musicale online non è più il download del P2P ma lo streaming a pagamento basato su sottoscrizione.

I due imprenditori sono responsabili prima della creazione di Kazaa – network di condivisione divenuto tristemente noto per il malware proliferante e le decine di migliaia di cause legali intentate dalle major multimediali – e poi del VoIP di Skype. Rdio è una novità che in parte sa di già sentito, un servizio di streaming che promette libertà di utilizzo e condivisione in salsa social dei gusti e delle opinioni degli utilizzatori.

Disponibile nei “tagli” da 4,99 e 9,99 dollari al mese, Rdio offrirà accesso a un ricco catalogo musicale composto da 5 milioni di brani apparentemente con bollino di approvazione da parte delle Grandi Sorelle del disco (EMI, Sony, Warner, Universal). La differenza di prezzo starebbe nel tipo o nella quantità di dispositivi che si possono abilitare alla fruizione dei propri acquisti, capaci di raggiungere l’utenza iPhone come quella BlackBerry e in futuro anche Android.

Questo il succo della notizia di fonte Punto Informatico.

È indubbio che quello a cui stiamo assistendo è un cambiamento epocale: dalla cultura della vendita a quella del servizio. Nello stesso tempo è interessante osservare quanto sia lungo e complesso questo passaggio, sia per le major che per gli utenti.

Le prime stanno rallentando il più possibile nella vana speranza di tenere sotto controllo la faccenda, ovviamente senza riuscirci, perché il colpo più grosso in questo settore lo ha invece messo a segno Apple, una major informatica, non musicale che con una sola mossa ha spiazzato tutti i tradizionali produttori di musica.

Gli utenti, d’altro canto, non riescono ancora a rendersi conto appieno della portata di questo mutamento. Fra i commenti su Punto Informatico, qualcuno si chiedeva come fare a passare i brani sul proprio lettore MP3, senza capire che, con questo nuovo modello di marketing, questa possibilità proprio non si dà.

Per cominciare, Rdio sarà disponibile solo negli USA, per arrivare più tardi in Europa. E qui vengono al pettine anche tutti i paletti e i ritardi posti alla diffusione della banda larga nel nostro paese, fra gli altri, dal famigerato decreto Bondi, che impone l’identificazione certa di tutti coloro che si collegano alla rete, rendendo di fatto difficile la diffusione di qualsiasi rete civica.

Sopravvivere

Negli USA, un reddito mensile di $1160 per un single è vicino alla soglia della povertà ($13,920 all’anno contro $10,830 sotto i quali un single è considerato povero). È il minimo per una vita decorosa. All’incirca quanto guadagna un commesso (naturalmente si tratta di una media).

Il blog The Cynical Musician ha recentemente calcolato quanto deve vendere un musicista per arrivare a questo reddito, utilizzando vari modelli di business: da quello tradizionale (vendita del CD come oggetto fisico) al download via internet, fino ai servizi di streaming audio che consentono agli utenti di ascoltare (non comprare) musica pagando un abbonamento.

Ho riassunto i risultati in questa tabella. Prezzi e costi sono quelli calcolati dal blog di cui sopra, relativi al mercato americano (l’articolo originale è qui). Per altri stati possono essere diversi.

La tabella è idealmente divisa in 3 sezioni separate da una linea verde: nella prima si ipotizza la vendita di un intero album, nella seconda di singoli brani mentre la terza è dedicata al solo ascolto, offerto da servizi come Rhapsody o Last.fm.

Si vede subito come quest’ultima possibilità sia ampiamente insoddisfacente alle condizioni attuali. Per quanto riguarda le altre due, non è facile decidere. È più facile vendere 155 album o 1595 brani singoli? Probabilmente, finché si hanno solo 1/2 album, la prima alternativa è migliore.

Inoltre bisogna ricordare che questi numeri riguardano un singolo artista. Nel caso di una band, i compensi non aumentano, per cui bisogna vendere un numero di pezzi pari a quello dato moltiplicato per i componenti e i numeri diventano elevati.

CDBabyDownload intero album$9.99$7.49155Commissioni a CDBaby 25%. C’è però un versamento di $35 per depositare l’album.CDBabyCD fisico$9.99$5.99194Commissioni a CDBaby $4 C’è però un versamento di $35 per depositare l’album.Casa discograficaCD fisico$9.99$11160Con royalties di livello medio/altoiTunesDownload intero album$9.99$0.941229Si arriva a iTunes tramite una etichetta che di solito concede all’artista royalties leggermente inferiori a quelle del CDCasa discograficaCD fisico$9.99$0.303871Con royalties di livello minimo
CDBabyDownload singolo brano$0.99$0.741595Commissioni a CDBaby 25%. C’è però un versamento di $9 per depositare il brano.Amazon iTunesDownload singolo brano$0.99$0.641813
eMusicDownload singolo branoabbonamento$0.343392
RhapsodyAscolto (no acquisto)abbonamento$0.009127473
Last.fmAscolto (no acquisto)abbonamento$0.000157733333

Servizio Modello di business Prezzo all’acquirente Ricavo dell’artista per ogni pezzo Numero di pezzi da vendere AL MESE per arrivare a $1160 Note
Vendita diretta in proprio CD fisico venduto ai concerti (no spedizione) $9.99 $8.12 143 Non ci sono commissioni a terzi. $1.28 vanno in scatola, booklets e supporto.

 

DG Web Shop

Ecco il negozio online della Deutsche Grammophon.

Tutti brani senza DRM, portabili su qualsiasi player che però costano leggermente di più degli altri: un CD costa € 11.99 (in qualche caso anche meno) e i singoli brani € 1.29, però il prezzo di questi ultimi non è fisso: se un brano è particolarmente lungo, può costare di più. In ogni caso si fa attenzione a evitare che l’acquisto dei brani singoli sia conveniente rispetto all’acquisto del CD completo, come invece accade a volte in iTune e altri servizi di vendita online che applicano ciecamente un prezzo fisso ai singoli pezzi.

Bisogna però segnalare che qui la musica è in MP3 a 320 kbps, molto migliore dei 192 (o peggio) degli altri servizi. Da una etichetta di tale fama, magari qualcuno si sarebbe aspettato la possibilità di scaricare l’originale in un formato compresso senza perdita, come FLAC o APE, ma probabilmente questo avrebbe significato uccidere i negozianti non online e a conti fatti, smettere o quasi di vendere CD fisici.

Il catalogo comprende, a oggi, 2427 titoli. Che un produttore di questo prestigio, ma anche, per sua natura, abbastanza conservatore, si sia deciso al gran passo e per di più senza applicare meccanismi di protezione è comunque indicativo della ineluttabilità di questo passaggio. Certamente la DGG può permettersi più di altri di non applicare protezioni perché il suo pubblico non è fatto di ragazzini, però fa piacere non avere limiti nella fruizione del prodotto.

Anche i termini di vendita sono apprezzabili. Stabiliscono che l’acquirente ha il diritto di trasferire il prodotto su qualsiasi lettore e anche di metterlo su CD. Deve però farne uso personale e osservare le leggi sul copyright in vigore nel suo paese.

Segnalato da federico
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Here is the Deutsche Grammophon web shop.

Currently there are 2427 titles all distributed without DRM. You can transfer your download to portables players and burn it on CD. But on the other hand, you agree that this is only for personal use and that your use is reguled by the copyright law.

Single CD price is € 11.99 (lower in some case) and the single piece cost € 1.29 (but pieces which last more than 10 minutes can cost more). All the music is in MP3 format at 320 kbps, a very high quality with respect to other online shops that sell music at 192 or lower kbps.

Regali per musicisti…

NB: questo post è del 2007. Meglio leggere Regali per musicisti 2014.

Music Thing ha pubblicato una lista di regali per musicisti che costano meno di € 140 (i regali, non i musicisti).
È principalmente orientata al pop, ma magari qualcosa si trova…
Vi consiglio questa chitarra Hello Kitty (qui la versione giapponese; quella europea è una banale simil Squier strat). Ma date un’occhiata anche al violino elettrico a 7 corde (con tasti… agh!).

Se invece volete spendere, ecco gli 11 crazy expensive Christmas gifts for musicians.
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Here is the Music Thing’s 20 non-boring Christmas gifts for musicians which cost less than £100

But take a look at this 11 crazy expensive Christmas gifts for musicians list.

Jobsintown

JobsintownSimpatica (ma un po’ triste) allegoria di come siamo riusciti a ridurre (e si sono lasciate ridurre) le generazioni più giovani in questo paese.

In realtà è la pubblicità di una agenzia tedesca, jobsintown.de, che è la stessa dell’Ass-Kisser Project, ma quest’ultima campagna è un po’ più raffinata e significativa.

Cliccate qui per ingrandire e vederne altre.

Segnalato da: federico

Riflessioni su Deezer

deezer_logo

Ci sono alcune annotazioni da fare su servizi come Deezer:

La prima è che si tratta sicuramente di un bel passo verso il superamento dell’attuale modello di business per andare verso un sistema di distribuzione diffusa. Un passo che le netlabel hanno già fatto da tempo, ma senza star.
Puntualizzo: non voglio sminuire l’importanza delle netlabel, anzi, le stimo molto per le novità che distribuiscono (e presto ci sarò anch’io), ma per arrivare al grande pubblico, attualmente le star sono necessarie e perché la gente si abitui, il concetto di nuovo modello di distribuzione deve essere ribadito più e più volte.

Il punto in Deezer è la generalità. Ho collegato il portatile all’hifi, mi sono iscritto (l’iscrizione è gratuita, devi dargli una mail valida in cui ti mandano la pw e presumibilmente un tot di pubblicità, ma io ne avrò 20) e adesso sto facendo zapping fra le 11 pagine di Springsteen con un po’ di nostalgia per quando guidavo sulle strade d’America, dove il levare serve solo per aspettare il battere.
Mi sto facendo una playlist con un po’ di ballate, ma ieri, mentre lavoravo, mi sono ascoltato una bella fetta della produzione di Peter Gabriel.
Per uno come me, che non ascolta molto pop e che non ha bisogno di avere sempre musica nelle orecchie perché ho già la mia e a volte anche quella dei miei allievi e spesso mi piace ascoltare i suoni del mondo, una cosa come questa è già sufficiente. Basterebbe che avesse anche buona parte della musica sperimentale e la classica per essere del tutto soddisfacente.
In fondo, Deezer abbatte anche il P2P. Perché dovrei andare a cercare illegalmente della musica quando è già qui? Vero, da Deezer non si scarica, si ascolta e basta. Hanno fatto un bel lavoro per rendere difficile l’accesso all’url del brano; in pratica l’unico modo di “scaricarsi” un brano è collegare via software l’output all’input e darlo in pasto a un programma di hd recording, non banale per la massa.
Ma perché dovrei registrarmi i brani se per sentirli mi basta collegarmi e lanciare la mia playlist? Sicuramente qualcuno può dirmi “per metterli in un lettore e ascoltarli in treno o in auto”. Vero, ma a questo punto il problema è piuttosto un altro: quello della pervasività della rete. Il giorno (lontano) in cui vivremo in città cablate via wireless oppure il collegamento via cellulare costerà 2 lire questo problema sarà superato (vedi “Il futuro del mercato musicale“).

