Central Park in the Dark

And of course, here it is the Unaswered Question’s counterpart.

Ives wrote detailed notes concerning the purpose and context of Central Park in the Dark:

This piece purports to be a picture-in-sounds of the sounds of nature and of happenings that men would hear some thirty or so years ago (before the combustion engine and radio monopolized the earth and air), when sitting on a bench in Central Park on a hot summer night.

The piece is scored for piccolo, flute, E-flat clarinet, bassoon, trumpet, trombone, percussion, two pianos and strings. Ives specifically suggests the two pianos be a player-piano and a grand piano. The orchestral group are to be separated spatially from each other. Ives described the role of the instruments in a programmatic description of the piece:

The strings represent the night sounds and silent darkness- interrupted by sounds from the Casino over the pond- of street singers coming up from the Circle singing, in spots, the tunes of those days- of some ‘night owls’ from Healy’s whistling the latest of the Freshman March- the “occasional elevated,” a street parade, or a “break-down” in the distance- of newsboys crying “uxtries”- of pianolas having a ragtime war in the apartment house “over the garden wall,” a street car and a street band join in the chorus- a fire engine, a cab horse runs away, lands “over the fence and out,” the wayfarers shout- again the darkness is heard- an echo over the pond- and we walk home.

Central Park in the Dark displays several characteristics that are typical of Ives’s work. Ives layers of orchestral textures on top of each other to create a polytonal atmosphere. Within this polytonal atmosphere, Ives juxtaposes the different sections of the orchestras in contrasting and clashing pairings (i.e. the ambient, static strings against the syncopated ragtime pianos against a brass street band). These juxtapositions are a prevalent them in the works of Ives and can be seen most notably in The Unanswered Question, Three Places in New England, and Symphony No. 4.

The Unanswered Question

The Unanswered Question is a work by American composer Charles Ives. It was originally the first of “Two Contemplations” composed in 1906, paired with another piece called Central Park in the Dark. As with many of Ives’ works, it was largely unknown until much later in his life, being first published in 1940. Today the two pieces are commonly treated as distinct works, and may be performed either separately or together.

The full title Ives originally gave the piece was “A Contemplation of a Serious Matter” or “The Unanswered Perennial Question”. The Ives’ original idea was the two pieces create a sort of contrast. The original title of the other was “A Contemplation of Nothing Serious, or Central Park in the Dark in the Good Old Summertime”.

His biographer Jan Swafford called The Unanswered Question “a kind of collage in three distinct layers, roughly coordinated.” The three layers involve the scoring for a string quartet, woodwind quartet, and solo trumpet. Each layer has its own tempo and key. Ives himself described the work as a “cosmic landscape” in which the strings represent “the Silences of the Druids-who Know, See and Hear Nothing.” The trumpet then asks “The Perennial Question of Existence” and the woodwinds seek “The Invisible Answer”, but abandon it in frustration, so that ultimately the question is answered only by the “Silences”.

Leonard Bernstein added in his 1973 Norton lecture which borrowed its title from the Ives work that the woodwinds are said to represent our human answers growing increasingly impatient and desperate, until they lose their meaning entirely. Meanwhile, right from the very beginning, the strings have been playing their own separate music, infinitely soft and slow and sustained, never changing, never growing louder or faster, never being affected in any way by that strange question-and-answer dialogue of the trumpet and the woodwinds. Bernstein also talks about how the strings are playing tonal triads against the trumpet’s non tonal phrase. In the end, when the trumpet asks the question for the last time, the strings “are quietly prolonging their pure G-major triad into eternity”.

[most from wikipedia]

A mio avviso, The Unanswered Question è uno dei brani più importanti e innovativi del ‘900 storico. E questo non per la “strana” melodia della tromba, né per la polifonia sempre più dissonante dei legni e nemmeno per l’immobilità glaciale degli archi, tutti gesti già conosciuti in Europa, ma per il fatto che questi tre elementi stanno insieme, l’uno accostato all’altro eppure si ignorano.

