Un plauso a unamanolavalaltra che sta mettendo in linea il famoso Cuore (settimanale di resistenza umana). Allora almeno si rideva.
Questo giornale ha anche coniato una serie di espressioni che sono entrate nel linguaggio comune, come quella che vedete a sinistra.
NB: gli scan originali, che trovate sul sito di cui sopra, sono molto più grandi e perfettamente leggibili.
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La guerra dei mondi (quella vera)
Il 30 ottobre 1938 un’ondata di isteria ha colpito gli ascoltatori di una trasmissione radio in cui un annunciatore descriveva, in diretta, lo sbarco e l’attacco alla terra di astronavi provenienti da Marte.
Era “La Guerra dei Mondi”, radiodramma messo in scena da Orson Welles basandosi sul romanzo di fantascienza di H. G. Wells.
Migliaia di persone in New Jersey e a New York abbandonarono le proprie case lanciandosi in auto verso ovest nel tentativo di sfuggire a dei marziani virtuali mentre altre migliaia tempestavano di chiamate la polizia e i pompieri.
Nell’immagine vedete il monumento che ricorda la trasmissione, posto sul luogo del finto sbarco (cliccate sull’immagine per ingrandire).
Qui potete ascoltare la trasmissione stessa in formato MP3.
Come potete sentire il programma era ben congegnato. All’inizio simulava una trasmissione di musica leggera che veniva ogni tanto interrotta da annunci e interviste su quanto stava accadendo. Via via, la descrizione degli avvenimenti diventava sempre più incalzante e drammatica. Il momento in cui i marziani attaccano, si sentono urla e la trasmissione si interrompe di colpo lasciando un buco di qualche secondo, poi, è un bel colpo di teatro (minuto 17 circa).
Oggi possiamo capire perché si sia scatenato il panico. La CBS inserì un annuncio che avvisava che si trattava di un radiodramma una sola volta nel 55 minuti di trasmissione e chi si collegava senza aver sentito la presentazione iniziale cadeva di colpo nel dramma.
La cosa buffa è che lo stesso Welles, non aveva minimamente previsto quelle che sarebbero state le reazioni del suo pubblico; non aveva intenzione di creare uno scherzo, come talvolta si crede, e finita la trasmissione si recò in un teatro vicino per prendere parte alle prove serali di uno spettacolo, venendo a conoscenza del putiferio che la sua interpretazione aveva scatenato soltanto il giorno dopo.
Oltretutto, Welles pensava che l’adattamento fosse noioso, e non avrebbe voluto proporlo, se non fosse che fu costretto ad usarlo perché si ritrovava senza altro materiale interessante a disposizione.
Furono le dimensioni della reazione ad essere sbalorditive. Sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per strada. Cominciammo a renderci conto, mentre stavamo distruggendo il New Jersey, che avevamo sottostimato l’estensione della vena di follia della nostra America.
Orson Welles
In effetti, tutto avvenne nel giro di pochi minuti perché, proseguendo nell’ascolto, sarebbe stato chiaro che si trattava di un racconto da particolari come la distruzione delle città e altre cose simili.
A dire il vero, gli autori avrebbero dovuto quantomeno essere cauti. Non era il primo programma del genere. Nel 1926 un finto reportage di Ronald Knox su una rivolta a Londra venne trasmesso dalla BBC creando un certo panico in città (ma il panico inglese è niente rispetto a quello americano).
Le ragioni del cambiamento
La domanda/commento di nicola al post sul momento del cambiamento pone, in breve, il seguente problema: perché, a quel punto della storia, la musica dei morti cominciò a contare di più di quella dei vivi?
Non abbiamo una risposta definitiva, comunque, sempre secondo Sandow, all’inizio del 19mo secolo cominciò a formarsi l’idea che vedeva nell’epoca classica un periodo d’oro, di perfezione assoluta.
Così cominciò anche ad emergere l’idea di musica classica; l’idea, cioè, che la musica di alcuni compositori del passato avesse un valore trascendente, che non fosse mero entertainment e quindi che dovesse essere ascoltata con grande attenzione e che dovesse essere eseguita esattamente com’era stata scritta.
E naturalmente anche i compositori del’800 cominciarono ad aspirare a scrivere musica del genere. Una musica che esprimesse sentimenti superiori, non un semplice divertimento. Una musica che li rendesse immortali, anche. E per il romanticismo, così pieno di nostalgia, di grandi ideali e di spinta verso l’assoluto, una concezione del genere era perfetta.
