Prima di tutto sappiate che questo libro, che in italiano assume il titolo di X, altro non è che Little Brother. Un testo che, dal 2008, gira tranquillamente in rete essendo distribuito sotto licenza Creative Commons (non commercial, share alike). Chi legge correntemente l’inglese può scaricarlo gratuitamente qui, in una miriade di formati.
L’autore, Cory Doctorow, è giornalista, attivista dei diritti civili, ex responsabile europeo della Electronic Frontier Foundation e ben noto come paladino della libertà della rete.
Di conseguenza, X non è un avvincente romanzo, anzi, sotto questo punto di vista lascia a desiderare. Per forza di cose, la trama non è fra le più originali, la prosa è di tipo giornalistico più che letterario e può dirsi avvincente solo per un nerd minorenne.
Ciò nonostante, leggerlo fa bene in quanto è un ottimo testo didattico sul come e perché un governo possa far fuori i diritti fondamentali dei propri cittadini e su come si possa organizzare il dissenso nell’era digitale.
Partendo da un attentato stile 9/11 localizzato nella Bay Area invece che a New York, Cory Doctorow delinea, in forma romanzata, ma con lucidità, la reazione governativa: una prima botta di arresti in massa seguita da una progressiva riduzione delle libertà civili in nome della sicurezza. In pratica, la politica interna americana durante la presidenza Bush. Un film che abbiamo già visto e che crediamo di conoscere. Tuttavia è istruttivo vedere come, anche in un sistema in cui i diritti fondamentali sono chiaramente sanciti da un apposito documento costituzionale, si possa diffondere, soprattutto grazie ai media, una specie di malattia autoimmune che porta la società civile ad annullarsi rinunciando volontariamente ai propri diritti costituzionali.
Il libro fa riflettere anche perché mostra come molte delle comodità digitali che possediamo possano trasformarsi rapidamente in sistemi di controllo. Personalmente, rifletto spesso sulla privacy e essendo un informatico, conosco i meccanismi della sicurezza, così molte delle cose descritte nel testo, come il tracciamento dei nostri movimenti in rete, la possibilità di evidenziare percorsi e comportamenti anomali, le informazioni ricavabili dai cellulari e dall’uso delle carte di credito mi erano già note. Ciò nonostante sono rimasto colpito da quanto poco ci voglia per trasformare in strumenti di controllo anche sistemi di uso comune.
Prendete, per esempio il Telepass. Oggi serve quasi esclusivamente per entrare in autostrada e al limite in qualche centro storico o parcheggio, ma è semplicissimo piazzare altri sottosistemi fissi (RSE: l’apparecchio di ricezione del segnale emesso dall’OBU, on board unit) nelle principali strade in modo da rilevare quasi tutti i movimenti dei veicoli.
Tutto questo conduce al problema degli RFID (Radio Frequency IDentification; lo stesso Telepass è un RFID attivo) che ormai vanno diffondendosi in modo massiccio. Sono stati adottati anche sui nuovi passaporti dell’EU (Italia compresa), sono leggibili e scrivibili a distanza senza entrare fisicamente a contatto con il lettore e sono ricchi di informazioni (quello sul passaporto, per esempio, contiene l’intera storia delle entrate e uscite dal paese). Vengono ormai piazzati anche su determinate smartcard che consentono di pagare il biglietto di bus e metropolitana nelle principali città.
In modo analogo, però, i sistemi digitali possono essere sfruttati per nascondersi o confondere chi li traccia. Le comunicazioni via internet possono sfruttare reti che mantengono l’anonimato, i dati degli RFID possono essere manipolati, i sistemi di identificazione possono essere confusi.
Questo scontro è il vero tema del libro e occorre aggiungere che anche i pochi particolari tecnici sono spiegati chiaramente e alla portata del lettore medio non nerd. Consigliato a tutti; quasi obbligatorio per i più giovani. Si legge rapidamente (mi ha preso parte del tempo libero degli ultimi 3 giorni). Da inserire nelle biblioteche scolastiche, dove, proprio per questo, non si troverà.