Numbers Stations

Quando ero piccolo (5/6 anni) non c’era la TV in casa, ma c’era una grossa radio. Onde corte, medie, lunghe.
Una delle mie passioni era proprio ascoltare la radio e soprattutto tutti quegli strani suoni che uscivano dalle onde corte. Ma più di tutto mi appassionavano certe stazioni dalle quali si sentivano voci che parlavano in strane lingue con la cadenza che non era quella di una trasmissione normale, discorsiva, ma piuttosto quella di chi leggeva degli annunci, un po’ nello stile della BBC quando mandava istruzioni ai partigiani francesi con frasi in codice ben scandite, tipo “la gatta ha mangiato tutti i gattini”, oppure come il famoso verso dalla Chanson D’Automne di Paul Verlaine trasmesso in due tranche per annunciare l’invasione: “I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno”, prima e poi, a 2 giorni dallo sbarco, l’ultima parte: “mi feriscono il cuore con monotono languore”.

Alcune stazioni, poi, erano piuttosto particolari perché trasmettevano solo serie infinite di numeri, tipicamente in inglese. “One, five, seven, six, eight”; pausa; “nine, eight, two, three, four”; pausa. E così via…
Io conoscevo i numeri in inglese e a volte li trascrivevo cercando di capire se c’era una regola, ma non ne ho mai trovate. Naturalmente immaginavo storie di spie che ricevevano le trasmissioni e poi si lanciavano a decifrare il messaggio.

Quello che allora non sapevo è che era vero. Molto probabilmente era proprio così. Quelle erano le famose numbers stations.
Io lo avrei saputo solo molti anni più tardi, all’università, ma ormai la cosa è nota, al punto da essere riportata anche da wikipedia:

Le numbers station sono stazioni radio in onde corte di origine sconosciuta. Generalmente le trasmissioni contengono una voce che legge sequenze di numeri, parole o lettere (usando talvolta un alfabeto fonetico).

Possono essere individuati tre tipi di numbers station:

  • stazioni in fonia, dove i numeri vengono pronunciati da una voce o da un sintetizzatore vocale
  • stazioni che trasmettono in codice Morse
  • stazioni che trasmettono apparente rumore

Le voci trasmesse sono spesso prodotte da un sintetizzatore vocale e usano un’ampia varietà di lingue, in particolare negli USA spesso sono udite in spagnolo, mentre in Europa le trasmissioni sono generalmente in inglese, tedesco o francese o ancora in lingue slave. Inoltre sono per la maggior parte femminili, più raramente maschili o infantili.

La convinzione popolare, supportata dalle poche prove esistenti sull’argomento, ricondurrebbe queste stazioni operazioni di spionaggio. Questa ipotesi non è stata mai pubblicamente confermata da nessuna agenzia governativa tra quelle che potrebbero gestire una numbers station, tuttavia è accaduto che una stazione, coinvolta in spionaggio, sia stata pubblicamente perseguita da un tribunale di un altro stato.

In realtà le onde corte sono ideali per una comunicazione one way (solo invio, senza risposta) e quindi per mandare ordini o avvisi, perché

  • Non hanno bisogno di ripetitori in quanto vengono riflesse dagli strati alti dell’atmosfera e quindi viaggiano seguendo la curvatura terrestre raggiungendo qualsiasi luogo; è solo questione di potenza della trasmissione
  • Si ricevono con una radio normale e non sospetta
  • Sono complesse da localizzare: bisogna tracciare il segnale in base alla direzione da cui arriva con maggior potenza e poi triangolare

In definiva vanno benissimo per inviare da uno stato, dei messaggi ai propri agenti in uno stato straniero. Il fatto che possano essere intercettate da chiunque non è un problema perché le trasmissioni potrebbero essere criptate con un codice molto forte, come il cifrario di Vernam.

Alcune di queste stazioni hanno anche ricevuto dei nicknames, come “The Lincolnshire Poacher” che trasmette da Cipro, è attribuita all’MI5 e invia le prime due battute dell’omonima canzone folk prima di ogni gruppo di numeri. Oppure la sua “cugina” asiatica che trasmette da Guam con lo stesso formato ed è chiamata “Cherry Ripe” (e naturalmente qui la canzone di stacco è Cherry Ripe). O ancora “Magnetic Fields”, che usa musica di Jean Michel Jarre, o “Atención” che trasmette da Cuba in territorio USA.
Il gruppo ENIGMA, costituitosi proprio per studiare le numbers station, le ha classificate secondo la lingua e le modalità di trasmissione. Nel 1997, l’etichetta Irdial-Discs ha pubblicato un set di 4 CD contenente registrazioni di tali trasmissioni: “The Conet Project: Recordings of Shortwave Numbers Stations”.
Oggi tutto questo materiale è distribuito liberamente dall’Internet Archive.

