Dai quarti di tono incidentali di Van Halen, passiamo ai quarti di tono intenzionali di Charles Ives (1874–1954) con questi Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos del 1924 (sono gli anni in cui, in Europa, i Viennesi formalizzano le regole della dodecafonia).
È interessante e anche divertente sapere qualcosa di più sul rapporto tra Ives e la microtonalità e sul modo in cui quest’ultima viene ottenuta in questi pezzi.
Rendere microtonale un pianoforte, in effetti, è un problema. A prima vista, sembra che ci siano solo due modi: o si riaccorda interamente il pianoforte, perdendo, però, metà dell’estensione, oppure si ricorre a uno strumento appositamente costruito.
C’è, però, una terza via ed è quella utilizzata da Ives in questi pezzi: usare due pianoforti uno dei quali è accordato 1/4 di tono più alto dell’altro. Ovviamente i due strumenti devono essere uguali e i due pianisti devono essere molto accurati sia come tempo che come tocco e dinamiche perché il tutto deve suonare come un unico strumento e vi sono accordi e frasi in cui l’uno esegue note complementari all’altro.
I rapporti fra Ives e la microtonalità sono curiosi e risalgono all’infanzia in una famiglia di musicisti. Il padre, però, era anche un appassionato di bricolage. Aveva costruito una specie di arpa fra cui aveva teso 24 o più corde per sperimentare con i quarti di tono. In seguito, come racconta lo stesso Ives, aveva composto alcune canzoni in quarti di tono e cercava di convincere la famiglia a cantarle, tentativo rapidamente abbandonato per essere ripreso solo come forma di punizione.
Ciò nonostante, al piccolo Charles, alcune di queste canzoni, quelle che erano temperate e usavano i microtoni solo come note di passaggio, piacevano.
Ives ricorda anche il padre aveva l’orecchio assoluto, ma lo considerava una cosa disturbante e quasi vergognosa, affermando che “tutto è relativo; solo i pazzi e le tasse sono assoluti”. E ad un amico, diplomato al conservatorio di Boston, che gli chiedeva come mai, nonostante il suo orecchio, insistesse nel produrre dissonanze al piano, rispose “Io avrò anche l’orecchio assoluto, ma, grazie a Dio, il piano non ce l’ha”.
L’influenza del padre spiega anche l’atteggiamento di Charles Ives nei confronti della tonalità: “Non vedo perché la tonalità, come tale, debba essere eliminata, così come non vedo perché debba sempre essere presente”.
Così, mentre in Europa si preparava un conflitto ideologico atonale contro tonale, in America si assestavano i fondamenti di quell’atteggiamento neutrale che avrebbe prodotto gente come Cage, Feldman, Wolff e molti altri, estendendo la sua influenza fino al presente.
In questo brano, il primo e il terzo movimento erano stati concepiti per un unico pianoforte con due tastiere. Un ordigno del genere era stato effettivamente costruito in via sperimentale e in pratica, era costituito da due arpe, due meccaniche e due tastiere sovrapposte, incluse nello stesso box. Questi due movimenti sono basati su una serie di accordi, quasi nello stile di un inno, che all’inizio lasciano all’orecchio il tempo di assorbire le stranezze prodotte dai quarti di tono. Si nota in modo particolare nel I° mov. che presenta all’ascoltatore il materiale sonoro in modo graduale, quasi didattico. Ciò non toglie che, alle nostre orecchie educate al sistema temperato, l’insieme dia spesso l’impressione di un pianoforte scordato.
Su questo tessuto, si dispiega poi una linea cantabile che, nel III° mov., riprende e distorce una canzone popolare (America, my country ‘tis of thee), sottolineando il verso “land where my fathers died!”.
L’allegro, invece, è vigoroso e vivace, diviso ritmicamente fra i due pianoforti.
Ecco anche una tesi di Myles Skinner in inglese che discute l’utilizzo della microtonalità nella musica occidentale moderna.
Charles Ives – Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos (1924)
Elizabeth Dorman and Michael Smith, piano