Il sentimento romantico di reverenza per il passato perduto è ben rappresentato da questo aneddoto raccontato da Berlioz e riportato da Peter Gay nel suo libro The Naked Heart.
Berlioz racconta che Listz, durante un concerto, aveva suonato il Chiaro di Luna di Beethoven rovinandolo con una quantità di trilli, tremoli e abbellimenti che strappavano applausi al pubblico.
Più tardi, però, senza il pubblico e alla presenza degli amici, aveva fatto spegnere tutte le luci, suonando al buio l’Adagio dalla stessa sonata e qui Berlioz dice:
…dopo un attimo di pausa, iniziò nella sua sublime semplicità la nobile elegia che prima aveva così duramente sfigurato; ma stavolta non una nota, non un accento erano diversi da come li aveva pensati il compositore. Quello che stavamo ascoltando era la fusione dello spirito di Beethoven con il grande virtuoso. Tutti noi tremavamo in silenzio e dopo l’estinguersi dell’ultimo accordo, nessuno osava parlare… eravamo in lacrime.
Qui c’è anche il primo indizio di scissione: il divertimento per il pubblico, la profondità del sentire per un ristretto cenacolo di veggenti.
Un altro aneddoto.
Jan Swafford, nella sua biografia di Brahms, racconta che nell’ottobre del 1895, Brahms si recò a Zurigo per dirigere il suo Triumphlied all’inaugurazione della nuova Tonhalle. Entrando nella sala, guardò sul soffitto i ritratti dei grandi compositori e vide Bach, Mozart, Beethoven… e sè stesso.
Sandow fa notare come questa fosse un’esperienza del tutto nuova. Bach, Mozart e Beethoven non avrebbero mai potuto trovarsi in una situazione del genere. E ricorda anche che, già nel 1840, l’insegnante di Brahms, Marxsen, affermava che le forme musicali create da quei compositori (più Haydn) erano “eternamente incorruttibili”.
Qualcosa era cambiato. Per sempre.
Compositori e francobolli
Bello il francobollo di Ives!
Dal 1847 a oggi soltanto poco più di 800 persone hanno visto il proprio viso o il proprio nome su un francobollo delle poste usa (su un totale di 4000 francobolli).
Dire “hanno visto”, però è improprio. La prima condizione per apparire su un francobollo, infatti, è essere morti.
Non è strettamente necessario, invece, essere americani, ma bisogna essere del calibro di Dante, Gandhi o Gropius per entrarci.
I compositori rappresentati sono per la maggior parte sconosciuti da noi, per cui ho messo un link a wikipedia sul nome, così potrete farvi una cultura. L’unico straniero è Stravinsky.
Ecco la lista (l’anno è quello del francobollo). Oltre a quelli qui riportati ci sono vari jazzisti e qualche songwriter.
- Samuel Barber (1997)
- Leonard Bernstein (2001)
- George Gershwin (1973)
- Louis Moreau Gottschalk (1997)
- Ferde Grofé (1997)
- Victor Herbert (1940)
- Bernard Herrmann (1999) – musica per film come Psyco, Citizen Kane, Cape Fear e Taxi Driver
- Charles Ives (1997)
- Erich Korngold (1999) – uno dei primi neo-romantici
- Frank Loesser (1999)
- Frederick Loewe (1999)
- Edward MacDowell (1940)
- Henry Mancini (2004)
- Ethelbert Nevin (1940)
- Alfred Newman (1999) – musica da film; ha avuto 45 nomination e ne ha vinte 9
- Cole Porter (1991)
- Richard Rodgers (1999) – Broadway
- John Philip Sousa (1940)
- Max Steiner (1999) – musica da film
- Igor Stravinsky (1982)
- George Szell (1997)
- Dimitri Tiomkin (1999) – musica da film
- Franz Waxman (1999)
- Meredith Willson (1999) – film, fra cui Il Grande Dittatore di Chaplin
Telefonare è pericoloso
Ho il mal di gola e la febbre, quindi sono particolarmente caustico. La storia che vi racconto stasera non ha un lieto fine e ha qualche aspetto strano.
Una notte d’aprile del 1996, un uomo uscì da una casa immersa in una tranquilla foresta nelle vicinanze del villaggio di Gechi-Ču, a una trentina di chilometri da Groznyj, in Cecenia.
Quell’uomo era Džochar Dudaev, capo dell’esercito ceceno. L’uomo più ricercato dell’intera Russia. Il Bin-Laden di Mosca.