Ecco alcuni esempi

Sputnik 1

sputnik

UPDATE 2023

50 anni fa, lo Sputnik 1 (in russo Спутник, satellite) fu il primo satellite artificiale in orbita nella storia. Venne lanciato il 4 ottobre 1957 dal cosmodromo di Baikonur, nell’odierno Kazakistan, grazie al vettore R-7 (Semyorka). In russo la parola Sputnik significa compagno di viaggio, inteso come satellite in astronomia. Fu progettato dall’Unione Sovietica, anche grazie ai missili tedeschi V2 reperiti nella Seconda Guerra Mondiale. Il programma Sputnik ebbe inizio nel 1948, quando si intuì la possibilità di modificare missili militari in vettori per il lancio di satelliti. L’annuncio del successo del lancio venne dato da Radio Mosca la notte tra il 4 e il 5 ottobre 1957. Con il lancio dello Sputnik 1 l’Unione Sovietica prese in contropiede gli Stati Uniti, che solo il 31 gennaio 1958 mandarono in orbita il loro primo satellite: l’Explorer 1. Gli strumenti a bordo dello Sputnik 1 rimasero funzionanti per 21 giorni. Lo Sputnik 1 aveva lineamenti ben più semplici di un satellite artificiale odierno, era infatti formato solo da una sfera pressurizzata di alluminio di 58 cm di raggio e da 4 antenne lunghe circa 2,5 metri. Bruciò durante il rientro in atmosfera il 3 gennaio 1958 dopo circa 1400 orbite e 70.000.000 km.
Ecco un’immagine ad alta risoluzione dell’oggetto.
[da Wikipedia]

Un mese dopo, il 3 novembre, venne lanciato lo Sputnik 2 con a bordo la cagnetta Laika.

Il beep-beep dello Sputnik, che si poteva ricevere più volte al giorno, quando il satellite passava sugli USA, fu una doccia fredda sia per la nascente industria aerospaziale americana che per politici e militari. Nell’ottica della guerra fredda, infatti, chi poteva mettere in orbita un satellite avrebbe potuto facilmente fare lo stesso con una bomba.

La vita nella guerra fredda – Novaya Zemlya

novaya zemlya
La curiosità è l’unica cosa che non mi è mai mancata. Le prime volte che andavo in Russia, per esempio, mi chiedevo spesso cosa diavolo c’era a Novaya Zemlya.
Questo grosso ‘isolone’ (circa 90.000 Kmq, con il punto rosso in figura), il cui nome (Но́вая Земля́) significa “nuova terra” (l’ennesima “terranova”), è piazzato per la sua intera superficie oltre il Circolo Polare Artico, fra la costa della Siberia e la banchisa polare, ed è in realtà un arcipelago formato da due isole principali chiamate, con la solita grande fantasia, Се́верный (severny = settentrionale) e Южный (yuzhny = meridionale). Però le due isole sono così vicine e le coste coincidono in modo tale che è difficile considerarle separate.
Sono divise solo da una sottile linea d’acqua, una sorta di fiume marino che attraversa l’isola da parte a parte, lo stretto di Matochkin (Ма́точкин Шар), che mette in comunicazione il mare di Barents e il mare di Kara, entrambi luoghi topici durante quella guerra mai combattuta apertamente, teatri di innumerevoli operazioni ufficialmente mai esistite.
Così, quando chiedevo a qualcuno cosa diavolo c’era a Novaya Zemlya, i miei amici mi ammonivano a non fare troppe domande, aggiungendo, con un tono più o meno scherzoso, che, di questo passo, prima o poi lo avrei visto di persona, con un biglietto di sola andata.
rompighiaccioUfficialmente, all’epoca, sull’isola si trovavano soltanto due insediamenti, Krasino sull’isola meridionale, e Matočkin’šar’ su quella settentrionale, nonché il centro amministrativo di Belushya Guba, con l’annessa base aerea di Rogachevo, in cui viveva la maggior parte degli abitanti dell’isola (meno di 3000 – qui il sito della base con molte foto stupende dal punto di vista naturalistico,ma anche affascinanti per l’isolamento dei luoghi, come in questa immagine invernale di un rompighiaccio in arrivo).
In realtà, Novaya Zemlya è stata dal 1954 uno dei principali siti dei test nucleari sovietici.

