Ma la musica elettronica esiste?

True electronic music does not imitate the classical orchestra or lend well worn melodies the cloak of unexpected timbres – it exists to evoke the hitherto unknown. And it comes from circuits and wires, though I do not believe that electronic sound is “unnatural”, as some people might.
La vera musica elettronica non imita l’orchestra classica e non presta un mantello di timbri inattesi a melodie ben formate – essa esiste per evocare ciò che fino ad ora è sconosciuto. E nasce da circuiti e cavi, ciò nonostante io non credo che il suono elettronico sia così “innaturale” come qualcuno pensa.
[David Lee Myers, 1988]

Credo di poter tranquillamente dire che queste parole sono condivise, almeno in linea teorica, dalla maggior parte dei compositori che lavorano nell’area della musica elettronica (o della musica digitale, visto che l’elettronica analogica praticamente non esiste più).
Personalmente le condivido. Tuttavia, dopo un primo periodo decisamente improntato alla sperimentazone, mi sembra che la situazione attuale veda un momento di riassorbimento della musica elettronica nell’area della musica strumentale sia sotto il profilo dell’esecuzione che sotto quello dell’estetica.
Mi rendo conto che può trattarsi semplicemente di un periodo di assestamento benefico che può portare all’entrata della musica elettronica nella più generale concezione di “musica”, ma, in ogni caso, la mia impressione è che, in questo processo, qualcosa di importante vada perso.

Il problema dell’esecuzione

Per quanto riguarda l’esecuzione, è sempre piuttosto difficile, almeno in Italia, proporre concerti di sola musica elettronica, senza strumentisti live. Qualcuno sostiene trattarsi di una necessità connaturata alla fruizione musicale. Può darsi. Ma si tratta di una necessità reale, cioè legata alla qualità della musica prodotta oppure soltanto psicologica, determinata dal fatto che il pubblico non accetta di rivolgersi a un palco vuoto?
Per quanto mi riguarda, propendo per la seconda ipotesi. Racconto una mia esperienza. Una volta ho eseguito in concerto un brano elettronico suonando in playback. Per dirla in termini terra-terra, mi sono presentato su un palco con un computer, un mixer e qualche altro ordigno che ho manipolato dal vivo con mosse collegate alla musica che in realtà il computer stava riproducendo senza nessuna partecipazione da parte mia, leggendo un file.wav (inutile chiederlo; non dirò mai quando è stato). La cosa è perfettamente possibile e molto facile, se pensate che in entrambi i casi (CD o esecuzione live) il suono esce solamente dalle casse.
In quell’occasione il mio brano ha avuto un buon successo, che non so se avrebbe avuto in egual misura se fosse stato proposto come una riproduzione da CD. Ma quello che mi ha veramente colpito è stato il fatto che alcune persone, musicalmente non ingenue (anche qualche compositore), che conoscevano il pezzo per averlo ascoltato a casa propria su CD, sono venute a complimentarsi dicendomi che quel brano, eseguito dal vivo, acquistava una grande intensità rispetto alla versione registrata, mentre ovviamente era perfettamente identico.
Ora, cercate di capire: in quell’occasione non ho voluto prendere in giro nessuno. Si trattava di un esperimento che, ammetto, è andato al di là delle mie aspettative, ma mostra ancora una volta quanto la nostra percezione della realtà sia confusa.
In realtà quelle persone non sono stupide. Semplicemente era la prima volta che sentivano il brano a un volume da concerto, in una sala con buona acustica e con 4 ottime casse, trovandosi, quindi, totalmente avvolte nel suono, invece che in una situazione casalinga con solo 2 casse frontali, di solito piccole, non eccelse e soprattutto a volume medio-basso.
Tutto ciò mi porta a concludere che la difficoltà di accettazione dell’esperienza acusmatica (ascolto del suono isolato da un contesto visivo: acusmatiche erano le lezioni di Pitagora che parlava ai discepoli nascosto da una tenda perché potessero concentrarsi esclusivamente sulle sue parole) sia principalmente di carattere psicologico. Ovviamente mi piacerebbe sentire molte altre opinioni.

