David Wessel

WesselPer ricordare David Wessel, scomparso il 13 Ottobre a 73 anni, mettiamo alcune testimonianze.

Per primo, il suo brano del 1977, Anthony.

In realtà Wessel è sempre stato un ricercatore più che un compositore, difatti la sua produzione musicale è rara. Anthony è un tipico brano costruito con fasce sonore in dissolvenza incrociata ed è stato uno dei primi pezzi realizzati con le macchine per la sintesi in tempo reale costruite da Peppino Di Giugno all’IRCAM.

Quella utilizzata qui è la 4A del 1975, uno dei primi modelli, il primo ad andare oltre lo stadio di prototipo. Si trattava di un processore capace di generare in tempo reale fino a 256 oscillatori digitali in wavetable (cioè con forma d’onda memorizzata e quindi con contenuto armonico definito dall’utente) con relativo inviluppo di ampiezza. Nonostante il fatto che gli oscillatori non si potessero connettere fra loro, era un passo avanti notevole per quegli anni perché, con i sistemi analogici dell’epoca, era già difficile arrivare a 10 oscillatori (per maggiori particolari vedi le voci 4A e Giuseppe Di Giugno sul blog di Alex Di Nunzio).

Se da punto di vista quantitativo la 4A era un grande passo avanti, la qualità del suono era limitata dal fatto che non si potevano realizzare dei metodi di sintesi a spettro sonoro variabile (per es. con filtri o modulazione di frequenza), se non ricorrendo all’additiva. In Anthony, Wessel aggira questo limite evitando una caratterizzazione melodica del materiale sonoro, affidandosi, invece, a grandi cluster in lenta mutazione armonica.

Att.ne: il brano inizia molto piano. Inoltre con gli altoparlantini del computer ne sentite metà.

Un secondo contributo video riguarda l’attività di David Wessel come ricercatore interessato principalmente all’interazione uomo – macchina, tanto che nel 1985 aveva fondato all’IRCAM un dipartimento di ricerca dedicato allo sviluppo di software musicale interattivo.

Qui viene mostrato lo SLAB, uno dispositivo di controllo composto da una serie di touch pad sensibili alla posizione e alla pressione. Ogni pad trasmette al computer informazioni relative alla posizione xy del dito che lo preme e alla pressione esercitata. Il flusso di dati è ethernet, non MIDI, per cui le misure sono accurate e la risposta è veloce (questa storia del superamento del MIDI ce la porteremo dietro per la vita; per citare Philip Dick, la cavalletta ci opprime). Maggiori dati tecnici sullo SLAB, qui. Per gli impazienti, nel video la performance inizia a 2:40.

Orchidée

Questo interessante sistema chiamato Orchidée, realizzato all’IRCAM da Grégoire Carpentier and Damien Tardieu con la supervisione del compositore Yan Maresz, è in grado di fornire una o più orchestrazioni di un suono dato.

In pratica, significa che un compositore può arrivare con un suono e farlo analizzare al sistema che poi fornisce varie combinazioni di suoni orchestrali che approssimano la sonorità data.

Un esempio, tratto da quelli forniti dall’IRCAM, dice più di molte parole. Qui potete ascoltare:

Si tratta di Computer Aided Orchestration (orchestrazione assistita) ed è un ulteriore esempio di come il computer possa ormai affiancare il compositore in molte fasi del suo lavoro.

Il sistema si basa su un largo database di suoni orchestrali che sono stati analizzati e catalogati in base a una serie di descrittori sia percettivi (es. brillantezza, ruvidità, presenza, colore, …) che notazionali (strumento, altezza, dinamica, etc).

Un algoritmo genetico individua, poi, varie soluzioni, ognuna ottimizzata rispetto a uno o più descrittori, il che significa che non esiste una soluzione ideale, ma più di una, ciascuna delle quali si avvicina molto ad un aspetto del suono in esame, risuldando, invece, più debole sotto altri aspetti. Per esempio, si potrebbe ottenere un insieme che approssima molto bene il colore del suono, ma non la sua evoluzione. Sta poi al compositore scegliere quella che gli appare più funzionale al proprio contesto compositivo.

La descrizione completa del sistema Orchidée si trova qui. Vari altri esempi si possono ascoltare qui.

Bach Panther

Una rapida lezione sulla fuga e sul contrappunto. Tra l’altro, è un modo inedito di filmare il piano.