Quello che dobbiamo superare noi, invece, è la volontà di possesso. Non serve possedere qualcosa se è sempre disponibile. A cosa serve possedere il disco quando posso ascoltare la musica sempre? A qual pro possedere un’auto se esistesse un valido servizio di car sharing, come esiste in certe città, p.es. a Berlino? Perché avere una TV se posso vedere quello che voglio, quando voglio, su un monitor via internet? Secondo me è questo quello a cui si deve tendere: condivisione delle risorse non essenziali. E non essenziale è quasi tutto. Quando lo dico, qualcuno mi dà del comunista… manco fosse un insulto…

UPDATE!
Mi dicono che il car sharing esiste anche in Italia: vedere qui!

Ma torniamo a Deezer. In assenza di una ricerca avanzata, l’altra cosa interessante è la possibilità di ordinare i risultati della ricerca per titolo. Così saltano fuori le varie versioni dello stesso brano, magari eseguite anche da gruppi diversi. Per esempio, non sapevo che esistessero 5 versioni di Atlantic City, tutte diverse.

Infine, un’ultima annotazione.
Deezer non è il parto di chissà quale genio d’oltreoceano. Un rapido “whois” mostra che il servizio è francese. La sede è a Parigi in Boulevard de Sebastopol e i nomi dei responsabili nelle liste del RIPE, Jonathan Benassaya e Benjamin Bejbaum,sanno tanto di algerino. Bel colpo, ragazzi! 🙂

Deezer

Segnalato da Tertium Auris

Tanto per smentire il post precedente, piazzo questa segnalazione nella notte che precede l’upgrade day.

Deezer è un simpatico servizio in cui si possono cercare e ascoltare canzoni gratuitamente e legalmente, nonché creare le proprie playlist e condividerle.
L’area è fondamentalmente pop con un po’ di classica. È possibile anche richiedere l’inserimento di brani attualmente non presenti.
La disponibilità pop, comunque, è molto buona e va anche piuttosto indietro nel tempo. Tutto dipende dal grado di notorietà dell’individuo, es. di Robert Wyatt si trova Rock Bottom più due brani sparsi, dei Soft Machine 4 album, dei Genesis quasi tutto.
Il sistema di ricerca, però è idiota: qualsiasi parola si introduca viene cercata in titolo della canzone, band, album. Non ho trovato una ricerca avanzata.

Le magliette dei bianchi morti

È l’espressione con cui gli africani indicano gli abiti usati che provengono dall’occidente, perché nessuno di loro può credere che questi vestiti vengano buttati solo perché noi non abbiamo più voglia di indossarli.

Torno a casa dopo mezzanotte, mi faccio un gin tonic, accendo la tv e piombo in mezzo a un documentario (ovviamente RAI3) che segue il viaggio di una maglietta da un contenitore di abiti usati in Germania fino all’Africa. Il titolo è “Mitumba – The second hand road”, regista e produttore Raffaele Brunetti.
La storia è molto più complessa di quanto si possa immaginare. A suo modo è una storia estrema. Non è una denuncia. È solo una storia che chiarisce anche un po’ di meccanismi del mercato di cui in genere non ci rendiamo conto.

Dunque, la nostra maglietta viene buttata in un raccoglitore di vestiti usati dalla mamma di un bambino tedesco a cui la maglietta è “scappata”. Lei pensa che questi vestiti regalati vadano a coprire, gratis, gente bisognosa, ma non è esattamente così.

I contenitori, in genere, sono gestiti da organizzazioni non profit, come la Caritas o la Croce Rossa. Dunque, in questo caso, Caritas e/o Croce Rossa (o altri) raccolgono gli abiti usati dai contenitori e poi li vendono a una azienda che tratta abiti usati. Il prezzo è basso, si vendono a peso e il prezzo è calcolato in base ai costi del ritiro, più un margine di guadagno, oppure la ONG non gestisce nemmeno il ritiro, ma lo affida a una organizzazione privata in cambio di una percentuale. In tal modo organizzazioni come quelle citate si auto-finanziano.
L’azienda che gestisce abiti usati dà una lavata a tutto e poi suddivide la merce per tipologia, stato di conservazione e colore. Da qui, gli abiti possono prendere diverse strade. Per esempio, i capi ben conservati degli anni ’70 finiscono nelle boutique dell’usato giapponesi, dove sono considerati oggetti di culto. Altri tipi di capi finiscono nei nostri negozi dell’usato. I capi totalmente distrutti e inusabili vengono ceduti alle aziende che riciclano i tessuti. Tutto il resto finisce nel terzo mondo.
Ma non ci finisce gratis. Non può. Come “non esiste un pasto gratis” [Milton Friedman], così non esiste un costo zero. Esistono invece aziende che si occupano del trasporto dei vestiti, ormai confezionati in grosse balle, fino all’Africa, in uno dei 21 punti di raccolta sparsi in vari stati africani. Il prezzo, naturalmente, cresce in base ai costi di trasporto. Poi, altre organizzazioni locali, grandi o piccole, acquistano una o più balle, le aprono e distribuiscono i singoli capi sul territorio, vendendoli sia direttamente che a rivenditori, “negozi” che agiscono a livello di villaggio.
Gli africani comprano i nostri abiti usati che offrono garanzie di qualità e durata superiori a quelle dei capi prodotti nel loro paese e ormai chiamano Mitumba, che originariamente significa “balla”, tutto l’abbigliamento di seconda mano proveniente dal primo mondo. Lo apprezzano talmente che si sono registrate truffe consistenti nel vendere vestiti nuovi di fabbricazione cinese spacciati per Mitumba.
In alcuni paesi africani i vestiti usati costituiscono la prima voce di importazione, infatti il 90% della popolazione si veste di seconda mano. Li chiamano “I vestiti dei bianchi morti” proprio perché in Africa è inconcepibile pensare di disfarsi di cose ancora utilizzabili a meno che il proprietario non sia morto.
Ma il significato del termine mitumba ormai è in espansione. In Kenya si parla, infatti, di mitumba economy per indicare la consuetudine di costruire servendosi della spazzatura degli altri.

Tutto questo mi ricorda un aneddoto narrato da Jared Diamond nel suo “Armi, acciao e malattie”. Yali, abitante della Nuova Guinea e uomo politico in quel paese da poco sulla via dell’autogoverno, pone in modo diretto all’autore, bianco e scienziato, una questione fondamentale: “Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?”, dove il termine “cargo” si estende dalla nave all’insieme dei beni materiali che la nave trasporta.
Anche qui un’insufficienza linguistica. Anche qui una cultura non riesce a reagire all’opulenza di un’altra.

Mitumba, the Second Hand Road – documentary by Raffaele Brunetti.

The T-shirt of Felix, a 10-year-old German boy, winds up in an old clothes collection point, the starting place for a journey spanning two continents: donated, collected, bought and sold several times over, finally worn by Lucky, a 9-year-old boy who lives in a small Tanzanian village. In some African countries, used clothing ranks first in imported goods. In fact, 90% of the population wears second hand clothes, called “dead white men’s clothes” because no one in Africa would throw away anything still good unless it came from a dead person. Deals, persons and places along the secret route trade routes of the used clothing business, a hidden road that reveals a surprising reality.

Raffaele Brunetti is a documentary producer and director. Since 1987 he has made documentaries in Italy, the Near East, and the Mediterranean. In his early career he worked with Japanese TV networks (NHK, TBS, NTV, FUJI TV). He then collaborated with National Geographic, BBC, Arté, Yle, History Channel, contributing to over 100 award-winning documentaries. In recent years he has directed historic and fiction documentaries.

La sedia di Glenn Gould

sedia
Per quasi tutta la sua vita, dal 1953 fino alla morte avvenuta nel 1982 a 50 anni, sia a casa che in concerto, Glenn Gould suonò il piano seduto sulla stessa, miserabile sedia fabbricata, su sua indicazione, dal padre. Questo oggetto, chiamato da molti “la sedia da campeggio” perché oltretutto cigolava ignobilmente, permetteva a Gould di posizionarsi a 35 cm dal suolo, approcciando lo strumento “dal basso”, una situazione che forse lo favoriva perché, venendo dall’organo, era abituato ai manuali a varie altezze (aveva iniziato a dare concerti già a 12 anni come organista anche se, solo l’anno successivo, suonava con la Toronto Symphony Orchestra in qualità di pianista).
Peraltro, una tale posizione magari andava bene per la musica che prediligeva (Bach & Händel), ma gli impediva di generare il volume necessario ad interpretare gran parte dei romantici (e in effetti, quando incise le trascrizioni di Liszt delle sinfonie di Beethoven, ricorse ampiamente alla sovraincisione; non che sia necessario suonare i romantici comunque, anzi…).
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Cilindri e dischi

cilindro
solchi

1877: Edison registra la voce umana (“Mary had a little lamb”) mediante solchi incisi su un cilindro di stagno.
Per avere un’idea della resa, questa è la voce di Edison registrata da uno dei suoi fonografi. Non è male pensando all’epoca, ma ovviamente è voce parlata, quindi a banda limitata; la musica sarebbe venuta molto peggio. È interessante notare come Edison si rendesse perfettamente conto dei suoi limiti: il fonografo, infatti, non venne pubblicizzato come apparecchio per incidere musica, ma come dittafono per ufficio o per l’archiviazione di discorsi e di testimonianze di vari tipi (processi, riunioni, etc). La storia lo smentirà in breve.
Il fonografo fu brevettato nel 1878.
Negli anni seguenti altri inventori cercarono di migliorare il prototipo di Edison apportando varianti tali da giustificare altri brevetti (non si brevetta l’idea, ma l’oggetto). Nel 1885, Bell e Tainter brevettarono il “grafofono” che usava cilindri ricoperti di cera, mentre, nel 1887, Berliner creò il “grammofono” che incideva un disco al posto del cilindro.
Quest’ultimo fu il primo ad arrivare alla produzione di massa nel 1888 con un disco di 7 pollici che girava a 30 giri/min. (2 min di durata). Ma, solo un anno dopo, Edward D. Easton fondò la Columbia Phonograph Co. con l’idea di commercializzare un sistema a cilindri. Era l’inizio della lotta “cilindro contro disco” che continuerà fino al 1913.
Sopra: il Fonografo di Edison e i solchi di “Mary had a little lamb”.

victorNel 1890 abbiamo il primo jukebox a cilindri. Esposto al San Francisco’s Palais Royal Saloon e funzionante a monete, incassò più di $ 1000 in 6 mesi nonostante disponesse di soli 4 cilindri.
La produzione di massa inizia nel 1893: Berliner vende 1000 grammofoni e 25000 dischi. In pochi anni vengono fondate varie etichette discografiche, fra cui Victor e Odeon.
Nel 1903, in Europa, si vendono dischi da 10 pollici (circa 25 cm, durata 4 minuti) di artisti famosi come Caruso. Viene registrato l’Ernani, di Verdi, su 40 dischi. Si realizza un prototipo di disco inciso su ambo i lati. A lato: il famoso logo della Victor.
1908: i primi famosi cantanti americani dell’epoca (John Lomax, John McCormack) firmano contratti discografici.
Nel 1910 erano già disponibili dischi a 78 giri con formati da 7 a 21 pollici e durata fino a 8 minuti. Nel frattempo (1909) era stata inventata la bakelite, una resina plastica con cui i dischi venivano costruiti e stampati a caldo.

Anche per i musicisti si apre l’era della riproducibilità tecnica che, insieme alla radio inventata nel 1894, rivolta letteralmente il modo in cui si concepisce la musica.

Amazon venderà MP3 senza DRM

Che le protezioni sugli MP3 irritino i consumatori e nuociano alle vendite è ormai un dato di fatto.
Fa piacere vedere che ogni tanto qualcuno se ne accorge e quando questo qualcuno è Amazon, fa anche notizia.

