Lo Spazio tra le Pietre

sonogramma

Ho composto Lo Spazio tra le Pietre per la manifestazione “Musica e Architettura”, organizzata dal Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda il 18/10/2008.

Dal mio punto di vista, i rapporti fra musica e architettura non si esauriscono nella pur importante questione della progettazione di luoghi per la musica, ma hanno aspetti più profondi che investono certamente la composizione e arrivano fino alla fruizione.
Se, da un lato, un edificio esiste staticamente nello spazio, non può essere apprezzato nella sua totalità senza un intervallo temporale. La sua forma globale non è mai evidente nella sua interezza, nemmeno dall’alto. Si forma nella memoria di chi ci si è avvicinato da molti lati e ha visto la sua forma perdersi, mentre i particolari costruttivi e poi i materiali diventano via via più evidenti. Analogamente, un brano musicale esiste staticamente in una qualche forma di notazione e si svela nel tempo. L’ascolto temporale ne evidenzia, via via, la struttura interna, gli elementi costitutivi e i dettagli.
Così, è possibile pensare un brano musicale come un oggetto statico e un edificio come una struttura dinamica. Ma è da un punto di vista compositivo che le analogie si fanno più strette.

Sotto l’aspetto compositivo, quando lavoro con suoni completamente sintetici che non derivano da alcun suono reale, come nel caso di questo brano, generalmente seguo un approccio top-down. Dapprima immagino una forma, spesso in termini spaziali e poi costruisco i materiali e i metodi con cui realizzarla.
Così, come nell’architettura, per me comporre un brano significa costruire i materiali di base partendo dalle componenti minime e modulare il vuoto temporale e spaziale che li separa, cercando di assemblarli in un ambiente coerente.
I parametri che manipolo, come nella musica strumentale, sono temporali e spaziali, ma, a differenza della musica strumentale, si estendono a livello microscopico. Così, la manipolazione del tempo non si ferma alle durate delle note, ma arriva ai tempi di attacco e decadimento delle singole componenti di ogni suono (le parziali armoniche o inarmoniche). In modo analogo, a livello spaziale il mio intervento non si limita all’intervallo, che determina il carattere delle relazioni armoniche, ma si spinge fino alla distanza fra le parziali che formano un singolo suono, determinandone, in una certa misura, il timbro.
Il punto, però, è che, nella mia visione della composizione, molto più importanti dei materiali sono i metodi. Anzi, anche gli stessi materiali, alla fine, derivano dai metodi. Il mio problema, infatti, non è mai quello di scrivere una sequenza di suoni e svilupparla, bensì quello di generare una superficie, una “texture”, avente una precisa valenza percettiva.
In realtà, questa è texture music. Anche quando credete di ascoltare un singolo suono, in realtà ne ascoltate minimo 4/5. E non parlo di parziali, bensì di suoni complessi, ognuno dei quali ha da un minimo di 4 parziali, fino a un massimo di circa 30. Per esempio, il SOL# iniziale, che nasce dal nulla e poi viene circondato da altre note (FA, SIb, FA#, LA) è composto da 8 suoni con pochissima differenza di altezza che si rinnovano ogni 0.875 secondi. Così si crea la percezione di un suono singolo, ma dotato di un certo tipo di movimento interno.
Texture music, micro-polifonia che si muove molto al di sotto della soglia del temperamento base 12. In effetti, qui lavoro con una ottava divisa in 1000 parti uguali e in certi punti del brano coesistono migliaia di suoni complessi contemporaneamente per generare un singolo “crash”.
Ne consegue che non è possibile scrivere a mano una “partitura” del genere. Ho ideato e programmato personalmente un software compositivo chiamato AlGen (AlgorithmGeneration) mediante il quale io piloto le masse e il computer genera il dettaglio (i singoli suoni).
AlGen esisteva già nel 1984 ed era stato utilizzato per comporre Wires, a cui questo brano deve molto, ma, mentre a quei tempi era solo un blocco di routine che il sottoscritto aveva collegato al programma di sintesi Music360 di Barry Vercoe (l’antenato diretto dell’odierno CSound), per questa occasione è stato completamente riscritto ed è un software a se stante. Nella versione odierna incorpora varie distribuzioni probabilistiche, metodi seriali, algoritmi lineari e non-lineari per controllare meglio le superfici generate e soprattutto la loro evoluzione (per una volta, i frattali non c’entrano, per ora).
Ciò nonostante, AlGen non incorpora nessuna forma di “intelligenza”. Non prende decisione in base all’armonia, al contesto, eccetera. È un cieco esecutore di ordini. Pesca in un insieme probabilistico o calcola funzioni e genera note, ma fortunatamente non pensa e non decide. Quelli che tratta sono puri numeri e non sa nemmeno se sta calcolando durate, densità o frequenze.
Di conseguenza la completa responsabilità del risultato finale è attribuibile solo al sottoscritto. Quando ascolto una massa sonora  e riguardo i numeri che ho passato al programma, capisco perfettamente perché suona così ed è solo per quello che posso fare le necessarie correzioni.

