La giovane netlabel SHSK’H (pronuncia ssshhk’ah aspirata), è ormai defunta ma si trova sull’Internet Archive. Nata nel 2007 a New York da Jody Pou and Igor Ballereau proponeva da subito lavori di qualità, seppure di generi diversi, distribuiti in CC e scaricabili liberamente.
Il primo volume contiene musica per ensemble o per piano solo dello stesso Ballereau, molto delicata e piena di silenzi. Non priva di fascino, almeno per me che ascolto nel silenzio della notte. Gli strumenti più o meno utilizzati nei vari brani sono voci, pianoforte, chitarra, violino, viola, violoncello, percussioni.
Da qui ascoltiamo Frottola per voce, piano, chimes, violino, viola, cello.
La seconda release è composta da tre brani di musica tradizionale giapponese per voce e koto eseguita da Etsuko Chida. Affascinante e leggermente aliena per noi a causa delle differenze di intonazione rispetto alla nostra scala.
Da qui vi propongo Shiki no Fuji (il monte Fuji nelle quattro stagioni).
Sul sito di SHSK’H su IA trovate anche le releases seguenti.
Enchanted Preludes is a birthday present for Ann Santen, commissioned by her husband, Harry, and composed in gratitude for their enthusiastic and deeply caring support of American music. It is a duet for flute and cello in which the two instruments combine their different characters and musical materials into statements of varying moods. The title comes from a poem of Wallace Stevens: The Pure Good of Theory, “All the Preludes to Felicity,” stanza no.7:
Felicity, ah! Time is the hooded enemy,
The inimical music, the enchanted space
In which the enchanted preludes have their place.
The score was given its first performance by Patricia Spencer, flute, and André Emelianoff, cello, of the Da Capo Chamber Players in New York, on May 16, 1988.
[Elliott Carter]
Cassandra’s Dream Song (1970), di Brian Ferneyhough, per flauto solo, è uno di quei brani che hanno contribuito a ridefinre i limiti dello strumento. Considerato dapprima ineseguibile, venne eseguito per la prima volta da Pierre-Yves Artaud al Royan Festival (una rassegna francese di musica contemporanea attiva dal 1964 al 1973 in cui furono realizzate molte prime esecuzioni, sostituita, poi, dai Rencontres Internationales d′Art Contemporain di La Rochelle). Con l’evoluzione della tecnica strumentale, questo brano è ormai entrato a far parte del repertorio solistico del flauto.
Composta unicamente di due densissime e grandi pagine, la partitura è aperta. Ogni pagina contiene varie sezioni che l’esecutore deve eseguire alternando i due fogli (una dal primo e una dal secondo). Tuttavia, sul primo foglio deve seguire l’ordine dato procedendo dalla 1 alla 6, mentre la successione delle sezioni del secondo è libera.
In tal modo, qualsiasi effetto narrativo viene sovvertito, ma non completamente, grazie alla successione fissa del primo foglio. Pur ereditando alcune modalità espressive dal serialismo alla Boulez, Ferneyhough è spesso sorprendente perché, nella linea melodica, passa da momenti estremamente complessi ad episodi quasi lirici, centrati su poche note, fino ad istanti in cui affiorano atmosfere Debussy-like e perfino frasi quasi tonali.
Flute: Evgenios Anastasiadis Live Recording , Concert Hall, Folkwang Universität der Künste July 2021
Brian Ferneyhough (n. 1943) è il maggior rappresentante della cosiddetta “nuova complessità”, una corrente definita come “a complex, multi-layered interplay of evolutionary processes occurring simultaneously within every dimension of the musical material” (vedi questa interessante voce, in inglese, su wikipedia).
Sotto molti aspetti si tratta di una estremizzazione del serialismo, anche se ormai la serialità è stata abbandonata in favore di una prospettiva evolutiva del materiale musicale. Ciò nonostante, la complessità grafica della partitura rimane elevata, nella forma di una iper-codifica diffusa. Di conseguenza, la musica di Ferneyhough spesso richiede enormi sforzi tecnici da parte degli interpreti (talvolta, come nel caso del brano Unity Capsule per flauto solo, le sue partiture sono talmente dettagliate e complesse che risulta quasi impossibile una realizzazione totale di quanto vi è scritto). Nella sua personale filosofia compositiva, lo scopo di ciò è quello di liberare la creatività dell’interprete, il quale dovrà decidere su quali particolari concentrarsi, e quali altri verranno invece tralasciati (ecco una pagina della partitura di Unity Capsule, cliccatela).
Il brano che vi presentiamo è Lemma-Icon-Epigram, del 1981, un pezzo tripartito, per piano solo, dedicato a Massimiliano Damerini che ne è l’interprete. Qui vedete anche la prima pagina della partitura (come al solito, cliccabile).