SEATTLE–(BUSINESS WIRE)–May 16, 2007–Amazon.com (NASDAQ:AMZN) today announced it will launch a digital music store later this year offering millions of songs in the DRM-free MP3 format from more than 12,000 record labels. EMI Music’s digital catalog is the latest addition to the store. Every song and album in the Amazon.com digital music store will be available exclusively in the MP3 format without digital rights management (DRM) software. Amazon’s DRM-free MP3s will free customers to play their music on virtually any of their personal devices — including PCs, Macs(TM), iPods(TM), Zunes(TM), Zens(TM) — and to burn songs to CDs for personal use.

“Our MP3-only strategy means all the music that customers buy on Amazon is always DRM-free and plays on any device,” said Jeff Bezos, Amazon.com founder and CEO. “We’re excited to have EMI joining us in this effort and look forward to offering our customers MP3s from amazing artists like Coldplay, Norah Jones and Joss Stone.”

Musica in via di estinzione? (2)

In risposta a erri e max su Musica in via di estinzione?

Avete ragione entrambi.
Il punto è che prendersela con il conservatorio è come sparare sulla croce rossa. Almeno qui da noi. In altri stati, fare musica contemporanea in conservatorio è più facile
È un dato di fatto che i programmi (soprattutto quelli di storia della musica) vanno aggiornati. Attualmente arriviamo all’assurdo che ho trovato una mia allieva prossima ventura (almeno credo), laureata al DAMS ma non ancora diplomata in strumento e passata da me per informazioni sul biennio, più preparata sulla musica contemporanea rispetto a molti di quelli che mi arrivano con un diploma di strumento (mentre noi dovremmo essere la scuola specialistica).
Come è un dato di fatto che quelli che lavorano in conservatorio e amano la musica contemporanea, si danno da fare per diffonderla.
Il problema, secondo me, non sono nemmeno i concerti, almeno a livello di grande città. Se uno vive a Milano, una rassegna all’anno la trova. Ok, non è tanto, ma non è di questo che mi lamento.
La cosa di cui mi lamento è la presenza in internet. Ormai internet è il mezzo principale di circolazione dell’informazione e delle idee. Se su internet una cosa non c’è, per volontà o per ignavia, non esiste perché quasi nessuno può saperne qualcosa.
Facciamo qualche esempio:
Continua a leggere

Musica in via di estinzione?

Ok, forse il titolo è eccessivo; in fondo la musica contemporanea può anche essere considerata un optional, però la sua situazione è piuttosto drammatica.
Principalmente a causa dell’opposizione dei discografici e degli editori, ma anche per la cecità di buona parte dei musicisti, la musica di produzione recente su internet praticamente non esiste.
Chi, come il sottoscritto, gestisce un blog dedicato alla musica sperimentale, se ne rende conto pesantemente.
L’unica musica che si trova facilmente è quella distribuita dalle netlabel. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di pop o similia, più raramente di musica sperimentale non accademica e praticamente mai di musica contemporanea accademica.
Quello di cui non riesco a rendermi conto è come i compositori possano essere così ciechi. Sui loro siti, almeno su quelli dei pochi che ce l’hanno (e già questo è indice di idiozia diffusa), molto raramente si trova un po’ di musica da ascoltare. E quando dico “un po’ di musica” intendo dire alcuni brani, interi, non un minuto su 10. Nell’Archivio Luigi Nono, tanto per fare un esempio, non c’è un solo pezzo da ascoltare.
Come pensino di incrementare il proprio seguito se nessuno può ascoltarli, è un mistero.
Nel caso della musica classica, la situazione migliora almeno un po’. Essendo ormai scaduti i diritti d’autore, se l’interprete acconsente e la sua esecuzione non è su disco, può essere diffusa, ma nel caso della musica contemporanea non è possibile, a meno che non si muova il compositore in persona, perché, a quanto pare, sia i discografici che gli editori sono sordi al riguardo.
Ora, considerate che, anche nel nostro conservatorio e fra i compositori, pochi conoscono nomi come Murail. Grisey, Crumb, Gubaidulina. Al massimo li conoscono di nome, ma non hanno ascoltato quasi nulla. E se fate un sondaggio, vedrete che anche le opere dei compositori storici (Berio, Nono…), non sono così conosciute. E non mi sembra strano: a meno di sforzi, non è possibile ascoltarli.
Recentemente, in un mondo sensibile sia alla tecnologia che all’auto-promozione, come quello americano, si nota qualche segno di cambiamento. Vari compositori, soprattutto giovani o non ancora affermati, hanno iniziato a mettere brani e partiture in rete e anche qualche europeo lo fa.
Ma è sempre troppo poco e non riesco proprio a capire perché non lo capiscano.

Musica Classica +22%

Nielsen SoundScan, il sistema leader di monitoraggio dell’industria musicale, ha pubblicato l’elaborazione dei dati per il 2006 da cui risulta che, negli USA

  • la vendita al dettaglio di album (include CD, CS, LP, Digital Albums) cala del 4.9%, ma
  • la vendita di CD via internet (non mp3, veri CD acquistati via e-commerce) cresce del 19%
  • la vendita di brani singoli in formato digitale (mp3 e simili) cresce del 65%
  • la vendita di interi album in formato digitale (sempre mp3 e simili) cresce del 101%
  • il mercato globale della musica registrata (Albums, Singles, Music Video, Digital Tracks) cresce del 19.4% e supera decisamente il miliardo di pezzi (1.198 milioni).

Con ciò l’industria musicale dovrebbe smetterla di rompere e constatare che, nonostante il P2P e le copie, le vendite crescono e se qualcuno non vende, è solo per la propria insipienza e/o incapacità di adeguarsi ai cambiamenti del mercato. Non a caso, infatti, buona parte di questa crescita è dovuta a iTunes di cui le major incamerano solo una parte del fatturato.
Ma la notizia più interessante dal mio punto di vista, arriva quando si guarda la suddivisione per generi (i commenti, ovviamente, sono solo opinioni personali):

  • la new-age perde il 22.7% (era ora)
  • il rhythm&blues perde il 18.4% (idem)
  • il rap cala del 20.7% (idem, non capisco che gusto ci sia ad ascoltare uno che parla a tempo)
  • l’alternative perde il 9.2% (e un po’ mi dispiace)
  • il jazz perde l’8.3%
  • il metal cala del 4.5%
  • il country resta quasi stabile (-0.5%)
  • il rock è quello che vende più di tutti (non c’è percentuale perché nel 2005 non era considerato come genere, chissà come mai)
  • crescono il gospel (1.3%, disastro) e il latin (5.2%, disastro totale, non lo sopporto)
  • le colonne sonore crescono del 19%
  • la musica classica cresce addirittura del 22.5%

Secondo Long Tail (commentatore del business), la crescita della classica si spiega con il fatto che la sua disponibilità su iTunes è notevole. È una delle categorie con il maggior numero di titoli, mentre nella maggior parte dei negozi è stata sempre trattata da schifo, relegata nell’angolo o in una stanza a parte.
Adesso, invece, la gente la vede, prova ad ascoltare qualcosa, si rende conto che è bello e dato anche il prezzo basso (0.99 come tutte le tracks), lo compra. Magari così compra un solo tempo di una sonata, ma almeno comincia.

Downhill Battle

Downhill Battle is a non-profit organization working to support participatory culture and build a fairer music industry.
Their plan is to explain how the majors really work, develop software to make filesharing stronger, rally public support for a legal p2p compensation system, and connect independent music scenes with the free culture movement.
On the site you can find many interesting papers about the music industry world and projects to spread the music share idea and support movements against the majors.

Downhill Battle è un sito di attivismo musicale che sostiene l’idea di una libera distribuzione della musica in cambio di un abbonamento mensile flat sui 5-10 dollari che dovrebbe poi essere distribuito fra gli artisti in quantità proporzionale al numero dei downloads, spezzando il monopolio delle major.
Sul sito si trovano molti materiali di interesse, come articoli su vari aspetti del mondo discografico, fra cui il famoso articolo di Steve Albini, ex produttore dei Nirvana, che mostra, calcoli alla mano, come sia possibile che alla fine dell’anno una band abbia generato un giro d’affari di oltre 3 milioni di dollari, producendo per la major un profitto di $710.000 mentre i membri della band si ritrovano con $4031 a testa.
Downhill Battle porta avanti anche dei progetti come Banned Music in cui si distribuiscono via bit-torrent i dischi che le major hanno bloccato, come per es. il Grey Album di DJ Danger Mouse, remix del White Album dei Beatles, mai uscito per l’opposizione della EMI.

Le corali delle lamentazioni

Le corali delle lamentazioni (Complaints Choir) sono istituzioni di alto valore sociale.
La loro mission è raccogliere le principali lamentele e le suppliche piene di rabbia dei cittadini per poi musicarle ed eseguirle in pubblico (possibilmente davanti al municipio, direi).
La prima corale della lamentazioni è stata quella di Birmingham, seguita da quelle di Helsinki, Amburgo e San Pietroburgo.
Qui sotto potete vedere quella di Helsinki in azione, sottotitolata in inglese, visto che il testo è ovviamente in finlandese.
A questo link, invece, potete ammirare la corale di Birmingham (ma a mio parere, quella di Helsinki è molto più professionale).

A quando una corale delle lamentazioni in Conservatorio?

The Complaints Choir invites people to complain as much as they want and to sing their complaints out loud together with fellow complainers. The first choir was organised in Birmingham followed by the Complaints Choirs of Helsinki, Hamburg and St. Petersburg.
Below you can see the Complaints Choir of Helsinki in action. This is the link to see the Birmingham one.

Siamo una casa discografica, ma non siamo cattivi

UPDATE 2024

Come si sia evoluta l’esperienza di Magnatune potete leggerlo qui.
È comunque durata 21 anni ed è istruttiva. Quelle che seguono sono le dichiarazioni d’intenti alla nascita.

Magnatune è una etichetta discografica di nuovo genere che lavora via internet e tenta di ristabilire un equo rapporto fra artisti, pubblico e produzione.
I punti base della sua metodologia sono:

  • Divisione equa dei profitti: i musicisti ricevono il 50% sulle vendite.
  • MP3 gratuiti per pre-ascolto: tutti gli album possono essere interamente e gratuitamente scaricati in MP3 di buona qualità disturbati solo da una voce che ripete i nomi dell’etichetta e dell’artista fra un brano e l’altro. La musica non è disturbata.
  • Nessuna protezione anti-copia. La musica acquistata può essere copiata su qualunque dispositivo.
  • Ottima qualità audio: gli album possono essere acquistati in molti formati. MP3 di alta qualità, originale in WAV, AAC, FLAC, OGG. Si può anche acquistare il CD che viene spedito.
  • L’acquirente partecipa alla formazione del prezzo. A mio avviso, questa è la novità più interessante e intelligente. Ne parliamo in dettaglio qui sotto.

Il prezzo
I prezzi sono specificati in dollari, euro e sterline.
Quando acquistate un album in download, vi viene consigliato un prezzo, tipicamente € 6, come vedete abbastanza basso. Voi, però, potete offrire una cifra diversa che va da un minimo di € 4 a un max di € 14. Non c’è contrattazione. Voi comprate l’album alla cifra che scegliete.
Ricordate che, prima dell’acquisto, potete scaricare l’intero album in MP3 (non solo degli estratti) e ascoltarlo per quanto volete (anche mesi). Se poi ritenete che valga meno di € 6, lo comprate a 5 o 4. Se pensate che valga molto, potete offrire € 8 o 10 o ancora di più. Pensate che il 50% di questa cifra va all’artista.