 

Fugue n°XXIV extract from 60 “Préludes & Fugues dans les Trente Tonalités” of Stéphane Delplace.
Based on the Henri Mancini’s Pink Panther Theme.
Interpreted by Stéphane Delplace.
Filmed and directed by Stéphan Aubé.
More : http://www.stephanedelplace.com

Piano Etudes

Piano Ètudes by Jason Freeman è un altro esempio di opera aperta via web in cui l’utente crea un brano seguendo un percorso fatto di frammenti. Andate qui.

Notate:

  • dopo aver scelto uno studio, cliccando “settings” potete vedere le note o il piano roll
  • cliccando “sharing” potete salvare la vostra creazione
  • potete apporre il vostro nome come autore accanto a quello di Jason Freeman cliccando “Anonymous”

Note dell’autore:

Inspired by the tradition of open-form musical scores, I composed each of these four piano etudes as a collection of short musical fragments with links to connect them. In performance, the pianist must use those links to jump from fragment to fragment, creating her own unique version of the composition.

The pianist, though, should not have all the fun. So I also developed this web site, where you can create your own version of each etude, download it as an audio file or a printable score, and share it with others. In concert, pianists may make up their own version of each etude, or they may select a version created by a web visitor.

I wrote Piano Etudes for Jenny Lin; our collaboration was supported, in part, with a Special Award from the Yvar Mikhashoff Pianist/Composer Commissioning Project. Special thanks to Turbulence for hosting this web site and including it in their spotlight series and to the American Composers Forum’s Encore Program for supporting several live performances of this work. I developed the web site in collaboration with Akito Van Troyer.

Lo Spazio tra le Pietre

sonogramma

Ho composto Lo Spazio tra le Pietre per la manifestazione “Musica e Architettura”, organizzata dal Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda il 18/10/2008.

Dal mio punto di vista, i rapporti fra musica e architettura non si esauriscono nella pur importante questione della progettazione di luoghi per la musica, ma hanno aspetti più profondi che investono certamente la composizione e arrivano fino alla fruizione.
Se, da un lato, un edificio esiste staticamente nello spazio, non può essere apprezzato nella sua totalità senza un intervallo temporale. La sua forma globale non è mai evidente nella sua interezza, nemmeno dall’alto. Si forma nella memoria di chi ci si è avvicinato da molti lati e ha visto la sua forma perdersi, mentre i particolari costruttivi e poi i materiali diventano via via più evidenti. Analogamente, un brano musicale esiste staticamente in una qualche forma di notazione e si svela nel tempo. L’ascolto temporale ne evidenzia, via via, la struttura interna, gli elementi costitutivi e i dettagli.
Così, è possibile pensare un brano musicale come un oggetto statico e un edificio come una struttura dinamica. Ma è da un punto di vista compositivo che le analogie si fanno più strette.

