In caduta libera

Nota: mi rendo conto che, in questi ultimi tempi, vi sto parlando un po’ poco di musica contemporanea e un po’ più di altre cose. Ciò è dovuto ad una certa noia che sto provando nell’ascoltare parecchie produzioni recenti. Passerà. Nel frattempo vi passo qualche consiglio che vi sarà di certo più utile, considerato che molti di voi stanno per salire su un aereo.


Free fallDunque, se a un certo punto vi svegliate, o meglio, riprendete conoscenza con addosso una gran nausea, il cuore che va a mille, un grande freddo, la sensazione di non riuscire a respirare e vi rendete conto che state cadendo, rallegratevi: significa che siete sopravvissuti all’esplosione del vostro aereo.
Probabilmente vi trovate alla quota di circa 9000 metri e state per svenire per mancanza di ossigeno. Vi riprenderete a circa 5/6000 metri, se siete fortunati anche più in alto, quando l’atmosfera sarà abbastanza ricca per mantenere un briciolo di coscienza e l’aria fredda vi risveglierà senza troppa grazia.

Qui comincia la fase finale. State cadendo e la vostra destinazione finale è il suolo. Se potete fare qualcosa per salvarvi, dovete farlo adesso. Non lasciatevi andare. Ci sono stati molti casi di cadute di questo tipo in cui il soggetto è sopravvissuto ed anche piuttosto bene.

Innanzitutto, una distinzione basilare:

  1. siete in caduta libera, solo;
  2. siete un wreckage rider, uno che cavalca rottami, ovvero mentre precipitate siete più o meno connesso a parti dell’aereo.

La situazione (b) è la più comune e di gran lunga la migliore. Se state cavalcando qualche rottame fate il possibile per non abbandonarlo. I rottami possono veleggiare nell’aria e offrire resistenza fino a ridurre la velocità a livelli accettabili. Inoltre offrono una certa protezione al momento dell’impatto.

Se invece vi trovate nella situazione (a), non disperate. Il tempo gioca a vostro favore. Pensate che cadere da un grattacielo è molto peggio: innanzitutto avete solo pochi secondi a disposizione e poi quasi certamente vi schianterete su qualcosa di duro.

Nel caso della caduta libera il vostro nemico è uno solo: l’accelerazione di gravità. 9.8 metri al secondo per secondo, ovvero la vostra velocità aumenta di 9.8 m/sec per ogni secondo di caduta. Se esistesse solo l’accelerazione di gravità, precipitando da 10000 m, arrivereste al suolo a più di 1500 km/h.
Fortunatamente avete due amici che sono in grado di limitare notevolmente la vostra velocità di caduta: la spinta di Archimede e l’attrito. La prima è la stessa che fa sì che le navi possano galleggiare nonostante il loro peso. Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato. L’aria è come l’acqua, con l’unica differenza che il suo peso è decisamente inferiore, perciò anche la spinta verso l’alto che ricevete è minore e non vi permette di galleggiare facendo il morto.
Tuttavia, fare il morto è un ottimo sistema per spostare più aria e massimizzare la spinta di Archimede. Quindi assumete la posizione del paracadutista che veleggia nell’aria: braccia e gambe larghe e distese, testa alta e petto in fuori.
Così facendo, esponete la massima superficie e sfruttate a dovere anche l’attrito.

Queste due forze combinate costituiscono un freno molto potente, al punto che un corpo umano in caduta libera riesce a rallentare fino a circa 150 km/h (per avere un’idea della loro potenza, considerate che varie fonti indicano in circa 250 km/h la massima velocità che un corpo umano può raggiungere se fa il possibile per accelerare, cioè assume la posizione di massima aerodinamica). Sfruttate i vestiti: una giacca chiusa, ma larga, può creare un ottimo effetto tunnel aiutandovi a veleggiare e aggiunge una componente laterale alla vostra velocità, il che significa ridurre la componente verticale.

E qui arriviamo all’ultimo atto: il suolo. L’impatto con il terreno è rimandabile, ma inevitabile.

La consistenza del suolo è un fattore determinante. Il miglior terreno su cui atterrare è sicuramente la neve alta. Molte persone si sono salvate per questo, cadendo anche da altezze notevoli.
Al secondo posto sta il terreno paludoso e morbido. Nel 1995 una bambina colombiana di 9 anni è sopravvissuta a una caduta da 9000 metri atterrando in una palude.
Anche gli alberi sono buoni, a patto di non finire impalati. L’ambiente migliore è la giungla, soprattutto quella di tipo amazzonico, con alberi alti fino a 30 m e un fittissimo sottobosco, tale da costituire un ambiente a sé stante. Ma anche le foreste di conifere non sono male perché le punte sono cedevoli.
Infine l’acqua. Terreno ingannevolmente amico perché non comprimibile. Cadere di piatto sull’acqua, a questa velocità, è come cadere sul cemento, con l’unica differenza che l’oceano non restituirà i vostri frammenti. L’unico sistema è entrare in acqua dritti come una freccia, con i piedi in avanti (punte in su e talloni in giù), braccia distese in alto e mani unite, a proteggere la testa (non fate i tuffatori, è imperativo proteggere la testa).