Tutto questo vale per la vendita al dettaglio per l’ascolto privato. Se invece volete acquistare della musica per inserirla in un vostro progetto anche commerciale (film, video, locali pubblici, compilations, perfino remix, etc), allora potete acquistare una licenza.
Il prezzo delle licenze cambia in base al budget del progetto e a vari altri fatti, tipo l’ampiezza della distribuzione, se è un progetto su web, se la musica è usata anche nella pubblicità, eccetera.
Vediamo alcuni esempi. Licenza per una canzone usata in:

  • Un film con minimo budget (meno di $ 10000 che per un film è niente) che gira solo nei festival d’autore = $100
  • Stesso film che però è distribuito nelle sale a livello nazionale = $ 380
  • Stesso film distribuito nelle sale tutta la UE = $ 690
  • Stesso film distribuito nelle sale in tutto il mondo = $ 869
  • Film con budget fino a $ 5 milioni distribuito in tutto il mondo = $ 4785
  • Film con budget fino a $ 5 milioni distribuito in tutto il mondo e canzone usata anche nei trailers = $ 7177
  • In modo simile si calcolano i prezzi per altri tipi di progetto. C’è una apposita pagina di calcolo sul sito.

Repertorio
Posso dire di aver visto crescere questa etichetta. L’avevo già vista vari anni fa, poco dopo l’apertura, quando aveva in repertorio solo una cinquantina di album. Oggi Magnatune distribuisce più di 200 artisti e più di 500 album di tutti i generi, dalla musica classica all’heavy metal. Andate a leggervi le dichiarazioni del fondatore John Buckman per capirne lo spirito.

Il CD è morto, dice la EMI

Il presidente della EMI, Alain Levy, parlando alla London Business School, ha affermato che ormai il CD è morto e che in breve le compagnie non saranno più in grado di venderlo, se non offrendo del non meglio specificato “materiale aggiunto” (fonte della notizia: Market Watch).
Levy ha affermato che il 60% dei consumatori acquista il CD solo per scaricarne il contenuto sui computer e sui lettori portatili. Ciò nonostante, ha continuato, non sarete costretti a regalare un iPod a vostra suocera. Dovremo rendere il CD più attraente come contenuto fisico.

Attualmente, però, le statistiche di vendita danno ancora il CD in vantaggio di 7 a 1 (70% contro 11%) e non sembra che le major si stiano dando molto da fare per passare alla vendita in formato digitale. Quindi possiamo solo immaginare che i CD si trasformeranno in cofanetti con dentro gadgets di tutti i tipi, il che dimostra anche che le major, pur di mantenerli, sono disposte a limare ulteriormente i loro profitti.
Tutto ciò, in pratica, è una ammissione del fatto che il mercato è cambiato, ma le aziende non sono ancora pronte.

Una risposta da Boosey & Hawkes

Come forse avrete già visto, c’è stata una risposta da parte di Boosey & Hawkes, il che prova la serietà dell’azienda e di Mr Boon. Credetemi, sono molto pochi quelli che si prendono la briga di rispondere a un cliente qualsiasi.
Questa è la mia ulteriore risposta. La tradurrò in italiano appena avrò tempo. Nel frattempo beccatevi il mio rozzo inglese.

Hi Nigel,
thank you vm for your kind reply. I think it’s a great attestation of B&H (and yours) reliability. As far as I know it’s not usual for a corporation to reply to a mail from a not important customer.
You also make me win a fish dinner. People here was betting on (or against) your reply, and I won. If you’ll come here in Verona (Italy), please let me know.

Ok. I understand your point of view, but let me better explain mine. If you think I’m obsessive, please, throw away this mail and cut the line. I will not insist and the invitation to Verona will be always valid.
But if you are so kind to read my mail (and if you can tolerate my rough english), here is a customer’s feedback.

I am an electronic music teacher in Conservatorium, here in Italy. Sometimes I also act as advisor for the Chamber Music course. My deal is to find contemporary chamber music works to be played by the students. The pieces must fit the students level (a little hard for their level but not so much to be impossible).
I always try to suggest new works by not-so-famous living composers in addition to the historical ones (Berio, Boulez, Stockhausen, etc). I also prefer music with instrumental and electronic parts. Last year we played Crumb’s Vox Balenae (amplified trio); the previous year, Winter Fragments, a Murail’s work for quintet and electronics (unfortunately both not B&H).

Now let’s see how it’s difficult to find something to buy on B&H site with the current non-disclosure system (take it easy, the other publisher’s sites are not better).

I go to the BH site and select Contemporary music.
OK, try the first: Michael van der Aa. He is young and has a funny name (Aa could be the lament by the students looking at a difficult part to play).
Currently I know nothing about him, so I click his name and read the snapshot.
Good. I found the “Here trilogy”. Chamber music. I click the Here trilogy and read. The whole trilogy is too long, but we maybe could play a single part.
I read the program notes, then the press quotes (very good) and then… Rental.
RENT WHAT!? I heard nothing and never seen a single score page!
I click Details to find I have to go in Trento or Venice to find a dealer.
I click Rental trying to discover the price. What? I have to register to continue? So I will be oppressed by your advertisements for the rest of my life? No thanks.
OK. Go back to the main page. Look around searching for the magic words “score or sound samples”. Wow! I found it! Sound samples! Now all my doubt will be cleared! Click!
One sample. Duration: 01 mins 05 secs. For orchestra. Ok, listen. Seems good. Now I really know Michael var der Aa’s music. Now I can go to my Chamber music colleague announcing “this year’s contemporary composer is this man. Don’t you know him? Oh unlucky man! Go to the B&H site….”.
Sorry. Sometimes I go too far.
Then I found the link to the composer home site. Here I found some 2 minutes excerpts. I feel better.

But now I am surfing the Jeffrey Cotton’s site (see following post), listening to his compositions while looking at a PDF score.
OK, I know you can’t do it because the music is not yours and you want to sell scores but it so difficult to show PART of the score? What could I do with the 50% of a score? (or 25%, or selected parts, or the odd pages only). I only can understand if I like that music, how difficult it is, how much work we need to play it and so on. Maybe this year composer will be Jeffrey Cotton…

But tell me: if no one can see any pages of your score over the internet, do you think you will sell more?

(My apologies to Mr. van der Aa for using his name in this mail. It is only a example. Could be everyone. He is only the first in your list.)

Regards and auguri from Verona

Arriva in Italia lulu.com

Bob Young
Questo signore, che siede su una sedia fatta di libri davanti a una scrivania fatta di libri, è Bob Young, già fondatore di Red Hat, uno dei più importanti rivenditori/distributori di Linux.
Da qualche anno Bob Young ha fondato lulu.com che è il sito su cui chiunque può vendere le proprie opere letterarie, musicali o cinematografiche sia come file, che in versione stampata su carta o incisa su CD/DVD, fissandone anche il prezzo. Da ottobre, lulu.com arriva anche in Italia e in altri 4 paesi europei (Germania, Francia, Spagna e Paesi Bassi).
A fronte di questo servizio, lulu.com trattiene solo il 20% del prezzo più le spese di stampa/incisione se necessario.

Facciamo qualche esempio: se io volessi vendere un libro in formato digitale, dovrei solo registrarmi, inviare il file già impaginato (per es. in pdf) e stabilire il mio prezzo che supponiamo sia € 8. Il file sarà messo in vendita a € 10, di cui 8 a me e 2 (il 20%) a lulu.com.
Se invece volessi venderlo in versione stampata, il prezzo sarebbe sempre € 10 più le spese di stampa che sono facilmente cacolabili sul sito in base al tipo di copertina scelta (morbida o rigida) e il numero e il tipo di pagine (con figure a colori o in b/n). Esempio: le spese di stampa di un tipico testo di 100 pagg. con copertina morbida a colori e pagine b/n ammontano a € 5.65. Mantenendo gli € 8 all’autore e i conseguenti 2 di percentuale lulu, il prezzo finale sarà di € 15.65.
Può sembrare tanto, ma considerate che € 8 all’autore su 15 di prezzo finale sono tantissimi: nell’editoria normale l’autore ne vede max 1. Abbassando le pretese dell’autore, per es. a € 4, il prezzo finale diventa € 10.65.
In modo analogo si calcolano i prezzi per la musica, sia come file, che come CD (l’imballaggio del CD, scatola, fronte, retro, stampa, costa € 4.43, per copia singola, ma cala fino a € 3.62 oltre le 10 copie).
Le spese di spedizione sono a carico dell’acquirente.
Naturalmente è possibile vendere anche partiture.

La seconda domanda che tutti si faranno riguarda le modalità di pagamento dell’autore. Ci sono due casi. Se l’autore ha un account PayPal, il pagamento avviene ogni mese a patto che la cifra spettante sia almeno $5, altrimenti si attende fino all’accumulo di $5. Considerate che PayPal si tiene circa il 3/4% su piccoli importi. Altrimenti, tramite assegno che viene emesso trimestralmente per un valore di almeno $20.

Tirando le somme, vedo lati positivi, negativi e ignoti.
I lati positivi sono che, in un colpo solo, tutti gli intermediari vengono saltati e questa è una gran cosa. Forse gli editori dovrebbero cominciare a porsi qualche domanda. Negli USA lulu vende più di 30.000 libri al mese e cresce al ritmo del 19%. Il suo modello di stampa on-demand (il libro/disco viene stampato solo quando qualcuno lo ordina) è una rivoluzione per l’editoria.
Dal punto di vista dell’autore, un problema è quello della visibilità. Con 1500 nuovi titoli alla settimana, farsi vedere è difficile. D’altra parte, prima, a meno di non essere spinto in modo megagalattico da un editore per chissà quale ragione, essere visto sarebbe stato altrettanto difficile.
Ovviamente, non bisogna pensare che basti mettere un libro/disco su lulu per vendere. Non è il punto di arrivo, è solo l’inizio.
Un altro problema a cui pochi, credo. hanno pensato, potrebbe essere un calo del materiale di dominio pubblico. Essendo così facile, potrebbe scattare la sindrome del “perché non guadagnarci qualcosa?” e molte cose attualmente libere potrebbero passare in lulu a un prezzo magari irrisorio, ma non più free. Vedremo.
Infine l’ignoto. La burocrazia italiana. Come la mettiamo con il fisco e il bollino SIAE?

