Chi ha scritto Scelsi?

Fortunatamente sono sfuggito al festival nazional-popolare, ma ho passato la serata di sabato prima dormicchiando e poi riflettendo sulla vicenda di Giacinto Scelsi e del suo principale trascrittore, Vieri Tosatti. Riflessioni stimolate da una bella conferenza di Franco Sciannameo a cui ho assistito, nel pomeriggio, al Conservatorio di Trento, dove insegno.

La vicenda è ben nota agli addetti ai lavori (o almeno dovrebbe esserlo), ma vale la pena di riassumerla. In breve, Giacinto Scelsi (1905 – 1988), ormai riconosciuto come uno dei più importanti compositori contemporanei e anticipatore sia della minimal music che dello spettralismo (con i famosi Quattro pezzi per orchestra su una nota sola del 1959), in realtà non ha mai scritto materialmente una nota. Il suo lavoro, invece, consisteva nel registrare su nastro l’essenza delle proprie idee musicali eseguendole (spesso improvvisando) sull’ondiola (nome originale ondioline), una tastiera elettronica inventata dal francese Jenny, in grado di produrre anche quarti e ottavi di tono.

I nastri venivano poi passati a dei trascrittori che, in concerto con il compositore, trascrivevano il materiale su pentagramma, curando anche l’orchestrazione. Il principale fra costoro fu Vieri Tosatti (1920 – 1999) che, in verità, dopo la morte di Scelsi, creò anche una polemica con la dichiarazione “Scelsi c’est moi”, ma il cui contributo passò rapidamente in secondo piano.

E invece, secondo gli studi e i ricordi di Sciannameo, che fu violinista nel quartetto che curò la prima esecuzione dei brani orchestrati da Tosatti per questo organico, dovrebbe essere rivalutato perché il suo sodalizio trentennale con Scelsi lo pone in una posizione che va sicuramente al di là di quella del semplice trascrittore, al punto che molti critici che osannano la genialità sonora di Scelsi, dovrebbero invece ricordare che il “rendering audio” dei lavori di Scelsi è in gran parte opera di Tosatti, essendo quest’ultimo “l’arrangiatore” che ha materialmente orchestrato il materiale di base.

In realtà, anche secondo me, è giusto affermare che i nastri originali andrebbero stampati e diffusi (mi dicono sia in corso un lavoro di catalogazione e “pulitura” del suddetto materiale da parte della Fondazione Scelsi) perché sono proprio questi ad essere storicamente testimoni dell’idea originale di Scelsi, mentre la musica stampata dovrebbe essere considerata come una “trascrizione approvata dal compositore”.

Ma mi chiedo anche se sia proprio così. Il problema è: in che misura i nastri sono depositari dell’idea compositiva? Rappresentano la composizione in quanto unica testimonianza originale, oppure sono soltanto un ulteriore elemento di passaggio verso la formalizzazione di una idea musicale?

Sciannameo ha portato alla luce una corrispondenza risalente agli anni ’30 fra Scelsi e Walter Kline (descritto spesso come allievo di Schoenberg, ma, secondo Sciannameo, amico di Schoenberg, forse allievo di Berg) che testimonia come l’impostazione compositiva di Scelsi sia stata da sempre un po’ particolare, basata com’era sulla produzione di una idea musicale, lasciando a dei collaboratori il compito di orchestrare e a volte anche di sviluppare il concetto originario.

Questo metodo di lavoro, forse derivante anche dalla condizione aristocratica di Giacinto Scelsi, a mio avviso non ne sminuisce la genialità, ma induce a riflettere sulla genesi e sulla effettiva paternità dell’opera d’arte che, nella tradizione occidentale, è considerata un prodotto del tutto individuale, mentre spesso (e attualmente sempre di più) si rivela essere il prodotto dell’interazione di più di una mente.