Ricordate che, in caduta libera, voi siete il pilota e il vostro corpo è l’aereo. I dati riportati dai paracadutisti indicano che lo spostamento laterale che si può raggiungere senza tute apposite, è di circa 2/3 rispetto alla quota da cui si cade, quindi, cominciando a lavorare a circa 5000 m, potete spostarvi lateralmente per più di 2 km.

Dunque, per quanto possibile, scegliete il terreno. Alla partenza, siate consapevoli della rotta del vostro aereo e quando, alla fine, l’aereo rollerà dolcemente sulla pista della vostra destinazione, pensate che ormai i voli commerciali sono molto sicuri e raramente avrete l’opportunità di mettere in pratica questi consigli, ma meglio conoscerli che ignorarli. In fondo, attualmente, il numero di incidenti catastrofici annuali nel mondo, per l’aviazione  commerciale, è dell’ordine di 25, cui corrisponde all’incirca un migliaio di vittime.


Altre informazioni: The Free Fall Research Page

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Il compleanno di Newton

NewtonPochi lo sanno e anch’io me ne sono ricordato in ritardo, ma il 25 Dicembre, oltre ad essere Natale è anche il compleanno di Isaac Newton.

Nato il 25 Dicembre 1642 secondo il calendario Giuliano in uso all’epoca (4 Gennaio 1643 del calendario Gregoriano) e universalmente noto soprattutto per il suo contributo alla meccanica classica, (è nota agli scolari di tutto il mondo la “storiella” di Newton e la mela) Isaac Newton contribuì in maniera fondamentale a più di una branca del sapere. Pubblicò i “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” nel 1687, nella quale descrisse la legge di gravitazione universale e, attraverso le sue leggi del moto, creò i fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre condivise con Gottfried Wilhelm Leibniz la paternità dello sviluppo del calcolo differenziale.

Fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti. Contribuì alla Rivoluzione scientifica e al progresso della teoria eliocentrica. A Newton si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero sul movimento dei pianeti. Egli generalizzò queste leggi intuendo che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere non solo ellittiche ma anche iperboliche e paraboliche.

Newton, inoltre, fu il primo a dimostrare che la luce bianca è composta da tutti gli altri colori. Egli, infine, avanzò l’ipotesi che la luce fosse composta da particelle.

È considerato tuttora una delle più grandi menti di tutti i tempi. Basti pensare che, in una qualsiasi enciclopedia scientifica, il suo nome è citato da due a tre volte di più rispetto a quello di qualsiasi altro scienziato. Ciò nonostante, i quasi quattro secoli che ci separano da lui ci rendono difficile capire la sua grandezza. Bisogna considerare, infatti, che nel 1600 il metodo scientifico era appena abbozzato. Newton era profondamente immerso nel mondo alchemico e magico della fisica del suo tempo, eppure è stato capace di trascenderlo radicalmente offrendoci una descrizione delle forze fondamentali dell’universo che ha resistito per 300 anni e ancora oggi è applicabile a fenomeni su scala planetaria.

Vale, a suo ricordo, l’epitaffio scritto dal suo contemporaneo, il poeta Alexander Pope:

Nature and nature’s laws
lay hid in Night.
God said, “Let Newton be!”
and all was light.

anche se in realtà, sulla sua tomba nell’Abbazia di Westminster sta scritto: Sibi gratulentur mortales tale tantumque exstitisse humani generis decus.

Ed ecco l’immagine di Newton secondo William Blake

Newton secondo Blake

ma forse, ancora più famoso è il pendolo di Newton

il pendolo di Newton

Il buco nero prossimo venturo

Secondo l’agenzia di stampa AGI News, il prossimo esperimento del CERN di Ginevra sta seminando il panico in Germania.

È una cosa su cui si discute da tempo. L’esperimento consiste nel lanciare nel Large Hadron Collider (LHC, un anello di 27 km che passa sotto l’aeroporto e il Giura), qualche manciata di protoni e mandarli a collidere l’uno contro l’altro a una velocità pari al 99.999991% di quella della luce e una delle conseguenze dell’impatto potrebbe essere il formarsi di minuscoli buchi neri.

Lo scienziato di Tubinga Otto Roessler sostiene che esiste qualche probabilità che uno dei suddetti buchi neri possa stabilizzarsi e cominciare a crescere divorando materia, mettendo fine all’esistenza della Terra entro una cinquantina di anni.

L’ipotesi e suggestiva e mi piace molto, anche perché entro quella data sarò quasi certamente cadavere. Ricordo che, tempo fa, era stata lanciata anche da alcuni fisici italiani.

Purtroppo, a contestare questa tesi, ripresa con titoli a scatola dalla grande stampa popolare, arriva adesso un documento stilato da oltre 20 autorevoli fisici nucleari di varie università tedesche dal titolo “La Terra non sara’ inghiottita dai buchi neri”. Essi sostengono che, sebbene nell’esperimento del Cern possano effettivamente formarsi dei buchi neri, sarebbero così piccoli da non riuscire a sviluppare alcuna forza di attrazione e scomparirebbero sotto forma di radiazione in una frazione di secondo.

Peccato, Comunque, anche se la probabilità è infinitesima, essa esiste e se davvero, come sostiene il prof. Roessler, con i ripetuti esperimenti che stanno per iniziare al Cern, si produrranno un milione di buchi neri all’anno, uno di questi forse riuscirà a farcela. Io sono ottimista.