MP3 gratuiti (e legali) dalla Piano Society

La Piano Society è nata nel 2004 con il fine di promuovere lo studio del pianoforte e offrire ai giovani pianisti la possibilità di promuoversi via internet. Ogni pianista, infatti, può inviare le proprie registrazioni (audio o anche video) che vengono valutate e se è il caso, messe su internet da dove possono essere scaricate gratuitamente.
Unica condizione è che le musiche eseguite siano libere da copyright, che negli USA è stato recentemente esteso a 75 anni con l’infame Sonny Bono Copyright Act. Purtroppo questo taglia fuori i brani di musica contemporanea, ma d’altronde è condizione necessaria per poter distribuire liberamente i brani.
In questa pagina della Piano Society, quindi, si trovano quasi 1000 brani di 54 compositori, eseguiti da 75 pianisti.
Al di là di questo, la Piano Society non va. Non stampa dischi, ma è evidente che con questo sistema si potrebbe instaurare anche un rapporto migliore fra acquirenti e discografici: se mi regalate qualche esecuzione, io posso valutare l’interprete (o la band) e se mi piace, sicuramente prima o poi comprerò qualcosa di suo.
Intanto ascoltatevi

  • il Preludio in Re bemolle maggiore dall’op. 28 di Chopin (quello delle gocce d’acqua, o di pioggia, gli anglosassoni lo chiamano “raindrops”), eseguito da Robert Ståhlbrand
  • e i Reflets dans l’eau dal I° libro delle Images di Debussy, eseguito da Alicia Evans

Grande idea, DGG

La Deutsche Grammophon ha pubblicato un disco in cui il mezzo-soprano Anne Sofie von Otter canta canzoni degli ABBA, compreso il famoso hit “The Winner Takes All”.
Il disco si intitola “I Let the Music Speak”. Nelle note promozionali sta scritto, fra l’altro:

Very few composers that I know touch me in the way that Benny Andersson’s music touches me
[Benny Andersson è il compositore dei degli ABBA; nota mia]

Quello che mi è passato per la testa appena ho letto la notizia è che se questa è la strategia con cui l’etichetta per cui hanno inciso Furtwängler, Karajan, Abbado, Barenboim e Pollini pensa di diffondere la musica classica, stiamo freschi.
Ragionandoci, l’incazzatura è un po’ sbollita. Ognuno è padrone di suicidarsi come meglio crede. È un esperimento? Ma perché gli ABBA? Solo perché forse vende? Ma vende?
In ogni caso la cosa mi lascia perplesso…

A Boosey&Hawkes, agli Editori e alle Major del disco

Signori, siete dei derelitti.
Perfino la fruttivendola (con tutto il rispetto) giù all’angolo sa gestire le relazioni con i clienti meglio di voi.
Questo è quanto mi passa per la testa dopo aver visto come si è comportato Boosey & Hawkes in occasione dei 70 anni di Steve Reich (post seguente), ma indubbiamente vale per tutti voi.

Per celebrare l’evento, avete aggiunto al vostro sito una pagina con una animazione, che porta alla vostra pagina su Reich, che esisteva già, in cui tutto il materiale liberamente scaricabile è costituito da una decina di estratti da 1 minuto ciascuno e tre foto (le altre sono a pagamento).
I vari link, poi, guidano all’acquisto di partiture, foto, suonerie per cellulari.
In verità, uno sforzo lo avete fatto e non proprio banale: avete organizzato manifestazioni e concerti in varie città, fra cui Londra, New York, Los Angeles.

Non avete capito niente.

Non avete capito che sarebbe bastato mettere insieme un po’ di pezzi rappresentativi del lavoro di Reich, un video, allegare qualche pagina di commento critico con discografia, un po’ di belle foto, 5 suonerie, una partitura magari facile, impacchettare il tutto in un file liberamente scaricabile e regalarlo (sì, regalarlo, conoscete il significato di questa parola? se non lo sapete, sicuramente conoscete il termine “investimento promozionale” che non è nemmeno un costo perché detraibile) lasciando che la gente lo scarichi, mettendolo sulle reti P2P, regalando i singoli brani via iTunes, per far ascoltare la musica di Reich a un numero di persone impressionante, immensamente superiore a quelle raggiungibili con 10 concerti a Londra, Parigi, New York, senza contare che il 90% di quelli che vengono a tali concerti (che non credo siano gratuiti), i dischi di Steve Reich li hanno già.
Così, via internet, P2P, iTunes avreste raggiunto decine di milioni di persone, una sia pur piccola percentuale delle quali, una volta aperto il pacchetto, avrebbe detto “bello, che altri dischi ha fatto?”.
Avreste potuto raggiungere tutti, le grandi città lontane (ma come, non avete organizzato concerti a Tokyo, Singapore, Hong Kong, Delhi? e a Pechino?) e le piccole città vicine e lontane (non c’è un concerto a Verona? e a Gand? e nel Vermont?). Bastava un po’ di battage su internet per far passare la notizia su tutti i blog e questo pacchetto avrebbe continuato a girare per mesi, facendo sapere a tutti che questa musica esiste.

Signori, siete dei derelitti.

Sciovinismo culturale americano?

Oltre a quelle già riportate in questo post, un’altra cosa mi ha colpito nel Rapporto 2005 Economia della musica italiana.
In tutti i paesi l’acquisto di musica commerciale (= non classica) è più o meno equamente diviso fra nazionale e internazionale (tipicamente americana o inglese). Anche in Francia, paese conosciuto come culturalmente nazionalista, il rapporto è 60/35, cioè il 60% del venduto è musica francese, il 35% estera e il rimanente 5% è musica classica.
La Francia ha la percentuale di musica nazionale più alta d’Europa, la Svizzera la più bassa: 10% contro 90% (in effetti le band e le canzoni svizzere non sono molto note). L’Italia è divisa esattamente in due (48/48; il resto è classica) e anche in Inghilterra, che pure è uno dei produttori più importanti del mondo, la divisione è 47/47.
Negli Stati Uniti, il rapporto fra musica nazionale e internazionale è 93/05. Gli americani ascoltano per il 93% musica americana e solo per il 5% musica non americana. Se ci pensate una cosa del genere è pazzesca. Io capisco che gli USA siano forse il più grande produttore di musica (fra le altre cose), ma, anche conoscendo l’avversione degli americani per i testi in altre lingue, mi sarei aspettato una maggior penetrazione della musica inglese.
Mi vengono in mente due cose:

  1. l’America è molto cambiata rispetto a quella che io ho conosciuto (primi anni ’80).
  2. Che livello di sciovinismo culturale stanno vivendo gli Stati Uniti? Che considerazione e che conoscenza del resto del mondo possono mai avere?

eMusic sbarca in Europa

Secondo un comunicato stampa ufficiale di oggi, eMusic sarà disponibile in tutti in 25 stati della UE.
Il servizio di vendita di MP3 di eMusic è interessante perché i suoi file sono privi di DRM (no protezioni) e quindi possono essere fruiti senza limiti con computers, lettori mp3, cd, eccetera (sono anche iPod compatibili). Ricordiamo, inoltre, che, proprio a causa dell’assenza di DRM, le major non sono molto attratte da questo servizio e quindi l’offerta di eMusic, più che sulle rock star, è centrata su etichette indipendenti (indie), jazz, elettronica e musica classica. Inoltre i prezzi sono più bassi di iPod e simili.
eMusic non vende i singoli brani, ma abbonamenti. I bundles annunciati. sono:

  • Basic: € 12.99 al mese per max 40 downloads = € 0.32 al brano
  • Plus: € 16.99 al mese per max 65 downloads = € 0.26 al brano
  • Premium: € 20.99 al mese per max 90 downloads = € 0.23 al brano

Un tipico album da 10 brani, quindi, costa da € 3.20 a € 2.30, direi molto buono. C’è da considerare, comunque, che la musica classica non è standard nella suddivisione dei brani. Il Mikrokosmos di Bartok potrebbe costare l’ira-ddi-ddio perché si compone di molti brani brevi, mentre un disco con 3 sonate romantiche costa come 9 brani. Infine, il disco di Cage e Tudor “Indeterminacy” ha solo 2 brani, quindi costa quasi niente.
Inoltre, eMusic fa spesso offerte e promozioni convenienti (per es. all’atto dell’iscrizione vi regalano 25 download).
Di contro c’è la rottura dell’abbonamento. In Basic, € 12.99 al mese sono € 155.88 l’anno per 480 brani. Direi che il Plus è il più equilibrato: € 203.88 l’anno per 780 brani. Con il Premium su va a € 251.88 l’anno per 1080 brani.

Vorrei però far notare come questi prezzi siano notevolmente più alti di quelli americani, dove il Basic costa $ 9.99 cioè € 7.87 al cambio attuale (loro dicono per colpa delle maggiori tasse europee).

Le perversioni del copyright (3)

Non contenta di essersi attirata l’odio dei consumatori di cd, l’industria discografica sta ora cercando di alienarsi definitivamente anche i chitarristi dilettanti. Con la solita minaccia di una causa interminabile e costosa, ha fatto chiudere Olga.net (Online Guitar Archive), un sito che ospitava 34.000 intavolature per chitarra ed era visitato da circa 1.900.000 utenti al mese.
La ragione addotta è la solita: secondo gli editori, l’intavolatura equivale alla partitura e quindi il sito produceva loro un danno in termini di mancata vendita.
Ma, maledizione, stiamo parlando di canzoni e qui facciamo due considerazioni.
La prima è operativa. Nella pop music, le intavolature servono principalmente a chi non sa leggere la musica e non è nemmeno in grado di “tirare giù” a orecchio la parte di chitarra dal disco. Ne consegue che la maggior parte degli utenti che andavano su Olga, non avrebbe mai comperato la partitura, che per loro è una accozzaglia di cacche di mosca completamente inutili.
La seconda considerazione è molto più importante perché riguarda il nostro diritto di condividere la cultura. Se una canzone è cultura, un certo diritto di condivisione deve essere assicurato. Una società sta in piedi solo perché i suoi membri condividono e confrontano le loro esperienze culturali e in tal modo si costruisce una base di convivenza e comprensione.
Se, per ipotesi, i miei vicini fossero un cileno, un arabo, un cinese e uno del Mali, potremmo anche rispettarci e scambiare ogni tanto due parole sul tempo, ma non saremmo mai un gruppo socialmente integrato né tantomeno amici. Amici lo si diventa con la frequentazione e la frequentazione è favorita da cose come l’ascoltare o il fare musica/teatro/danza insieme, giocare a qualcosa, prestarsi film o libri. In pratica, è lo sviluppo di attività culturali comuni in cui ciascuno dà e prende qualcosa dagli altri che crea un tessuto sociale.
Quindi, in ultima analisi, qualsiasi limitazione di tale condivisione crea un danno sociale non banale. Se per fare una festa, invitare i miei vicini e suonare qualcosa insieme a loro devo fare delle carte bollate e pagare la SIAE, non la farò mai. E così sarà andata persa una occasione.
Ora, so già che questi mi diranno: ok, i tuoi vicini sono al massimo 20 persone, ma qui si parla di 1.900.000 utenti al mese.
Allora, primo (vedi sopra), sono utenti che non facevano parte del tuo mercato.
Secondo, questo è internet. Vogliamo internet o non lo vogliamo? Nota che internet ti dà modo di allargare a dismisura il tuo mercato, azzerare i costi di supporto, stampa e distribuzione, cioè almeno il 30% del costo del prodotto, perciò potrai vendere a prezzo più basso, quindi di più e con un margine di guadagno superiore.
Terzo, mettetevi in mente che il vostro modello di business è radicalmente cambiato e voi non controllate più il mercato, come potevate fare prima. Oggi chiunque può registrare un disco e promuoverlo sulla rete. Se finora solo raramente è stato fatto, è solo questione di tempo. In realtà, voi potete cambiare o morire, questo è il vostro destino e anche costruire un internet blindata con il trusted computer (TCG e TCPA) e il DRM non servirà perché i produttori di musica impareranno a fare senza di voi. Potete riciclarvi in molti modi: agenzie di pubblicità, consulenza artistica, consulenza organizzativa…
Avete mai sentito quella storiella sui due produttori di finimenti per cavalli che guardano la strana invenzione di un tale Ford?. Uno, in un momento di preveggenza, dice all’altro “Questa automobile ci farà fuori” e l’altro fa “Ma no, sei pazzo. Non va sui prati, non scala le colline, ha bisogno di questa roba puzzolente, benzina, e poi funziona solo sui sentieri piatti…”
Adesso gli eredi di quello preveggente fabbricano sedili per auto, l’altro è sparito.