Il problema estetico

Il problema estetico si può riassumere in queste parole: nel comporre un brano elettronico deve essere cercata una estetica specifica alla musica elettronica, strettamente legata allo strumento elettronico e da quest’ultimo determinata? Magari anche a costo di rinunciare a una maggior facilità di ascolto?
Se, per esempio, penso a un pezzo storico come Kontakte, vedo una grande coerenza compositiva in cui la scelta del materiale di base e della tecnica di sintesi determinano in gran parte il risultato finale.
Al contrario, ultimamente mi capita molto spesso di ascoltare brani per strumenti ed elettronica in cui quest’ultima è piegata alle esigenze strumentali, a cominciare dall’uso del sistema temperato fino alla costruzione dei suoni. In questa situazione l’elettronica è vista come un allargamento delle sonorità strumentali, ma non sviluppa un discorso autonomo.
Nello stesso tempo, sento delle composizioni strumentali che, dal punto di vista teorico, verrebbero molto meglio se fossero fatte con l’elettronica. Consideriamo, per esempio, la musica spettrale francese. Ora, io apprezzo questo tipo di musica, la ascolto volentieri e spesso mi piace. Quando, poi, guardo le partiture, le vedo piene di quarti di tono che l’esecutore, per quanto preparato, esegue sempre vagamente e non tutti.
Allora ne deduco che, rispetto ai suoi presupposti teorici, la musica spettrale è una farsa oppure la nozione di “spettralità” è soltanto una fonte di ispirazione perché è inutile pretendere che uno strumentista piazzi una nota sull’11mo armonico di un DO, cioè esegua un FA# calante di una quantità che è oltretutto diversa dal quarto di tono. Evidentemente questa musica sarebbe molto più coerente con la propria teoria di base se fosse elettronica. Questa cosa mi sembra così evidente che mi chiedo se la rinuncia all’elettronica da parte di questi compositori sia dettata da incapacità, necessità (non si vive senza dare una partitura agli editori) o scelta personale.
E di conseguenza mi chiedo anche se la musica elettronica come io la concepisco, cioè come mezzo espressivo autonomo, portatore di una propria estetica, eventualmente utilizzabile insieme agli strumenti tradizionali, ma senza perdere le proprie caratteristiche, esista ancora.

Le domande

In pratica, alla luce di queste considerazioni, gli argomenti di riflessione, su cui sollecito un intervento sia da parte dei compositori che degli studenti (ma anche da chiunque si interessi alla musica) sono i seguenti:

  1. Attualmente è concepibile una musica priva di esecutore visibile o no?
  2. Una estetica propria della musica elettronica e ad essa specifica è ancora possibile?

Mi piacerebbe qualche risposta (potete anche dire che sono sbagliate le domande…)

639 anni di Cage

In realtà succede per caso, però sono molto contento di aprire questo blog parlando di John Cage.
Nella piccola chiesa di St. Burchardi, in Halberstadt (Germania), è in corso l’esecuzione di Organ2/ASLSP di Cage, iniziata nel 2001, la cui durata prevista è di 639 anni (finirà nel 2639).
In breve 🙂 la storia è questa.

La Composizione

L’ASLSP originario è un brano del 1985 per pianoforte solo: 4 pagine manoscritte, nello stile sparso e delicato dell’ultimo Cage. Il titolo è insieme una indicazione esecutiva e un riferimento al sempre presente Finnegan’s Wake:

The title is an abbreviation of ‘as slow as possible.’ It also refers to ‘Soft morning, city! Lsp!’ the first exclamations in the last paragraph of Finnegans Wake (James Joyce).
(Cage, note collegate alla partitura)

