Acousmographe

L’Acousmographe dell’istituto di ricerca francese INA/GRM è un software per l’analisi e la rappresentazione della musica elettroacustica, e per estensione, di qualsiasi fenomeno sonoro registrato.

Il suo sviluppo è un progetto a lungo termine che nasce dalla necessità sentita da compositori e musicologi di disporre di strumenti per la trascrizione di musiche non scritte, mediante rappresentazioni grafiche e annotazioni testuali sincronizzate con l’ascolto e con le tecniche usuali di rappresentazione del segnale (ampiezza – analisi spettrale).

Disponibile sia per Mac che per Windows, è arrivato alla versione 3.7 ed è scaricabile qui.

Esiste anche un buon manuale in italiano (pdf) a questo link. Si può anche visualizzarlo in linea sul blog di Alex Di Nunzio.

acousmographe 1 acousmographe 2

 

Eanalysis

Eanalysis

EAnalysis è un software per Mac creato specificamente per l’analisi e la rappresentazione di sound based music, ovvero la musica elettroacustica.

Ecco, ad esempio, come è possibile rappresentare parte di tre brani di François Bayle: L’oiseau moqueur, L’oiseau triste e L’oiseau zen tratti dai Trois rêves d’oiseau.

In ogni schermata possiamo vedere il sonogramma e la forma d’onda in basso, mentre nella parte superiore viene creata una rappresentazione grafica degli eventi sonori. Questa rappresentazione non è automatica, però il software dispone di strumenti individuare e marcare gli eventi sonori (in pratica una forma di segmentazione). Inoltre può importare dati da altri software come Sonic Visualiser, Audiosculpt, Acousmographe, Pro Tools, etc. (click image to enlarge)

EanalysisEAnalysis può essere scaricato da qui.

Att.ne: la versione attuale non funziona con Yosemite (come, del resto, gran parte del Mac).

Altre informazioni riportate sul sito:

Research and development: Dr Pierre Couprie. Coordination: Prof Simon Emmerson & Prof Leigh Landy

The development of EAnalysis is part of the research project entitled ‘New multimedia tools for electroacoustic music analysis’ at the MTI Research Centre of De Montfort University (Leicester, UK). The project is funded by the Arts and Humanities Research Council (AHRC).

This piece of software aims at experimenting new types of graphic representations and new analytical methods with an intuitive interface and adapted tools for analysis purposes.

Features

  • Visualise sonogram (linear or logarithmic) and waveform.
  • Import several audio and/or movie files to analyse multitrack works or compare different works.
  • Create beautiful representations with graphic events on different layers.
  • Analyse with analytical events and sound/musical parameters.
  • Create your own analytical lists of parameters and share them.
  • Annotate during playback with time text.
  • Use graphic tablet or interactive whiteboard to draw representation.
  • Use several types of views in the same interface.
  • Create charts and maps from sound extracts: paradigmatic chart, generative tree, soundscape map, etc.
  • Create synchronised slideshow.
  • Create layers of sonograms from several tracks to analyse space motions, difference between versions of same work, or different works.
  • Save configurations (snapshots).
  • Import data from other software like Sonic Visualiser, Audiosculpt, Acousmographe, etc.
  • Import Pro Tools information sessions and create graphic representation from sound clips.
  • Export to images, movies, and text files (txt, csv, xml, json).
  • Export without media to share analysis without copyright restrictions.

De-composer

Grazie a Nicola, vi passo uno scritto di Tristan Murail su Giacinto Scelsi (tradotto in inglese). Gli esponenti della musica spettrale (Grisey, Murail, Dufourt) non hanno mai fatto mistero di considerare Scelsi come un antesignano del movimento, soprattutto per i 4 pezzi su una nota sola e in questo articolo Murail puntualizza le ragioni del suo interesse per l’opera del compositore italiano.

L’articolo è copyrighted ma è espressamente concessa la copia per uso individuale.

Tristan Murail – Scelsi, De-composer

L’accordo segreto (?)

Dunque, questa faccenda dell’accordo iniziale di A Hard Day’s Night deve essere esplosa in questi giorni, perché mi sono arrivate ben due segnalazioni.

