Focaccina Num. 1

Bun No. 1 (trad. focaccina, ciambella, panino) è un brano del 1965, composto da Cornelius Cardew durante i suoi studi con Goffredo Petrassi come esercizio finale per il corso di perfezionamento in composizione.

Si tratta, per quanto ne so, di un lavoro seriale per orchestra senza percussioni. Un brano affascinante, molto timbrico, che rivela un aspetto di Cardew quasi sconosciuto anche perché questo pezzo non era stato praticamente mai eseguito fino alla prima londinese curata dalla Scottish Symphony Orchestra diretta da Ilan Volkov per la BBC il 20 Agosto 2010.

Ma perché Bun? in Contact no.26 (Spring 1983), John Tilbury ha spiegato

[Cardew} gave me two off-the-cuff reasons when I asked him: a bun is what you give to an elephant at the zoo, and that was how he felt when he gave the work to an orchestra to play; and the piece is like a bun – filling but not substantial!

Non badate all’immagine che con questo brano non c’entra assolutamente nulla

Simmetrie menomate

Crippled Symmetry, del 1983, è uno dei lavori di lunghezza epica tipici dell’ultimo Feldman. Circa 90 minuti; niente in confronto alle 5/6 ore del Secondo Quartetto, composto nello stesso anno.

Ciò nonostante, per la sua durata e per i limitati elementi musicali di cui fa uso, questo brano richiede un ascolto di tipo ben diverso da quello della musica da camera tradizionale o anche contemporanea.

L’aggettivo crippled significa “menomato, storpio”, ma anche “paralizzato, bloccato, danneggiato”. Ed è in questo senso che vanno cercate le simmetrie all’interno del brano. I tre esecutori, uno al flauto e flauto basso, uno a glockenspiel e vibrafono, il terzo al pianoforte e alla celesta, suonano brevi frammenti ripetuti che variano gradualmente nel tempo dando vita a schemi ritmici complessi in cui la coordinazione fra gli esecutori si palesa per un istante, per poi scomparire e dar vita ad un nuovo schema.

Tuttavia non si tratta di minimal music. Il lavoro di Feldman è lontano dagli stilemi di Reich, Glass e compagni, così come da quelli di Arvo Pärt o Giya Kancheli. In uno scritto del 1981, Feldman affermava che

Music can achieve aspects of immobility, or the illusion of it.

e poi

The degrees of stasis, found in a Rothko or a Guston, were perhaps the most significant elements that I brought to my music from painting.

Molti critici avvicinano il processo evolutivo di questi ultimi brani di Feldman a quello, lentissimo e invisibile, ma inesorabile, dei ghiacciai o delle entità geologiche. Personalmente, visto che in questi giorni mi trovo in luogo isolato circondato dalla natura (mi collego saltuariamente con un misero gsm), tendo a paragonarlo alla lenta mutazione invernale delle piante a confronto della quale sembra perfino veloce.

Aura

Aura è il titolo del primo quartetto del compositore spagnolo Tomás Marco (1942).

Composto nel 1968/69, questo brano si è fatto notare per essere basato quasi esclusivamente su una sola nota, eseguita su varie ottave, con diversi modi di attacco, timbriche e sonorità a formare un tessuto cangiante nonostante l’esiguità del materiale.

Tomás Marco – Aura (1968-69) – Streichquartett Nr. 1 – Arditti Quartet

Zodiac

coverDal fascinoso Zodiac, del percussionista inglese Frank Perry, il segno di Natale: Capricorno

Recensione da Amazon

Each of the 12 tracks on this album corresponds to a sign of the Zodiac and is composed of a series of vibrating bells, gongs, chimes, and petalumes (vibrating discs) among other atonal instruments. Perry’s unique, transcendent style has evolved from his origins as a free-jazz musician, and he uses that genre’s approach to deconstructing Western ideas of music for an Eastern effect. The songs aren’t played so much as conjured up out of the silence, slowly and beautifully, until various vibrational frequencies come together as one, then drift apart back into the abyss. This is perfect accompaniment for meditators to “Om” along to, harmonizing with the interlocking drones as a tool for aligning chakra energy and reaching a state of supernal calm. Perry’s instincts as a formally trained Western musician, along with his knowledge and passion for Eastern philosophy, unite on ZODIAC, making this a fine auditory gateway into the realm of the spirit.

