Tanto per chiarire

steve albiniSteve Albini (qui su wikipedia in inglese e qui in italiano) è un musicista, produttore discografico, tecnico del suono e critico musicale americano. È una persona che conosce molto bene il mercato musicale; fra l’altro è stato produttore dei Nirvana.

Nei primi anni ’90 ha scritto un articolo chiamato The Problem With Music in cui descrive la situazione di una band esordiente di un certo successo, come ne ha viste tante, che arriva a firmare il suo primo contratto con una major. Con la sua esperienza, Albini fa letteralmente i conti in tasca alla band, alla major, a produttori, manager e a molti personaggi che gravitano intorno al business musicale. È in articolo interessante anche perché, nonostante il fatto che circoli su internet ormai da 10 anni, non è stato mai direttamente smentito dalle major, evidentemente perché non sono in grado di farlo. D’altra parte le major si sono sempre sottratte alle discussioni sui loro margini di profitto (e su quelli di band, produttori, manager, etc.) adducendo il fatto che le situazioni sono troppo differenziate.
Ma, come ben sanno gli statistici, in economia le medie si possono sempre fare: basta riferirle a situazioni tipiche ed è quello che fa questo articolo.

Ho sempre voluto proporlo, ma finora sono stato trattenuto dal fatto che è in inglese-americano non proprio semplice e non ho mai avuto la voglia e il tempo di tradurlo (è piuttosto lungo). Oggi finalmente qualcuno lo ha fatto, quindi un plauso a LOR15, di cui vi segnalo il blog e da cui ho tratto la traduzione che riporto qui sotto e che mi sembra ben fatta.

Se a qualcuno interessa l’originale inglese, lo può leggere qui o qui, ma basta una ricerca in Google per trovarlo in molti siti.

È lungo, ma chiarisce molte cose. Se ne avete voglia e se vi interessa leggetelo, tanto per chiarire, fra l’altro, chi sono quelli che danno dei ladri ai ragazzini che si scaricano i CD.

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Il futuro del mercato musicale (2)

È il 2015, ti svegli al al suono di una melodia familiare diffusa dolcemente, che ti tira fuori dal letto e ti fa sentire bene. Quando entri in bagno, il tuo Personal Media Minder attiva lo schermo incorporato nello specchio e puoi guardarti una selezione di notizie mentre ti prepari per la giornata. Appena ti infili nella doccia, il tuo programma musicale personalizzato ti accoglie con una nuova versione dal vivo della canzone che hai scaricato ieri, ed è ancora meglio dell’originale, così, mentre ti vesti, dici al programma TasteMate di aggiungerla in rotazione nella tua scaletta musicale. Infili i nuovi occhiali con cuffia incorporata e collegamento in rete continuo, li accendi sistemando gli auricolari e inizi subito ad ascoltare il mix che un amico ha preparato per te. La musica fluisce nella tua coscienza, diventa parte di te. Dopo la colazione con il resto della famiglia, ti dirigi al lavoro, e il Personal Media Minder ti chiede se vuoi finire di ascoltare l’audiolibro iniziato ieri mattina. Data la conferma, parte la registrazione, che ti accompagna nella camminata verso il treno che ti porta in ufficio. Durante il giorno, gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci, compagni di rete e “pari digitali”. La cuffia ti tiene in contatto anche con quella raccolta hard rock che ti piace tanto e, nel frattempo, continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano, insieme ai tuoi vecchi pezzi preferiti. Con TasteMate accedi alle tue scalette musicali e le condividi, consigli a un amico a Seattle un paio di canzoni, che vengono automaticamente inserite nella sua collezione. La musica ti dà la carica per tutto il giorno. Tornando verso casa, scegli la solita miscela di notizie di cronaca, sport, meteo e pettegolezzi sui tuoi musicisti e attori preferiti.
La cuffia si sincronizza con i monitor tridimensionali attivi, che proiettano le immagini proprio davanti a tuoi occhi, oppure con gli schermi comuni disponibili sul treno e a casa: puoi decidere cosa ascoltare e cosa guardare e chi può condividere l’esperienza. Il Media Minder armonizza e trasmette la programmazione selezionata e qualsiasi nuovo tipo di musica tu abbia deciso di esplorare, definendo anche come sceglierla, con l’aiuto del programma TasteMate.
Rientrato a casa, trascorri la serata accompagnato dal morbido jazz diffuso dall’impianto domestico attraverso casse disposte in ogni stanza, mentre porti in tavola una delle tue specialità culinarie, poi paghi le bollette. Una di queste è l’abbonamento per informazione e intrattenimento, che comprende i costi mensili per musica, video, connessione e comunicazione, ma è sempre più economica della bolletta del riscaldamento o dell’acqua. Le chiamate in arrivo dagli amici si inseriscono armoniosamente nella programmazione con cui ti circondi, in accordo alle tue indicazioni. Dopo cena metti in ordine e magari giochi un paio di partite con alcuni amici attraverso la tua rete virtuale, mentre ti rilassi con alcuni brani New Age ispirati alle composizioni originali di Mozart, che hai scoperto a tarda notte mentre navigavi tra i canali di musica condivisa…

