Il ricordo del tempo

La seconda parte di Echoes of Time and the River (Echoes II), di George Crumb. Anche questa “ripulita” dalle impurità del vecchio vinile.

The second movement, Remembrance of Time, begins with the most distant and delicate sounds imaginable (piano, percussion, harp), echoed by a phrase from García Lorca (“the broken arches where time suffers”). Fragments of joyful music erupt from various wind and brass players on stage and off, and the commotion eventually gives way to a kind of Ivesian reminiscence, evoked by serene string harmonics: “Were You There When They Crucified the Lord?”

George Crumb – from Echoes of Time and the River, Remembrance of Time

Octandre

vareseOctandre è rappresentativo di un modo di comporre tipico di Edgar Varèse, sviluppando e variando piccoli frammenti sonori. Lo stesso compositore lo descrive mediante una analogia con la crescita di un cristallo.

Questo modo di procedere è ben visibile nel corso del primo movimento, mentre il secondo si sviluppa per accrescimento. Gran parte del materiale del terzo, invece, deriva dai primi due, come il tema della tromba del primo movimento o il duetto di oboe e fagotto del secondo.

Octandre, peraltro, è l’unica opera di Varèse divisa in movimenti i cui tempi sono: Assez lent, Très vif et nerveux, Grave-Animé et jubilatoire. Ognuno si apre con uno strumento diverso: oboe, ottavino e fagotto.

Altra cosa interessante in questo brano è l’assenza totale di percussioni, cosa inusuale per Varèse. Il suo tipico ritmare nervoso, però, non scompare ed è affidato ai fiati, nella maggior parte dei casi ai tre ottoni.

  • Edgar Varèse – Octandre
    per flauto, clarinetto, oboe, fagotto, corno, tromba, trombone e contrabbasso (1923)
    ASKO Ensemble, Riccardo Chailly (1997).

Il paradosso di Feldman

feldman…consiste nel fatto che un uomo corpulento, gioviale e ciarliero si metta a scrivere della musica ai limiti dell’udibile. In un secolo rumoroso come il nostro, Morton Feldman ha scelto di essere silenzioso e soffice come la neve.

Feldman iniziò a comporre già negli anni Quaranta, sebbene i suoi lavori giovanili (spesso marcati da una certa influenza di Alexander Scriabin) siano stilisticamente molto differenti da quello che avrebbe composto più tardi, e che lo avrebbe reso universalmente noto per il suo linguaggio affatto personale, differente dalla maggior parte dei compositori a lui coevi.

Fu dopo il suo incontro con John Cage che Feldman iniziò a scrivere musica che non era correlata con le tecniche del passato, né con quelle in voga in quegli stessi anni (in particolare modo lo strutturalismo), utilizzando sistemi di notazione musicale non convenzionali (spesso basati su “griglie” o altri elementi grafici), delegando all’interprete (o al caso) la scelta di determinati parametri (talvolta Feldman determinava in partitura soltanto il timbro ed il registro, lasciando libera la scelta delle altezze all’esecutore, altre volte invece semplicemente specificando il numero di note che debbono essere suonate in determinati momenti, senza specificare quali).

In quell’epoca segnata dal suo interesse nei confronti dell’alea, Feldman applicò anche elementi derivati dal calcolo delle probabilità alle sue composizioni, traendo in questo senso ispirazione da certe opere di Cage come Music of Changes.

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, e poi definitivamente dal 1967, per necessità di maggiore precisione nel controllo della sua musica, e per evitare che la particolare notazione venisse travisata come un invito all’improvvisazione, ritornò alla notazione musicale tradizionale. Per il suo frequente utilizzo di ripetizioni, fu spesso ritenuto un precursore del minimalismo.