Territoires de l’oubli

Tristan Murail – Territoires de l’oubli (1977) per piano solo – Marilyn Nonken piano.

È piuttosto difficile fare musica spettrale, basata sugli armonici e che spesso richiede quarti o anche sesti di tono, con il pianoforte, uno strumento a intonazione fissa, su cui l’esecutore non può influire per nulla.

L’unico modo è attraverso le risonanze delle corde lasciate libere che entrano in vibrazione per simpatia ed è quello che fa Murail in questo brano del ’77 che può essere considerato quasi uno studio sulla risonanza, infatti il pedale è costantemente premuto.

Secondo me si tratta di un brano dalle sonorità affascinanti seppure un po’ manieristiche e “facili” al di là del fatto che sia riuscito, o meno, come musica spettrale, della quale ho già avuto modo di criticare l’approssimazione.

Notes di Julian Anderson tratte dal CD Accord AC4658992 che non è quello di questa registrazione.

Territoires de l’oubli was written in 1977 for the French composer-pianist Michaël Lévinas, who gave the first performance in Rome, in 1978. This piece, Murail’s longest single-movement work to date, is a massive exploration of the piano’s resonance, unfolding in a huge curve of continuously evolving textures. Murail has remarked of the piece that “instead of considering the piano as a mere percussion instrument (hammers hitting strings), Territoires emphasizes a different idiomatic characteristic of the instrument: a group of strings whose vibration is caused by sympathetic resonance or by direct action of the hammers.” Murail further notes that the work is written “for the resonances, not the attacks which are considered as “scars” on the continuum.” For this reason, the sustaining pedal is held down throughout the entire piece. The work perpetually slides between regular, repetitive moments of stability, and chaotic, dense textures which often approach noise. The most stable moments often make a special feature of iambic, “heart-beat” rhythms. The work constantly plays upon the ambiguity between harmony and timbre – the harmony is chosen according to the resonance characteristics of the piano, producing several striking transformations of the piano’s sound: for example, at the end of the work, a form of “vibrato” is obtained by playing a fundamental simultaneously with an E-flat acting as its seventh harmonic. The true intonation of the seventh harmonic, heard in the resonance of the fundamental, beats against the equally tempered E-flat in the piano’s tuning. At several points in the piece, clusters of deep bass notes are heard, producing a mass of higher harmonics which form the basis of the harmony of the following section: in this way a continuous harmonic “chain” is built through out the work. The extreme continuity of Territoires does not prevent it from being one of Murail’s most evocative and dramatic pieces, especially in the wild cadenza of descending and ascending chords near the end.

Kaikhosru Shapurji Sorabji

Kaikhosru Shapurji Sorabji – al secolo Leon Dudley Sorabji – (Chingford, 14 agosto 1892 – 15 ottobre 1988) è stato un compositore e pianista britannico, di origine Parsi.

Una delle sue opere più famose, l’Opus Clavicembalisticum, è considerato uno dei pezzi più difficili mai scritti per pianoforte per virtuosismo trascendentale e durata (a seconda dell’esecuzione può variare da oltre tre fino a cinque ore). Il suo lavoro mastodontico (oltre 11.000 pagine di partiture e 100 ore di musica) ne fa uno compositori più prolifici del XX secolo.

In questa playlist ne possiamo ancoltare una parte.

1-Bit Symphony

I casi della vita sono strani.

Tristan Perich sta facendo fortuna con il suo concetto di musica a 1 bit che non è altro che la ripresa, pari pari, della sintesi sonora utilizzata nei primissimi personal computer (il Commodore 64 era già più avanti, ma le sonorità sono simili).

In pratica, si utilizza un piccolo circuito con un flip-flop, cioè un dispositivo che alterna 1 e 0 a intervalli di tempo regolari, generando un’onda quadra. Se, per esempio, il flip-flop alterna uno e zero 440 volte al secondo, si genera un’onda quadra a 440 Hertz, cioè un LA, che però conterrà solo gli armonici dispari (così è l’onda quadra) e un po’ di quelli pari ma solo per distorsione armonica, con effetti temibili già sulle consonanze più lontane di 8va e 5a (ovvero praticamente tutte).