David Kusek, Gerd Leonhard
Il futuro della musica

Questo è l’incipit del libro di cui sopra, di recente pubblicazione in Italia (il libro è del 2005; trovate la versione originale qui e quella italiana qui; potete scaricare la prefazione e il primo capitolo in pdf, il resto lo dovete comprare).

Secondo voi quanto descritto sopra è un paradiso o un incubo?

Devo dire che mentre lo leggevo pensavo “…bello…”, ma quando ho cominciato a fare qualche elucubrazione chiedendomi quante probabilità di avverarsi ha una situazione del genere, il tutto ha cominciato a girare inesorabilmente verso l’incubo.
Intendiamoci, io sono sicuro che il mercato musicale sta evolvendo verso una situazione del genere: come scrivo nel post precedente, la musica sarà distribuita in rete, i costi caleranno, esisteranno servizi di abbonamento, ci saranno software in grado di selezionare i generi, etc.
Però nel testo di cui sopra manca qualcosa: tanto per cominciare, la pubblicità.
Mi sembra impossibile che l’advertisement non infili i suoi tentacoli (io odio la pubblicità) in un servizio di musica in abbonamento. È vero che chi offre il servizio può contare sul canone di abbonamento, ma voi pensate che saprà resistere alla possibilità di abbassare un po’ il prezzo e infilarci qualche advertisement? Oltretutto personalizzato. Magari, peggio ancora, in forma secondo loro non disturbante. Così, mentre ascolti la tua selezione di hard rock preferita, “continuano ad arrivare una serie di nuove canzoni, nuove versioni e remix di brani che ti interessano” e ogni tanto ti arriva un pezzo che assomiglia agli altri, ma decisamente non fa parte della tua scelta. E tu stai lì a chiederti se è il software di selezione che ha toppato o se qualcuno ha pagato i fornitori del servizio per mandare almeno una volta al giorno quelle canzoni… In fondo, nei tempi andati, le major hanno sempre pagato le radio perché trasmettessero certi pezzi.
Poi, “gli occhiali e altri dispositivi wireless ti aiutano a comunicare attraverso la rete con amici, soci…” sono una disgrazia perché se tu puoi vedere qualsiasi rete, tutte le reti vedono te e ti trovano. Così, in mezzo all’audiolibro, arrivano le comunicazioni concitate di quelli del tuo ufficio che ti fanno sapere che il boss ha indetto una riunione per le 10 e vuole la tua opinione su un nuovo progetto. Di conseguenza, sempre insieme all’audiolibro, cominciano ad arrivare grafici, reports e voci… (il che, nota bene, succede già adesso grazie a quella potente invenzione che è il cellulare).
Nel frattempo il tuo programma di messenger è partito da solo (fa parte del servizio) e arrivano squillini da 50 deficienti che, non avendo niente da fare, vorrebbero messaggiare con te. Come se non bastasse c’è una chiamata voip da quel/quella cretino/a che ti sta tarmando da un mese solo perché ci sei andato/a a letto una sera che eri depresso/a.
Ok, potrei continuare. Potrei riscrivere la situazione citata in modo secondo me un po’ più realistico (magari lo farò). Ma quello che mi sembra allucinante di questa situazione immaginaria, ma in fondo non troppo, è l’idea di delegare le scelte.
È vero che con l’attuale quantità di informazione, oltretutto sempre crescente, selezionare è difficile, ma quando io scelgo di leggere le news dal sito di Repubblica piuttosto che da qualcun altro, io opero una scelta in prima persona. Se io, invece, mi affido a un servizio tipo GoogleNews, per quanto possa personalizzarlo, è sempre nelle mani qualcuno/qualcosa altro.
Gli autori del saggio dicono che la musica fluirà come l’acqua e nello stesso modo è facile immaginare che le notizie fluiranno come l’acqua, le immagini fluiranno, le storie fluiranno etc. Ma chi controlla il flusso?