Sotto l’aspetto compositivo, quando lavoro con suoni completamente sintetici che non derivano da alcun suono reale, come nel caso di questo brano, generalmente seguo un approccio top-down. Dapprima immagino una forma, spesso in termini spaziali e poi costruisco i materiali e i metodi con cui realizzarla.
Così, come nell’architettura, per me comporre un brano significa costruire i materiali di base partendo dalle componenti minime e modulare il vuoto temporale e spaziale che li separa, cercando di assemblarli in un ambiente coerente.
I parametri che manipolo, come nella musica strumentale, sono temporali e spaziali, ma, a differenza della musica strumentale, si estendono a livello microscopico. Così, la manipolazione del tempo non si ferma alle durate delle note, ma arriva ai tempi di attacco e decadimento delle singole componenti di ogni suono (le parziali armoniche o inarmoniche). In modo analogo, a livello spaziale il mio intervento non si limita all’intervallo, che determina il carattere delle relazioni armoniche, ma si spinge fino alla distanza fra le parziali che formano un singolo suono, determinandone, in una certa misura, il timbro.
Il punto, però, è che, nella mia visione della composizione, molto più importanti dei materiali sono i metodi. Anzi, anche gli stessi materiali, alla fine, derivano dai metodi. Il mio problema, infatti, non è mai quello di scrivere una sequenza di suoni e svilupparla, bensì quello di generare una superficie, una “texture”, avente una precisa valenza percettiva.
In realtà, questa è texture music. Anche quando credete di ascoltare un singolo suono, in realtà ne ascoltate minimo 4/5. E non parlo di parziali, bensì di suoni complessi, ognuno dei quali ha da un minimo di 4 parziali, fino a un massimo di circa 30. Per esempio, il SOL# iniziale, che nasce dal nulla e poi viene circondato da altre note (FA, SIb, FA#, LA) è composto da 8 suoni con pochissima differenza di altezza che si rinnovano ogni 0.875 secondi. Così si crea la percezione di un suono singolo, ma dotato di un certo tipo di movimento interno.
Texture music, micro-polifonia che si muove molto al di sotto della soglia del temperamento base 12. In effetti, qui lavoro con una ottava divisa in 1000 parti uguali e in certi punti del brano coesistono migliaia di suoni complessi contemporaneamente per generare un singolo “crash”.
Ne consegue che non è possibile scrivere a mano una “partitura” del genere. Ho ideato e programmato personalmente un software compositivo chiamato AlGen (AlgorithmGeneration) mediante il quale io piloto le masse e il computer genera il dettaglio (i singoli suoni).
AlGen esisteva già nel 1984 ed era stato utilizzato per comporre Wires, a cui questo brano deve molto, ma, mentre a quei tempi era solo un blocco di routine che il sottoscritto aveva collegato al programma di sintesi Music360 di Barry Vercoe (l’antenato diretto dell’odierno CSound), per questa occasione è stato completamente riscritto ed è un software a se stante. Nella versione odierna incorpora varie distribuzioni probabilistiche, metodi seriali, algoritmi lineari e non-lineari per controllare meglio le superfici generate e soprattutto la loro evoluzione (per una volta, i frattali non c’entrano, per ora).
Ciò nonostante, AlGen non incorpora nessuna forma di “intelligenza”. Non prende decisione in base all’armonia, al contesto, eccetera. È un cieco esecutore di ordini. Pesca in un insieme probabilistico o calcola funzioni e genera note, ma fortunatamente non pensa e non decide. Quelli che tratta sono puri numeri e non sa nemmeno se sta calcolando durate, densità o frequenze.
Di conseguenza la completa responsabilità del risultato finale è attribuibile solo al sottoscritto. Quando ascolto una massa sonora  e riguardo i numeri che ho passato al programma, capisco perfettamente perché suona così ed è solo per quello che posso fare le necessarie correzioni.

Lo Spazio tra le Pietre è stato composto nel mio studio in settembre – ottobre 2008 e sintetizzato in 4 canali mediante CSound. Algoritmo di sintesi: FM semplice.
Partitura CSound generata grazie al software di composizione assistita AlGen realizzato dall’autore.

L’intero brano è pensato come una struttura spaziale. Il suo skyline è evidente del sonogramma a inizio pagina e la sua struttura. come alternanza di forme, pieni e vuoti, è ben visibile nell’ingrandimento di un frammento di circa 1 minuto (qui sotto, come al solito potete cliccare sulle immagini per ingrandirle).

Mauro Graziani – Lo Spazio tra le Pietre (2008), computer music

Dimenticavo: con le normali cassettine da computer ne sentite all’incirca la metà.

sonogramma frammento

ST/10-1,080262

Ecco un altro lavoro stocastico di Iannis Xenakis. Il titolo è codificato: ST sta per stochos, 10-1 significa che è la prima composizione di questa serie per 10 strumenti, 080262 è la data.

L’elemento di interesse di questo brano risiede nel fatto che è uno dei primi ad essere stato composto da un software. All’epoca, infatti, il lavoro di Xenakis aveva richiamato l’attenzione dell’IBM che aveva messo a disposizione alcuni programmatori per formalizzare il suo processo compositivo.

Come in altri brani di questi anni, la statistica e la teoria delle distribuzioni sono alla base dell’intera composizione (vedi Musica e Matematica 03).

Iannis Xenakis – ST/10-1,080262
Paris Instrumental Ensemble for Contemporary Music, Cond. Konstantin Simonovitch
Download in flac format from AGP99

La canzone più orrenda

Una coppia di artisti concettuali russi (Vitaly Komar e Alex Melamid) ha cercato di determinare, mediante una serie di interviste, quali siano le caratteristiche musicali più odiate in una canzone al fine di comporre il brano più nefando di tutti i tempi. Fra le le cose più citate troviamo le seguenti

The most unwanted music is

  • over 25 minutes long,
  • veers wildly between loud and quiet sections,
  • between fast and slow tempos,
  • and features timbres of extremely high and low pitch,
  • with each dichotomy presented in abrupt transition.
  • The most unwanted orchestra was determined to be large, and features the accordion and bagpipe (which tie at 13% as the most unwanted instrument), banjo, flute, tuba, harp, organ, synthesizer (the only instrument that appears in both the most wanted and most unwanted ensembles).
  • An operatic soprano raps and sings atonal music, advertising jingles, political slogans, and “elevator” music, and a children’s choir sings jingles and holiday songs.
  • The most unwanted subjects for lyrics are cowboys and holidays, and the most unwanted listening circumstances are involuntary exposure to commercials and elevator music.