Quarti di tono

Dai quarti di tono incidentali di Van Halen, passiamo ai quarti di tono intenzionali di Charles Ives (1874–1954) con questi Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos del 1924 (sono gli anni in cui, in Europa, i Viennesi formalizzano le regole della dodecafonia).

È interessante e anche divertente sapere qualcosa di più sul rapporto tra Ives e la microtonalità e sul modo in cui quest’ultima viene ottenuta in questi pezzi.
Rendere microtonale un pianoforte, in effetti, è un problema. A prima vista, sembra che ci siano solo due modi: o si riaccorda interamente il pianoforte, perdendo, però, metà dell’estensione, oppure si ricorre a uno strumento appositamente costruito.
C’è, però, una terza via ed è quella utilizzata da Ives in questi pezzi: usare due pianoforti uno dei quali è accordato 1/4 di tono più alto dell’altro. Ovviamente i due strumenti devono essere uguali e i due pianisti devono essere molto accurati sia come tempo che come tocco e dinamiche perché il tutto deve suonare come un unico strumento e vi sono accordi e frasi in cui l’uno esegue note complementari all’altro.

I rapporti fra Ives e la microtonalità sono curiosi e risalgono all’infanzia in una famiglia di musicisti. Il padre, però, era anche un appassionato di bricolage. Aveva costruito una specie di arpa fra cui aveva teso 24 o più corde per sperimentare con i quarti di tono. In seguito, come racconta lo stesso Ives, aveva composto alcune canzoni in quarti di tono e cercava di convincere la famiglia a cantarle, tentativo rapidamente abbandonato per essere ripreso solo come forma di punizione.
Ciò nonostante, al piccolo Charles, alcune di queste canzoni, quelle che erano temperate e usavano i microtoni solo come note di passaggio, piacevano.

Ives ricorda anche il padre aveva l’orecchio assoluto, ma lo considerava una cosa disturbante e quasi vergognosa, affermando che “tutto è relativo; solo i pazzi e le tasse sono assoluti”. E ad un amico, diplomato al conservatorio di Boston, che gli chiedeva come mai, nonostante il suo orecchio, insistesse nel produrre dissonanze al piano, rispose “Io avrò anche l’orecchio assoluto, ma, grazie a Dio, il piano non ce l’ha”.

L’influenza del padre spiega anche l’atteggiamento di Charles Ives nei confronti della tonalità: “Non vedo perché la tonalità, come tale, debba essere eliminata, così come non vedo perché debba sempre essere presente”.
Così, mentre in Europa si preparava un conflitto ideologico atonale contro tonale, in America si assestavano i fondamenti di quell’atteggiamento neutrale che avrebbe prodotto gente come Cage, Feldman, Wolff e molti altri, estendendo la sua influenza fino al presente.

In questo brano, il primo e il terzo movimento erano stati concepiti per un unico pianoforte con due tastiere. Un ordigno del genere era stato effettivamente costruito in via sperimentale e in pratica, era costituito da due arpe, due meccaniche e due tastiere sovrapposte, incluse nello stesso box. Questi due movimenti sono basati su una serie di accordi, quasi nello stile di un inno, che all’inizio lasciano all’orecchio il tempo di assorbire le stranezze prodotte dai quarti di tono. Si nota in modo particolare nel I° mov. che presenta all’ascoltatore il materiale sonoro in modo graduale, quasi didattico. Ciò non toglie che, alle nostre orecchie educate al sistema temperato, l’insieme dia spesso l’impressione di un pianoforte scordato.
Su questo tessuto, si dispiega poi una linea cantabile che, nel III° mov., riprende e distorce una canzone popolare (America, my country ‘tis of thee), sottolineando il verso “land where my fathers died!”.
L’allegro, invece, è vigoroso e vivace, diviso ritmicamente fra i due pianoforti.

Ecco anche una tesi di Myles Skinner in inglese che discute l’utilizzo della microtonalità nella musica occidentale moderna.

Charles Ives – Three Quarter-Tone Pieces for Two Pianos (1924)
Elizabeth Dorman and Michael Smith, piano