Torniamo su Messiaen nel centenario della sua nascita.
Olivier Messiaen non è mai stato un serialista, se non occasionalmente, a titolo sperimentale. Ciò nonostante, una sua composiziona è stata alla base dell’idea di serialismo integrale negli anni ’50.
Messian – Mode de valeurs et d’intensités (1950)
In questo brano, tratto dai “Quattro studi sul ritmo” del 1950, si può ritrovare il primo indizio di organizzazione totale dei parametri di altezza, durata, intensità e modi di attacco. Le idee contenute in questa composizione suscitarono grande interesse in Boulez e Stockhausen, entrambi allievi di Messiaen.
Qui Messiaen non usa delle serie, quindi non si può parlare di serialismo. Si tratta, invece, di modi, cioè di scale da cui il compositore trae liberamente le note senza rispettarne l’ordine.
Il punto è che, in questo brano, ad ogni altezza è associata una durata, un’intensità e un modo di attacco. La figura seguente mostra le tre divisioni del modo adottato nel pezzo. Ogni divisione verrà usata in una voce diversa (cliccare sull’immagine per ingrandire).
Così, per es., in questo pezzo il Mib alto (div. I, nota 1) comparirà sempre come biscroma, ppp, legato alla nota successiva; il Lab con taglio in testa sarà sempre una croma, forte, eseguita in staccato (notare che, essendo staccato, parte della sua durata può essere espressa come pausa, come nella pgina seguente; ciò nonostante, la durata totale sarà sempre una croma), ecc. (anche qui, cliccare sull’immagine per ingrandire)
In quegli anni, l’impressione suscitata da questo brano fu grande. Non a caso, Boulez ne riprese la serie nelle sue Structures per due pianoforti del 1952.
Ma la cosa interessante è che, nel 1986, lo stesso Messiaen ebbe a dire
J’ai été très contrarié de l’importance absolument démesurée que l’on a accordée à une petite oeuvre, qui n’a que trois pages et qui s’appelle “Modes de valeurs et d’intensités”, sous le prétexte qu’elle aurait été à l’origine de l’éclatement sériel dans le domaine des attaques, des durées, des intensités, des timbres, bref, de tous les paramètres musicaux.
Cette musique a peut-être été prophétique, historiquement importante, mais, musicalement, c’est trois fois rien…
[“Olivier Messiaen, musique et couleur” – Nouveaux entretiens avec Claude Samuel – Belfond – 1986]
Oltre a quello di Messiaen, c’è un secondo centenario quest’anno: quello della nascita del compositore americano Elliott Carter (1908).
E quanto ho scritto non è un errore: la data di morte manca perché Carter è ancora vivo e conta di festeggiare alla grande il proprio centenario l’11 dicembre.
Dico alla grande perché non solo è vivo, ma è perfettamente in sé e compone ancora: nel 2007, per es., ha scritto 8 brani fra cui uno per pianoforte e orchestra (Interventions), un quintetto con clarinetto, un pezzo per coro e gli altri per strumento solista.
Lo stile di Carter, in epoca giovanile, fu definito neoclassico o “lirismo melodico” in quanto risentiva dell’influenza di Stravinskij e Hindemith, ma virò poi decisamente verso l’atonale a partire dagli anni ’50, approdando a una scrittura a tratti anche molto complessa, tanto che per lui venne coniato il termine “metric modulation” per descrivere i frequenti cambiamenti di tempo nei suoi lavori.
Ciò nonostante, mantenne sempre una certa dose di espressività e dramma:
I regard my scores as scenarios, auditory scenarios, for performers to act out with their instruments, dramatizing the players as individuals and participants in the ensemble.
Il suo personale sistema compositivo (volto spesso a far derivare tutte le altezze di un brano da un solo accordo “chiave”, o da una serie di accordi) non impedisce a Carter di muoversi in ambiti decisamente lirici, né di garantire una perfetta intelleggibilità del testo cantato, talora anche in modo decisamente “semplice”. Del resto, nonostante il suo usuale rigore compositivo, Carter occasionalmente sceglie di “deviare”, di creare delle eccezioni al suo proprio sistema.