Trovò spesso ispirazione nel lavoro degli amici pittori legati all’espressionismo astratto, tanto che negli anni Settanta compose numerosi brani (spesso con durate attorno ai venti minuti) sotto questo specifico influsso (tra cui Rothko Chapel del 1971, brano scritto per l’omonimo edificio che ospita opere di Mark Rothko, che potete ascoltare nel video. I dipinti sono, appunto, opera di Mark Rothko, che si vede anche in persona alla fine del video. L’organico è soprano, contralto, coro, viola, percussioni e celesta).

Nel 1977 compose la sua unica opera, Neither, su testo di Samuel Beckett.

A partire dalla fine degli anni Settanta iniziò a produrre lavori molto lunghi (raramente più brevi di mezz’ora, ed anzi spesso molto più lunghi), generalmente composti da un movimento unico, dove la concezione della durata viene dilatata fin quasi a voler annullare la stessa percezione del tempo; questi lavori comprendono Violin and String quartet (1985, due ore circa), For Philip Guston (1984, quattro ore circa), fino all’estremo String quartet II del 1983, la cui durata supera abbondantemente le cinque ore (senza nessuna pausa). La sua prima esecuzione integrale fu data nel 1999 presso la Cooper Union di New York dal Flux Quartet, il quale ha pure registrato lo stesso brano nel 2003 (per una durata totale di 6 ore e 7 minuti). Com’è tipico della sua tarda produzione, questo brano non presenta nessun cambiamento d’umore, rimanendo per la sua quasi totalità su dinamiche estremamente ridotte (piano o pianissimo); Feldman del resto negli ultimi anni ha dichiarato che i suoni di bassa intensità (quiet sounds) erano gli unici che lo interessavano.
[in parte da wikipedia]

Morton Feldman – Neither, Opera in one act (1977)
text by Samuel Beckett
Sarah Aristidou, soprano
ORF Radio-Symphonieorchester Wien
Roland Kluttig, conductor

Monochord

Monochord è una parte di Zeitgeist di George Crumb, una suite per due pianoforti amplificati composta nel 1988, quindi 10 anni dopo l’ultimo libro del Makrokosmos da cui eredita la ricerca sonora fatta di suoni delicati prodotti manipolando direttamente le corde del pianoforte e ascoltabili grazie all’amplificazione.

Registrazione effettuata a Lecce nel 2007. Esecutori Andrea Rebaudengo, Carlo Palese.

Vortex Temporum

La grande partitura di Grisey

Note dello stesso Grisey

The title Vortex Temporum indicates the beginning of the system of rotation, repeated arpeggios and their metamorphosis in various transient passages. The problem here is to enter the depths of my recent research on the use of the same material at different times. The three basic forms are the original event – a sinusoidal wave – and two continuous events, an attack with or without resonance as well as a sound held with or without crescendo. There are three various spectra: harmonics, ‘stretched disharmonics’ and ‘compressed disharmonics’; three different tempos: basic, more or less expanded, and more or less contracted. These are the archetypes that guide Vortex Temporum.

In addition to the initial introductory vibration formula taken directly from Daphnis et Chloe, ‘Vortex’ suggested to me harmonic writings focused around the four tones of the diminished seventh chord, a rotational chord par excellence. Treating each of these tones as leading ones, we obtain the possibility of multiple modulations. Of course, we aren’t dealing here with the tonal system but rather with considerations of what might still be relevant and innovative in this system. The chord about which I’m speaking is thus a common part of the three previously written spectra and determines other displacements.

The piano used in the work is tuned a quarter tone lower, which changes the sound of the instrument, at the same time facilitating the integration within microintervals, which are essential in this work. In Vortex Temporum the three archetypes described above revolve around one fragment and the other in temporary intervals, differing among themselves as among people (the tempo of speech and breathing), whales (spectral time of sleeping rhythms), and birds or insects (extremely contracted time, whose contours become obliterated). Thanks to this imagined microscope, the notes become sound, a chord becomes a spectral complex, and rhythm transforms into a wave of unexpected duration.

The three portions of the first part, dedicated to Gérard Zinsstag, develop three aspects of the original wave, well known to acoustic engineers: the sinusoidal wave (vibration formula); the square wave (dotted rhythm) and the jagged wave (piano solo). They develop the tempo, which can be defined as ‘joyful’, the tempo of articulation, rhythm of human breathing. The isolated piano section reaches the boundaries of virtuosity.