Personalmente, devo aggiungere che, alla fine, quello che mi dispiace un po’ in questa vicenda è proprio il fatto che, a causa di un pregiudizio legato alla tradizione individualistica della composizione, il sodalizio Scelsi – Tosatti sia stato tenuto nascosto per molto tempo e sia ancora fonte di studi e polemiche, mentre, secondo me, sarebbe stato vissuto molto meglio dai protagonisti (soprattutto da Tosatti) se fosse stato trasparente e socialmente accettato come una collaborazione perfettamente normale fra due persone, ognuno con il proprio ruolo.

Anagamin

Nel Buddismo Theravada, Anagamin significa “uno che ritorna una sola volta”, cioè qualcuno che è sfuggito al ciclo delle morti e delle rinascite ed è destinato a reincarnarsi soltanto una volta ancora, prima del Nirvana [Britannica online].

Dal punto di vista musicale, si tratta di un brano per 12 archi composto nel 1965, una meditazione intorno a una sola nota, tema caro a Giacinto Scelsi.

Questa volta la nota centrale è il SIb che si riflette anche nell’accordatura del due violoncelli, l’uno innalzando la corda più acuta, LA, a SIb, mentre l’altro abbassa di un tono il DO grave.

De-composer

Grazie a Nicola, vi passo uno scritto di Tristan Murail su Giacinto Scelsi (tradotto in inglese). Gli esponenti della musica spettrale (Grisey, Murail, Dufourt) non hanno mai fatto mistero di considerare Scelsi come un antesignano del movimento, soprattutto per i 4 pezzi su una nota sola e in questo articolo Murail puntualizza le ragioni del suo interesse per l’opera del compositore italiano.

L’articolo è copyrighted ma è espressamente concessa la copia per uso individuale.

Tristan Murail – Scelsi, De-composer

Elohim

Continuiamo con Scelsi e con questo affascinante Elohim per 10 archi (4 violini, 3 viole, 3 celli), opera di difficile datazione perché pubblicata postuma.

Elohim (אֱלוֹהִים , אלהים) in ebraico è un plurale della parola “divinità” – Eloah (אלוה) – che ha suscitato non pochi interrogativi fra gli esegeti biblici. L’Elohim di Scelsi ruota attorno ad un accordo di 7 note (Mi, La Sib, Do, Do#, Fa#, Sol) che appare 15 volte nel corso di questo breve lavoro, inframmezzato da “risposte” che si muovono verso gli acuti, diventando via via più violente fino a creare un campo di glissandi e alla fine svanire.

Konx-Om-Pax

Restando su Scelsi, questa volta vi propongo Konx-Om-Pax, un brano per orchestra (con l’esclusione dei flauti e l’aggiunta dell’organo e di un coro misto nel finale) del 1969.

Il commento del solito Todd McComb su Classical.net è ottimo ed esauriente:

Konx-Om-Pax is also one of Scelsi’s most effective compositions, using relatively simple material projected on a broad canvas. It is scored for large orchestra (including full strings, and lacking only flutes) along with organ, and in the final movement a mixed chorus. It was premiered on February 6th, 1986 by the Hessian Radio Orchestra in Frankfurt and conducted by Jurg Wyttenbach. The title of the piece is three words meaning ‘peace,’ in ancient Assyrian, Sanskrit and Latin. It is subtitled: “Three aspects of Sound: as the first motion of the immovable, as creative force, as the sacred syllable ‘Om.’” Konx-Om-Pax is especially effective at creating a feeling of peace, and as such is a particularly useful piece for coping with the modern world.

The first movement is based entirely on C, first treated as in inner pedal, and fans out harmonically at first symmetrically and then asymmetrically with the addition of quarter tones, rising to a great climax completely elaborating the underlying C. This movement is a gradual gathering of harmonic forces, with great calming effect. The short second movement begins on F, slowly builds until unleashing a great explosion of power in the form of rapid chromatic scales engulfing everything in their path, and ends again on F. The third movement is on A (and recall that the movement from C to A was the basic feature of Quartet No. 4 (1964)) and marks the entrance of the chorus, chanting only the syllable Om, and supported by the orchestra. This movement gives the impression (however absurd it may seem) of process-music or even a fugue on the single note theme, ‘Om.’ This is accomplished by a tight interior chromaticism with microtonal variations, a careful consideration of length of utterance and inflection, and by the building of a countersubject out of harmonic resonances. The entries of ‘Om’ continue steadily throughout the slowly-paced movement. The movement is in three sections: the first builds slowly, sticking almost entirely to ‘Om’ with single note responses; the second is an extended episode dominated by the orchestra, with percussive punctuation, in which harmonic associations are worked out in more detail; and the third re- introduces the chorus on ‘Om’ along with the longer countersubject developed in the previous episode, slowly fading away in a profound ending to this majestic work.