Il futuro del mercato musicale (1)

Dal punto di vista degli autori – Con spirito relativamente ottimistico

La musica non viene più distribuita su un supporto ma solo come flusso di dati. La vendita avviene via rete, non necessariamente solo tramite un computer, ma attraverso un qualsiasi terminale multimediale.
Le major discografiche non esistono più. Esattamente come una qualsiasi azienda che fabbrica e vende un qualsiasi prodotto, o come uno studio professionale, sono gli autori (la band costituita come società) a vendere i risultati del proprio lavoro, coadiuvati da una serie di agenzie di servizi e di consulenza.
In altre parole, l’autore e l’esecutore sono tornati ad essere il centro del proprio lavoro, a controllare il prodotto, a investire e rischiare in proprio, esattamente come qualsiasi altra entità economica. E naturalmente controllano anche tutti gli incassi, con i quali devono pagare le spese, le consulenze e anche viverci. Esattamente come qualsiasi altra entità economica.
I prodotti sono privi di protezione. Ormai si è visto che, a meno di militarizzare la rete, le protezioni non tengono. Il calo del prezzo della musica dovuto all’assenza di supporto, stampa, distribuzione e ruberie varie e una piccola tassa sul P2P, pagata come parte dell’accesso a internet, assorbono la perdita dovuta alle copie. Un disco potrebbe costare € 4, ma ne costa 8/10 proprio per questa ragione.
In pratica, una band segue la solita trafila. La differenza rispetto alla situazione attuale sta nel fatto che si gestisce in proprio. Comincia a suonare un po’ in giro, registra dei brani in proprio o in uno studio con modica spesa, li vende sul proprio sito o su quello di una agenzia di distribuzione a cui dà una certa percentuale. In pratica, fin qui ha solo bisogno di un commercialista.
Naturalmente, sul sito, qualche pezzo si può scaricare gratis come forma promozionale. Alcune band distribuiscono gratis tutto il disco oppure il video di un loro concerto perché contano sui concerti per vivere.
E così, se sono una buona band, la voce comincia a spargersi e il loro nome arriva all’orecchio di qualche critico. E allora un critico musicale con un blog da 10.000 accessi al giorno ascolta la loro musica. Non una major che presenta loro una lettera di impegno con cui la band si impegna su tutto e la major su niente mentre pensa se investire su di loro o su uno degli altri 1000 deficienti che ha sottomano. Non c’è bisogno di investire su di loro perché loro stanno già investendo su se stessi e non c’è niente da guadagnare perché la band è padrona del proprio business, per quanto piccolo sia.
Ok, li ascolta un critico. E il critico non è uno stronzo borioso che scrive su una nota rivista musicale. È solo uno che ha un blog e si è fatto una fama in rete con anni di post intelligenti. È un free-lance e non ha un capo. Anche lui si è costruito un po’ per volta, facendo della sua passione il proprio lavoro. Sa che il suo pubblico si fida di lui e lo stima e che questa fiducia è la base del suo successo per cui adesso le radio gli chiedono di preparare programmi e le riviste gli chiedono articoli. Ma non ha un capo.
Sa che il segnalare nuove band interessanti è parte del suo lavoro e aumenta la sua fama. Sa che in TV lo presentano come “quello che ha scoperto Heterophobia e poi Gregg Turner and the Blood Drained Cows”.
Così non chiede loro € 10.000 per una buona recensione, ma li contatta, parla con loro via internet, li intervista e se può va a sentirli dal vivo. E poi ne scrive e li linka sul suo blog e gli accessi al sito della band aumentano di un bel po’.
E allora, se le cose vanno bene, la band valuta se lavorare un po’ con un consulente musicale e di immagine che viene pagato a prestazione o con una percentuale sulle vendite o con un qualsiasi altro accordo di lavoro.
Se poi le cose vanno molto bene e il commercialista non basta più, si affida a una agenzia di management per gestire concerti, tours, merchandising e contabilità. E fornisce loro anche un set di avvocati, perche in un’intervista uno di loro ha detto che ormai sono più popolari di Gesù Cristo e così sono stati messi al bando dall’amministrazione Bush.
E a questo punto, la band si rende conto che è davvero famosa e si fa la propria agenzia di management e manda a quel paese i consulenti musicali e di immagine, gli avvocati e gli altri mangiapane a tradimento.
Uff! Che fatica gestirsi da soli…