Qui sono esplose circa 130 bombe nucleari, di cui 88 nell’atmosfera, 39 sottoterra e 3 sott’acqua. Qui è esplosa anche la più potente bomba atomica mai costruita, la cosiddetta Tsar Bomba, un ordigno la cui potenza è stata stimata in 57 megatoni (circa 3000 bombe di Hiroshima), ma che in origine aveva una potenza doppia (100 megatoni: 6000 bombe di Hiroshima), ridotta in fase di test per evitare un fallout radioattivo eccessivo.
È stato calcolato che se una simile bomba fosse stata lanciata su Londra avrebbe distrutto ogni cosa nel raggio di 30 km (l’intera città e i sobborghi) e incendiato tutto ciò che si fosse trovato entro 90 km dal luogo dell’esplosione.
La bomba fu sganciata il 30 ottobre 1961 alle ore 8:33 da un aereo ad alta quota nella baia di Mityushikha e fu fatta esplodere a 4000 metri dal suolo con l’ausilio di un gigantesco paracadute finalizzato a frenarne la caduta e quindi a consentire al velivolo di allontanarsi indenne.
La nube a fungo risultante dall’esplosione raggiunse un’altezza di 60 km, l’onda d’urto fece tre volte il giro del mondo (impiegando per il primo circuito 36 ore e 27 minuti) e il lampo dell’esplosione risultò visibile ad oltre 1000 km di distanza. Ci fu anche un black out delle comunicazioni radio di circa 40 minuti in tutto l’emisfero settentrionale (provate a pensarci: un black out radio di 40 minuti sull’intero emisfero).
Tuttavia, contrariamente a quanto si può pensare, fu una delle esplosioni atomiche più “pulite” in quanto trasse oltre il 97% della sua potenza dalla fusione nucleare (qui potete vedere un filmato dell’esplosione da You Tube).
Il risultato di tutti questi test è che l’isola è costellata di basi, stazioni di controllo, tunnel per le esplosioni sotterranee e altri insediamenti che oggi diventano visibili anche alle persone comuni grazie a Google Earth.
Da questa pagina di wikimapia potete accedere a tutti questi luoghi un tempo segreti, oggi ampiamente documentati.

Le isole senza lunedì

beringVisto che siamo in tema di ferie…

Lo stretto di Bering, situato fra l’Alaska e l’estremo oriente della Russia, è largo solo 53 miglia (circa 85 km). Considerato che nel mezzo dello stretto ci sono due isole, l’una russa e l’altra americana, separate da un braccio di mare di soli 3 km e che l’intero stretto è ghiacciato per tutto l’inverno, è la zona in cui l’Eurasia e l’America arrivano praticamente a toccarsi, è l’unico luogo in cui è possibile attraversare quell’immane fossa che è l’Oceano Pacifico, ma è anche il punto di contatto fra due realtà culturali diverse e per decenni nemiche.
Non è sempre stato così. Durante le ere glaciali, l’area dello stretto emergeva dalle acque formando un ponte di terra, detto Beringia, che poteva essere attraversato a piedi. I primi esseri umani arrivarono nel continente americano in questo modo durante l’ultima era glaciale, e si diffusero successivamente verso sud.
Lo stretto prende il nome da Vitus Bering, un esploratore russo (danese di nascita) che lo attraversò nel 1728. L’isolamento, il clima estremo, ma soprattutto le tensioni geopolitiche hanno fatto di questo luogo un limbo ghiacciato ai confini della realtà.
Ma la cosa più curiosa sono le due isole che si trovano esattamente nel mezzo.
islands
Diomede IslandsLe isole Diomede, così chiamate perché Bering vi mise piede il 16 agosto 1728, giorno di San Diomede, (russo: острова́ Диоми́да; ostrova Diomida, in inglese: Diomede Islands o Gvozdev Islands) sono due isolette rocciose conosciute con vari nomi: la più occidentale (russa) è detta, a seconda delle diverse lingue e culture, Grande Diomede (Big Diomede), Imaqliq, Nunarbuk, Isola di Ratmanov; l’isola orientale (USA) è invece detta comunemente Piccola Diomede, oppure, in alternativa, Isola di Krusenstern o Inaliq.
Le isole sono entrambe abitate principalmente da eschimesi che vivono in villaggi stabili dedicandosi alla pesca. Il villaggio USA, su Little Diomede, si chiama, ovviamente, Diomede City, dove city sembra essere un termine un po’ eccessivo, visto che gli abitanti, nel 2000, erano 146 (19.8 per km2, un luogo piuttosto tranquillo).
Fu al tempo della vendita dell’Alaska dalla Russia zarista agli Stati Uniti (1867) che il confine (linea gialla) venne fatto passare fra le due isole separando