In many ways, Konx-Om-Pax is Scelsi’s most perfect creation: it attests to his supreme power of harmony, and above all it is always effective. For many of Scelsi’s works, it is necessary to have the proper frame of mind in order to approach, but here that frame of mind is established within the twenty-minute work itself. Hence other pieces can be ineffective at times, but with Konx-Om-Pax this is never the case.

 

Uaxuctum

Continuiamo con Scelsi perché è un compositore relativamente poco conosciuto in Italia, ma osannato all’estero, soprattutto in Francia, dove è considerato l’antesignano della musica spettrale. In realtà Giacinto Scelsi è un grande compositore, come tutti con alti e bassi, ma ha contribuito a creare alcuni degli stilemi che hanno permeato tutta la musica degli anni ’60 e ’70, prima fra tutte l’idea del suono che si sviluppa a partire da una singola nota.

Qui abbiamo Uaxuctum del 1966, un brano molto drammatico, come testimonia il sottotitolo “la leggenda della città maya che si autodistrusse per motivi religiosi“. Il brano è idealmente diviso in cinque movimenti che corrispondono ad altrettanti video in You Tube. Come al solito metto la prima e i link alle altre parti,

Questo il commento di Todd McComb su classical.net

This extraordinary piece is in five movements, totaling approximately twenty minutes. In addition to the large chorus, written at an astonishingly difficult technical level, the work is scored for: four vocal soloists (two sopranos, two tenors, electronically amplified), ondes Martenot solo, vibraphone, sistrum, Eb clarinet, Bb clarinet, bass clarinet, four horns, two trumpets, three trombones, bass tuba, double bass tuba, six double basses, timpani and seven other percussionists (playing on such instruments as the rubbed two-hundred liter can, a large aluminum hemisphere, and a two-meter high sheet of metal). The chorus is written in ten and twelve parts, incorporating all variety of microtonal manipulations, as well as breathing and other guttural and nasal sounds. This piece is certainly Scelsi’s most difficult to perform, and was not premiered until October 12th, 1987 by the Cologne Radio Chorus and Symphony Orchestra. Uaxuctum is subtitled: “The legend of the Maya city, destroyed by themselves for religious reasons” and corresponds to an actual Maya city in Peten, Guatemala which flourished during the first millennium AD; in addition, the Mexican state of Oaxaca comes from the same ancient meso-American root.

This is an intensely dramatic work, and the most bizarre in Scelsi’s output. It depicts the end of an ancient civilization – residing in Central America, but with mythical roots extending back to Egypt and beyond – it is the last flowering of a mystical and mythological culture which was slowly destroyed by our modern world. In this case, Scelsi says, the Mayans made a conscious decision to end the city themselves. Uaxuctum incorporates harmonic elements throughout, and is extremely difficult to come to terms with.

The first movement, the longest of the five, is a grand overture; it begins in quiet contemplation, only to be interrupted by the violent mystical revelation of the chorus propelling this story into the present from the distant past, and then sinking back into meditative tones with a presentiment of the upcoming adventure. In the wild and dramatic second movement, we enter the world of the Mayans, complete with mysticism in all aspects of life; it is an incredible and violent tour-de-force of orchestral writing. The short third movement opens with an atmosphere of foreboding, building into a realization of things to come, and reaching a decision. After a few seconds of silence, the city of Uaxuctum is quickly destroyed and abandoned. The fourth movement is dominated by the chorus throughout, and presents the wisdom gained by the Mayans as they gradually fade into oblivion. The fifth movement returns to the opening mood, and gives a dim recollection of the preceding events which have now been told, in abstract form, to our time and civilization.