Un sogno?
From the band point of view – With a little optimistic attitude

Music is no more sold on CD but only on the internet as data stream.
The majors don’t exist no more. Like any business company that build and sells its own products, or like a professional office, the band sells its own productions with the help of some artistic advisors and/or a management agency.
In other words, the band works alone and control its own work, the music, putting money (and risk) in its own activity, exactly as any other economic entity.
And of course the band controls all the revenues, with which it must pay expenses, the advisors and also living. Just as any other economic entity.
The music has no protection system. By now everybody knows that it’s impossible to control the copy without controlling and blocking all the net and the copy itself is not a loss so big. Now the people pay a little P2P tax as part of the internet access cost and the decreasing of music price, without support, printing, distribution and several robberies, can cover the copies loss. The price of ten songs could be € 4 but it’s € 8 to 10 just to cover the copies loss.
The beginning of a band career is as usual. The difference is that the band runs its business alone.
They begin play around, record some music at home or in a little studio with a little expense and sell it on his site or on the site of a music distribution service that charges a little. Until now the band only needs a chartered accountant.
Of course the people can download some song from the band’s site to hear and give it to friends. So, if the music is good, their name spreads and some music critics begin to hear it. And then a music critic who leads a blog with 10.000 visit per day comes to their site. Not a major with a letter of intent, a so called “deal memo” to which the band remains bound while the major choose between this band or another. Not a major because there is nothing to gain when it’s the artist that control itself and his/her music.
So a music critic hear the band. And this critic is not a pretentious bastard who works for a big music magazine. He is a person who holds a blog and has build his reputation online with years of smart posting. He is a free-lance and has no boss. He knows that many people trust him and this trust is the foundation of his success, is the reason why the radios ask him for programs and the magazines ask him for articles. But he has no boss.
He knows that discovering new interesting bands is the reason of his success and the TVs introduce him as the one who discovered Heterophobia and Gregg Turner and the Blood Drained Cows.
So he don’t ask the band for $ 10.000 to write a good review. He simply listen to their music and write some line to the band and go to their concert and then put a post on his blog and their site many more people come.
And then, if the things runs well, the band maybe turn to a music advisor or to an image advisor to improve the music or the live act, but it’s always the band who controls its music.
And then, if the things runs very well, the band search for a business management service to help handle tours, merchandise and maybe lawyer because the singer told they are more popular than Jesus they get banned by Bush administration.
And at least the band realizes that they became really popular and they can make their own business management service and kick out the advisors and the lawyers and all this parasites.
Agh! What a hard work lead his business alone…

A dream?

Ma quelli della Micro$oft…

…sono sempre uguali?
È normale che il sito sia visitato dai robot dei vari motori di ricerca per aggiornare le pagine da loro archiviate e indicizzare quelle nuove. Questa attività è anche ben accolta perché consente di essere trovati sui vari indici e aumenta i possibili accessi.
Ma, nell’ultima settimana, il bot di Google è passato 9 volte (1.286 al giorno), quello di Yahoo 12 volte (1.714 al giorno) e quello di MSN Search 29 volte (4.143 volte al giorno). Ma questi hanno la para di non essere aggiornati?
Ok. Io sono contento che i bot passino. Meglio tanto che niente. Ma il blog non viene aggiornato 4 volte al giorno. Magari avessi tutto questo tempo.
Il dato di fatto è che Google riesce ad essere tuttora il miglior motore di ricerca passando mediamente una volta al giorno e poi evidentemente facendo un lavoro di qualità nell’indicizzazione, mentre M$, come sempre, cerca di stargli dietro con la forza della quantità.

Ma siamo pazzi!?

Att.ne: il post è del 2006

Probabilmente la risposta ovvia e immediata è sì. Ma quello che mi sconvolge è come certe cose, che a me appaiono pazzesche, passino come assoluta normalità.
Questa notizia è apparsa recentemente su Punto Informatico:

i danni provocati dai pirati delle suonerie ammonterebbero a 2,6 miliardi di euro. Sistemi DRM interoperabili, questa la risposta delle major. Il dato si riferisce soltanto ai paesi dell’Unione Europea, dove il commercio di canzoni e videoclip per cellulare è particolarmente diffuso ed apprezzato tra i più giovani.

