A Pierre. Dell’Azzurro silenzio, inquietum

Luigi Nono: A Pierre. Dell’Azzurro silenzio, inquietum (1985)
a più cori, per Flauto contrabbasso in Sol, Clarinetto contrabbasso in Si bemolle e live electronics(1985)

Roberto Fabbriciani, Flauto
Ciro Scarponi, Clarinetto

Possibilmente ascoltatelo con qualcosa di meglio delle cassettine da computer.

Dedicato a Pierre Boulez per i suoi 60 anni (compiuti il 26 marzo 1985), A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum fu eseguito per la prima volta il 31 marzo 1985 a Baden-Baden, con Roberto Fabbriciani, Ciro Scarponi e la realizzazione live electronics dell’Experimentalstudio di Friburgo. La partitura porta la data 20 febbraio 1985.

La collaborazione con Fabbriciani (flauto) e Scarponi (clarinetto) e l’indagine sui loro strumenti ha un posto di grande rilievo nella ricerca dell’ultimo decennio di Nono, nello scavo nella vita interiore del suono compiuto con l’aiuto dell’elettronica dal vivo e di alcuni interpreti congeniali. La ricchezza di armonici del flauto contrabbasso è uno degli aspetti indagati nel pezzo, dove l’apporto degli strumentisti dal vivo e quello del live electronics è difficilmente distinguibile, perché si persegue una compiuta integrazione, una fusione tra suoni dal vivo e suoni elaborati elettronicamente: insieme formano una fascia sonora ininterrotta caratterizzata da un continuo fluttuare, da una mobilità interna delicatissima e incessante, composta nello spazio e per lo spazio, alle soglie tra il suono e l’ “azzurro silenzio”.

Mobilità e spazialità sono aspetti decisivi e spiegano perché Nono può usare a proposito di un pezzo per due strumenti l’espressione ‹‹a più cori››, riprendendo la terminologia veneziana del secolo dei Gabrieli, da lui usata in molte altre occasioni (ad esempio chiamò “cori” i sette gruppi strumentali di No hay camino, hay que caminar…Andrej Tarkovskij).

Scrisse nel breve testo di presentazione:
Più cori continuamente cangianti per formanti di voci-timbri-spazi interdinamizzati e alcune possibilità di trasformazione del live electronics ‹‹Più cori continuamente cangianti››: di questo appunto si tratta. Nella parte dei due solisti, con dinamiche quasi sempre comprese tra “piano” (p) e “pianissimo” (ppppp), con rare incursioni fino al “mezzo forte”, è richiesta una continua varietà di modi di emissione, dal suono in emissione ordinaria a quello in cui prevale il rumore d’aria, con presenza variabile o assenza di altezze determinate, dai sovracuti suoni “eolien”, ai suoni con fischio, ai cluster, ai bicordi di armonici, dove talvolta dovrebbe apparire, come intermittente, discontinuo “suono ombra”, il suono fondamentale dei bicordi.

L’elettronica, determinante per l’articolazione nello spazio, aiuta a rendere percepibili i suoni degli strumenti, di incorporea levità, li trasforma e se ne appropria attraverso il “delay”, facendo in modo che con breve “ritardo” il suono registrato entri a far parte del suono complessivo. Con il delay il suono dello strumento si ascolta anche quando il solista tace, e anche in questa continuità si riconosce un aspetto della fusione tra strumenti ed elettronica che è determinante nel pezzo.
[Paolo Petazzi in cematitalia]

Nota mia:
Il ritardo di cui sopra non è propriamente breve, musicalmente parlando. Si tratta di due delay di 12 secondi, a tratti utilizzati anche in serie per un totale di 24 secondi. In questo modo si crea il continuum sonoro.

Sonorità Liquide

Sonorità Liquide è una proposta del gruppo Handmade Music, dedito alla progettazione e costruzione di strumenti elettroacustici e sculture sonore.

Il filmato, che spiega anche il funzionamento delle sculture sonore, si riferisce alla rassegna del 2007, rinnovata, con altre installazioni, pochi giorni fa, il 15 luglio, sempre alla Casa da Música a Porto.

I patch di composizione algoritmica e di sintesi sono sviluppati in Max/MSP mentre i sensori sono stati elaborati basandosi sull’Arduino board. Ideazione e realizzazione di Rui Penha con la collaborazione di Luís Girão.

Vaporetti e orologi

Dopo una visita alla Biennale di Venezia, Andreas Bick ha composto un brano formato unicamente dai suoni dei vaporetti. I vaporetti sono una parte fondamentale del paesaggio sonoro veneziano e spesso sono vissuti con fastidio (io li chiamavo “grande sforzo, piccolo movimento”), ma qui diventano una sogente sonora ricca e interessante.