In breve, la storia è questa: ricordate il klang iniziale di A Hard Day’s Night? (Beatles, 1964). Se la risposta è no, avviate il video qui sotto: è proprio la prima cosa che sentite.

Il problema è che non si riusciva a determinare esattamente la composizione di questo accordo e non si riusciva a riprodurlo accuratamente con 2 chitarre (una a 12 corde) e basso (l’organico dell’incisione). In pratica, sembrava fosse impossibile ottenere esattamente quella sonorità con la strumentazione di cui sopra. Sebbene le note fossero state identificate, non si riusciva a rendere conto della loro distribuzione fra gli strumenti.

Nella sua ponderosa analisi, Alan Pollack, che ha analizzato l’intera produzione dei quattro, dice:

I’ve seen better people than myself argue (and in public, no less) about the exact guitar voicing of this chord and I’ll stay out of that question for now (what a cop-out, Alan!), and merely state that its sonority is akin to a superimposition of the chords of d-minor, F-Major, and G-Major; i.e. it contains the notes D, F, A, C, and G – to my ears, only the B is missing. Even if you don’t know a thing about harmony or musical dictation, you can at least hear the G as a suspended fourth over the D on the bottom. Hullaballoo aside, this chord functions as a surrogate dominant (i.e. V) with respect to the chord on G which begins the first verse.
[A. Pollack – Notes on “A Hard Day’s Night”]

Ma finalmente il dott. Jason I. Brown, della Dalhousie University, ha pensato bene di fare una analisi FFT sull’accordo, elencando tutte le frequenze in esso contenute. L’analisi ha permesso di determinare la composizione esatta dell’accordo, mettendo in luce il fatto che le note coinvolte non possono essere state prodotte solo con due chitarre e basso (e non risulta traccia di sovraincisioni, che nel 1964 erano un po’ problematiche).

L’ipotesi finale, quindi, è che dentro il “klang” ci sia anche il pianoforte di George Martin, che, d’altronde, più avanti, doppia anche il solo di George. L’accordo lo vedete in figura (click here to enlarge). I raddoppiamenti di 8va di La, Re e Sol che vedete nella parte di GH sono dovuti alla 12 corde. Qui trovate l’articolo di Jason Brown (pdf) con tutte le sue deduzioni.

Rarefazioni di luce: analisi

Ecco una breve analisi di Cesare Valentini del suo brano “Rarefazioni di luce”, al quale abbiamo dedicato un post qualche giorno fa.

“Rarefazioni di luce” è un brano per orchestra d’archi nato da una commissione ricevuta dall’Orchestra da Camera Fiorentina ed ha avuto la prima assoluta a Firenze il 20 maggio 2007 sotto la direzione di Piero Romano. La registrazione che può essere ascoltata nei collegamenti citati si riferisce alla replica avvenuta il giorno seguente. L’ispirazione deriva dalla rarefazione della luce ai primi bagliori dell’alba, non come fatto impressionistico ma come fenomeno del cosmo che si attua sulla terra attraverso l’atmosfera. La prospettiva è dunque di carattere non personale. Il brano segue “Colori del crepuscolo” dell’anno precedente ed avrà la sua naturale continuità in “Universi paralleli” che sarà eseguito in prima assoluta il 29 giugno 2008 a Firenze.

Dal punto di vista strettamente musicale, volendo esprimere i bagliori di luce rarefatta con gli archi ho pensato di ricorrere a “suoni rarefatti” dati dagli armonici, naturali ed artificiali, da glissandi di armonici e non, pizzicati di armonici, controtempi, suoni oltre il ponticello, tremoli di glissandi e pizzicati con la mano sinistra. Il brano si apre con degli accenni, come un’introduzione, di armonici e suoni naturali che sembrano iniziare temi e ritmi ma si spengono subito in pause, come un meccanismo che cerca di partire ma non vi riesce. Il buio predomina anche in agglomerati di accordi che all’ascolto possono sembrare dei clusters ma sono disposti in posizione lata.

Qualche bagliore appare di quando in quando come a rassicurare. Iniziano poi delle strutture di “forma classica” in periodi di otto battute dove i bagliori, dati da glissandi di armonici, cominciano a predominare. Per attuare con maggiori possibilità il gioco dei glissandi, le parti dei violini sono divise in quattro, così ogni sezione può utilizzare una corda per glissare. Le viole sono divise in due parti.