Elliott Carter – Night Fantasies (1980) for solo piano
Ursula Oppens, piano
Night Fantasies is a piano piece of continuously changing moods, suggesting the fleeting thoughts and feelings that pass through the mind during a period of wakefulness at night. The quiet, nocturnal evocation with which it begins and returns occasionally, is suddenly broken by a flight series of short phrases that emerge and disappear. This episode is followed by many others of contrasting characters and lengths that sometimes break in abruptly and, at other times, develop smoothly out of what has gone before. The work culminates in a loud, obsessive, periodic repetition of an emphatic chord that, as it dies away, brings the work to its conclusion.
In this score, I wanted to capture the fanciful, changeable quality of our inner life at a time when it is not dominated by strong directive intentions or desires — to capture the poetic moodiness that, in an earlier romantic context, I enjoy in works of Robert Schumann like Kreisleriana,Carnaval, and Davids-bündlertänze.
Devo dire che questo brano per piano non mi dispiace, mentre non amo particolarmente i brani in cui predomina la vena neoclassica.
Gli interessati possono trovare anche una lunga intervista stampata qui, nonché un programma radiofonico e altri estratti della sua musica, fra cui il secondo quartetto all’Internet Archive.
Tanto per restare in campo ornitologico e ascoltare un po’ di di Messiaen, godetevi questa Grive-Musicienne tratta dai Petites esquisses d’oiseaux del 1985 per pianoforte solo (grive musicienne = Turdus philomelos, è il Tordo bottaccio; vive in tutta Europa, Asia, Africa del nord ai margini di boschi e foreste ed è chiamato philomelos non a caso; ecco il canto originale di cui potete vedere anche il sonogramma, entrambi tratti da xeno-canto).
È incredibile come i canti degli uccelli si possano sentire chiaramente in questo pezzo, come se fossero riprodotti pari pari e nello stesso tempo il brano sia costruito e sviluppato con grande coerenza.
Sentite come i brevissimi frammenti del canto del tordo vengano trattati come dei moduli tematici e sviluppati sia dal punto i vista melodico che ritmico.
Su YouTube si trovano anche altri video che permettono di seguire una partitura di ascolto insieme alla musica.
Eccone uno di Metastaseis (Metastasis), un brano per orchestra composto nel 1954 da Xenakis, in cui gli eventi sonori erano definiti quasi completamente su base statistica.
In effetti, il processo compositivo di Xenakis è strettamente collegato alla matematica. Per risolvere problemi quali la distribuzione dei suoni e delle figure, la densità, la durata, le note stesse, Xenakis utilizza molto spesso distribuzioni statistiche, il calcolo combinatorio, ma anche le leggi fisiche e la logica simbolica.
Il suo approccio è conseguente alla sua critica al serialismo integrale espressa nel suo scritto “La crise de la musique serielle”, che si può sintetizzare come segue:
L’applicazione della serie a tutti i parametri compositivi al fine di ottenere un controllo totale sulla composizione produce invece una incontrollabile complessità che “impedisce all’ascoltatore di seguire l’intreccio delle linee e ha come effetto macroscopico una dispersione non calcolata e imprevedibile dei suoni sull’intera estensione dello spettro sonoro”.
Ne consegue una evidente contraddizione fra l’intento compositivo che vorrebbe essere totalmente deterministico e l’effetto sonoro.
Dato che il serialismo permette di trasporre la serie su ognuna delle 12 note e permette anche di utilizzare l’inversione, il retrogrado e l’inversione del retrogrado con relative trasposizioni, allora esso non è che un caso particolare del calcolo combinatorio [cioè la branca della matematica che studia i modi per raggruppare e/o ordinare secondo date regole gli elementi di un insieme finito di oggetti – da wikipedia].
Di conseguenza, il calcolo combinatorio costituisce una generalizzazione del metodo seriale e quindi un suo superamento.
Da queste due considerazioni e dalla preparazione di carattere fisico e matematico, oltre che musicale, di Xenakis nasce un approccio compositivo totalmente nuovo. Se la contraddizione del serialismo è dovuta alla sua complessità che genera una dispersione non calcolata dei suoni, si tratta dunque di trovare nuovi criteri di controllo. La linea deduttiva di Xenakis si può riassumere nei seguenti passi:
il serialismo integrale, adottando i meccanismi della trasposizione, inversione e retrogrado è approdato quasi spontaneamente al calcolo combinatorio
le scienze statistiche, di cui il calcolo combinatorio fa parte, hanno messo a punto strumenti matematici e concettuali capaci di studiare e definire fenomeni complessi
il calcolo delle probabilità, concettualmente e storicamente legato al calcolo combinatorio e sua potente generalizzazione, si presenta come lo strumento più idoneo per determinare l’effetto macroscopico generato da una polifonia lineare di alta complessità
la serie viene quindi sostituita con il concetto di insieme sonoro organizzato mediante distribuzioni statistiche che permettono di controllare le varie caratteristiche sonore quali altezze, densità, durate, timbro, etc.
il livello di controllo [quello su cui lavora il compositore] si innalza dal singolo suono all’insieme sonoro. L’aspetto microscopico della composizione può essere anche disordinato, ma a livello macroscopico si ha una chiara percezione di una figura sonora.