Lo Spazio tra le Pietre è stato composto nel mio studio in settembre – ottobre 2008 e sintetizzato in 4 canali mediante CSound. Algoritmo di sintesi: FM semplice.
Partitura CSound generata grazie al software di composizione assistita AlGen realizzato dall’autore.

L’intero brano è pensato come una struttura spaziale. Il suo skyline è evidente del sonogramma a inizio pagina e la sua struttura. come alternanza di forme, pieni e vuoti, è ben visibile nell’ingrandimento di un frammento di circa 1 minuto (qui sotto, come al solito potete cliccare sulle immagini per ingrandirle).

Mauro Graziani – Lo Spazio tra le Pietre (2008), computer music

Dimenticavo: con le normali cassettine da computer ne sentite all’incirca la metà.

sonogramma frammento

Nocturne

Nocturne by Gordon Green
an improvisation embellished in real time with MIDI processing software, uses the resonance of the piano to create a still, nocturnal atmosphere wherein different harmonies can be mulled over in a leisurely way. The software embellished the improvisation by cycling through repeating sets of intervals, and fragments were recalled and varied as the improvisation unfolded. The original idea for this came from the bird-call transcriptions in Olivier Messiaen’s piano music, which often use more sophisticated variations of similar techniques.

Gordon Green’s (b. 1960) varied influences include the work of Charles Ives, Morton Feldman, and Olivier Messiaen, as well as Indian music, cartoon music, and John Philip Sousa marches. His music combines the expressivity of improvised gestures with the sonic capabilities of electronics, and is informed by his work as a painter and software developer.

A native of Boston, Massachusetts, Green studied music at Vassar College in Poughkeepsie, New York and computer art at the School of Visual Arts in New York City, with additional studies at the Berklee College of Music, Juilliard School, Mannes College of Music, and New York University. His principal teachers were Rudolph Palmer and Richard Wilson. Green has been commissioned by pianist Frederick Moyer, the Ethos Percussion Group, and Schween-Hammond Duo, and supported by the Jerome Foundation, Millay Colony, and W.K. Rose Fellowship in the Creative Arts. His music can be found on the Capstone, Centaur, and JRI labels; his recent release, Serpentine Sky, is a surround-sound recording of music for multiple computer-controlled pianos.

Gordon Green – Nocturne (2001), for piano and computer-controlled Disklavier grand piano – Gordon Green performer

Miya Masaoka

masaoka laser kotoMiya Masaoka presenta se stessa come

musician, composer, sound artist – has created works for koto and electronics, Laser Koto, field recordings, laptop, video and written scores for ensembles, chamber orchestras and mixed choirs. In her pieces she has investigated the sound and movement of insects, as well as the physiological response of plants, the human brain and her own body. Within these varied contexts her performance work investigates the interactive, collaborative aspects of sound, improvisation, nature and society.

In effetti è attiva in molti campi cha vanno dalla musica per koto (anche elettrificato e in versione laser), alla musica per ensembles, al field recording e alla sperimentazione con piante e onde cerebrali, come potete vedere guardando i suoi video.

Qui vi presentiamo un estratto da For Birds, Planes & Cello. Come dice il titolo, si tratta di una composizione che utilizza una serie di field recording di aerei e uccelli. I due strati sonori sono mediati dal violoncello che agisce come elemento unificante. In questo estratto di 5 minuti (l’unico liberamente disponibile: il CD è distribuito dalla sua etichetta SolitaryB), l’azione del violoncello è limitata a lunghi suoni, più o meno armonici che si pongono come trait d’union fra le due registrazioni.

Hammerklavier

No, non si tratta della sonata 29 op. 106 di Ludwig Van, ma di un recente lavoro elettroacustico di Massimo Biasioni, qui in versione Jekyll & Hyde.