L’intera composizione è quindi divisa in sette, 4 per i violini, 2 per le viole, una ciascuno per violoncelli e contrabbassi. I glissandi, poi, ho ritenuto di scriverli in modo che tutti gli archi potessero andare a tempo evitando il caos. Nei glissandi di maggior estensione sono partito dal primo armonico per arrivare all’armonico più lontano purché udibile che è situato ad una terza di qualche ottava sopra. Non mi sono limitato a scrivere la nota di partenza e l’ultima unite dalla linea del glissando ma ho scritto per intero tutte le note che il dito dell’esecutore avrebbe suonato nel glissare. Creando così anche figure complesse come diciassettimine come si può notare alla battuta 96 in fondo alla pagina in questo collegamento che ne riporta un breve estratto. Con grande stupore degli esecutori che alla prima prova chiedevano come era possibile suonare tutte quelle note. Risposi che dovevano farlo senza pensarci troppo tanto passando il dito sopra la corda quelle note le avrebbero fatte tutte. In questo modo davo loro una ritmica precisa. Vi è un’altra particolarità, i glissandi creano rapporti di quinte vuote fra le corde ma con un’accordatura naturale e non temperata. Come noto gli armonici creano rapporti non temperati poiché fisici.

Finita la seconda serie di passaggi con gli armonici dentro i quali si inserivano altre sonorità, inizia il gioco delle terzine sfalzate e spezzate (mancano ciascuna di una nota) che, dal punto di vista esecutivo, è stato il punto più difficile. Le terzine sono investite dal suono di un glissando dei contrabbassi che parte da una nota acuta ed arriva al registro basso con note marcate. Per far comprendere bene agli esecutori la violenza dell’intervento dei bassi ho scritto in partitura la parola “cattivo!”.

Le terzine nel frattempo continuano alternativamente in alcune sezioni mentre altre si danno il cambio nel “cantare” un tema di contrasto e l’intervento dei bassi ho pensato che fosse fondamentale per rompere l’intricato disegno. Seguono un vorticoso ed incessante con gli archi molto marcati e in omoritmìa, tremoli sugli armonici, scale di pizzicati molto tenui poiché fatti con la mano sinistra ed un lungo accordo finale che raccoglie lo spettro armonico fondamentale della composizione. Per maggiori delucidazioni, per la partitura e le parti staccate per l’esecuzione potete scrivermi a info@cesarevalentini.com

Les Chants de l’Amour – Note di programma

Pubblico la traduzione delle note di programma scritte dallo stesso Gérard Grisey per “Les Chants de l’Amour” (vedi post precedente). Scusate la forma un po’ involuta, ma, data la lunghezza, le ho tradotte con babelfish, correggendo poi i punti errati (devo dire che babelfish se la cava piuttosto bene dal francese all’italiano).

Les Chants de l’Amour – Note di programma di Gérard Grisey

Il primo progetto de “Les Chants de l’Amour”, in realtà la messa in atto formale, data dell’estate 1981. Io concepiti allora l’idea di grandi polifonie vocali avvolte e sostenute da una fondamentale potente. Il programma CHANT concepito alla IRCAM, di cui avevo allora ascoltato alcuni esempi, mi apparì immediatamente come lo strumento adeguato per realizzare questa voce continua e queste pulsazioni respiratorie, vero liquido amniotico delle voci umane.

All’origine dei “Les Chants de l’Amour”, non c’è nessun testo particolare, bensì piuttosto un materiale fonetico così costituito:

  1. Un’introduzione che contiene la dedica del brano in dieci lingue diverse (“canti d’amore dedicati a tutti gli amanti della terra”);
  2. Le diverse vocali contenute nella frase “I love you”. Così sedici vocali diverse per i cantanti ed un centinaio di vocali per la voce sintetizzata;
  3. Diverse consonanti che appaiono gradualmente nel corso del brano.
  4. I nomi di amanti famosi: Tristan, isolde, Orfeo, Euridice, don Quichote, Dulcinea, Romeo, Giuletta…
  5. Litanie attorno alla parola amore, composte in francese, inglese, tedesco ed ungherese, soprattutto per la loro sonorità;
  6. Interiezioni, sospiri, scoppi di risa, halètements, gemiti, pezzetti di frasi, soprattutto per il loro carattere erotico;
  7. “Ti amo”, “Amant”, “amore” registrati in 22 lingue diverse, materiale fonetico per la folla e fonte concreta destinata a essere trattata dall’elaboratore;
  8. Un estratto “di Rayuela”di Cortazar;”
  9. La frase “I love you” base formale semantica di tutta la parte.