The second part, dedicated to Salvatore Sciarrino, approaches the same material in expanded time. Initial Gestalt appears here only once, spreading throughout the entire part. I tried here to create the feeling of the confused speed inside the slow tempo.

Part three, dedicated to Helmut Lachenmann, introduces a long process allowing the creation of interpolation, which appears between the various sequences. Continuity gradually establishes, and expands, finally becoming a kind of widely conceived projection of the events from the first part. The spectra originally developed in the harmonic discourse of part two expand here to an extent degree, enabling the listener to detect the structure and entrance into other time dimension.

Short interludes are planned between the parts of Vortex Temporum. A few breaths, noises and discrete noises colour the awkward silence, and even the discomfort of the musicians and listeners, who hear their own breathing between he parts. Treating waiting time this way, linking the time of the audience with the time of the work, refers to some of my earlier works, for example Dérives, Partiels or Jour, Contrejour. Here, of course, these tiny noises are allied with the morphology of Vortex Temporum.

Overthrowing the material in favor of pure endurance is a dream, which I have been carrying out for many years. Vortex Temporum is perhaps only a history of the arpeggio in time and space – from the point of view of our ears.

Vortex Temporum was commissioned by the French Ministry of Culture, Ministerium für Kunst Baden-Würtemberg and the Westdeutsche Rundfunk Köln, at the special request of ‘Ensemble Recherche’.

-Gérard Grisey

De Natura Sonoris

Una delle composizioni più materiche del polacco Krzysztof Penderecki (1933) questa De Natura Sonoris per orchestra che esiste in due versioni, la prima del 1966 e la seconda del 1971. In realtà si tratta di due composizioni diverse, accomunate dalla medesima ispirazione legata alla varietà degli aspetti della natura e al loro evolvere.

Come già nella famosa Threnody, del 1960, per 52 archi (probabilmente il suo brano più noto), Penderecki si adopera per creare nuove sonorità strumentali, soprattutto con gli archi e fa un uso esteso di alcune delle sue tecniche compositive favorite, come quella che si basa sulla libera combinazione di piccole frasi melodiche assegnate dapprima a un ristretto gruppo strumentale, per estendersi, poi, gradualmente a tutta l’orchestra.
Nel secondo brano, inoltre, il compositore utilizza vari effetti percussivi, come quello ottenuto da una sbarra di ferro colpita con un martello e con una sega.

È una musica semplice sotto l’aspetto formale, basata più sull’effetto fonico che su una rigorosa struttura, ma rimane comunque affascinante.

Tierkreis

Tierkreis (1974) è una composizione unica nell’universo di Stockhausen perché, da un lato fa un passo deciso verso una semplicità fino a quel momento sconosciuta nella sua produzione, mentre dall’altro è collegata allo Stockhausen più visionario e radicale, quello che si diceva in contatto diretto con il cosmo, arrivando fino a sostenere con decisione il proprio essere alieno.

In origine si trattava di un ciclo di 12 melodie, con uno scarno sviluppo armonico, collegate ai segni zodiacali – il titolo si traduce, appunto, con Zodiaco – destinate ad incarnarsi in forma di carillon inclusi in una pièce teatrale chiamata Musik im Bauch e così uscirono all’epoca su LP DGG.

Il loro ruolo, però, non era destinato ad esaurirsi qui: esse acquistarono in breve una dignità di opera autonoma, da eseguirsi con un qualsiasi strumento melodico, a tastiera o combinazione dei due. La partitura prescrive che l’esecuzione inizi dal segno zodiacale di quel momento per proseguire seguendo l’ordine dello zodiaco fino a tornare al segno di partenza, con il vincolo che ogni melodia deve essere eseguita almeno da tre a quattro volte con variazioni e improvvisazioni.