equidistantly Krusenstern Island, or Ignaluk, from Ratmanov Island, or Nunarbuk, and heads northward infinitely until it disappears completely in the Arctic Ocean.

Ma non è solo il confine a dividere le due isole. Ci passa anche la linea di cambiamento data ed è la cosa più divertente perché questo significa che, quando a Little Diomede sono le 12 di lunedì, a Big Diomede sono le 12 di martedì. Di conseguenza gli americani possono letteralmente vedere il domani guardando verso ovest e dato che il domani appare invariabilmente uguale all’oggi, presumo che i casi di depressione non siano pochi. Di contro, il luogo è consigliato a coloro che non amano i cambiamenti.
Il lato positivo è che si possono vivere due volte le feste passando dall’isola ad ovest a quella a est. Quando, per es, a Big Diomede sono le 4 di mattina del primo dell’anno e ormai la festa sta scemando, basta farsi una camminata di 3 km sul ghiaccio per trovarsi in un villaggio in cui sono le 4 di mattina del 31/12, andare a dormire e rifarsi il capodanno.
La cosa letteralmente grandiosa è che qui si possono saltare completamente i lunedì.
Ragionate. Se ci si trova in Big Diomede alla mezzanotte della domenica, una camminata (o una remata) ci porta in Little Diomede alla mezzanotte del sabato. Si continua divertirsi, poi si va a dormire la domenica e alla mezzanotte della domenica si ritorna in Big Diomede, dove sta iniziando il martedì. Fantastico. Il lunedì è completamente sparito, sostituito da una doppia domenica. Wow!
Nell’immagine qui sotto: Diomede City.
Diomede Village

Il 26 Settembre

Il 26 settembre non si celebra niente. Eppure qualcosa da celebrare ci sarebbe. E non qualcosa di banale. Solo che non se ne parla mai, tanto che anch’io me ne ero dimenticato.
Eppure il 26 settembre dovremmo celebrare il fatto di essere ancora vivi, perché il 26 settembre 1983 una persona ha preso una decisione che, molto probabilmente, ha evitato la guerra atomica. Ora vi racconto la storia. È un po’ lunga, ma ne vale la pena.