Eroica Spettrale

Jeff Harrington definisce la sua musica come:

Music that is tonal and intensely contrapuntal inspired by New Orleans and classical music traditions.

Se così fosse, non sarebbe molto interessante per me. Ma poi, invece, estrae dal cappello un brano come questo:

Sonic rainbows descend from the clouds of the Eroica. The beginning of Beethoven’s Third Symphony hyper-spatially paraphrased through time extension, pitch warpings and deep space phase-shifting effects; immensely vast, sublime, beyond…
[…]
Credits: Ludwig van Beethoven, musical vision. Realized in part with SuperConductor software. Eroica Symphony interpeted by Dr. Manfred Clynes. Adjuctant consultant/composer Elsie Russell. Csound realization with reverb and phase-shifting orcs by Sean Costello; Feedback Delay Network Reverb model from Julius O. Smith, III.

Jeff Harrington – Eroica Spettrale

Steampunk synth

Queste bellissime immagini (clicca per ingrandire) si riferiscono a un sintetizzatore modulare + sequencer & switchboard in perfetto stile steampunk. A quanto ho capito, questo oggetto è stato costruito da tale Christian Günther per Moritz Wolpert, già noto per il suo Heckeshorn, uno strumento a corde pizzicate o percosse, di foggia altrettanto steampunk, di cui potete vedere alcuni video qui sotto.

Si tratta, in pratica, di una slide guitar arricchita da un capotasto mobile al posto del tubo infilato nel dito. La musica è banalmente tonale, ma è talmente minimale e priva di fronzoli da risultare piacevole.

On a Windy Day

“Written in 2003, On a Windy Day was inspired by wind chimes in Buddhist temples set deep in the mountains of Korea, where I used to visit as a child. I vaguely remember one afternoon hearing the chimes start to ring so softly and randomly that at first I didn’t even notice them. Then the wind got gustier and gustier, and the chimes got louder and faster along with the sound of leaves on the trees surrounding the temple, eventually creating this mass of loud, intense, intricate sound. Then, as soon as the wind calmed down, everything went back to its serene surroundings, yet left me with all those tingling sounds lasting in my ears.

“To emulate this experience, I wrote a descriptive score for metallic percussion and had it performed live a few times by various players; the end result was never satisfactory. However, as soon as I heard John Hollenbeck’s incredible interpretation of this score in a studio, I was more than ecstatic. An idea came to me to add Ikue Mori’s unique electronic sounds and bring even more depth and surrealism to the piece. The final recording is better than I’d ever imagined and feels just like revisiting that windy day from my long-gone childhood.”

[Okkyung Lee]

Okkyung Lee (b. 1975) is a composer and cellist whose music fuses her classical training with improvisation, jazz, traditional Korean music, and noise. Lee was born and raised in Daejon, Korea, and attended arts schools in Seoul. In 1993 she moved to Boston, Massachusetts, where she studied at Berklee College of Music and with Hankus Netsky at the New England Conservatory of Music. Since relocating to New York City in 2000, Lee has been very active in the downtown music scene, performing and recording with artists such as Derek Bailey, Nels Cline, Anthony Coleman, Shelley Hirsch, Eyvind Kang, Christian Marclay, Thurston Moore, Ikue Mori, Jim O’Rourke, Zeena Parkins, Marc Ribot, Elliott Sharp, and John Zorn, among others.

  • Okkyung Lee – On a Windy Day (2003), for percussion and electronics

Retroscan

Chris Brown‘s (b. 1953) music stems from the intersection of many different musical traditions and styles, including classical music, traditional Indonesian, Indian, Afro-American, and Cuban musics, and contemporary American experimental music. He has worked extensively with electronics, from amplified acoustic devices and analog sound modification to custom-made interactive computer systems. Collaboration and improvisation have played a significant role in the development of his work.

This [Retroscan] is the final section of a larger solo work Retrospectacles, in which the whole range of sounds possible from the piano, including sounds made directly on the strings, the frame, as well as the keyboard, provide sources for live electronic transformation by an interactive computer program. The music is a narrative about memory: each sound evolving out of the last, each playback with constantly varying pitch/time of sounds that have recently passed.
[Chris Brown]

 

  • Chris Brown – Retroscan (2003), for piano & live electronics
    Chris Brown, piano, live electronics

1987

Un breve ma affascinante brano di Anna Clyne, giovane (nata nel 1980) compositrice inglese trapiantata a New York.

Di 1987, per flauto, clarinetto, violino, violoncello e nastro, composto nel 2008, l’autrice dice soltanto

Memories tucked away and tangled in threads of beads in the corner of her glass box.