Poi, naturalmente, l’hanno composta. Eccovi quindi, di Vitaly Komar e Alex Melamid,  The Most Unwanted Song

Secondo gli autori, fatti i debiti calcoli statistici, questo brano dovrebbe essere gradito al massimo a 200 persone al mondo. Per quanto mi riguarda, nel complesso è piuttosto orrendo, però alcuni punti mi piacciono…

Via ArtsJournal

Schoenberg è morto

L’opera d’arte è principalmente genesi

scriveva Paul Klee, per il quale l’arte era una metafora della creazione. Egli concepiva l’opera come ‘formazione della forma’, non come risultato. Analogamente, Boulez parlerà dell’opera che “genera ogni volta la sua propria gerarchia”.

Proprio a liberare le possibilità di una generazione funzionale tende Boulez quando individua la serie come il suo nucleo: “Predecessore principalmente prescelto: Webern; oggetto essenziale delle investigazioni nei suoi riguardi: l’organizzazione del materiale sonoro”.

Non sembra dimenticare, ma nemmeno lo ricorda esplicitamente, che fu proprio Webern a parlare di una musica tale per cui “si ha la sensazione di non essere più di fronte a un lavoro dell’uomo, ma della natura”.

Nota bene: Webern, non Schoenberg. Soltanto un anno dopo la morte, infatti, Boulez seppellirà definitivamente Schoenberg denunciando ogni aspetto della sua estetica come retrivo, contraddittorio e contrario alla nuova organizzazione del mondo sonoro da lui stesso ideata:

Dalla penna di Schoenberg abbondano, in effetti, – non senza provocare l’irritazione – , i clichés di scrittura temibilmente stereotipi, rappresentativi, anche qui, del romanticismo più ostentato e più desueto.

Si tratta del famoso articolo, apparso sulla rivista “The Score” nel 1952, pieno del dogmatismo ingenuo che solo un 27nne può esibire, che termina con l’enunciato in lettere maiuscole: SCHOENBERG È MORTO. [da noi è pubblicato in Note di Apprendistato, Einaudi, 1968]. È l’atto finale di condanna dell’incapacità di Schoenberg di adeguare interamente il suo linguaggio compositivo alla novità del metodo dodecafonico e l’indicazione di Webern come l’esempio da seguire.

Pierre Boulez – Strutture per 2 pianoforti Libro I° (1952)

A dimostrare quanto sopra dichiarato a grandi lettere, Boulez scrive il primo libro delle Strutture per 2 pianoforti che costituisce, in pratica, un manifesto dell’estensione del principio seriale a tutti i parametri in uno strutturalismo tanto raffinato quanto totalitario.
Mostreremo, ora, alcune tracce analitiche della prima sezione (Structure I/a), basandoci sullo storico articolo che György Ligeti pubblicò sulla rivista «Die Reihe» (trad: La Serie) nel 1958.

Tutto, in quest’opera, è predeterminato. L’intera composizione è totalmente dedotta da un’unica formula originaria: una serie che, in omaggio a Messiaen, è tratta dalla prima linea del Mode de valeurs.

NB: per ingrandire le immagini, cliccarle.

Alla serie vengono applicate le trasformazioni di rito (inversione, retrogrado e inversione del retrogrado) e a ognuna di esse, le 11 trasposizioni, ottenendo, così, le classiche 48 serie.
A partire dalle trasposizioni della serie originale (O) e della sua inversione (I), Boulez genera poi due tabelle numeriche ottenute sostituendo alle note i numeri che le note stesse hanno nella serie originaria (questo è ciò che Boulez chiama “cifratura” della serie).

Queste due matrici, lette sia in moto retto che retrogrado, sono poi impiegate per determinare le durate, le dinamiche, i modi di attacco e l’ordine in cui sono introdotte le 48 serie di altezze e di durate nell’intera composizione, come segue:

Altezze
Tutte le 48 serie canoniche appaiono nel pezzo ma, si badi bene, una e una sola volta ciascuna, equamente suddivise fra i 2 pianoforti (24 ciascuno).