Chiariamo questi postulati (soprattutto il 5).
Se io faccio fare a 40 archi una lunga nota scelta a caso ma con distribuzione uniforme (tutte le note hanno la stessa probabilità) fra il DO3 e il DO4, la percezione sarà quella di un cluster cromatico di 8va.
Altro esempio: se n strumenti suonano note a caso con altezze distribuite in modo uniforme fra il DO3 e il FA3 e durate scelte nello stesso modo fra semicroma e croma, la percezione sarà quella di una fascia con movimento interno la cui velocità dipende dalla durata media e il cui timbro dipende dalla distribuzione strumentale.
Il compito del compositore non è più di scegliere le singole note, compito lasciato alla distribuzione statistica, ma quello di determinare la forma dell’insieme stabilendo quali distribuzioni statistiche governano i vari parametri sonori e i movimenti dell’insieme attraverso il controllo dei parametri delle suddette distribuzioni.
Notate che l’impostazione concettuale di Xenakis non è dissimile da quella di Stockhausen, quando crea il concetto di gruppo e sposta la sua attenzione dal singolo suono al gruppo ed è analoga a quella di Ligeti quando compone per fascie introducendo l’idea di micro-polifonia.
La posizione di Xenakis, determinata anche dalle sue conoscenze matematiche, è, però, estrema. Lui abbandona completamente il livello del singolo evento sonoro, per porsi a un livello più alto, quello degli insiemi di suoni. Se consideriamo che anche quello che il compositore strumentale definisce “suono singolo” è, in realtà, un agglomerato di suoni semplici (armonici e/o parziali sinusoidali), questa posizione è ampiamente giustificata. I possibili livelli di controllo dell’evento sonoro sono molti: dal “comporre il suono” dell’elettronica in sintesi additiva, fino all’organizzazione dell’evento privo di una precisa determinazione del risultato sonoro (Fluxus). Spetta al compositore decidere dove porsi.
Notate, infine, che questa musica di Xenakis è statistica, non casuale. La casualità c’è, ma si annulla nella molteplicità degli eventi.
Ecco il video. Volendo potete anche andare a vederlo su YouTube che vi permette anche di ingrandirlo a tutto schermo.
E per darvi modo di ascoltarli meglio, ecco un isolamento dei famosi glissandi le cui trame riproducono la struttura delle superfici del padiglione Philips progettato da Le Corbusier con l’assistenza di Xenakis nel 1958 per l’esecuzione del Poème Électronique di Edgar Varèse (immagini qui e qui).
L’AvantGarde Project (AGP), che si occupa di rimettere in circolazione registrazioni dell’avanguardia storica ormai fuori catalogo perché mai ristampate su CD e non più distribuite nell’originale in vinile, chiude il 2007 e inizia il 2008 all’insegna della musica italiana.
AGP84, infatti, propone una serie di brani per vari strumenti (arpa, flauto, oboe fra gli altri), tratti dalla produzione di Bartolozzi, Castiglioni, Clementi, Donatoni, Pennisi, Sciarrino, Sinopoli e Valdambrini.
AGP83, invece, è dedicato a Berio che dirige la propria Sinfonia e le Epifanie. Queste due opere sono ancora in circolazione, ma non in questa versione, che risulta essere l’unica diretta dall’autore ed è veramente un peccato che vada perduta solo perché non sembra esistere una convenienza economica a ristamparla. Tuttavia la registrazione manca del quinto e ultimo movimento della Sinfonia e questo può essere stato un motivo plausibile per abbandonarla.
Tutti i brani sono scaricabili in formato FLAC (compressione senza perdita).
Disclaimer: stando ad AGP, queste registrazioni sono fuori catalogo. Resta inteso che, se un proprietario del copyright esiste e me lo fa sapere, toglierò i link dal post (nulla è sul mio sito; io mi limito a segnalare AGP).