Di questo brano l’autore dice:
Over the years, the detritus of images associated with my alchemical and metaphysical studies, or Renaissance studies, began to accumulate round a core, and this core was, as I said, the idea of Denkbilder: pictures to help you think or “thinking pictures”. So the first part of the piece is the whirlwind of the not-yet-become: the idea of processes, not material, forming the thematic content of the work.
So this is the Lemma, the superscription. The second part, the Icon, is the description of the possible picture put into actual pictorial form. I’m dealing here with the expansion and contraction of rhythmic and chordal cycles. There are only seven chordal identities, and this middle part is the same thing seen from many perspectival standpoints. I have what I call a “time-sun”. That is, I imagine a framework within which these chords are then disposed on several levels, like objects. Then there is a sun passing over them: the shadows thrown by the sun are of different lengths, different intensities, impinging in different ways upon different objects, themselves also moving upon the space defined by this frame. The third part is the Epigram. This is the attempt to unite these two elements that have appeared previously.
Non fatevi ingannare dal titolo, non è musica antica. Questo, invece, è uno dei miei brani preferiti nella produzione di Mauricio Kagel. Forse anche uno dei più eversivi perché qui il compositore trae sonorità inaudite da un corpus strumentale, quello della musica antica, che nessuno aveva stravolto fino a questo punto.
In realtà avevo già pubblicato questo brano del 1965/66 senza alcun commento in occasione dell’epitaffio del suo autore, ma oggi lo ripropongo alla vostra attenzione, corredato dalle note dello stesso Kagel:
This work contains neither prediction, pointers to the future, nor a comforting return to the past: the use of Renaissance instruments here has no programmatic purpose in any general sense. The only decisive fact is that these instruments correspond to my tonal concept better than any present-day stringed and wind instruments could.
The systematic alienation of conventional instrumental sound, which comes into its own in the material and methods of the most modem music, seemed to me to justify an attempt, for once, to reverse the normally accepted view on the subject of the composition of tone colour. The individual quality of restraint which belongs to the nature of these Renaissance instruments made it all the easier for me to introduce each of them in its own unadulterated tonal character. While still a student of musicology in Argentina I began to sketch a similar piece, but I dropped the project at that time, since one of the essential conditions for bringing the idea to fruition-the formation of a truly orchestral ensemble of early instruments-could not then be fulfilled. In the renaissance of the Renaissance which we are now experiencing such an ensemble has become feasible, because copies of most of the instruments have recently been made, and numerous musicians have become proficient in playing them.
Only the formation of complete families of typical instruments, played by 23 musicians, could produce a sound picture true to the period in question. All the Renaissance instruments required for my composition were represented in the Theatrum Instrumentorum of the “Syntagma Musicum” by Michael Praetorius (1619). During recent years I have become so familiar with each of the instruments used that I could think out its tonal function afresh, and have been able to develop the performing techniques beyond the conventional limits. Even an instrument such as the recorder, which is closely associated with home and school music making of a very different kind, proved to be extremely versatile, and more suitable for use in new instrumental music than, for example, the transverse flute.
Each instrumental part of this work was composed like a solo line. However, the parts were put together as a full score, written in more or less normal notation. Other versions of the work are also possible, using any number of players from two to twenty-two, in every combination of instruments drawn from the original scoring. These reduced versions are entitled “Chamber Music for Renaissance Instruments”. The concept of an ad hoc orchestra made up of whatever instruments are available–in accordance with the performing practice of the Renaissance period–is here taken literally, so that a degree of variation is possible which cannot be foreseen by the composer. This work (1965/66) was written in memoriam Claudio Monteverdi. Nevertheless it contains no collages of old music.
Mauricio Kagel – Music for Renaissance Instruments (1965/66)
Collegium instrumentale, conducted by Mauricio Kagel
Il brano è scaricabile in formato flac dall’AGP40.
Ancora Radulescu con un brano per una formazione complessa: 16 strumenti (2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, corno, tromba, trombone, percussioni e quintetto di archi).
Secondo le note del libretto, peraltro abbastanza deliranti, il termine Iubiri è il plurale del rumeno iubire (amore). Questo brano, dalla durata ragguardevole, si compone di 343 iubiri. 343 micro musiche che, nei 47 minuti del brano, integrano 7 spettri acustici che derivano dai primi 7 armonici (escludendo le 8ve) di una fondamentale di DO, ovvero Do, Sol, Mi, Sib, Re, Fa monesis (1/4 di tono), Sol triesis (3/4 di tono).
Dérives, composto da Gérard Grisey nel 1973-74, è insieme a Périodes e Partiels, una delle composizioni seminali per il movimento della musica spettrale.