Durate
Vengono costruite 4 tabelle di durate formate di 12 serie ciascuna (totale 48 serie, come le altezze), con il seguente metodo: nelle matrici di cui sopra, ogni numero rappresenta una durata ottenuta moltiplicandolo per una unità base pari a una biscroma. Così
1 = 1 biscroma,
2 = 2 biscrome = 1 semicroma,

12 = 12 biscrome = semiminima puntata.
Le 12 durate (da 1 biscroma a 12 biscrome), quindi, sono

Di conseguenza la durata più breve nella sezione 1/a è la biscroma e la più lunga è la semiminima puntata.

Dinamiche
Boulez costruisce una corrispondenza fra numeri e dinamiche secondo questo schema

A differenza delle durate, però, qui non si creano 48 serie, ma solo 2 utilizzando le diagonali delle 2 tabelle già viste

La tabella ‘O’ è utilizzata dal Piano I e la ‘I’ dal Piano II. Per esempio, la serie del Piano I è la seguente:

12 7 7 11 11 5 5 11 11 7 7 12
ffff mf mf fff fff quasi p quasi p fff fff mf mf ffff
2 3 1 6 9 7 7 9 6 1 3 2
ppp pp pppp mp f mf mf f mp pppp pp ppp

Si tratta di 24 dinamiche cioè lo stesso numero delle serie usate da ogni pianoforte. Di conseguenza, ognuna delle 24 serie sarà eseguita con una di queste dinamiche nella sua interezza.
Notare che in questa serie alcune le dinamiche si ripetono. Notare anche che non tutte sono presenti (es. 4, 8 e 10 non appaiono nella serie O). E’ un effetto delle scelte organizzative che darà adito a varie critiche.

Modi di attacco

Esistono 10 modi di attacco (i numeri vanno da 1 a 12, ma ci sono dei buchi)

In modo analogo alle durate, la serie dei modi di attacco è determinata dalle altre diagonali delle tabelle

Anche qui la ‘O’ è assegnata al Piano I e la ‘I’ al Piano II e anche qui si ha una serie di 24 per cui ogni modo di attacco è utilizzato per una serie intera. Sono solo 10 grazie al fatto che, come per le dinamiche, le serie derivate dalle diagonali non contengono tutti i 12 valori.

Ordine delle serie di altezze

Le due matrici sono utilizzate anche per determinare l’ordine con cui vengono usate le serie. La Structure 1/a è divisa in 2 sezioni principali in ognuna delle quali ogni pianoforte usa 12 serie, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di O nell’ordine I1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1
2 Tutte le serie di I nell’ordine O1 Tutte le serie di R nell’ordine R1


Ordine delle serie di durate

Come per le altezze, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1 Tutte le serie di I nell’ordine R1
2 Tutte le serie di R nell’ordine R1 Tutte le serie di O nell’ordine RI1

Forma Globale

Come già visto, ogni pianoforte suona 12 delle 24 serie in ciascuna delle 2 sezioni. Dato che ogni serie di altezze è accompagnata anche da una serie di durate che comprende tutti e solo i 12 valori, ogni serie ha anche la stessa durata metrica, cioè 1+2+3+…+12 = 78 biscrome. Il brano, quindi, può essere visto come un insieme di sotto-sezioni, ognuna delle quali dura come una serie.
Questo, però, non significa che ognuna delle due sezioni dura 12 volte la serie perché, essendo il pianoforte polifonico, è anche possibile l’esecuzione di più serie contemporaneamente. Inoltre, in almeno in 2 punti, ogni piano esegue una serie come solista.
Le 2 sezioni, quindi, sono divise in sotto-sezioni in ognuna delle quali ogni piano esegue contemporaneamente da 0 (tacet) a 3 serie (voci), secondo la seguente tabella

Sezione A Sezione B
Sotto-sezione 1 2a 2b 2c 3 4a 4b 5 6 7 8 9 10 11
Serie Piano 1 1 2 2 0 3 1 2 1 3 1 2 2 1 3
Serie Piano 2 1 2 1 1 3 1 3 0 2 2 2 2 1 3
Totale
2
4
3
1
6
2
5
1
5
3
4
4
2
6
Totale 24
Totale 24

La densità del pezzo quindi, varia secondo quanto riportato nella linea ‘Totale’, in modo non seriale né simmetrico.

