La più antica canzone del mondo… cantata!

Con riferimento a questo post del 2006 (La più antica canzone del mondo), un attento lettore mi ha fatto notare come su You Tube, ne esistesse anche una versione interpretata. Ovviamente moderna, fatta da qualcuno che, basandosi sulla trascrizione di quella pagina, l’ha eseguita.

Così possiamo avere un’idea più precisa di come una persona del nostro secolo la può cantare con la nostra prassi esecutiva e il nostro sistema temperato. Naturalmente questo ci dice ben poco su come suonasse in Mesopotamia nel 1400 A.C. perché la loro prassi esecutiva e il loro rapporto con la notazione ci sono del tutto sconosciuti.

Per chiarire, molte partiture che risalgono anche solo al barocco (1600 d.C., cioè 400 anni fa) ci appaiono costituite da una semplice sequenza di note, che, in esecuzione diventa quasi irriconoscibile perché infarcita di abbellimenti e note di passaggio che non venivano notate in quanto facevano parte della prassi esecutiva dell’epoca.

Altro esempio più pop: provate a trascrivere un solo di un chitarrista rock senza il bending (le corde tirate), le pennate, gli abbellimenti della mano sinistra e i leggeri ritardi e anticipi e verrà fuori tutt’altra cosa.

Desert Plants

Desert Plants

About 30 years ago I had a book by Walter Zimmermann called Desert Plants. It was a book of conversations with 23 american composers. A self made book whose pages seem to be the xerox-copy of the sheets the author typed on his typewriter while listening to a tape recorder.

I loved this book because, beyond the interesting conversations, it taught the way of subsistence.

How to SUBSIST during a time where practically no attention is paid to individuals if they are not useful for any commercial tools. And what puts these Individuals into a situation where they are challenged to think about the nature of their integrity, and that because of their integrity become alienated. From there they are getting to understand the necessity to do everything to reduce alienation.

Like a desert plant.

Over the years, Desert Plants get lost in the normal life affairs (loans, moves and so on), but now that it is out of print, it respawn as a free book from the site of Walter Zimmermann itself. If you don’t know Desert Plants, you should. Click here and scroll a little.

Il canto degli antenati

Qualche report sui libri letti durante l’estate. Inizio con il bellissimo “Il canto degli antenati” di Steven Mithen (Tit. orig. The singing neanderthal, 2005). Sottotitolo: Le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo.

Mithen, archeologo britannico, parte da un assunto: la propensione a fare musica è uno dei più misteriosi, affascinanti e allo stesso tempo trascurati tratti distintivi del genere umano. La letteratura scientifica ha sottovalutato questo campo di studio, definendo la musica come una tecnologia, un prodotto, creato unicamente a scopo ludico e ricreativo, e non come un adattamento selettivo. Diversamente, Mithen sostiene che lo studio dell’origine del linguaggio, e più in generale dell’abilità comunicativa dei nostri antenati, dovrebbe essere rivalutato alla luce dell’aspetto musicale, che a sua volta non può prescindere dall’evoluzione del corpo e della mente.

Si tratta di un’idea che per molti musicisti è intuitivamente vera, ma che finora non era stata sostenuta dalla letteratura scientifica e dalla ricerca. Ma l’ipotesi di Mithen va più in là. Citando la recensione di Giuseppe Mirabella su Le Scienze (Apr. 2007):

La musica è un elemento proprio di tutte le culture umane. Strumenti musicali, canti e danze rituali fanno parte di tutte le società, da quelle moderne alle più primitive. E l’enorme diffusione delle abilità musicali ha fatto ipotizzare che questa capacità avesse un ruolo evolutivo. Ma quale può essere stato il vantaggio selettivo offerto dalla musica ai nostri antenati? Steven Mithen, archeologo cognitivo dell’Università di Reading, prova a formulare una teoria molto accattivante, secondo la quale i primi ominidi comunicavano attraverso un linguaggio musicale, un miscuglio tra il linguaggio e la musica come li intendiamo noi oggi. Secondo Mithen, questa forma di comunicazione avrebbe toccato l’apice nei neandertaliani. Che avevano una configurazione delle alte vie respiratorie che avrebbe consentito loro di parlare, ma non disponevano dei circuiti nervosi deputati al controllo del linguaggio. Le difficili condizioni ambientali in cui vivevano e la crescente complessità dei loro gruppi sociali richiedevano uno scambio continuo di informazioni, e quindi si sviluppò un sistema di comunicazione articolato che includeva sia suoni sia gesti del corpo.