Cinquantadue anni, Dudaev era una figura eccezionale, per i suoi. Primo ceceno a raggiungere il grado di generale di divisione dell’esercito sovietico, aveva comandato una unità di bombardieri in Estonia fino al 1990. Rientrato in Cecenia, era entrato nelle file del movimento indipendendista e, nel 1993, aveva proclamato l’indipendenza del paese divenendone il primo presidente e un signore della guerra molto temuto. Sfuggito a numerosi attentati, per anni era sempre stato un passo avanti rispetto all’esercito russo, pur avendo una vita pubblica e concedendo interviste a tutti i corrispondenti stranieri.
Dudaev camminò fino al centro della radura, portando con sè il suo telefono satellitare Inmarsat. La telefonata che stava per fare era molto importante. La guerra, per i russi, stava andando male e Boris El’cin aveva lanciato un’iniziativa negoziale. Nonostante le assicurazioni, Dudaev non si fidava a incontrare i russi a Mosca o a Groznyj e intendeva condurre le trattative tramite intermediari, per telefono.
Quella notte, Dudaev si accingeva appunto a chiamare il suo mediatore, Konstantin Borovoij, parlamentare russo di tendenze liberali. Il telefono satellitare Inmarsat era ingombrante, ma gli permetteva di comunicare da qualsiasi luogo. Sviluppato per le comunicazioni marittime (Inmarsat = International Maritime Satellite), disponeva di una lunga antenna e di un proprio trasmettitore con cui agganciava direttamente il satellite che ritrasmetteva il segnale a terra, raggiungendo qualsiasi apparecchio.
Dudaev piazzò l’antenna e aspettò che il sistema agganciasse il satellite. Poi formò il numero. Mentre parlava, sentì il rumore di un aereo. Immediatamente dopo, due missili aria-terra colpirono la radura, diretti verso di lui, o meglio, verso il suo telefono. Uno cadde un po’ più avanti, l’altro esplose a pochi metri da lui.
Si dice che Dudaev morì con una scheggia piantata in testa. Non si sono mai viste foto del suo cadavere.
Se questo omicidio avvenisse oggi, non ci sarebbe niente di strano, ma nel 1996 gli attentatori di Dudaev dovettero dapprima usare un satellite di sorveglianza per identificare il segnale del suo telefono, poi collegarsi con un GPS per determinare la posizione del segnale. Poi allertare un aereo perché programmasse i missili in modo da usare come guida la frequenza del segnale e li lanciasse nella direzione corretta.
Il fatto strano è che nel 1996 i russi non disponevano di una tale tecnologia.
Cronologia della Musica Elettroacustica
Un po’ di autopromozione non guasta.
Vi segnalo la mia Cronologia della Musica Elettroacustica, una pagina piena di stravaganti curiosità come la voce di Edison registrata da uno dei suoi fonografi alla fine dell’800, oppure un incredibile carillon orchestrale con ance, flauti, campane, piatti, tamburi costruito in Svizzera da Gueissaz nel 1904 e inviato a San Pietroburgo per essere donato dallo Zar allo Scià di Persia, e naturalmente il suono dei primi strumenti elettrici e altro ancora.
Il 26 Settembre
Il 26 settembre non si celebra niente. Eppure qualcosa da celebrare ci sarebbe. E non qualcosa di banale. Solo che non se ne parla mai, tanto che anch’io me ne ero dimenticato.
Eppure il 26 settembre dovremmo celebrare il fatto di essere ancora vivi, perché il 26 settembre 1983 una persona ha preso una decisione che, molto probabilmente, ha evitato la guerra atomica. Ora vi racconto la storia. È un po’ lunga, ma ne vale la pena.
Nel 1983 la guerra fredda, che si trascinava dagli anni ’50, stava attraversando uno dei suoi periodici picchi di tensione. Il 1 settembre i russi avevano abbattuto il volo KAL 007, un Boeing 747 coreano che aveva a bordo 269 passeggeri (fra cui un deputato americano) più l’equipaggio, tutti morti. Il KAL 007 era un volo civile da New York a Seul che, dopo aver fatto rifornimento ad Anchorage, in Alaska, era finito fuori rotta sorvolando il territorio sovietico, con conseguente reazione russa che aveva portato all’abbattimento dell’aereo.
In realtà non si è mai saputo con sicurezza se la deviazione del volo KAL 007 fosse stata accidentale o in qualche modo preordinata allo scopo di saggiare la determinazione sovietica. Comunque sia, in seguito a questo fatto, gli attacchi americani all’URSS, che il presidente Reagan definiva apertamente “l’Impero del Male”, avevano raggiunto un notevole livello di virulenza e la tensione fra i due imperi era elevata.