Di conseguenza, ne furono create molte versioni, con formazioni anche diverse da quella prescritta, alcune per iniziativa di Stockhausen, ma altre sviluppate da vari gruppi di esecutori che spesso si prendono libertà che travalicano le istruzioni del compositore.

In questo modo Tierkreis ha assunto il carattere di opera semiaperta, passibile sia di interpretazione rigorosa, che utilizzabile come materiale da elaborare, al punto che le molte versioni hanno durate ben diverse, che vanno dai 12 ai 63 minuti. L’opera, comunque, mantiene sempre la sua impronta stockhauseniana anche perché le singole melodie pervadono la successiva produzione del compositore.

Stockhausen, infatti, le ha impiegate in altri lavori di ampia portata come l’intera sezione centrale di Sirius, un’opera per soprano, basso, tromba, clarinetto basso e otto canali di musica elettronica del 1975-77, in cui quattro messaggeri stellari giungono da Sirio per portare musica e pace agli uomini. In modo analogo, frammenti delle melodie di Tierkreis si ritrovano anche nella colossale Licht, una serie di opere, ciascuna dedicata a un giorno della settimana.

C’è da dire, in effetti, che la struttura stessa delle melodie è intimamente collegata al pensiero musicale di Stockhausen. Tanto per cominciare, ognuna di esse è centrata intorno ad una nota diversa, perché, se 12 è il numero dei segni zodiacali, 12 è anche il numero delle note nell’ottava. Così, la serie inizia dal LA per il Leone (il segno di Stockhausen), per passare al LA#/SIb per la Vergine, SI per la Bilancia, DO per lo Scorpione, eccetera.

Inoltre la loro velocità metronomica è collegata alla nota di base rovesciando la frequenza di quest’ultima in durata, secondo l’idea dell’unità tempo/altezza espressa da Karlheinz nel suo famoso saggio del 1957 “…Wie die Zeit vergeht …” (…come scorre il tempo…). In questo scritto teoretico, Stockhausen considera il fatto, ben noto alla fisica, che, essendo l’altezza data da una ripetizione ciclica dell’onda sonora, ad ogni nota può essere associata una durata temporale pari all’inverso della sua frequenza. Di conseguenza, ogni fenomeno ciclico può essere visto come una nota, pur se troppo bassa per essere udibile.

Così Tierkreis diventa una nuova “Musica delle Sfere”, riproponendo un’unità che va dall’universo fino alla nota emessa da uno strumento musicale, vista come atto creatore in quanto metafora della vibrazione primordiale che pervade il cosmo.

Qui in 3 versioni

  • per pianoforte, flauto, sassofono
  • Dynamis Ensemble: Birgit Nolte, flutes – Isabella Fabbri, saxophones – Candida Felici, piano

  • per flauto e clarinetto
  • duo 1010: Stephanie Bell, flutes – Liam Hockley, clarinets

  • per pianoforte e elettronica
  • Massimiliano Viel, piano and electronic

Cos’è successo al pianista?

Nel vedere questo estratto del Concert for Toy Piano and Orchestra (2005) di Matthew McConnell, brillantemente eseguito da Keith Kirchoff, sembra che un incantesimo abbia colpito pianista e pianoforte.

Il piano giocattolo, invece, è uno strumento con un repertorio specifico (fra gli altri, Cage, che peraltro non è l’unico).

New England Conservatory Symphony Orchestra. Sergio Monterisi, conductor. Recorded in NEC Jordan Hall

Ensemble

L’AGP rilancia un vecchio vinile che contiene i risultati di un esperimento realizzato durante l’edizione del 1967 dei corsi estivi tenuti da Stockhausen a Darmstadt (il disco è stato poi realizzato nel 1971).

