Nel frenetico sviluppo cinese, ogni tanto si fanno errori di progettazione.
Abbiamo già parlato di Kangbashi, una città pensata per un milione di abitanti rimasta praticamente disabitata, ma pensavo che fosse una situazione unica, invece i casi sono parecchi. Un fotografo italiano, Matteo Damiani, ha visitato e documentato Chenggong, una città satellite, la cui costruzione è iniziata nel 2003 poco a sud di Kunming che ha, secondo BBC News, ben 6.5 milioni di abitanti. La zona è il sud-ovest, non lontano dai confini con Myanmar, Laos e Vietnam (Google maps).
A Chenggong sono stati costruiti circa 100.000 appartamenti rimasti praticamente vuoti. È abitata soltanto da una piccola comunità di studenti, lavoratori e guardie della sicurezza. Sia la periferia che il centro sono abbandonati, così come le ville di lusso, lo stadio e i centri commerciali. Ecco alcune foto, belle e impressionanti di Matteo Damiani (click per ingrandire). Le altre sono qui.
L’articolo di BBC News riporta anche altri casi, seppure di portata inferiore: per esempio un centro commerciale situato ai bordi di una città da 10 milioni di abitanti, rimasto vuoto per carenza di infrastrutture (collegamenti), un parco a tema medievale a nord di Pechino, un rione di Shangai costruito a imitazione della Londra georgiana, utilizzato solo per le foto di nozze e una simil Manhattan in costruzione a Tianjin.
Ma, se in questi casi le ragioni dei fallimenti sono più semplici da individuare, quello delle nuove ghost town cinesi è un fenomeno più difficile da analizzare. In parte è imputabile alla bolla immobiliare che ha colpito anche la Cina facendo lievitare i prezzi, ma non sembra essere l’unica ragione perché non ha dissuaso minimamente gli investitori, tanto che, recentemente, il governo ha dovuto bloccare le autorizzazioni alla costruzione di un’altra ventina di città.
Di conseguenza gli investitori hanno spostato le proprie mire andando a costruire fuori dal paese. Il China International Trust and Investment Corporation (CITIC) ha finanziato la costruzione di Kilamba, in Angola, a una trentina di chilometri dalla capitale, Luanda. Ecco un paio di immagini cliccabili:
Kilamba, finanziata dai cinesi ma progettata dai portoghesi, è una città molto moderna anche secondo gli standard europei, ma anch’essa, per ora, è una ghost town a causa dei prezzi: le case costano fra $100.000 e $200.000, mentre i 2/3 degli angolani guadagnano meno di $2 al giorno.
Perché si costruisce allora? Una spiegazione che vale sia per la Cina che per l’Angola, è che le città siano viste come un investimento a lungo termine e si calcoli che, con la crescita del PIL che questi paesi registrano, fra una decina d’anni ci siano acquirenti che possono permettersi questi prezzi. Ma, pur considerando che la visione del mondo orientale è diversa dalla nostra, si tratta di una considerazione poco probabile perché il rischio è elevato.
Il problema della bolla immobiliare cinese, infatti, esiste e gli esperti sono in disaccordo su possibili effetti in caso di esplosione. Alcuni, ricordando che l’attuale crisi è partita con la bolla americana del 2008, temono che, se qualcosa del genere accadessi in Cina, l’effetto potrebbe essere catastrofico. Effettivamente, se si tiene conto del fatto che l’economia cinese ormai possiede titoli e azioni estere in grande quantità, si teme che, nel caso le banche vadano in sofferenza, vendano in massa buona parte dei titoli di cui dispongono.
Ma, nello stesso tempo, gli esponenti dei tre principali costruttori del Paese, China Vanke, China Overseas e Evergrande Real Estate, minimizzano affermando che, nel caso più brutto, la Cina non farà una fine peggiore di Dubai in cui la bolla ha creato delle difficoltà, ma comunque è stata assorbita.