Ossia nel totale 28 sezioni, facilmente reperibili poiché ciascuna di essa possiede la stessa forma respiratoria.

La parte elettronica de “Les Chants de l’Amour” proviene principalmente da due fonti sonore: la voce sintetizzata dal programma CHANT e voci parlate registrate, digitalizzate e quindi trattate dall’elaboratore, soprattutto con una serie di filtri. L’interesse della voce sintetica non risiede tanto nell’imitazione della voce umana quanto nelle possibilità infinite di deviazione di queste voci. Vi scopriamo molti campi di percezioni e reazioni emotive legate agli avatars della voce umana.

L’altro versante di questa voce sintetica, cantata e tutta vocalizzata, sono la voce parlata, il rumore delle consonanti e della lingua. Solo l’elaboratore poteva permettermi di registrare queste voci diverse, raggrupparle, moltiplicarle e trasporle per creare vere cascate di voce umana, turbinio di folle ai quattro punti cardinali che vanno ripetendo “Ti amo” nella diversità dei loro timbri e delle loro lingue.. Nel corso di “Les Chants de l’Amour” evolvono vari tipi di relazioni tra le dodici voti del coro e tra il coro come entità e la voce della macchina. Questa voce, a sua volta, divina, enorme, minacciando, seduttrice, specchio e proiezione di tutti i fantasmi delle voci umane, si sdoppia e si moltiplica fino alla folla.

Schoenberg è morto

L’opera d’arte è principalmente genesi

scriveva Paul Klee, per il quale l’arte era una metafora della creazione. Egli concepiva l’opera come ‘formazione della forma’, non come risultato. Analogamente, Boulez parlerà dell’opera che “genera ogni volta la sua propria gerarchia”.

Proprio a liberare le possibilità di una generazione funzionale tende Boulez quando individua la serie come il suo nucleo: “Predecessore principalmente prescelto: Webern; oggetto essenziale delle investigazioni nei suoi riguardi: l’organizzazione del materiale sonoro”.

Non sembra dimenticare, ma nemmeno lo ricorda esplicitamente, che fu proprio Webern a parlare di una musica tale per cui “si ha la sensazione di non essere più di fronte a un lavoro dell’uomo, ma della natura”.

Nota bene: Webern, non Schoenberg. Soltanto un anno dopo la morte, infatti, Boulez seppellirà definitivamente Schoenberg denunciando ogni aspetto della sua estetica come retrivo, contraddittorio e contrario alla nuova organizzazione del mondo sonoro da lui stesso ideata:

Dalla penna di Schoenberg abbondano, in effetti, – non senza provocare l’irritazione – , i clichés di scrittura temibilmente stereotipi, rappresentativi, anche qui, del romanticismo più ostentato e più desueto.

Si tratta del famoso articolo, apparso sulla rivista “The Score” nel 1952, pieno del dogmatismo ingenuo che solo un 27nne può esibire, che termina con l’enunciato in lettere maiuscole: SCHOENBERG È MORTO. [da noi è pubblicato in Note di Apprendistato, Einaudi, 1968]. È l’atto finale di condanna dell’incapacità di Schoenberg di adeguare interamente il suo linguaggio compositivo alla novità del metodo dodecafonico e l’indicazione di Webern come l’esempio da seguire.

Pierre Boulez – Strutture per 2 pianoforti Libro I° (1952)

A dimostrare quanto sopra dichiarato a grandi lettere, Boulez scrive il primo libro delle Strutture per 2 pianoforti che costituisce, in pratica, un manifesto dell’estensione del principio seriale a tutti i parametri in uno strutturalismo tanto raffinato quanto totalitario.
Mostreremo, ora, alcune tracce analitiche della prima sezione (Structure I/a), basandoci sullo storico articolo che György Ligeti pubblicò sulla rivista «Die Reihe» (trad: La Serie) nel 1958.