In questo brano per due gruppi orchestrali, una sinfonietta e un’orchestra completa (interessante notare che nell’ensemble c’è anche una chitarra elettrica), si applica una tecnica che può essere definita come sintesi additiva strumentale, in cui gli strumenti arrivano a comporre una timbrica mediante la somma di molte componenti. Si parla di timbrica e non di armonia perché è in questo senso che l’indieme sonoro è concepito, al punto che agli strumenti è spesso richiesta una intonazione sugli armonici di un suono base e non sulla scala temperata.
Il suono come generatore della forma globale, secondo la poetica dello spettralismo espressa da questa dichiarazione programmatica dello stesso Grisey:
We are musicians and our model is sound not literature, sound not mathematics, sound not theatre, visual arts, quantum physics, geology, astrology or acupuncture
[cit. in Fineberg, Joshua (2006). Classical Music, Why Bother?: Hearing the World of Contemporary Culture Through a Composer’s Ears. Routledge. ISBN-10: 0415971748, ISBN-13: 978-0415971744]
E ancora:
Spectralism is not a system. It’s not a system like serial music or even tonal music. It’s an attitude. It considers sounds, not as dead objects that you can easily and arbitrarily permutate in all directions, but as being like living objects with a birth, lifetime and death. This is not new. I think Varese was thinking in that direction also. He was the grandfather of us all. The second statement of the spectral movement — especially at the beginning — was to try to find a better equation between concept and percept — between the concept of the score and the perception the audience might have of it. That was extremely important for us.
Stockhausen ha dichiarato che i Klavierstücke (pezzi per piano, anzi, per tastiera) sono i suoi schizzi. Alcuni, però, sono schizzi di grande portata, come questo Klavierstück IX (vers. def. 1961), con il suo accordo ripetuto più di cento volte (148 se non erro), con atmosfere e risonanze diverse.
Dedicato ad Aloys Kontarsky, che lo eseguì per la prima volta a Colonia nel maggio 1962 nella versione definitiva del ’61, il Klavierstück IX si collega direttamente al X sia perché nella sezione finale sono presenti gruppi di notine che saranno il segno distintivo dell’altro, sia perché nonostante i differenti esiti sonori ambedue obbediscono al principio, fondamentale in Stockhausen, della giustapposizione – intesa come coesistenza dinamica – delle categorie dell’ordine e del disordine . In particolare, il IX è costruito attorno all’alternanza di un accordo presentato immediatamente e ripetuto oltre cento volte nel corso del brano con zone rarefatte di sapore improvvisativo. Quanto ai citati gruppi di notine della parte conclusiva, da notare che queste fanno riferimento ai valori della serie dei numeri di Fibonacci (1, 1, 2, 3, 5, 8, ecc.), dalla quale derivano anche i rapporti metronomici. Da questo punto di vista è indubbio che il Klavierstück IX rappresenta tra i quattordici composti tra il 1952 e il 1985 quello che più di tutti concretizza l’idea di fondo del compositore tedesco di “creare opere in cui i piani della forma e del materiale fossero totalmente pervasi da una serie unificante di proporzioni e dalle loro derivazioni combinatorie”.
[Nota tratta da Novurgia]
Eccolo inciso da Pollini (con partitura)
Ed eccolo eseguito da Pollini a Parigi (Cité de la musique) il 25 Giugno 2002
UBUWeb ha messo in linea una serie di film di Mauricio Kagel. Li trovate qui
Nel frattempo, ho trovato su YouTube questa esecuzione di Exotica (1971-1972), una composizione in cui sei esecutori di tradizione e cultura europea sono costretti a confrontarsi con musica e cultura extra-europea. In Exotica gli esecutori non sanno suonare gli strumenti che si trovano a maneggiare (almeno 10) perché provengono tutti da culture non europee. Proprio per questo la partitura prescrive essenzialmente durate e dinamiche, mentre la linea melodica è generalmente una monodia oppure si limita a intervalli vicini.
La partitura impone anche di cantare, a volte emettendo suoni più o meno snaturati. La voce è una parte molto importante del brano, tanto che, nei punti in cui un interprete sia impossibilitato ad eseguire insieme le parti strumentali e vocali, quest’ultima è prioritaria.
Esistono inoltre 12 nastri su cui è incisa autentica musica extra-europea, che gli esecutori devono imitare con un grado di accuratezza variabile, prescritto in partitura per i vari parametri.
Performer — Christoph Caskel, Michel Portal, Siegfried Palm, Theodor Ross, Vinko Globokar, Wilhelm Bruck.
Questa immagine vi dà un’idea di come erano conciati gli esecutori alla prima esecuzione