Cosa è successo?

Ascoltate un po’ questo pezzo.
È “Birth Of Liquid Plejades”, un brano per 3 sintetizzatori e 4 violoncelli, dall’album “Zeit” dei Tangerine Dream del 1972. Era un album doppio con 4 brani (uno per facciata) di circa 18′ ciascuno.

Questa musica non veniva dai conservatori o dai circoli di musica contemporanea (in effetti verso la metà diventa melodica). Era pop-music.
Le riviste la etichettavano come “musica cosmica”, facevano recensioni deliranti, e di questo album scrivevano “forse di difficile ascolto e non per tutti, ma sicuramente un capolavoro assoluto”.
I concerti di gruppi come questo, con musica di questo tipo, facevano il pieno. Certo, non negli stadi, ma un teatro da 1000 posti andava esaurito facilmente. Ricordo che i Tangerine Dream riuscirono anche a fare una tournée nelle principali cattedrali gotiche tedesche e inglesi.
Ovviamente i termini come capolavoro vanno ridimensionati. In realtà i Tangerine Dream scopiazzavano a piene mani il Ligeti degli anni ’60, ma, ripeto, la loro era considerata pop-music, seppure sperimentale. Se ne parlava non nei circoli di Darmstadt, ma sulle riviste di pop-music, accanto a un articolo su Bowie e a uno sui Rolling Stones. Qualche volta anche su riviste musicali idiote, tipo Ciao 2001. Questi dischi erano regolarmente distribuiti, magari non in tutti i negozi, ma comunque erano reperibili, senza grande difficoltà, anche a Verona.
Adesso, qualcuno potrebbe spiegarmi perché qualsiasi forma di sperimentazione è totalmente scomparsa dalla popular music? (non ditemi che Aphex Twin o simili fanno sperimentazione). Cosa è successo nel frattempo?

SIAE e Copyleft

Da Frontiere Digitali e Giap, la newsletter di Wu Ming:

Roma, 7 agosto 2006.
Per la prima volta in Italia la Siae, con liberatoria a tempo indeterminato a partire dal 25 luglio 2006, (documento protocollato presso l’Ufficio Multimedialità al nr. 1/290/06/FDP) riconosce la possibilità della diffusione pubblica di musica d’ambiente all’interno di un locale commerciale, senza compenso, in virtù dell’utilizzo delle licenze copyleft (Creative Commons, Art Libre, Copyzero x, Clausola Copyleft) o di pubblico dominio.
All’interno della gelateria Fiordiluna, nel cuore di Trastevere a Roma, è presente uno spazio multimediale (monitor lcd 32” e impianto stereofonico con diffusori Bose) gestito da un pc con sistema operativo Linux e software libero attraverso il quale vengono diffuse opere audio, visive e letterarie rilasciate con licenze copyleft (Creative Commons, Art Libre, Copyzero x, Clausola Copyleft) o di pubblico dominio.
Questo importantissimo risultato è stato reso possibile dall’operato del dottor Ermanno Pandoli che ha rappresentato la gelateria Fiordiluna presso la Siae.

Attenzione. Il fatto che la SIAE riconosca queste licenze, probabilmente apre la porta alla possibilità di distribuire CD e fare concerti di musiche pubblicate secondo le licenze copyleft senza pagare diritti. Da verificare.

Le perversioni dei brevetti (1)

Tanto per allargare un po’ il discorso del post precedente, pubblico qui parte di un mio testo di qualche anno fa riguardante i brevetti, finora non pubblicato.
Potrebbe anche chiamarsi “Le perversioni del libero mercato 1 (aka L’Etica Aziendale)”, ma mettendola su questo piano, la serie non finirebbe mai…
È lungo, ma spero interessante. Comunque, per non annoiare, ho messo un link di continuazione a metà.

In tutte le legislazioni esiste il brevetto ed è visto come un incentivo alla ricerca. Il ragionamento è: assicurando una ventina di anni di sfruttamento esclusivo dell’invenzione o di introiti derivanti dai diritti, l’investimento degli ingenti capitali necessari alla ricerca diventa conveniente.
In teoria è giusto, ma il problema è che la realtà non è quasi mai così. Spesso la presenza del brevetto è un ostacolo alla diffusione di una invenzione. A volte ne provoca anche la scomparsa.
Andate a vedere, per esempio, a quando risale il brevetto dell’air-bag, che pure è un oggetto salvavita (secondo le stime del governo statunitense, 15.000 vite salvate contro le 242 perdute perché il passeggero non aveva la cintura al momento dell’impatto) e scoprirete che è del 1952 e appartiene a tale John Hetrick.
Il brevetto arrivò a scadenza nel 1972, guarda caso proprio un anno prima che General Motors decidesse di piazzare i primi air-bag della storia dell’automobile su alcune versioni della Chevrolet Impala. Inoltre, le industrie automobilistiche erano molto reticenti all’installazione di questo sistema, anche quando tutti i test ne provavano l’efficacia, perché aumentava costi e prezzi, tanto che il governo statunitense dovette renderlo obbligatorio con una legge nel 1984.
Tutto ciò dimostra che:

  • le aziende hanno consapevolmente ritardato per almeno 20 anni l’adozione di un sistema salvavita;
  • anche a brevetto scaduto, le aziende non lo avrebbero introdotto senza una disposizione governativa, a riprova che il cosiddetto libero mercato necessita di un controllo continuo e feroce;
  • pur avendola brevettata, Hetrick non guadagnò un solo penny dalla sua invenzione;
  • si tratta di una ulteriore prova che l’esistenza dei brevetti non porta benefici ai consumatori e non incrementa la ricerca, anzi, spesso la blocca;
  • dov’è l’etica aziendale?

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Le perversioni del copyright (2)

Londra, 23 settembre 2002.
Gli avvocati delle parti si fronteggiano per dirimere l’ennesimo caso di plagio. Ma questa volta l’oggetto della causa è un po’ speciale. Il musicista pop Mike Batt ha inserito in un album della sua rock band “The Planets” un brano intitolato “One minute of silence”, il cui contenuto corrisponde al titolo ed è stato accusato di plagio dal John Cage Trust (NB: gli eredi di Jonh Cage che è morto nel 1992) e dalle Edizioni Peters, editore del brano 4’33” (ovviamente 4’33” ha una partitura: è in 3 movimenti all’inizio dei quali è scritto “tacet”).
L’incontro si conclude con un accordo extra-guidiziale. Batt consegna un assegno a 6 cifre (in sterline) a Nicholas Riddle, managing director delle Edizioni Peters e aggiunge il nome di Cage come co-autore di “One minute of silence”, dichiarando “Faccio questo gesto come segno di rispetto verso John Cage” 8) . Riddle intasca l’assegno e afferma “Noi intendiamo difendere la proprietà di Mr. Cage e il concetto di brano silenzioso è una idea importante sulla quale c’è un copyright” :lol:.

Molto interessante. In effetti, Riddle ha dalla sua almeno un precedente: il quadro bianco, non dipinto, il “White Painting” di Rauschenberg è protetto e chiunque lo rifaccia può essere accusato di plagio.
D’altra parte il silent piece è, appunto, un concetto. Il contenuto del silent piece è l’insieme dei suoni che si sentono mentre il musicista non suona.
Ma se, in musica, si possono brevettare i concetti, allora è la fine. Per esempio, i cluster (accordo formato da note vicine, tipicamente 2e minori come do, do#, re, re#, mi) cominciano ad apparire timidamente in musica nel primo ‘900 (Debussy, Bartok, Ornstein, Ives), ma il primo che ne fa un uso esteso e consapevole è Henry Cowell in “The Tides of Manaunaun” (1917; non 1912 come è spesso riportato).
Di conseguenza, Cowell avrebbe potuto porre un copyright sul cluster. 3/4 della musica del ‘900 cancellata.
Schoenberg avrebbe messo un copyright sulla dodecafonia. Messiaen avrebbe potuto chiedere i diritti sui modi a trasposizione limitata, Boulez sul serialismo integrale, Debussy sulla scala esatonale e Stockhausen sull’universo in musica. Per non parlare della musica pop: causa interminabile fra Deep Purple e Led Zeppelin su chi abbia inventato l’hard rock.
Per inciso, questo è esattamente quello che sta succedendo negli USA con i brevetti sul software, che finora l’Europa è riuscita a negare.

Ma la gente… (2)

Prendete un software per il P2P (questa prova è stata fatta con eMule). Cercate John Cage, selezionando il tipo di file = audio. Poi ordinate i risultati in base alla disponibilità di sorgenti (cioè alla quantità di utenti che l’hanno messo in condivisione).
Scoprirete che il file audio di Cage più scambiato in rete è 4’33”.
Sì! Fra i pezzi di Cage, quello più ascoltato in rete è proprio la composizione silenziosa, nella versione per piano.
Ma la gente…

Rapporto 2005 Economia della musica italiana

I dati seguenti sono tratti dal Rapporto 2005 Economia della musica italiana del Centro Ask (Art & science for knowledge) dell’Università Bocconi, realizzato con la collaborazione di Dismamusica (Associazione distribuzione industria strumenti musicali e artigianato), Fem (Federazione editori musicali) e Scf (Società consortile fonografici). Sito di riferimento. Rapporto in pdf.
Il sistema musicale italiano ha fatturato, lo scorso anno, 2,284 miliardi di euro, con una crescita del 4,35% rispetto al 2003. Il sistema nel suo complesso non è perciò in crisi, anche se il saldo finale è il risultato di movimenti disomogenei dei diversi settori, con il più esposto, la discografia, in controtendenza. I dati di sell-in evidenziano vendite di musica su supporto fisico per 527,1 milioni di euro, con un calo del 5,57%.
La distribuzione digitale, con la progressiva sostituzione dei siti peer-to-peer con servizi gestiti o approvati dalle case discografiche, passando dagli 89,6 milioni del 2003 ai 141 del 2005 (+57,3%), controbilancia in parte il calo di vendita dei supporti fisici e, sommato alla buona salute degli eventi dal vivo, contribuisce alla crescita del consumo finale di musica a 1,046 miliardi di euro (+13,7%).
Una comparazione internazionale, focalizzata sul settore discografico, conferma la relativa marginalità del mercato italiano, ottavo al mondo ma con valori quasi sei volte inferiori a quello britannico (primo in Europa), otto volte più piccolo di quello giapponese e 1/20 di quello americano. L’Italia registra un consumo medio di soli 0,7 album per abitante, contro i 4,3 del Regno Unito, i 2,7 degli Stati Uniti o l’1.7 della Spagna.

A questo mercato la musica classica contribuisce solo per il 4% nel nostro paese. D’altra parte la classica è ovunque un genere residuale che va da un minimo inferiore all’1% (Svizzera, Svezia, Giappone), fino a un massimo dell’11% (Austria, unico paese che supera il 10%). Notare che la Spagna è al 7%, più di UK, Canada, Germania, Belgio (6%), Olanda e Francia (5%). I dati non comprendono Russia, Cina e Asia (a parte il Giappone).

Da notare che, mentre il fatturato delle scuole di musica private aumenta del 7.4%, quello dei conservatori (scuola pubblica) cresce solo del 4.8%.