Questo sistema era usato nei vecchi pc per pilotare il piccolo e nefando altoparlante di sistema perché richiede risorse minimali. Era semplice, quindi, costruire circuitini di costo bassissimo in grado di produrre molte onde quadre a frequenze diverse contemporaneamente, come nel famigerato SID del Commodore 64 (il cui nome tecnico era 8580 SID chip, dove la sigla stava pomposamente per Sound Interface Device).

Peraltro, questo tipo di sintesi è già utilizzato da anni dai vari gruppetti che fanno quella che viene chiamata 8-bit music, proprio perché si rifà alle vecchie macchine a 8 bit.

Ora Perich ha ripreso questo disturbante suono realizzando varie installazioni e composizioni, alcune delle quali sono anche strutturalmente interessanti ma, per le mie orecchie, sono indelebilmente marchiate dal suono del C64 che mi fa venire voglia di piazzare un bel filtro passa-basso a valle di tutto l’audio.

La cosa buffa è che, quando eravamo piccoli, di cose del genere ne abbiamo fatte a tonnellate, ridendoci sopra. Però, ripeto, i casi della vita sono strani e oggi la gente trova un gran gusto nel farsi trapanare le orecchie dalle onde quadre.

Non so che dire. Esiste, nella vita, il fascino delle cose antiche riprese e riviste, che è anche quello che spinge della gente a suonare musica antica con strumenti d’epoca e corde di budello che però, proprio perché d’epoca, non stanno accordati per più di 5 minuti, costringendo l’interprete a suonare stonato per metà del pezzo (NB: non ce l’ho con la musica antica ma solo con quelli che fanno come sopra).

Ecco alcuni esempi fra i migliori (ne trovate altri sul suo sito), nonché il video della temibile 1-Bit Symphony.

  • Between the Silences for nine strings, nine-part 1-bit music (2008)
  • All Possible Paths for clarinet, acoustic guitar, cello, double bass, marimba, piano, 5-channel 1-bit electronics (2008), commissioned by Bang on a Can’s People’s Commissioning Fund

Gong

Il danese Poul Ruders (1949, Ringsted) è un compositore piuttosto eclettico, la cui produzione spazia dall’opera a lavori orchestrali, passando attraverso brani da camera, vocali e soli. Qualcuno può anche obiettare che è normale per un compositore scrivere per varie formazioni e fin qui sono d’accordo. Il punto è che è così anche stilisticamente, passando, nel giro di un anno, dal pastiche vivaldiano del concerto per violino (1981) fino al modernismo di Manhattan Abstraction (1982). In effetti, è difficile da inquadrare perché non si inserisce decisamente in nessuna corrente.

Qui ascoltiamo Gong, tratto da Solar Trilogy del 1992, un brano per orchestra abbastanza magmatico (in senso sonoro), in cui il nostro passa dall’informale a sequenze di accordi quasi stravinskyane o a parti ritmiche sostenute, non disdegnando un po’ di spettralismo qua e là.

Nonostante lo stile non ben definito (ma anche questo è uno stile), il brano ha, comunque, parecchie parti interessanti e l’orchestrazione è condotta con una certa maestria.

Radulescu’s piano sonata no. 6

Horatiu Radulescu – Piano Sonata No. 6, Op. 110 “Return to the Source of Light”: I. Use Your Own Light
Ian Pace, piano

Presented here is Radulescu’s last piano sonata, commissioned by the English pianist Ian Pace and premiered at the TRANSIT Festival, Leuven, Belgium, in October 2007. This is the first movement, “Use your own light”. The initial rhythmic motif, a rhythm in a bar of 5+4+4+4, reiterates a low D, with propulsive material in the right hand breaking into higher registers like sudden shafts of lightning. Subsequent sections introduce polyphonic treatments of Romanian folk melodies, often in the form of mensural canons. These melodies recur in Radulescu’s later works. The movement builds steadily to an almost manic intensity, with the pianist taxed to the limits of his dexterity.

Totem

Philippe Manoury – Fragments pour un portrait (1998): 7. Totem
Ensemble Intercontemporain / Susanna Mälkki, conductor / IRCAM

Click here to read extended notes about the piece by the composer itself.