Si tratta di un lavoro in 8 sezioni, una delle quali, all’atto dell’esecuzione, deve essere omessa e sostituita con una qualsiasi altra, che, quindi, viene ad essere eseguita due volte.
La notazione è quella tipica di molti lavori di Cage, con parti non correlate fra le due mani, ma da eseguirsi simultaneamente. Le altezze sono scritte in modo preciso, mentre le durate devono essere calcolate, con una certa approssimazione, in base alla distanza fra le note. Il tempo e la dinamica sono liberi (ma quest’ultima dovrebbe essere soft). Nelle diverse esecuzioni, la durata varia fra 6 e 25 minuti.
Nel 1987, su suggerimento dell’organista Gerd Zacher, l’indicazione strumentale venne estesa all’organo e il titolo divenne Organ2/ASLSP. Chiaramente, la versione per organo è radicalmente diversa da quella per piano. Da un lato, infatti, scompare quel delicato gioco di risonanze generato da alcuni tipici manierismi cagiani, come quello degli accordi eseguiti in staccato, tranne una nota che può essere tenuta anche oltre l’estinzione e vibra per simpatia come un pedale tonale. Dall’altro, però, il cambiamento investe in modo sostanziale l’interpretazione dell’indicazione “as slow as possibile” che può essere estesa praticamente all’infinito, grazie alle note tenute. Se, con il pianoforte, tenere un accordo per 10 minuti non ha senso o, al massimo, ha un senso cagiano (l’irrompere dei suoni esterni nello spazio che si crea nella composizione), con l’organo siamo al bordone potenzialmente infinito alla La Monte Young.
In effetti, nel 1997, a Trossingen, organisti e musicologi riuniti a congresso si trovarono a dibattere, fra l’altro, dell’interpretazione di quel “as slow as possibile”, contemplando anche la tesi estrema di una composizione che trascende i limiti non solo del tempo di un concerto tradizionalmente inteso, ma del tempo stesso (il desiderio di eternità è connaturato alla specie umana). Di qui, il progetto.

Il Progetto

Il progetto è quello di una esecuzione, localizzata in Halberstadt, della durata di 639 anni. Perché Halberstadt e perché 639 anni?
Semplicemente perché la cattedrale di Halberstadt ospita il primo organo liturgico di cui si abbia notizia, il Blockwerk organ di Nikolaus Faber. Questo strumento è anche il più antico organo esistente con tastiera a 12 note organizzata secondo lo schema di quelle attuali, il che comunque non comporta una accordatura temperata. La suddetta tastiera risale, infatti, al 1361, cioè 639 anni prima del 2000, anno del secondo millennio e della presentazione del progetto.
C’è, dunque, un collegamento simbolico, un passaggio di testimone fra uno degli organi più antichi e il più popolare compositore contemporaneo (oggi, su Google, John Cage ha 26.800.000 reference, Stockhausen 3.170.000, Boulez 2.520.000, Schoenberg 5.130.000, Webern 1.520.000 e il sottoscritto meno di un migliaio. Per confronto, l’intera famiglia Bach ne ha 78.300.000).
Il luogo dell’esecuzione è la cappella sconsacrata di St. Burchardi, una delle più antiche d’Europa (ca. 1050), più volte semidistrutta e ricostruita e attualmente lasciata in stato di degrado. Si è reso, quindi, necessario un restauro. Nella stessa, inoltre, è stato anche piazzato un nuovo organo che è tuttora in via di ampliamento (nuove canne vengono installate via via che si rendono necessarie altre note).
L’esecuzione è iniziata nel 2001, il 5 Settembre, data di nascita di Cage, il cui spirito ironico si è manifestato alla cerimonia di apertura quando l’organista si è limitato ad avviare lo strumento e andarsene, in quanto la partitura inizia con una pausa la cui durata, fatti i debiti calcoli, risulta essere di un anno e mezzo.
Solo nel febbraio 2003 si sono sentite le prime note: una triade SOL#,SI, SOL# alla quale, nel 2004, si sono aggiunti due MIb in 8va, destinati a terminare il 5 Maggio di quest’anno. Il 2006 è comunque un anno ricco di eventi perché il 5 Gennaio quel che rimaneva del primo accordo era stato sostituito dal secondo: LA, DO, FA# (ovviamente i tasti vengono bloccati con dei pesi).
Per convenzione, tutti i cambiamenti vengono eseguiti il 5 di ogni mese alle 5 pm, sia per ricordare il giorno di nascita del nostro, che per facilitare la vita ai turisti.
Infine, per la modica cifra di € 1000, potete dare il vostro nome a un anno e sponsorizzare parte del progetto (anche in condivisione): una targa metallica viene piazzata sul posto con il vostro nome e una frase di vostra scelta. Gli anni fino al 2010 e anche altri nell’arco di una vita umana, sono già stati venduti. Più avanti nel tempo c’è ancora molto posto, sebbene alcuni ottimisti abbiano già acquistato il 2639.