Un disastro per i musicisti

Non so quanti se ne siano resi conto, ma gli sventati attentati di Londra e la conseguente probizione di portare bagagli a mano stanno producendo una situazione disastrosa per i musicisti.
Gli strumentisti, infatti, sono abituati a portare come bagaglio a mano i propri strumenti, che spesso hanno un valore notevole e non sono coperti dall’assicurazione se viaggiano nella stiva.
Il problema non è tanto quello degli addetti al caricamento del bagaglio, che notoriamente non sono delicati. A questo si potrebbe ovviare con una custodia blindata.
Il vero problema è la temperatura. La stiva degli aerei, infatti, non è riscaldata e uno strumento spesso antico si trova esposto a temperature che vanno dai -10 per i voli brevi a quota media fino ai -30 e oltre per i voli trascontinentali ad alta quota.
Gli effetti di una simile temperatura su strumenti antichi del valore di decine di migliaia di euro o più, sono sconosciuti, tanto che le compagnie di assicurazione, in genere, richiedono che lo strumento venga portato come bagaglio a mano.
I musicisti dell’Orchestra del Teatro Bolshoi, attualmente in tournée a Londra, per esempio, potrebbero essere costretti a raggiungere Parigi in treno e imbarcarsi da lì per Mosca se l’embargo sul bagaglio a mano non verrà tolto prima della data del loro ritorno, il 19/08. Gli strumenti, infatti, non sono di loro proprietà, ma appartengono al Museo di Stato Russo e essendo strumenti di valore, il contratto di affidamento prevede il trasporto in cabina, tanto che, per i violoncelli, il Bolshoi è solito acquistare biglietti supplementari. Ma ora anche questo non è più possibile.

Le perversioni del copyright (1)

Le perversioni indotte dal copyright, nel modo forsennato in cui viene utilizzato attualmente, sono molte. Quella che segue è, a mio avviso, una delle più assurde.
Dunque, come qualcuno di voi sa, io insegno Informatica Musicale al Conservatorio di Trento.
Esiste un libro, “Henri Pousseur (a cura di), La Musica Elettronica, Feltrinelli 1976” considerato fondamentale per capire la storia e l’evoluzione della suddetta materia, tanto da essere incluso nel programma dei corsi di musica elettronica in quasi tutti i conservatori italiani.
Il problema è che il suddetto testo è da molti anni fuori catalogo. Per di più, trattandosi di una ponderosa raccolta di scritti molto tecnici di autori vari e quindi con bassi volumi di vendita, l’editore non sembra avere la minima intenzione di ristamparlo. Questo testo non è sostituibile perché contiene una serie di articoli degli anni ’50 e ’60 difficilmente trovabili anche nelle biblioteche, oppure consultabili solo in lingua originale, tuttavia fotocopiarlo è un reato.
Ore vedete l’assurdità della situazione?

  • Non è possibile acquistarlo per volontà dell’editore che non lo stampa più.
  • Il che significa che, per l’editore, questo testo non ha alcun interesse economico e che per gli autori non genera nessuna royalty.
  • Ne consegue che fotocopiandolo non si danneggia nessuno.
  • E in effetti, dato che non è possibile comprarlo, l’unico modo di procurarselo è fotocopiarlo
  • Ciò nonostante fotocopiarlo è un reato.

Il futuro del mercato musicale (2)

È il 2015, ti svegli al al suono di una melodia familiare diffusa dolcemente, che ti tira fuori dal letto e ti fa sentire bene. Quando entri in bagno, il tuo Personal Media Minder attiva lo schermo incorporato nello specchio e puoi guardarti una selezione di notizie mentre ti prepari per la giornata. Appena ti infili nella doccia, il tuo programma musicale personalizzato ti accoglie con una nuova versione dal vivo della canzone che hai scaricato ieri, ed è ancora meglio dell’originale, così, mentre ti vesti, dici al programma TasteMate di aggiungerla in rotazione nella tua scaletta musicale. Infili i nuovi occhiali con cuffia incorporata e collegamento in rete continuo, li accendi sistemando gli auricolari e inizi subito ad ascoltare il mix che un amico ha preparato per te. La musica fluisce nella tua coscienza, diventa parte di te. Dopo la colazione con il resto della famiglia, ti dirigi al lavoro, e il Personal Media Minder ti chiede se vuoi finire di ascoltare l’audiolibro iniziato ieri mattina. Data la conferma, parte la registrazione, che ti accompagna nella camminata verso il treno che ti porta in ufficio. Durante il giorno, gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci, compagni di rete e “pari digitali”. La cuffia ti tiene in contatto anche con quella raccolta hard rock che ti piace tanto e, nel frattempo, continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano, insieme ai tuoi vecchi pezzi preferiti. Con TasteMate accedi alle tue scalette musicali e le condividi, consigli a un amico a Seattle un paio di canzoni, che vengono automaticamente inserite nella sua collezione. La musica ti dà la carica per tutto il giorno. Tornando verso casa, scegli la solita miscela di notizie di cronaca, sport, meteo e pettegolezzi sui tuoi musicisti e attori preferiti.
La cuffia si sincronizza con i monitor tridimensionali attivi, che proiettano le immagini proprio davanti a tuoi occhi, oppure con gli schermi comuni disponibili sul treno e a casa: puoi decidere cosa ascoltare e cosa guardare e chi può condividere l’esperienza. Il Media Minder armonizza e trasmette la programmazione selezionata e qualsiasi nuovo tipo di musica tu abbia deciso di esplorare, definendo anche come sceglierla, con l’aiuto del programma TasteMate.
Rientrato a casa, trascorri la serata accompagnato dal morbido jazz diffuso dall’impianto domestico attraverso casse disposte in ogni stanza, mentre porti in tavola una delle tue specialità culinarie, poi paghi le bollette. Una di queste è l’abbonamento per informazione e intrattenimento, che comprende i costi mensili per musica, video, connessione e comunicazione, ma è sempre più economica della bolletta del riscaldamento o dell’acqua. Le chiamate in arrivo dagli amici si inseriscono armoniosamente nella programmazione con cui ti circondi, in accordo alle tue indicazioni. Dopo cena metti in ordine e magari giochi un paio di partite con alcuni amici attraverso la tua rete virtuale, mentre ti rilassi con alcuni brani New Age ispirati alle composizioni originali di Mozart, che hai scoperto a tarda notte mentre navigavi tra i canali di musica condivisa…

David Kusek, Gerd Leonhard
Il futuro della musica

Questo è l’incipit del libro di cui sopra, di recente pubblicazione in Italia (il libro è del 2005; trovate la versione originale qui e quella italiana qui; potete scaricare la prefazione e il primo capitolo in pdf, il resto lo dovete comprare).

Secondo voi quanto descritto sopra è un paradiso o un incubo?

Devo dire che mentre lo leggevo pensavo “…bello…”, ma quando ho cominciato a fare qualche elucubrazione chiedendomi quante probabilità di avverarsi ha una situazione del genere, il tutto ha cominciato a girare inesorabilmente verso l’incubo.
Intendiamoci, io sono sicuro che il mercato musicale sta evolvendo verso una situazione del genere: come scrivo nel post precedente, la musica sarà distribuita in rete, i costi caleranno, esisteranno servizi di abbonamento, ci saranno software in grado di selezionare i generi, etc.
Però nel testo di cui sopra manca qualcosa: tanto per cominciare, la pubblicità.
Mi sembra impossibile che l’advertisement non infili i suoi tentacoli (io odio la pubblicità) in un servizio di musica in abbonamento. È vero che chi offre il servizio può contare sul canone di abbonamento, ma voi pensate che saprà resistere alla possibilità di abbassare un po’ il prezzo e infilarci qualche advertisement? Oltretutto personalizzato. Magari, peggio ancora, in forma secondo loro non disturbante. Così, mentre ascolti la tua selezione di hard rock preferita, “continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano” e ogni tanto ti arriva un pezzo che assomiglia agli altri, ma decisamente non fa parte della tua scelta. E tu stai lì a chiederti se è il software di selezione che ha toppato o se qualcuno ha pagato i fornitori del servizio per mandare almeno una volta al giorno quelle canzoni… In fondo, nei tempi andati, le major hanno sempre pagato le radio perché trasmettessero certi pezzi.
Poi, “gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci…” sono una disgrazia perché se tu puoi vedere qualsiasi rete, tutte le reti vedono te e ti trovano. Così, in mezzo all’audiolibro, arrivano le comunicazioni concitate di quelli del tuo ufficio che ti fanno sapere che il boss ha indetto una riunione per le 10 e vuole la tua opinione su un nuovo progetto. Di conseguenza, sempre insieme all’audiolibro, cominciano ad arrivare grafici, reports e voci… (il che, nota bene, succede già adesso grazie a quella potente invenzione che è il cellulare).
Nel frattempo il tuo programma di messenger è partito da solo (fa parte del servizio) e arrivano squillini da 50 deficienti che, non avendo niente da fare, vorrebbero messaggiare con te. Come se non bastasse c’è una chiamata voip da quel/quella cretino/a che ti sta tarmando da un mese solo perché ci sei andato/a a letto una sera che eri depresso/a.
Ok, potrei continuare. Potrei riscrivere la situazione citata in modo secondo me un po’ più realistico (magari lo farò). Ma quello che mi sembra allucinante di questa situazione immaginaria, ma in fondo non troppo, è l’idea di delegare le scelte.
È vero che con l’attuale quantità di informazione, oltretutto sempre crescente, selezionare è difficile, ma quando io scelgo di leggere le news dal sito di Repubblica piuttosto che da qualcun altro, io opero una scelta in prima persona. Se io, invece, mi affido a un servizio tipo GoogleNews, per quanto possa personalizzarlo, è sempre nelle mani qualcuno/qualcosa altro.
Gli autori del saggio dicono che la musica fluirà come l’acqua e nello stesso modo è facile immaginare che le notizie fluiranno come l’acqua, le immagini fluiranno, le storie fluiranno etc. Ma chi controlla il flusso?

Il futuro del mercato musicale (1)