Tutto, in quest’opera, è predeterminato. L’intera composizione è totalmente dedotta da un’unica formula originaria: una serie che, in omaggio a Messiaen, è tratta dalla prima linea del Mode de valeurs.

NB: per ingrandire le immagini, cliccarle.

Alla serie vengono applicate le trasformazioni di rito (inversione, retrogrado e inversione del retrogrado) e a ognuna di esse, le 11 trasposizioni, ottenendo, così, le classiche 48 serie.
A partire dalle trasposizioni della serie originale (O) e della sua inversione (I), Boulez genera poi due tabelle numeriche ottenute sostituendo alle note i numeri che le note stesse hanno nella serie originaria (questo è ciò che Boulez chiama “cifratura” della serie).

Queste due matrici, lette sia in moto retto che retrogrado, sono poi impiegate per determinare le durate, le dinamiche, i modi di attacco e l’ordine in cui sono introdotte le 48 serie di altezze e di durate nell’intera composizione, come segue:

Altezze
Tutte le 48 serie canoniche appaiono nel pezzo ma, si badi bene, una e una sola volta ciascuna, equamente suddivise fra i 2 pianoforti (24 ciascuno).

Durate
Vengono costruite 4 tabelle di durate formate di 12 serie ciascuna (totale 48 serie, come le altezze), con il seguente metodo: nelle matrici di cui sopra, ogni numero rappresenta una durata ottenuta moltiplicandolo per una unità base pari a una biscroma. Così
1 = 1 biscroma,
2 = 2 biscrome = 1 semicroma,

12 = 12 biscrome = semiminima puntata.
Le 12 durate (da 1 biscroma a 12 biscrome), quindi, sono

Di conseguenza la durata più breve nella sezione 1/a è la biscroma e la più lunga è la semiminima puntata.

Dinamiche
Boulez costruisce una corrispondenza fra numeri e dinamiche secondo questo schema

A differenza delle durate, però, qui non si creano 48 serie, ma solo 2 utilizzando le diagonali delle 2 tabelle già viste

La tabella ‘O’ è utilizzata dal Piano I e la ‘I’ dal Piano II. Per esempio, la serie del Piano I è la seguente:

12 7 7 11 11 5 5 11 11 7 7 12
ffff mf mf fff fff quasi p quasi p fff fff mf mf ffff
2 3 1 6 9 7 7 9 6 1 3 2
ppp pp pppp mp f mf mf f mp pppp pp ppp

Si tratta di 24 dinamiche cioè lo stesso numero delle serie usate da ogni pianoforte. Di conseguenza, ognuna delle 24 serie sarà eseguita con una di queste dinamiche nella sua interezza.
Notare che in questa serie alcune le dinamiche si ripetono. Notare anche che non tutte sono presenti (es. 4, 8 e 10 non appaiono nella serie O). E’ un effetto delle scelte organizzative che darà adito a varie critiche.

Modi di attacco

Esistono 10 modi di attacco (i numeri vanno da 1 a 12, ma ci sono dei buchi)

In modo analogo alle durate, la serie dei modi di attacco è determinata dalle altre diagonali delle tabelle

Anche qui la ‘O’ è assegnata al Piano I e la ‘I’ al Piano II e anche qui si ha una serie di 24 per cui ogni modo di attacco è utilizzato per una serie intera. Sono solo 10 grazie al fatto che, come per le dinamiche, le serie derivate dalle diagonali non contengono tutti i 12 valori.