Intanto potete ascoltare Addio a Trachis. di Sciarrino per arpa sola e un brano per oboe di Bartolozzi, Collage, ricco di multifonici.
Il brano di Sciarrino abbandona i virtuosismi per ritrovare quegli sprazzi di melodia, tipici del compositore siciliano.
Collage (1968) è un’opera aperta che consta di una quarantina di brevi frammenti esposti senza un ordine fisso. L’operazione di collegamento è lasciata all’interprete.
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The AGP83 and AGP84 issues are devoted to the italian music.
AGP84 presents a collection of works by Italian composers, culled from five different LPs. The works are for a variety of ensembles, featuring harp, flute, and oboe, among other instruments. The installment includes a PDF file with liner notes from three of the five LPs.
AGP83 is the third devoted to music by Luciano Berio. It includes four movements from the Sinfonia and the Epifanie conducted by the composer itself.
Natale si avvicina e per me le feste comandate sono periodi nefandi e depressi, così cerco di addolcirle con un po’ di musica, magari a tema, ma diversa dal solito.
George Crumb ha scritto questa Little Suite for Christmas per piano solo nel 1980.
Si tratta di un brano dolce e silenzioso, ma nello stesso tempo molto energico, giocato su un dialogo fra suono e silenzio, con eruzioni sonore, lunghe pause e frasi esitanti.
Qui Crumb rinuncia all’amplificazione e agli oggetti inseriti su/fra le corde che usava nel Makrokosmos, ma si concentra sul suono dello strumento, con corde lasciate vibrare, pedali, armonici, risonanze e pizzicati.
Il risultato è contemplativo e affascinante. Un pezzo che mostra come si possa scrivere musica contemporanea ma accessibile e godibile nello stesso tempo.
George Crumb – A Little Suite for Christmas for piano – Aleksandra Listova
Di Harry Partch abbiamo già parlato su queste pagine. Artista personalissimo, a cavallo fra il ‘900 storico e il contemporaneo (1901-1974), capace di ideare e costruire una propria strumentazione che non si basa sul temperamento equabile e per questo isolato, ma ciò nonostante sempre presente a sé stesso e consapevole del suo essere compositore (ricordiamo che durante la grande depressione vagava come un senzatetto e tuttavia era in grado di pubblicare un giornaletto dal titolo Bitter Music – Musica Amara), Partch ha sempre portato avanti la sua sfida all’estetica corrente, quale essa fosse.
Con la sua musica, non tonale, non atonale, ma anzi completamente esterna a questo dualismo, (sviluppando quell’atteggiamento prettamente americano che già troviamo in Ives e altri), Harry Partch raggiunge livelli di grande potenza, come in questa ultima opera del 1965-66, eseguita una sola volta mentre era ancora in vita.
Delusion of the Fury: A Ritual Of Dream And Delusion, per 25 strumenti (mai utilizzati tutti insieme), 4 cantanti e 6 attori/ballerini/mimi, accosta un dramma giapponese nel primo atto a una farsa africana nel secondo, realizzando quel concetto di teatro totale che integra musica, danza, arte scenica e rituale da sempre caro all’autore.
L’opera non ha un vero e proprio libretto, nel senso narrativo dell’opera europea. Tutta l’azione è danzata e/o mimata.
Nelle parole di Partch, il primo atto è sostanzialmente un’uscita dall’eterno ciclo di nascita e morte rappresentato dal pellegrinaggio di un guerriero in cerca di un luogo sacro in cui scontare la penitenza per un omicidio, mentre l’ucciso appare nel dramma come spettro, dapprima a rivivere e far rivivere al suo assassino il tormento dell’omicidio, trovando infine una riconciliazione con la morte nelle parole “Prega per me!”.
Il secondo atto è invece una riconciliazione con la vita che passa attraverso la disputa, nata per un equivoco, fra un hobo sordo e una vecchia che cerca il figlio perduto. Alla fine, i due vengono trascinati di fronte a un confuso giudice di pace sordo e quasi cieco che, equivocando a sua volta, li scambia per marito e moglie e intima loro di tornare a casa, mentre il coro intona all’unisono un ironico inno (“come potremmo andare avanti senza giustizia?”) e la disputa si stempera nell’assurdità della situazione.
L’opera si conclude con stessa invocazione del finale del primo atto (“Pray for me, again”), lanciata da fuori scena.