There really are no proper words to describe this amazing piece, which presents Scelsi at his most daring and innovative. It is a world all to itself, and a warning.

Here in binaural recording. Headphones are mandatory to hear the binaural effect.
Orchestre philharmonique et Choeur de Radio France – Aldo Brizzi

Pfhat

Pfhat (1974) di Giacinto Scelsi.

Si tratta di un brano nel più puro stile Scelsi in cui varie sonorità evolvono da un unico suono iniziale. L’organico è una formazione orchestrale modificata, che include piano, coro, organo e sei percussionisti, ma esclude totalmente i violini.

Pfhat was premiered by Jurg Wyttenbach and the Hessian Radio Orchestra in Frankfurt on February 6th, 1986. It is in four movements, totaling under nine minutes. The subtitle reads: “A flash… and the sky opened!” and the title is apparently chosen for its onomatopoeic quality. This is an extremely concise depiction of mystical revelation for full orchestra, divided into four brief movements each of which presents a single gesture in sound.
The first movement is based on the choir’s breathing sounds, supported by only thirteen instruments. Here we have the emergence of sound from immobility, leading into an ‘om’-ing from the tubas, and anticipating the upcoming surge of power. The very short second movement consists of a sudden ringing cluster for full orchestra and chorus, gradually fading away. The slow third movement begins with a quiet fanfare punctuated by ringing intervals, and gradually builds with the om-ing and sighing of the chorus into a large complex of sound elaborating a single note. The eerie fourth movement presents us with revelation from the open sky: the piccolo, flute, celesta, piano and organ play a very high ostinato on a semi-tone while the rest of the orchestra and chorus quickly ring high-pitched dinner bells. The glittering, crystalline and static sound is certainly unique in the symphonic literature. This work (and the last movement in particular!) is Scelsi’s most singular attempt at ushering the listener into his sound universe. The succession of movements is highly dramatic, and listening to Pfhat for the first time is certain to be one of one’s most intense listening experiences.
[Todd McComb in Classical Net]

Ko-Lho

A piece in two movements by Giacinto Scelsi for flute & clarinet Bb.
The instruments blend into a single, flowing, ecstatic ribbon of red noise. The articulations cause brief ripples in the surface illusion, but the perceived unity of the sounds is so strong that it’s easier to believe that the sound is flowing from a single instrument than from a duo. It’s those decorative, poetic nuancings of the sound that are the true life of the piece, the focus of the listener’s interest, guided by Scelsi’s intuitive inner rhythm. Quarter-tone glissandi, quarter-tones, stunning multiphonics on the clarinet, and detailed demands on the specifics of technique, such as the width of the vibrato and subtle, dynamic cross-hatchings, obsessively turn the timbres over and over in constant change as objects of contemplation.

Giacinto Scelsi – Ko-Lho, for flute & clarinet Bb (1966)

Scelsi

scelsi
Di nome e di fatto.
Perché Giacinto Scelsi ha sempre scelto di non conformarsi al mainstream dell’epoca e ha sempre proposto opere originali.
Come i Quattro Pezzi su una nota sola per orchestra da camera del 1959. Mentre il mondo musicale esce faticosamente dall’impasse del serialismo integrale, la sua opera apre la strada ad una concezione nuova dedicata all’esplorazione del timbro: Scelsi nella sua poetica musicale indaga la microstruttura del suono, sconfinando in territori fino ad allora insondati, utilizzando tecniche all’epoca non convenzionali (tra cui un uso intensivo dei microintervalli).

Qui ascoltate il primo e il secondo dei Quattro Pezzi su una nota sola per orchestra da camera (1959).

“Quando si entra in un suono ne si è avvolti, si diventa parte del suono, poco a poco si è inghiottiti da esso e non si ha bisogno di un altro suono.”