Ordine delle serie di altezze

Le due matrici sono utilizzate anche per determinare l’ordine con cui vengono usate le serie. La Structure 1/a è divisa in 2 sezioni principali in ognuna delle quali ogni pianoforte usa 12 serie, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di O nell’ordine I1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1
2 Tutte le serie di I nell’ordine O1 Tutte le serie di R nell’ordine R1


Ordine delle serie di durate

Come per le altezze, come segue

Pianoforte Serie nella Sezione A Serie nella Sezione B
1 Tutte le serie di RI nell’ordine RI1 Tutte le serie di I nell’ordine R1
2 Tutte le serie di R nell’ordine R1 Tutte le serie di O nell’ordine RI1

Forma Globale

Come già visto, ogni pianoforte suona 12 delle 24 serie in ciascuna delle 2 sezioni. Dato che ogni serie di altezze è accompagnata anche da una serie di durate che comprende tutti e solo i 12 valori, ogni serie ha anche la stessa durata metrica, cioè 1+2+3+…+12 = 78 biscrome. Il brano, quindi, può essere visto come un insieme di sotto-sezioni, ognuna delle quali dura come una serie.
Questo, però, non significa che ognuna delle due sezioni dura 12 volte la serie perché, essendo il pianoforte polifonico, è anche possibile l’esecuzione di più serie contemporaneamente. Inoltre, in almeno in 2 punti, ogni piano esegue una serie come solista.
Le 2 sezioni, quindi, sono divise in sotto-sezioni in ognuna delle quali ogni piano esegue contemporaneamente da 0 (tacet) a 3 serie (voci), secondo la seguente tabella

Sezione A Sezione B
Sotto-sezione 1 2a 2b 2c 3 4a 4b 5 6 7 8 9 10 11
Serie Piano 1 1 2 2 0 3 1 2 1 3 1 2 2 1 3
Serie Piano 2 1 2 1 1 3 1 3 0 2 2 2 2 1 3
Totale
2
4
3
1
6
2
5
1
5
3
4
4
2
6
Totale 24
Totale 24

La densità del pezzo quindi, varia secondo quanto riportato nella linea ‘Totale’, in modo non seriale né simmetrico.

Metronomo

L’indicazione metronomica delle varie sezioni è ‘lento’, ‘molto moderato’ o ‘moderato, quasi vivo’. Se, per brevità, li indichiamo con L, M e V e scriviamo i tempi della Structure 1/a, notiamo la seguente simmetria (che comunque non ha a che fare con il principio seriale):

M:V:L:V:M

Ottave
La distribuzione delle note sulle ottave è generalmente arbitraria. Si possono desumere solo due principi:

  1. l’estensione e gli ampi intervalli tipici del serialismo;
  2. quando la stessa nota ricorre in due o più serie sovrapposte, è suonata all’unisono.

Pause

L’uso delle pause è ristretto ai casi in cui delle note sono suonate in staccato. In questi casi, a volte, la loro durata è abbreviata e la rimanenza è riempita con pause. In generale, comunque, le pause sono usate solo per chiarire la scrittura.
Sembra che Boulez abbia voluto deliberatamente evitare di interrompere l’esposizione delle serie inserendo pause non giustificate.

Tempi
I cambiamenti di metro sono frequenti, ma non sembrano conformarsi a un piano e sembrano avere la sola funzione di aiuto all’esecuzione. In ogni caso, una sensazione ritmica è generalmente assente in queste pagine. A volte sorge per qualche secondo, ma viene immediatamente annullata.

Così si presenta la prima pagina della partitura che si può ascoltare qui:

The Mazurka Project

Visto che ultimamente siamo in vena romantica 8) parliamo anche di questa interessante ricerca.

Il Progetto Mazurka si basa sull’analisi di una porzione significativa delle incisioni delle mazurke di Chopin utilizzando la tecnologia digitale per esaminare il timing e la dinamica.

Le incisioni prese in considerazione vanno dagli anni ’20 ai nostri giorni e vengono esaminate e confrontate sia per ricavarne delle tendenze generali, sia confrontate per evidenziare somiglianze e differenze.
Fra le prime spicca questo grafico che mostra come i pianisti tendano sempre più a battere la fiacca 😛 . Scherzi a parte, è interessante notare una tendenza a un marcato rallentamento metronomico nell’esecuzione delle mazurke in questi ultimi 90 anni, come mostra il grafico.

grafico MM nel tempo

Per esempio, l’esecuzione della Mazurka in LA minore Op. 68, No. 2 è passata mediamente dai 110 MM del 1920 agli 80 di oggi, con la durata che va da circa 2′ (con punte di 1′ 35″) fino ai 3′ 20″ circa degli anni 2000, con punte di 5′ 57″.
Spicca l’incredibile Michelangeli che ha inciso questo brano nel 1941, 1962 e 1971 con durate rispettive di 3′ 01″, 3′ 06″ e 3′ 04″, differenze praticamente nulle.