Per definire il sistema di comunicazione dell’uomo di Neanderthal, Mithen ha coniato l’acronimo “Hmmmm”, per olistico (holistic), multi-modale, manipolativo and musicale (invidio molto la facilità dell’inglese nella creazione di acronimi):

“Its essence would have been a large number of holistic utterances, each functioning as a complete message in itself rather than as words that could be combined to generate new meanings.”

Probabilmente anche i primissimi Homo sapiens comunicavano in questo modo, ma lo sviluppo del cervello consentì loro di evolvere un vero e proprio linguaggio dotato di una grammatica, cioè di un sistema per combinare i simboli base a formare nuovi significati. L’ipotesi di Mithen è necessariamente di natura speculativa, ma le prove indirette che porta a suo sostegno sono numerose e convincenti.

NB: il libro è effettivamente affascinante, ma non facilissimo. È un trattato scientifico che deve prendere in considerazione, riferire e valutare le ricerche e gli esperimenti condotti finora. Di conseguenza, a tratto, non è discorsivo e scorrevole. Vivamente consigliato a coloro che nutrono un interesse particolare per questo argomento.

Atti convegno su rock britannico

Here you can download the Proceedings of the International Conference “Composition and Experimentation in British Rock 1966-1976” held in Cremona, Italy, 2005.
There are very interesting lectures by reaserchers and musicians. Here is the index in english.

Da questo sito dell’Università di Pavia si possono scaricare gli atti del convegno “Composizione e sperimentazione nel rock britannico:1966-1976”, tenutosi a Cremona nell’ottobre 2005.
Alcuni interventi sono molto interessanti. Ecco l’indice in italiano:

Introduzione

Gianmario Borio / Serena Facci, Quarant’anni dopo… Una musicologia pluralistica per il rock britannico

Il paesaggio culturale

John Covach, L’estetica hippie: posizionamento culturale e ambizioni musicali nel primo progressive rock
Franco Fabbri, “Non al primo ascolto.” Complessità progressiva nella musica dei gruppi angloamericani, 1960-1967
Veniero Rizzardi, Il rock e l’autocritica del compositore

Nuovi strumenti e nuove tecnologie

Christophe Pirenne, Romanticismo vs economia: le tecnologie e lo sviluppo del progressive rock
Lelio Camilleri, Loop, trasformazioni e spazio sonoro
Laura Leante, Aspetti multimediali dell’esibizione concertistica

Tecniche compositive

Mark Spicer, Foxtrot dei Genesis
Allan Moore, Octopus dei Gentle Giant
Vincenzo Caporaletti, Third dei Soft Machine

Poesia e canto

Dai Griffiths, Musica memorabile, parole trascurabili? I dilemmi della canzone del progressive rock inglese tra underground e mainstream, circa 1972
Roberto Agostini / Luca Marconi, Voce, melodia e parole nel primo progressive rock inglese

Workshop: Le procedure compositive nei gruppi progressive rock

Chris Cutler (Henry Cow)
Hugh Hopper (Soft Machine)
Toni Pagliuca (ex Orme)

Tavola rotonda: Le procedure compositive all’incrocio tra i generi

Mario Garuti, Come angeli annoiati
Maurizio Pisati, Insegnare e segnare utopie
Nicola Sani

La più antica canzone del mondo

harpscorSecondo il Prof. Anne Draffkorn Kilmer (professor of Assyriology, University of California, and curator at the Lowie Museum of Anthropology at Berkeley), quella che vedete potrebbe essere la partitura del più antico brano musicale attualmente conosciuto.
La tavoletta, che proviene dall’antica città assira di Ugarit (oggi Ras Shamra in Siria), risale a 3400 anni fa. Nella parte superiore si trova il testo, mentre la parte inferiore reca informazioni sull’esecuzione.
Il punto è che, sempre secondo l’interpretazione del Prof. Kilmer, la musica che ne esce è diatonica (scala maggiore ovviamente non temperata ma verosimilmente basata su una scala naturale) e armonizzata. Ho messo questi dati in neretto perché, se fossero veri, smentirebbero in un solo colpo ben due assunti della musicologia tradizionale: l’idea che le prime scale strutturate risalgano ai greci (2000 anni fa) e che le prime manifestazioni musicali fossero solo melodiche.