Il brano, originariamente quadrafonico, è basato su campioni registrati all’interno di un pianoforte a coda. Lo strumento non è suonato in maniera convenzionale, i campioni sono stati ottenuti percuotendo, pizzicando o sfregando con oggetti le corde e il corpo dello strumento, allo scopo di ottenere le risonanze del pianoforte piuttosto che suoni con altezza definita.

Il mezzo elettronico è stato poi utilizzato per analizzare e risintetizzare tali suoni complessi, estraendone di volta in volta determinate caratteristiche, esplorando la zona che va dal rumore al suono intonato, modificando l’attacco del suono su modello di una corda pizzicata, disponendo infine il materiale derivato nello spazio quadrifonico e assemblandolo lungo lo spazio temporale allo scopo di costruire un forma organica.
I software usati sono Max/MSP e ProTools. La durata è di undici minuti.

Qui lo ascoltate in streaming (att.ne: inizia molto piano). Potete scaricare l’intero CD “Inside the instruments (l’instrument outragè)”, con altri 4 brani, dal sito dell’autore.

Massimo Biasioni – Hammerklavier – 2008

Soft Morning, City!

Un altro brano di Tod Machover dopo Light. Anche questo è distribuito da AGP da cui potete scaricarlo in formato FLAC.

Si tratta di Soft Morning, City! che presentiamo con le note dell’autore, è per soprano, contrabbasso e suoni elettronici sia sintetici che ottenuti elaborando gli strumenti. Il testo è tratto dal monologo di Anna Livia Plurabelle, nel Finnegan’s Wake di James Joyce.

Soft Morning, City! (which was commissioned by the Calouste Gulbenkian Foundation for Jane Manning and Barry Guy) presents its qualities more immediately and directly. This is due mostly to the presence of James Joyce’s text, the final monologue from Finnegans Wake. The particular passage that I have chosen here has interested me for many years. Coming at the end of this monumental epic, it is a melancholy and moving swansong of the book’s main female character, Anna Livia Plurabelle. Now appearing as a washerwoman, she recalls her life as she walks along Dublin’s River Liffey at daybreak. Many different planes of narrative are interlaced, the mundane with the spiritual, the sexual with the aesthetic, the personal with the universal. Joyce achieves the closest thing to the temporal parallelism of music by snipping each layer of narrative into short, constantly varying and overlapping phrases. The great beauty is that Joyce creates not the eclectic choppiness that such a procedure might suggest, but a majestic form of tremendous power and sweep. It seems to me that Joyce achieves this through an organization of the over-all sound of the passage in an unprecedented way. Listening to a reading-aloud of the text, one is carried by its cadences, tidal flows, crescendos and dvina-awavs, even while being sometimes onlv half-sure . , of the meaning of certain words. it is the rare combination of polyphonic verbal richness with inherent sonic structure that makes it ideal for a musical setting.

My setting takes the form of an aria, though a rather extended and elaborate one. Attention is always focused on the soprano, who alternates between long melodic lines and short interjections that change character quickly. The double bass lends support to the soprano, provides harmonic definition and melodic counterpoint, and often adds musical commentary.

The computer tape helps to amplify, mirror and extend the myriad reflections of Anna Livia, but at the same time acts as a unifying force. To emphasize closeness to the live performers, a new process is added whereby soprano and double bass music is directly transformed by the computer, producing at times sounds that seem to fuse the two into one musical image.

The work begins in stillness, with the soprano evoking the atmosphere of morning, surrounded by an ethereal transformation of her own breath. With the entrance of the double bass, various different strands of the textual polyphony are introduced one after the other, each with characteristic music. As the sonority of the tape gets closer to that of the live instruments, the musical layers begin to overlap with greater rapidity. In the lengthy middle section, many different layers are superimposed so that at the moment of greatest intensity and complexity a new unity is formed.

From this plateau, the rest of the work is built. Quiet communion is achieved between soprano and bass. This leads directly to a long melodic section, with soprano accompanied by a continuous harmonic progression in bass and tape.

After a final moment of lonely reflection (“O bitter ending!…”), an enormous wave washes over Anna Livia and carries her away. A quiet coda uses delicate, distant images to recall the stillness of the work’s opening. A chapter is closed, a deep breath taken, and we prepare, led by Joyce’s Liffey (“Riverrun…”), to begin again.