Lo studio delle esecuzioni è molto accurato. Altri grafici mostrano le somiglianze e le differenze dal punto di vista ritmico. Altri ancora evidenziano le deviazioni rispetto al tempo metronomico, mostrando che alcuni esecutori tendono mediamente a rispettarlo, mentre qualcun altro è costantemente in leggero ritardo o in leggero anticipo, al punto che questa può essere considerata una caratteristica esecutiva.

Fra le altre cose, queste analisi mostrano quanto utile possa essere in mezzo digitale in un contesto di analisi (in questo caso si tratta del software Sonic Visualizer arricchito da plugin appositi).
Peraltro, i grafici delle somiglianze mostrano chiaramente l’identità delle esecuzioni chopiniane di Hatto e Indjic, parte dell’ormai famoso Hatto’s Hoax e in effetti, anche se per altre vie, il computer ha avuto una parte non banale nello smascherare questa penosa truffa.
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The Mazurka Project is based on Chopin’s complete Mazurkas, involving analysis of a significant proportion of existing recordings of them, and making use of recently developed techniques for the mechanical capture of timing and dynamic information. The intention is not only to throw light on the interaction of compositional and performance style, using this in turn as a basis for interpreting geographical and chronological trends in the recorded performances, but also to explore the possibility of linking such analysis to the cultural meanings the Mazurkas have supported over the past 150 years.

This project is directed by Nicholas Cook (Royal Holloway, University of London). Technical development for data capture is being carried out by Andrew Earis (Royal College of Music) and analyzed by Craig Sapp (craig.sapp@rhul.ac.uk) who worked in the monkey house at the London Zoo prior to joining CHARM.

Analisi del discorso

Il blog Chir.ag ha analizzato più di 360 discorsi di presidenti USA (tutti, da Adams fino a GW) fabbricando per ognuno di essi una “tag cloud”, cioè una immagine in cui sono riportate le parole più utilizzate con dimensioni proporzionali alla loro frequenza nel discorso.
La trovate qui. È molto bella da vedere perché dà una indicazione istantanea su quali fossero i problemi maggiori al momento del discorso.
Se si guardano quelli di GW, si nota quanto segue:

  • nell’ultimo discorso di Clinton (2000), le parole chiave erano di tipo economico: sostenibile, rinforzare, bipartisan, investire, welfare
  • nel GW pre-attentato queste parole via via scompaiono e vengono sostituite da: fondi, guadagnare, debito, norma e commitment che significa sia incarcerazione che obbligo
  • immediatamente dopo l’attentato, tutte le parole sono piccole, il che significa che nessuna prevale decisamente sulle altre, come se chi parla non avesse un argomento principale. Un po’ di evidenza hanno, nel discorso del 20 settembre, bin (per bin laden), dolore, fondi e rafforzare e, 4 mesi dopo (gennaio 2002), campi, patria e regimi, ma, ripeto, senza una grande prevalenza
  • dal 2003 in poi, una sola parola campeggia enorme su tutto il resto: terrorist

Beatles analizzati

The Beatles

Nel 1989 il musicologo americano Alan W. Pollack ha iniziato la sua analisi delle canzoni dei Beatles, pubblicando i risultati in internet.
Nel 1991, dopo aver terminato le prime 28 canzoni, ha deciso, coraggiosamente, di continuare. 10 anni dopo, nel 2000, ha completato l’analisi dell’intero corpus ufficiale delle canzoni dei Beatles che consiste di 187 pezzi e 25 cover. Ora la rivista soundscapes.info ha riorganizzato il grande lavoro di Pollack e creato degli indici (alfabetico, cronologico e canonico). Il tutto è liberamente consultabile in rete qui.
Il lavoro è notevole. Per ogni canzone Pollack esamina la struttura generale del pezzo soffermandosi poi su stile, forma, melodia, armonia e arrangiamento. Segue poi una analisi dettagliata sezione per sezione. Una risorsa imperdibile per un cultore di popular music.

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