Metronomo

L’indicazione metronomica delle varie sezioni è ‘lento’, ‘molto moderato’ o ‘moderato, quasi vivo’. Se, per brevità, li indichiamo con L, M e V e scriviamo i tempi della Structure 1/a, notiamo la seguente simmetria (che comunque non ha a che fare con il principio seriale):

M:V:L:V:M

Ottave
La distribuzione delle note sulle ottave è generalmente arbitraria. Si possono desumere solo due principi:

  1. l’estensione e gli ampi intervalli tipici del serialismo;
  2. quando la stessa nota ricorre in due o più serie sovrapposte, è suonata all’unisono.

Pause

L’uso delle pause è ristretto ai casi in cui delle note sono suonate in staccato. In questi casi, a volte, la loro durata è abbreviata e la rimanenza è riempita con pause. In generale, comunque, le pause sono usate solo per chiarire la scrittura.
Sembra che Boulez abbia voluto deliberatamente evitare di interrompere l’esposizione delle serie inserendo pause non giustificate.

Tempi
I cambiamenti di metro sono frequenti, ma non sembrano conformarsi a un piano e sembrano avere la sola funzione di aiuto all’esecuzione. In ogni caso, una sensazione ritmica è generalmente assente in queste pagine. A volte sorge per qualche secondo, ma viene immediatamente annullata.

Così si presenta la prima pagina della partitura che si può ascoltare qui:

Messiaen 100 anni

Il 2008 è il centenario della nascita di Olivier Messiaen, una figura gigantesca nella scena musicale del ‘900, alla cui scuola si formarono anche compositori come Pierre Boulez, Yvonne Loriod (sua allieva che ne divenne la seconda moglie), Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis e George Benjamin.

È quasi impossibile elencare in un post tutte le innovazioni apportate da questo compositore francese che riesce a fondere aspetti apparentemente lontani tra loro in un crogiolo in grado di provocare disappunto sia nei puristi tradizionalisti che negli avanguardisti incendiari: in realtà tale disappunto risiede nell’impossibilità di iscrivere l’autore nelle facili catalogazioni storico-critiche o ideologiche prevalenti nel Novecento musicale.

Ma, per coloro che hanno saputo vedere con chiarezza, Messiaen è sempre stato un punto di riferimento importante. Boulez, per esempio, gli ha praticamente dedicato il Primo Libro delle Strutture per due pianoforti utilizzando la serie tratta da Mode de valeurs et d’intensitées (1950) come materiale base per la sua composizione, che sarà quasi un manifesto del serialismo integrale.

Fra i suoi contributi, non si possono non citare due espedienti compositivi legati ad una personale nozione di simmetria applicata sia a livello ritmico che melodico/armonico. Si tratta dei ritmi non retrogradabili e dei modi a trasposizione limitata.

I primi sono ritmi palindromi, cioè identici se letti da sinistra a destra o viceversa (come la parola ANNA).
Un esempio è nel secondo rigo dell’immagine, tratta da Prélude, Instants défunts, in cui si vede una figurazione ritmica che risulta identica se letta nelle due direzioni. Ritmi come questo, che restano inalterati in seguito ad una inversione temporale e in cui Messiaen vede “il fascino dell’impossibilità”, generano una sensazione di immobilità temporale che trova la sua controparte armonica nei modi a trasposizione limitata.

Questi ultimi sono modi su cui non si possono effettuare le 12 trasposizioni canoniche (12 considerando l’enarmonia; parliamo di modi, non di tonalità).
Per esempio, la scala maggiore non è a trasposizione limitata perché, enarmonicamente parlando, ogni trasposizione di mezzo tono genera una successione di note nuova, che non si sovrappone a nessun altra.
La scala a toni interi (Do, Re, Mi, Fa#, Sol#, La#), invece, trasposta di mezzo tono genera una nuova successione (Do#, Re#, Fa, Sol, La, Si), ma, alla successiva trasposizione (Re, Mi, Fa#, Sol#, La#, Do), si ripresenta il caso precedente. Quindi questa scala può essere trasposta una sola volta.

Un esempio un po’ più complesso è la scala alternata detta anche octofonica o diminuita, che procede per toni e semitoni alternati rigorosamente e si può trasporre due volte:

Do, Re, Re#, Fa, Fa#, Sol#, La, Si

Do#, Re#, Mi, Fa#, Sol, La, La#, Do

Re, Mi, Fa, Sol, Sol#, La#, Si, Do#

poi si ritorna al primo caso.