 

Musica di Jean Dubuffet

dubuffetNon è un errore di stampa. Jean Dubuffet (1901-1985), scultore e pittore francese di fama mondiale, ha scritto anche della musica. Più che scritto, però, bisognerebbe usare il termine “realizzato”, trattandosi di musica concreta, in parte di origine strumentale, della quale non esiste alcuna partitura.

Oltretutto, lo stesso Dubuffet dichiara:

I find that true music should not be written, that all written music is a false music, that the musical notation which has been adopted in the west, with its notes on the staves and its twelve notes per octave, is a very poor notation which does not permit to notate the sounds and only allows the making of a totally specious music which has nothing to do with true music. It is impossible to write true music, except with a stylus on the wax, and this is what they do now in recordings.
This is a way of writing and the only one that’s proper to music.

Il suo metodo compositivo, infatti, consisteva nell’improvvisare liberamente con diversi strumenti occidentali e orientali, nonché con oggetti trovati, registrando il tutto, per passare, poi, a una fase di montaggio usando vari registratori e un mixer.

In realtà, Dubuffet aveva studiato musica da giovane, ma poi non l’aveva mai praticata o studiata con continuità. La sua attenzione era stata risvegliata, alla fine del 1960, da una serie di improvvisazioni fatte per divertimento con l’amico Asger Jorn. Ma poi la passione si era risvegliata al punto che

I transformed a room in my house into a music workshop and in the periods between our get-togethers with Asger Jorn I became a one-man band, playing each of my fifty-odd instruments in turn. Thanks to my tape recorder I was able to play each part successively on the same tape and have the machine play everything back simultaneously.

E poi

The subsequent recordings are the result of two diverging approaches which I hesitated between and which are probably both apparent in at least some pieces. The first was an attempt to produce music with, a very human touch, in other words, which expressed people’s moods and their drives as well as the sounds, the general hubbub and the sonorous backdrop of our everyday lives, the noises to which we are so closely connected and, although we don’t realize it, have probably endeared themselves to us and which we would be hard put to do without. There is an osmosis between this permanent music which carries us along and the music we ourselves express; they go together to form the specific music which can be considered as a human beings. Deep down I like to think of this music as music we make, in contrast to another very different music, which greatly stimulates my thoughts and which I call music we listen to. The latter is completely foreign to us and our natural tendencies; it is not human at all and could lead us to hear (or imagine) sounds which would be produced by the elements themselves, independent of human intervention.

Dubuffet dichiara anche:

In my music I wanted to place myself in the position of a man of fifty thousand years ago, a man who ignores everything about western music and invents a music for himself without any reference, without any discipline, without anything that would prevent him to express himself freely and for his own good pleasure.

Da queste improvvisazioni sono nati due dischi che potete trovare in formato flac su AGP74 e AGP79.

Intanto alcuni estratti:

Grande Polyphonie

L’opera più rappresentativa di François Bayle (di cui abbiamo già parlato qui) messa in linea da Avant Garde Project. Ve la presentiamo qui in un’unica playlist della durata di circa 36′ (putroppo ci può essere un piccolo intervallo fra un brano e l’altro).

L’intera composizione può essere scaricata in formato flac da AGP sia in 16 che in 24 bit.

Lo schema del brano, tratto dalle note di programma, è il seguente:

  1. Appel…
  2. …aux lignes actives
    The simplest concrete element, the line, thin and melodic arrives fastest at an abstraction of qualities. Active, passive, or intermediate, the true line is, according to Klee, the line subjected to a strong tension.
  3. …aux notes repetées
    Brief, equal, clear values scrabled by the patter of bells emitting call signals. Rigid, transposed, very tense repetition. Followed by a third, deep, abbreviated repetition. Transition, interrupted rubato.
  4. …au jardin
    A polyphony of space and colors. Contrast between very brief, delicate fragments–dry versus fluid – and ample quivering sheets having harmonic colors – static versus moving.
  5. …figures doubles
    Combination of symmetries. Two contrasting parts – like male and female – organized in series of paired cells. These are varied up to the eighth repetition, where the first element is then brought to a completion. The mirror-repeats are enriched with successive transformations through added harmonics.
    Then a new, very dynamic element appears – a man’s mask bringing tidings…
  6. …grande polyphonie
    A brief moment in the guise of a preface prepares the final “rappell”. Seven interconnected sections [a me sembrano 5, nota mia; le sezioni sono 7 in tutto] – though it is not immediately clear how they are related. Various sound signals are heard at frequent intervals, making it manifest that the role of the previous polyphonies was to lead up to the final combination. This makes it possible to listen in a musical way with a great deal of freedom, independence, superposing different voices. All the sound spaces used here resemble each other, from the more artificial and abstract ones to the totally concrete ones, which range from bird calls and songs to human calls and songs.
    And finally, the initial call signal dissolves in a long breath,
  7. Rappell…