12 compositori sono stati invitati a scrivere dei brani per strumento solista e nastro o trasmettitore a onde corte (1 solo esecutore), tali da poter essere eseguiti simultaneamente. Per soddisfare questa condizione, i pezzi non dovevano essere dei prodotti finiti, bensì una collezione di interventi sonori suscettibili di dilatazioni e/o spostamenti temporali.
L’elenco di strumenti, compositori ed esecutori è:

Instrument Composer Musician
Flute Tomas Marco Ladislav Soka
Oboe Avo Somer Milan Jezo
Clarinet Nicolaus A.Huber Juraj Bures
Basoon Robert Wittinger Jan Martanovic
French horn John McGuire Jozef Svenk
Trumpet Peter R.Farmer Vladimir Jurca
Trombone Gregory Biss Frantisek Hudecek
Violin Jurgen Beurle Viliam Farkas
Violoncello Mesias Maiguashca Frantisek Tannenberger
Double Bass Jorge Peixinho Karol Illek
Percussion Rolf Gelhaar Frantisek Rek
Hammond Organ Johannes G.Fritsch Aloys Kontarsky

Gli esecutori sono stati poi divisi a gruppi di 2/3 i cui output venivano inviati a uno di quattro mixer ciascuno collegato a 2 altoparlanti. A un ulteriore, solitario altoparlante è collagato l’organo hammond. Ne risulta quindi uno spazio sonoro a 9 altoparlanti in cui viene diffuso simultaneamente l’insieme di tutti brani, secondo lo schema seguente:

La direzione dell’esecuzione è dello stesso Stockhausen. L’album, ormai fuori catalogo, contiene una riduzione effettuata da Stockhausen di una performance di circa 4 ore.

Potete scaricare il tutto in flac da AGP98.

ENSEMBLE is an experiment in adding a new concept to the traditional “concert”. We are used to comparing different pieces played sequentially. In ENSEMBLE “pieces” of 12 composers are played simultaneously.

These “pieces” are musical objects (“works”) not fully worked out. They are sound objects (produced on tape or with a short wave transmitter), with individual control, action and reaction models, and notated “events”, which are introduced by the composers to the ENSEMBLE play in the process of the actual performance.

Each composer has composed for one musician and tape or short wave transmitter. The total plan and the introduction of the parts for its synchronisation with the ENSEMBLE were established by Stockhausen. The twelve systems and their coordination were formulated during daily meetings. The resulting four hour process is more than the addition of the “pieces”: it is a composition of compositions, fluctuating between the complete isolation of the different events and the total dependence of each layer, and between extreme determinism and full improvisation.

On top of the 12 composers and musicians, who play together as “duos” – distributed throughout the room – four other musicians are responsible for using mixers to amplify and spacialize definite details and moments of the process via microphones and eight loudspeakers. Also, the position of the listener is not fixed. He can move in the room and thus establish his acoustical perspective.

The simultaneity of the compositions requires also that certain “pieces” should be heard together and related through superimposition.

This “verticalisation” of the perception of events and the relativisation of a definitive form (“piece” signed by an individual) happens not only in the field of music. — Notes by Karlheinz Stockhausen

Darmstadt International Music Institute
22nd International Seminar for New Music 1967, director Ernst Thomas

The LP version of “Ensemble” was realized in the WDR Electronic Music Studio between August 26 and September 22, 1971. The available material was:

– Recording of the rehearsal on August 28, 1967 from 19:00-23:00 (6 stereo tapes, about 4 hours duration)

– Recording of the concert on August 29, 1967 from 19:00-23:00 (6 stereo tapes, about 4 hours duration)

The challenge for me was to reduce a four-hour performance to 50-60 minutes, and therefore I proceeded as follows.

1. I wanted as much as possible to keep the formal pattern that we had developed during the Seminar

2. I wanted to keep a balance between the deterministic, less deterministic and non-deterministic material.

My working method was as follows:

1. I listened to all tapes of both recordings. The material that seemed to me adequate, I copied.

2. This selected material was listened to again, cutting out some sections, so that a series of musical events remained, which I deemed relevant.

3. In the third process – the most difficult one – this material was cut, faded in and out and mixed occasionally according to my vision (retaining the time plan in its basic structure)

Notes by Mesias Maiguashca