La domanda/commento di nicola al post sul momento del cambiamento pone, in breve, il seguente problema: perché, a quel punto della storia, la musica dei morti cominciò a contare di più di quella dei vivi?
Non abbiamo una risposta definitiva, comunque, sempre secondo Sandow, all’inizio del 19mo secolo cominciò a formarsi l’idea che vedeva nell’epoca classica un periodo d’oro, di perfezione assoluta.
Così cominciò anche ad emergere l’idea di musica classica; l’idea, cioè, che la musica di alcuni compositori del passato avesse un valore trascendente, che non fosse mero entertainment e quindi che dovesse essere ascoltata con grande attenzione e che dovesse essere eseguita esattamente com’era stata scritta.
E naturalmente anche i compositori del’800 cominciarono ad aspirare a scrivere musica del genere. Una musica che esprimesse sentimenti superiori, non un semplice divertimento. Una musica che li rendesse immortali, anche. E per il romanticismo, così pieno di nostalgia, di grandi ideali e di spinta verso l’assoluto, una concezione del genere era perfetta.
Il sentimento romantico di reverenza per il passato perduto è ben rappresentato da questo aneddoto raccontato da Berlioz e riportato da Peter Gay nel suo libro The Naked Heart.
Berlioz racconta che Listz, durante un concerto, aveva suonato il Chiaro di Luna di Beethoven rovinandolo con una quantità di trilli, tremoli e abbellimenti che strappavano applausi al pubblico.
Più tardi, però, senza il pubblico e alla presenza degli amici, aveva fatto spegnere tutte le luci, suonando al buio l’Adagio dalla stessa sonata e qui Berlioz dice:
…dopo un attimo di pausa, iniziò nella sua sublime semplicità la nobile elegia che prima aveva così duramente sfigurato; ma stavolta non una nota, non un accento erano diversi da come li aveva pensati il compositore. Quello che stavamo ascoltando era la fusione dello spirito di Beethoven con il grande virtuoso. Tutti noi tremavamo in silenzio e dopo l’estinguersi dell’ultimo accordo, nessuno osava parlare… eravamo in lacrime.
Qui c’è anche il primo indizio di scissione: il divertimento per il pubblico, la profondità del sentire per un ristretto cenacolo di veggenti.
Un altro aneddoto.
Jan Swafford, nella sua biografia di Brahms, racconta che nell’ottobre del 1895, Brahms si recò a Zurigo per dirigere il suo Triumphlied all’inaugurazione della nuova Tonhalle. Entrando nella sala, guardò sul soffitto i ritratti dei grandi compositori e vide Bach, Mozart, Beethoven… e sè stesso.
Sandow fa notare come questa fosse un’esperienza del tutto nuova. Bach, Mozart e Beethoven non avrebbero mai potuto trovarsi in una situazione del genere. E ricorda anche che, già nel 1840, l’insegnante di Brahms, Marxsen, affermava che le forme musicali create da quei compositori (più Haydn) erano “eternamente incorruttibili”.
Qualcosa era cambiato. Per sempre.