Allora, vediamo di capire. Questi tizi si inventano un affare: vendere suonerie ai ragazzini. L’affare non è banale. In Italia, per esempio, le suonerie rappresentano il 69% del mercato digitale. In Giappone ancora di più.
Nota bene: le suonerie vengono vendute su internet a “soli” (sic) € 2 cadauna.
Ora, al sottoscritto, 2 euro per una musichetta non originale che dura da 5 a 20 secondi prima di entrare in un loop infinito, fanno venire in mente solo 3 parole: furto, ladrocinio, grassazione.
Calcolate che 10 suonerie, cioè circa 200 secondi di musica, costano come un CD (il cui prezzo mi sembra pure esorbitante). Magari prima o poi salterà fuori anche un Mozart delle suonerie, anche se, finché continuano a riproporre gli hit del momento, mi sembra difficile.
Ovviamente i ragazzini sono squattrinati. Probailmente i genitori si incazzano (almeno spero) se cominciano a spendere € 20 in suonerie. Gli stessi ragazzini sono anche abbastanza abili con il computer o almeno parecchi fra loro lo sono. Quanto pensate che impieghino per trovare il modo di scambiarsele?
Per quanto ne capisco, il casus belli mi sembra proprio questo, perché non ho mai visto organizzazioni pirata che vendono suonerie agli angoli della strada.
Bene. A questo punto, le major gridano allo scandalo: 2.6 miliardi di euro sfumati in pirateria! Servono sistemi di protezione!
Calma. Qualche considerazione.
Chi scrive, quando era più giovane, ha scritto del software musicale regolarmente distribuito sul mercato. Ricordo bene che, al momento di fissare il prezzo con il distributore, si teneva conto anche del tempo medio di sblocco della protezione. In pratica i calcoli erano: più copie vendiamo, più allettante diventa il cracking del software. Quindi stimiamo che dopo x copie, le vendite caleranno del k%. A questo punto dovremo far uscire una nuova versione con nuove features e nuova protezione. Nel determinare il prezzo di vendita, si teneva conto anche di queste cose e ovviamente il prezzo saliva un po’.
Una considerazione di questo tipo mi sembra l’unica che possa giustificare un prezzo di 2 o 3 euro per una suoneria. I venditori sanno che ogni pezzo venduto passa a tutta la classe e fissano un prezzo di conseguenza.
Ma ancora peggio, questa storia mi ricorda tanto quella dei coloni americani che arrivavano in un territorio in cui fino a quel momento scorrazzavano solo bisonti e indiani, tiravano su quattro staccionate e si mettevano a vendere coperte e alcool agli indiani in cambio di pelliccie. Naturalmente, prima o poi, gli indiani li derubavano per cui i coloni chiamavano l’esercito. Ma, maledizione, se tu vai nel Bronx ben vestito e con i soldi che ti cadono dalla tasche, è matematico che prima o poi qualcuno ti rapini. Magari la polizia verrà anche a raccattarti, ma probabilmente te ne dirà quattro.
Per analogia, mi sembra che tutti questi non si siano accorti che qualcosa è cambiato (ma ovviamente fanno solo finta di non vedere). Le informazioni codificate con tecnologie digitali sono facilmente duplicabili e questo è un fatto.
Notate che sono stati proprio loro a spingere per la rivoluzione del CD, contando anche sul fatto che, come è effettivamente accaduto, avrebbero rivenduto, nella nuova versione CD, milioni di copie di dischi vecchi ormai privi di un mercato significativo. Vi rendete conto di quante persone si sono ricomprate in CD vecchi dischi che già possedevano in vinile a cifre che vanno da 15 a 20 euro? E vi rendete conto che questi CD, essendo remastering di materiale vecchio, non hanno spese di incisione, produzione, pubblicità?
Con questo non voglio dire che ognuno possa copiare quello che vuole, ma a mio avviso dobbiamo guardare dentro ben bene a questa faccenda perché si tratta anche di capire chi siano i veri pirati.
Ok. Questo era uno sfogo e io, in questo periodo, sono particolarmente incazzoso, ma il discorso continuerà.