Tod Machover, Soft Morning, City!, per soprano, contrabbasso e suoni elettronici.
Testi tratti da “Finnegans Wake” di James Joyce
Jane Manning, soprano; Barry Guy, Double Bass. Computer parts realized at IRCAM, Paris

Light

AGP ha ripubblicato recentemente alcune incisioni di musica elettronica degli anni ’80 che trovate nell’Internet Archive ai numeri 106, 107, 108 da dove potete scaricarle in FLAC.

Il 107 contiene due brani di Tod Machover, compositore americano del 1953 molto attivo anche in area multimediale.

Qui vi faccio ascoltare Light, un pezzo del 1979 scritto per l’Ensemble Intercontemporain più due flussi elettronici preregistrati ottenuti mediante elaborazione di suoni strumentali.

L’autore spiega in dettaglio il brano:

The piece takes its title from a quote by Rider Haggard, the English fantasy author: “Occasionally one sees the Light, one touches the pierced feet, one thinks that the peace which passes understanding is gained – then all is gone again.” The atmosphere and expressive content of the work reflect these words, which also influenced the choice and treatment of musical materials.

From a single melody (heard in entirety only at the climax of the piece) a complex polyphony is developed that creates layers of simultaneously overlapping, shifting musical planes, like independent clouds that move each at its own speed, and part momentarily to allow rays of light to pass through. Each of these layers is characterized by a different musical elaboration of the same basic materials. The largest contrast is between the instrumental ensemble (14 players) and two separate computer-generated 4track tapes. Each of these tapes represents a different (and opposing) approach to the elaboration of musical structures. The first uses traditional instrumental timbres and playing techniques as a starting point and transcends the “normal” by extending past the human capacities. The second explores microscopic details of sounds derived from these same instruments, although the connection between the two worlds is made clear only gradually during the course of the piece.

The instrumental ensemble is musically situated between these two approaches. It is divided into four sub groups (string quartet; woodwind quartet; piano, harp and wood/skin percussion; trumpet, trombone and metal percussion), each of which develops a distinct set of musical tendencies, and possesses a clear timbral identity. The piece was conceived for IRCAM’s experimental concert hall, or Espace de Projection, where all acoustical and physical characteristics are controllable. The instrumental ensembles are placed in the four comers of the room, on platforms, with the public seated in the middle. Tape I is distributed through 4 speakers, one placed over each instrumental group, thus emphasizing the “instrumental” departure point for this tape’s electronic sound. Tape II emanates from a set of 4 speakers placed on the ceiling of the hall, to exaggerate the separateness of this ethereal and delicate murmuring that develops gradually into the thunderous crashes that mark the climax of the piece.

The piece begins by emphasizing the distinctness of all its various layers. Each group follows its own developmental principles in a section that culminates in a series of cadenzas. After each group has had its say, all material is combined in the large solo of Tape I which builds until the first crashes of Tape II. In the quiet that follows, a new, more homogeneous order is built up gradually, and leads to a final section of delicate chamber music, where equality prevails among all the diverse elements. The main harmony of the piece provides the basis for a meditative coda, which dissolves into the isolation and bareness of the final piano notes, a shadow of the defiance and brilliance shown by the same instrument at other points of the piece.

The musical form is dramatic, the expressive mood quite romantic, and both are founded on a conviction of mine: that faced with todafs confusing kaleidoscope of equally valid parallel lifestyles, cultures and ideas, the only response is to search quietly but resolutely for a deeper truth, perhaps out of nostalgia for a lost simplicity, but hopefully from a courage aid belief in a “new order” of synthesis and unity behind the surface choas. It is this search that I have tried to portray in Light.

Tod Machover – Light (1979), per ensemble e suoni elettronici
Members of the Ensemble InterContemporain with two computer-generated tapes. Conducted by Peter Eötvös. Computer parts realized at IRCAM, Paris.

Seroton

This new sound output [Seroton EP] of Sascha Neudeck (biochemist and musician, based in vienna) is to carry out a test by the idea of different drone-interpretations. It is more a collection of different quotations in doing with such these topics. The result is quite different to his previous work, which was more noise- and random-oriented. This new section is quite a try to arrange such these things – from totally abstract elements to poetic narrative parts. Different ideas come out from an abstractness and get into an often sparely melodic part – otherwise a changeover from the lightness of sound into a deep and noise drone, which is interrupted by fragement spikes of sound. Neudeck is working only with software, sinus generators, self produced sound equipment and lately with the sidrassi organ (totally crazy tool). So I am often surprised by the result, when it sounds like a field recording. But when I see, how he works in his nerdy laboratory, I understand that his output can irritate.