Dal punto di vista degli autori – Con spirito relativamente ottimistico

La musica non viene più distribuita su un supporto ma solo come flusso di dati. La vendita avviene via rete, non necessariamente solo tramite un computer, ma attraverso un qualsiasi terminale multimediale.
Le major discografiche non esistono più. Esattamente come una qualsiasi azienda che fabbrica e vende un qualsiasi prodotto, o come uno studio professionale, sono gli autori (la band costituita come società) a vendere i risultati del proprio lavoro, coadiuvati da una serie di agenzie di servizi e di consulenza.
In altre parole, l’autore e l’esecutore sono tornati ad essere il centro del proprio lavoro, a controllare il prodotto, a investire e rischiare in proprio, esattamente come qualsiasi altra entità economica. E naturalmente controllano anche tutti gli incassi, con i quali devono pagare le spese, le consulenze e anche viverci. Esattamente come qualsiasi altra entità economica.
I prodotti sono privi di protezione. Ormai si è visto che, a meno di militarizzare la rete, le protezioni non tengono. Il calo del prezzo della musica dovuto all’assenza di supporto, stampa, distribuzione e ruberie varie e una piccola tassa sul P2P, pagata come parte dell’accesso a internet, assorbono la perdita dovuta alle copie. Un disco potrebbe costare € 4, ma ne costa 8/10 proprio per questa ragione.
In pratica, una band segue la solita trafila. La differenza rispetto alla situazione attuale sta nel fatto che si gestisce in proprio. Comincia a suonare un po’ in giro, registra dei brani in proprio o in uno studio con modica spesa, li vende sul proprio sito o su quello di una agenzia di distribuzione a cui dà una certa percentuale. In pratica, fin qui ha solo bisogno di un commercialista.
Naturalmente, sul sito, qualche pezzo si può scaricare gratis come forma promozionale. Alcune band distribuiscono gratis tutto il disco oppure il video di un loro concerto perché contano sui concerti per vivere.
E così, se sono una buona band, la voce comincia a spargersi e il loro nome arriva all’orecchio di qualche critico. E allora un critico musicale con un blog da 10.000 accessi al giorno ascolta la loro musica. Non una major che presenta loro una lettera di impegno con cui la band si impegna su tutto e la major su niente mentre pensa se investire su di loro o su uno degli altri 1000 deficienti che ha sottomano. Non c’è bisogno di investire su di loro perché loro stanno già investendo su se stessi e non c’è niente da guadagnare perché la band è padrona del proprio business, per quanto piccolo sia.
Ok, li ascolta un critico. E il critico non è uno stronzo borioso che scrive su una nota rivista musicale. È solo uno che ha un blog e si è fatto una fama in rete con anni di post intelligenti. È un free-lance e non ha un capo. Anche lui si è costruito un po’ per volta, facendo della sua passione il proprio lavoro. Sa che il suo pubblico si fida di lui e lo stima e che questa fiducia è la base del suo successo per cui adesso le radio gli chiedono di preparare programmi e le riviste gli chiedono articoli. Ma non ha un capo.
Sa che il segnalare nuove band interessanti è parte del suo lavoro e aumenta la sua fama. Sa che in TV lo presentano come “quello che ha scoperto Heterophobia e poi Gregg Turner and the Blood Drained Cows”.
Così non chiede loro € 10.000 per una buona recensione, ma li contatta, parla con loro via internet, li intervista e se può va a sentirli dal vivo. E poi ne scrive e li linka sul suo blog e gli accessi al sito della band aumentano di un bel po’.
E allora, se le cose vanno bene, la band valuta se lavorare un po’ con un consulente musicale e di immagine che viene pagato a prestazione o con una percentuale sulle vendite o con un qualsiasi altro accordo di lavoro.
Se poi le cose vanno molto bene e il commercialista non basta più, si affida a una agenzia di management per gestire concerti, tours, merchandising e contabilità. E fornisce loro anche un set di avvocati, perche in un’intervista uno di loro ha detto che ormai sono più popolari di Gesù Cristo e così sono stati messi al bando dall’amministrazione Bush.
E a questo punto, la band si rende conto che è davvero famosa e si fa la propria agenzia di management e manda a quel paese i consulenti musicali e di immagine, gli avvocati e gli altri mangiapane a tradimento.
Uff! Che fatica gestirsi da soli…

Un sogno?
From the band point of view – With a little optimistic attitude

Music is no more sold on CD but only on the internet as data stream.
The majors don’t exist no more. Like any business company that build and sells its own products, or like a professional office, the band sells its own productions with the help of some artistic advisors and/or a management agency.
In other words, the band works alone and control its own work, the music, putting money (and risk) in its own activity, exactly as any other economic entity.
And of course the band controls all the revenues, with which it must pay expenses, the advisors and also living. Just as any other economic entity.
The music has no protection system. By now everybody knows that it’s impossible to control the copy without controlling and blocking all the net and the copy itself is not a loss so big. Now the people pay a little P2P tax as part of the internet access cost and the decreasing of music price, without support, printing, distribution and several robberies, can cover the copies loss. The price of ten songs could be € 4 but it’s € 8 to 10 just to cover the copies loss.
The beginning of a band career is as usual. The difference is that the band runs its business alone.
They begin play around, record some music at home or in a little studio with a little expense and sell it on his site or on the site of a music distribution service that charges a little. Until now the band only needs a chartered accountant.
Of course the people can download some song from the band’s site to hear and give it to friends. So, if the music is good, their name spreads and some music critics begin to hear it. And then a music critic who leads a blog with 10.000 visit per day comes to their site. Not a major with a letter of intent, a so called “deal memo” to which the band remains bound while the major choose between this band or another. Not a major because there is nothing to gain when it’s the artist that control itself and his/her music.
So a music critic hear the band. And this critic is not a pretentious bastard who works for a big music magazine. He is a person who holds a blog and has build his reputation online with years of smart posting. He is a free-lance and has no boss. He knows that many people trust him and this trust is the foundation of his success, is the reason why the radios ask him for programs and the magazines ask him for articles. But he has no boss.
He knows that discovering new interesting bands is the reason of his success and the TVs introduce him as the one who discovered Heterophobia and Gregg Turner and the Blood Drained Cows.
So he don’t ask the band for $ 10.000 to write a good review. He simply listen to their music and write some line to the band and go to their concert and then put a post on his blog and their site many more people come.
And then, if the things runs well, the band maybe turn to a music advisor or to an image advisor to improve the music or the live act, but it’s always the band who controls its music.
And then, if the things runs very well, the band search for a business management service to help handle tours, merchandise and maybe lawyer because the singer told they are more popular than Jesus they get banned by Bush administration.
And at least the band realizes that they became really popular and they can make their own business management service and kick out the advisors and the lawyers and all this parasites.
Agh! What a hard work lead his business alone…

A dream?

L’erba del vicino

L’erba del vicino è sempre più verde, ma questa volta lo è davvero.
Come è noto, qui da noi il FUS (fondo unico per lo spettacolo, cioè il complesso dei finanziamenti statali) sta vivendo tempi che definire difficili è poco. Il governo (fortunatamente) uscente ne ha terminato la dissoluzione riducendolo a € 375 milioni per il 2006. Ricordiamo che nel 2001, anno di arrivo del governo berlusconi, l’ammontare del FUS era di € 516 milioni.
Il nuovo governo ha scritto, nel suo programma, che nel 2007 sarà riportato ai livelli del 2001. Speriamo.
Intanto, però, leggo che in Francia la somma stanziata è € 901 milioni (quasi il triplo rispetto a noi) e che in Inghilterra è di € 745 milioni (circa il doppio). Per trovare uno stanziamento pari a quello italiano bisogna arrivare alla piccola Danimarca che spende € 344 milioni ma ha solo 5.400.000 abitanti circa.
Sul Finnish Music Quarterly leggo inoltre che nella altrettanto piccola Finlandia (5.000.000 di abitanti) lo stanziamento per l’arte è di € 359.5 milioni, di cui € 60.5 milioni vanno alla musica. Questo finanziamento è già considerato inadeguato, tanto che il primo ministro ha promulgato una legge per elevare del 37% annuo i contributi alle orchestre nei prossimi 3 anni.

AllOfMP3 è legale?

Disclaimer
Non sono un avvocato. Sono solo un informatico, musicista con una laurea incidentale in Scienze Politiche. Di conseguenza, ogni mia affermazione di carattere legale è una pura e semplice opinione. Non basatevi su di esse per giustificare le vostre azioni.

Di AllOfMP3 e simili abbiamo parlato recentemente sottolineando il problema della loro legalità.
Sebbene ne parlino in tanti, sono pochi quelli che ne fanno una analisi approfondita in termini legali.
A mio avviso, il problema si può sintetizzare in due punti.
Continua a leggere

Ma siamo pazzi!?

Att.ne: il post è del 2006

Probabilmente la risposta ovvia e immediata è sì. Ma quello che mi sconvolge è come certe cose, che a me appaiono pazzesche, passino come assoluta normalità.
Questa notizia è apparsa recentemente su Punto Informatico:

i danni provocati dai pirati delle suonerie ammonterebbero a 2,6 miliardi di euro. Sistemi DRM interoperabili, questa la risposta delle major. Il dato si riferisce soltanto ai paesi dell’Unione Europea, dove il commercio di canzoni e videoclip per cellulare è particolarmente diffuso ed apprezzato tra i più giovani.

Allora, vediamo di capire. Questi tizi si inventano un affare: vendere suonerie ai ragazzini. L’affare non è banale. In Italia, per esempio, le suonerie rappresentano il 69% del mercato digitale. In Giappone ancora di più.
Nota bene: le suonerie vengono vendute su internet a “soli” (sic) € 2 cadauna.
Ora, al sottoscritto, 2 euro per una musichetta non originale che dura da 5 a 20 secondi prima di entrare in un loop infinito, fanno venire in mente solo 3 parole: furto, ladrocinio, grassazione.
Calcolate che 10 suonerie, cioè circa 200 secondi di musica, costano come un CD (il cui prezzo mi sembra pure esorbitante). Magari prima o poi salterà fuori anche un Mozart delle suonerie, anche se, finché continuano a riproporre gli hit del momento, mi sembra difficile.
Ovviamente i ragazzini sono squattrinati. Probailmente i genitori si incazzano (almeno spero) se cominciano a spendere € 20 in suonerie. Gli stessi ragazzini sono anche abbastanza abili con il computer o almeno parecchi fra loro lo sono. Quanto pensate che impieghino per trovare il modo di scambiarsele?
Per quanto ne capisco, il casus belli mi sembra proprio questo, perché non ho mai visto organizzazioni pirata che vendono suonerie agli angoli della strada.
Bene. A questo punto, le major gridano allo scandalo: 2.6 miliardi di euro sfumati in pirateria! Servono sistemi di protezione!
Calma. Qualche considerazione.
Chi scrive, quando era più giovane, ha scritto del software musicale regolarmente distribuito sul mercato. Ricordo bene che, al momento di fissare il prezzo con il distributore, si teneva conto anche del tempo medio di sblocco della protezione. In pratica i calcoli erano: più copie vendiamo, più allettante diventa il cracking del software. Quindi stimiamo che dopo x copie, le vendite caleranno del k%. A questo punto dovremo far uscire una nuova versione con nuove features e nuova protezione. Nel determinare il prezzo di vendita, si teneva conto anche di queste cose e ovviamente il prezzo saliva un po’.
Una considerazione di questo tipo mi sembra l’unica che possa giustificare un prezzo di 2 o 3 euro per una suoneria. I venditori sanno che ogni pezzo venduto passa a tutta la classe e fissano un prezzo di conseguenza.
Ma ancora peggio, questa storia mi ricorda tanto quella dei coloni americani che arrivavano in un territorio in cui fino a quel momento scorrazzavano solo bisonti e indiani, tiravano su quattro staccionate e si mettevano a vendere coperte e alcool agli indiani in cambio di pelliccie. Naturalmente, prima o poi, gli indiani li derubavano per cui i coloni chiamavano l’esercito. Ma, maledizione, se tu vai nel Bronx ben vestito e con i soldi che ti cadono dalla tasche, è matematico che prima o poi qualcuno ti rapini. Magari la polizia verrà anche a raccattarti, ma probabilmente te ne dirà quattro.
Per analogia, mi sembra che tutti questi non si siano accorti che qualcosa è cambiato (ma ovviamente fanno solo finta di non vedere). Le informazioni codificate con tecnologie digitali sono facilmente duplicabili e questo è un fatto.
Notate che sono stati proprio loro a spingere per la rivoluzione del CD, contando anche sul fatto che, come è effettivamente accaduto, avrebbero rivenduto, nella nuova versione CD, milioni di copie di dischi vecchi ormai privi di un mercato significativo. Vi rendete conto di quante persone si sono ricomprate in CD vecchi dischi che già possedevano in vinile a cifre che vanno da 15 a 20 euro? E vi rendete conto che questi CD, essendo remastering di materiale vecchio, non hanno spese di incisione, produzione, pubblicità?
Con questo non voglio dire che ognuno possa copiare quello che vuole, ma a mio avviso dobbiamo guardare dentro ben bene a questa faccenda perché si tratta anche di capire chi siano i veri pirati.
Ok. Questo era uno sfogo e io, in questo periodo, sono particolarmente incazzoso, ma il discorso continuerà.