Nel 1983 la guerra fredda, che si trascinava dagli anni ’50, stava attraversando uno dei suoi periodici picchi di tensione. Il 1 settembre i russi avevano abbattuto il volo KAL 007, un Boeing 747 coreano che aveva a bordo 269 passeggeri (fra cui un deputato americano) più l’equipaggio, tutti morti. Il KAL 007 era un volo civile da New York a Seul che, dopo aver fatto rifornimento ad Anchorage, in Alaska, era finito fuori rotta sorvolando il territorio sovietico, con conseguente reazione russa che aveva portato all’abbattimento dell’aereo.
In realtà non si è mai saputo con sicurezza se la deviazione del volo KAL 007 fosse stata accidentale o in qualche modo preordinata allo scopo di saggiare la determinazione sovietica. Comunque sia, in seguito a questo fatto, gli attacchi americani all’URSS, che il presidente Reagan definiva apertamente “l’Impero del Male”, avevano raggiunto un notevole livello di virulenza e la tensione fra i due imperi era elevata.
L’unica cosa che impediva lo scontro diretto era la dottrina della deterrenza, in codice MAD (Mutual Assured Destruction), in base alla quale i sistemi radar dei due imperi erano in grado di rivelare i lanci dei missili della controparte con sufficiente anticipo da consentire il lancio dei propri, provocando la distruzione totale (è una semplificazione: in realtà la deterrenza si basava su uno spiegamento militare che includeva vari sistemi d’arma, come bombardieri e sommergibili, comunque il significato della dottrina MAD era questo).
Yevgrafovich-PetrovIn questa situazione, quel 26 settembre 1983, il tenente colonnello Stanislav Yevgrafovich Petrov, 44 anni, era l’ufficiale in servizio al bunker Serpukhov-15, presso Mosca, con il compito di tenere d’occhio i dati forniti dai satelliti di primo avviso (early warning) che per primi potevano avvistare un lancio diretto verso l’Unione Sovietica.
Poco dopo la mezzanotte, alle 00:40, i computer del bunker segnalarono un missile americano che puntava verso il territorio dell’URSS. Petrov mantenne la calma, pensando che doveva trattarsi di un errore di sistema perché lanciare un solo missile non era un attacco, ma un suicidio che lasciava all’avversario molte possibilità di risposta.
Ma poco dopo, i computer indicavano che un secondo missile era partito e poi un terzo, un quarto, un quinto.
Ora, per capire il dilemma di Petrov, bisogna sapere che il sistema di rilevamento satellitare sovietico poteva individuare un missile partito dagli USA, con un anticipo di quasi 30′ sul suo arrivo, quindi in tempo per lanciare una salva di reazione, ma il secondo avvistamento, che poteva servire da conferma, era quello dei radar di terra che, all’epoca, non erano molto efficienti, dando un preavviso di pochi minuti. Praticamene inutile.
Così, Petrov si trovava nelle difficilissima posizione di decidere se dichiarare l’informazione errata e non lanciare l’allarme oppure lanciarlo, basandosi unicamente sul proprio intuito. Se non avesse passato l’informazione, la sua patria avrebbe potuto essere distrutta senza nessuna reazione, ma se l’avesse passata, i suoi superiori avrebbero potuto decidere di lanciare una risposta e scatenare una guerra nucleare per niente.
Nessuno sa esattamente che cosa gli passò per la testa. Non ne ha mai voluto parlare, ma Petrov decise di dichiarare un falso allarme e restò nel bunker, lasciando passare i minuti, aspettando l’eventuale e tardivo segnale dei radar di terra. Segnale che, per fortuna sua e di noi tutti, non arrivò mai.
Naturalmente di questa faccenda non si seppe niente per un po’. Nessuno ne parlò perché avrebbe rivelato una inefficienza del sistema di risposta sovietico. Lo stesso Petrov passò qualche guaio. In fondo aveva disobbedito a un ordine, perché lui avrebbe dovuto lanciare un allarme e lasciare ai suoi superiori il compito di decidere. Ma non fu condannato. Soltanto trasferito a un ufficio meno critico e infine pensionato anzitempo. Una promettente carriera militare stroncata.
L’episodio venne raccontato nel 1990, un anno dopo la caduta dell’URSS, nelle memorie del generale Yury Votintsev, ex comandante della difesa missilistica dell’Unione Sovietica. Negli anni seguenti i media ne parlarono. L’Associazione Internazionale Citizen of the World assegnò a Petrov un riconoscimento pubblico nel 2004.
La Russia ha cercato di ridimensionare la cosa facendo notare che, anche se fosse stato dato l’allarme, la risposta non sarebbe stata automatica, ma soggetta alla valutazione di organi superiori e alla fine, di Yuri Andropov, il premier sovietico. È corretto, ma gli analisti della guerra fredda sono concordi nel sostenere che, visto lo stato di tensione di quel momento e la conseguente sfiducia delle alte sfere sovietiche nei confronti della presidenza USA, una guerra atomica sarebbe stata altamente probabile.
Quest’anno Petrov è stato onorato alle Nazioni Unite ed è in preparazione un documentario sulla vicenda.
Attualmente (NB: nel 2006), Stanislav Yevgrafovich Petrov ha 67 anni e vive con una modesta pensione nella cittadina di Fryazino, una piccola città scientifica, 25 km a NE di Mosca.

Update

Nel 2013 gli fu assegnato il Premio Dresda. Il film che racconta la sua storia, diretto dal regista danese Peter Anthony, è uscito nel 2014 con il titolo The Man Who Saved the World.