L’unica cosa che impediva lo scontro diretto era la dottrina della deterrenza, in codice MAD (Mutual Assured Destruction), in base alla quale i sistemi radar dei due imperi erano in grado di rivelare i lanci dei missili della controparte con sufficiente anticipo da consentire il lancio dei propri, provocando la distruzione totale (è una semplificazione: in realtà la deterrenza si basava su uno spiegamento militare che includeva vari sistemi d’arma, come bombardieri e sommergibili, comunque il significato della dottrina MAD era questo).
In questa situazione, quel 26 settembre 1983, il tenente colonnello Stanislav Yevgrafovich Petrov, 44 anni, era l’ufficiale in servizio al bunker Serpukhov-15, presso Mosca, con il compito di tenere d’occhio i dati forniti dai satelliti di primo avviso (early warning) che per primi potevano avvistare un lancio diretto verso l’Unione Sovietica.
Poco dopo la mezzanotte, alle 00:40, i computer del bunker segnalarono un missile americano che puntava verso il territorio dell’URSS. Petrov mantenne la calma, pensando che doveva trattarsi di un errore di sistema perché lanciare un solo missile non era un attacco, ma un suicidio che lasciava all’avversario molte possibilità di risposta.
Ma poco dopo, i computer indicavano che un secondo missile era partito e poi un terzo, un quarto, un quinto.
Ora, per capire il dilemma di Petrov, bisogna sapere che il sistema di rilevamento satellitare sovietico poteva individuare un missile partito dagli USA, con un anticipo di quasi 30′ sul suo arrivo, quindi in tempo per lanciare una salva di reazione, ma il secondo avvistamento, che poteva servire da conferma, era quello dei radar di terra che, all’epoca, non erano molto efficienti, dando un preavviso di pochi minuti. Praticamene inutile.
Così, Petrov si trovava nelle difficilissima posizione di decidere se dichiarare l’informazione errata e non lanciare l’allarme oppure lanciarlo, basandosi unicamente sul proprio intuito. Se non avesse passato l’informazione, la sua patria avrebbe potuto essere distrutta senza nessuna reazione, ma se l’avesse passata, i suoi superiori avrebbero potuto decidere di lanciare una risposta e scatenare una guerra nucleare per niente.
Nessuno sa esattamente che cosa gli passò per la testa. Non ne ha mai voluto parlare, ma Petrov decise di dichiarare un falso allarme e restò nel bunker, lasciando passare i minuti, aspettando l’eventuale e tardivo segnale dei radar di terra. Segnale che, per fortuna sua e di noi tutti, non arrivò mai.
Naturalmente di questa faccenda non si seppe niente per un po’. Nessuno ne parlò perché avrebbe rivelato una inefficienza del sistema di risposta sovietico. Lo stesso Petrov passò qualche guaio. In fondo aveva disobbedito a un ordine, perché lui avrebbe dovuto lanciare un allarme e lasciare ai suoi superiori il compito di decidere. Ma non fu condannato. Soltanto trasferito a un ufficio meno critico e infine pensionato anzitempo. Una promettente carriera militare stroncata.
L’episodio venne raccontato nel 1990, un anno dopo la caduta dell’URSS, nelle memorie del generale Yury Votintsev, ex comandante della difesa missilistica dell’Unione Sovietica. Negli anni seguenti i media ne parlarono. L’Associazione Internazionale Citizen of the World assegnò a Petrov un riconoscimento pubblico nel 2004.
La Russia ha cercato di ridimensionare la cosa facendo notare che, anche se fosse stato dato l’allarme, la risposta non sarebbe stata automatica, ma soggetta alla valutazione di organi superiori e alla fine, di Yuri Andropov, il premier sovietico. È corretto, ma gli analisti della guerra fredda sono concordi nel sostenere che, visto lo stato di tensione di quel momento e la conseguente sfiducia delle alte sfere sovietiche nei confronti della presidenza USA, una guerra atomica sarebbe stata altamente probabile.
Quest’anno Petrov è stato onorato alle Nazioni Unite ed è in preparazione un documentario sulla vicenda.
Attualmente (NB: nel 2006), Stanislav Yevgrafovich Petrov ha 67 anni e vive con una modesta pensione nella cittadina di Fryazino, una piccola città scientifica, 25 km a NE di Mosca.
Update
Nel 2013 gli fu assegnato il Premio Dresda. Il film che racconta la sua storia, diretto dal regista danese Peter Anthony, è uscito nel 2014 con il titolo The Man Who Saved the World.