Il suo vocabolario espressivo, comunque, va ben oltre questi, sia pur famosi, artifici. Citiamo anche le sue evoluzioni ritmiche realizzate per aumentazione o diminuzione, aggiungendo o togliendo un piccolo valore temporale a ogni ciclo ritmico. E i suoi primi suggerimenti spettrali, costruiti al pianoforte con accordi in cui a una fondamentale f venivano sovrapposte note più o meno armoniche con dinamica inferiore, in un tentativo di fonderle con il suono di base (per es. in Prélude, La colombe o Le loriot, nel Catalogue d’oiseaux).

Inoltre, Messiaen affascina anche per alcuni tratti extra-musicali, che comunque hanno avuto un impatto notevole anche sulla sua musica.

Per prima cosa, era un sinesteta: associava cioè le percezioni uditive a quelle visive (colori) che con il tempo si sono fatte sempre più precise, fino a giungere a descrivere minuziosamente i colori da lui associati al suono di scale, accordi, timbri strumentali, nella prefazione alle Trois Liturgies.

Poi per la sua passione ornitologica che si integra nella sua musica sia in forma tematica che con opere apertamente dedicate al canto degli uccelli [es. Catalogue d’oiseaux, per piano (1956–58), Réveil des oiseaux, piano e orchestra (1953), Oiseaux exotiques, piano e orchestra (1955–56) e altre].
Delle sue modalità di trasposizione dei canti degli uccelli, Messiaen dice:

L’uccello… canta a tempi estremamente veloci che sono assolutamente impossibili per i nostri strumenti; dunque sono obbligato a trascriverlo ad un tempo più lento. Per di più, questa rapidità è associata ad una estrema acutezza, essendo un uccello in grado di cantare in registri così alti da essere inaccessibili ai nostri strumenti; perciò trascrivo il canto da una a quattro ottave sotto. E non è tutto: per la medesima ragione sono obbligato a sopprimerne i microintervalli che i nostri strumenti non riescono a suonare.

Infine, la sua fede, che personalmente non capisco e non condivido, ma che è sempre stata per lui una forza.
Con grande scandalo degli ideologi a lui contemporanei Messiaen radicò la sua fonte d’ispirazione alla panca dell’organo della Sainte Trinité, su cui restò assiso finché visse. Nei suoi scritti egli proclama una candida sequela alla Santa Romana Chiesa, ma mentre ad Igor Stravinsky o a Franz Liszt la fede cattolica ispirò musica essenziale e castigata, Messiaen trae dalla sua esperienza di cristiano una fastosità e una sovrabbondanza espressiva tali da farlo erroneamente definire “panteista” o “sentimentale”. I testi delle Trois petites Liturgies rivelano una conoscenza profonda della filosofia tomistica e della spiritualità ceciliana e solesmense. La trascrizione musicale delle sue esperienze religiose si rivela così troppo concentrata e complessa per chi si aspetta da esse facili ascolti, ma inspiegabilmente mantiene di volta in volta freschezza, tenerezza o ferocia che possono provenire solo da chi non fa del misticismo intellettuale l’unica forma di ispirazione.

La pagina che segue, pubblicata in wikipedia (cliccate l’immagine per ingrandire), tratta da Oiseaux exotiques, mostra con chiarezza alcune delle caratteristiche molto personali di questo compositore:

  • l’uso di ritmi arcaici ed esotici. Nei righi in basso si vedono due figurazioni etichettate come “Asclépiade” e “Saphique” che sono antichi ritmi greci, mentre il Nibçankalîla che inizia in ultimo rigo, ultima battuta, è un decî-tâla dalla Śārṅgadeva, una lista di 120 unità ritmiche che appartiene alla tradizione indiana (Messiaen si è rifatto spesso al corpus ritmico dei tala indiani).
  • i canti degli uccelli notati minuziosamente, indicandone anche il nome. La garralaxe à huppe blanche e la troupiale des vergers sono, appunto, uccelli.

Ascolta Oiseaux exotiques da YouTube

Ascolta Oiseaux exotiques da YouTube

Per approfondire consiglio la voce a lui dedicata in wikipedia italiana e inglese.

[alcune parti e immagini di questo post sono tratte pari pari da Wikipedia]