[ liner notes by Heribert Friedl / photo by Sascha Neudeck ]

Some excerpts

The Seven Wonders of the Ancient World

La particolarità di questo brano di David Jaffe risiede nel fatto che si tratta di un concerto per pianoforte in cui la parte del solista è eseguita da un percussionista (Andrew Schloss) che controlla un pianoforte midi (il disklavier) per mezzo del Radio Drum.

Si tratta di un dispositivo i cui battenti inviano a quattro sensori disposti agli angoli della tavola, la loro posizione in termini di X, Y e Z.
Questi dati vengono utilizzati per calcolare il punto di impatto e la forza, ma vengono inviati sempre, non solo quando i battenti toccano la superficie. Ne consegue che un apposito software può anche utilizzare il movimento dei battenti in aria per ricavarne dei dati che vengono poi trasformati in note midi inviate al disklavier.
Si tratta quindi di una interfaccia che rileva il movimento, non di una semplice percussione digitalizzata.

Il brano è scritto per pianoforte e ensemble strumentale (mandolin, guitar, harp, harpsichord, bass, harmonium and 2 percussionists). Ecco un estratto.

Varie note sul brano sul sito di Jaffe.

Il Nome

Il Nome è un brano elettroacustico (soprano + nastro magnetico) composto da Richard Karpen nel 1987 su testo tratto da “Il nome di Maria Fresu” di A. Zanzotto + un verso dall’Orfeo di Monteverdi.
Maria Fresu è una delle 84 persone uccise nell’attentato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Non è rimasto niente di lei (Karpen è stato in Italia vari anni e ha lavorato al CSC a Padova).

Il materiale sonoro è formato in gran parte da elaborazioni della voce del soprano. Vengono utilizzati anche vetri rotti, una singola nota di violino e un tam-tam. Le elaborazioni sono in buona parte cambi di altezza o stretching temporale senza alterazione dell’altezza (in qualche caso la durata è stata estesa fino a 20 volte l’originale) + filtraggi. Grande attenzione è posta alla sovrapposizione e concatenazione dei frammenti.

Testi

E il nome di Maria Fresu
continua a scoppiare
all’ora dei pranzi
in ogni casseruola
in ogni pentola
in ogni boccone
in ogni rutto – scoppiato e disseminato –
in milioni di dimenticanze, di comi, bburp.
A. Zanzotto, Il nome di Maria Fresu, da Idioma, Milano, Mondadori, 1986

Tu sei morta, mia vita, ed io respiro?
Tu mi hai lasciato per mai più tornare, ed io rimango?

No.
Monteverdi – Orfeo

Richard Karpen – Il Nome (1987), per soprano e banda magnetica – J. Bettina, soprano

Richard Karpen is a native of New York, where he studied composition with Charles Dodge, Gheorghe Costinescu, and Morton Subotnick. He received his doctorate in composition from Stanford University, where he also worked at the Center for Computer Research in Music and Acoustics (CCRMA).
He has been the recipient of many awards, grants and prizes including those from the National Endowment for the Arts, the ASCAP Foundation, the Bourges Contest in France, and the Luigi Russolo Foundation in Italy.
Founding Director of the Center for Digital Arts and Experimental Media (DXARTS) at the University of Washington.

Les Chants de l’Amour

Gérard Grisey – Les Chants de l’Amour (1982-84), per 12 voci e nastro magnetico

La scrittura delle parti affidate ai 12 cantanti è basata non su delle parole, ma su vocali e dittonghi estratti dalla analisi spettrale della frase “I love you”. Vengono inoltre utilizzate alcune interiezioni sonore come sospiri, scoppi di risa o frammenti della stessa frase.

La parte elettronica è stata sintetizzata all’IRCAM mediante il programma “Chant”, la cui caratteristica è di creare delle vocali artificiali molto malleabili che agiscono a tratti da collante, a tratti come elemento complementare o di contrasto rispetto alle voci reali.

Intelligentemente, Grisey utilizza le vocali anche nella maggioranza delle parti cantate, riuscendo così a fondere le voci reali con i materiali generati dal programma.

“Vedo i suoni come fasci di forza orientati nel tempo, infinitamente mobili e fluttuanti”.

La lezione di Stimmung è presente e Grisey la supera, inventando un brano estremamente mobile, con una scrittura a tratti quasi pirotecnica, che unisce i tratti fondamentali dello spettralismo a una notevole forza espressiva.