Qualche riflessione

IMNHO (in my never humble opinion), credo che i sospetti di strumentalizzazione che nascono inevitabilmente di fronte a operazioni di questo tipo, possano essere messi da parte. Se, da un lato, è vero che la connessione con Cage può apparire forzata e gratuita (ci sono vari autori contemporanei più significativi per l’organo rispetto a lui, per es. Messiaen, e la stessa idea di composizioni che durano anni è di La Monte Young), è anche vero che nessuno ha proposto sfide visionarie come il nostro e che con questo progetto si raggiungono alcuni risultati apprezzabili:

  • si restaura una chiesa del 1050
  • si crea un ambiente tranquillo con un bordone di sottofondo
  • si ricorda John Cage
  • si stimola qualche discussione

Soprattutto quest’ultimo punto mi interessa. Perché, se a qualche mente limitata una composizione di 639 anni può sembrare solo un’idea balzana, per una che fa lavorare la propria immaginazione è una bella fonte di riflessione.
Innanzitutto, il senso musicale. Anche con durate di gran lunga inferiori a 639 anni, il senso della composizione svanisce. Come insegna la psico-acustica, quando un evento dura abbastanza da “bucare” la capacità della memoria a breve termine (inferiore al minuto), la sua connessione con il tutto si perde. In pratica, se si suona una banale progressione armonica tenendo ogni accordo per un tempo superiore al minuto, non si ha più la sensazione di una progressione, ma ogni accordo tende a diventare un mondo a sè.
Così, entrando nella chiesa di St. Burchardi non si ascolta una parte di una composizione, almeno non nel senso che diamo comunemente a queste parole. Piuttosto si entra in un ambiente che in quel momento è in quello stato. Magari il bordone è una 8va tranquilla, mentre tornando 6 mesi dopo c’è una dissonanza raccapricciante ed è bella l’idea di un ambiente sonoro che si evolve come un ambiente biologico.
Quindi, dal punto di vista sonoro, si tratta di una esperienza che, per la maggior parte della gente, è nuova, e questa è una delle funzioni dell’arte.
Veniamo adesso alla durata. 639 anni sono un sacco di tempo. In passato, simili distese temporali erano prese in considerazione solo dalle religioni (…nei secoli dei secoli…) o dagli imperi (l’imperatore dei 10.000 anni), come metafora di eternità e quindi di potenza, ma il loro unico vero scopo era quello di arginare il grande buio, di spingere l’uomo a progettare nonostante la morte, a pensare al di là non solo del contingente, ma della propria vita, cosa che, a quanto ne sappiamo, è la vera caratteristica unica dell’homo sapiens sapiens.
Adesso, nella nostra civiltà che evolve rapidamente, non siamo più abituati a pensare e a progettare in questi termini di tempo. Quale fra le cose costruite nel dopoguerra è stata progettata per durare 639 anni? Certamente non il condominio in cui vivo, ma nemmeno grandi cose come il nuovo aeroporto di Tokyo o Postdamer Platz a Berlino.
In realtà, mi chiedo se lo abbiamo mai fatto. Molto probabilmente i romani, quando costruivano arene e acquedotti, non immaginavano che sarebbero state ancora qui dopo più di 2000 anni e gli stessi costruttori della più grande opera in muratura della storia, la Grande Muraglia, non costruivano certo per i millenni, ma solo per tener lontani i barbari, peraltro con scarsi risultati. Mi chiedo anche se i progettisti delle piramidi guardassero ai millenni chiudendo gli occhi e immaginando la piana di Giza o pensassero solo a una tomba imponente per il faraone/dio.
Paradossalmente, le uniche opere moderne progettate per durare non secoli, ma decine di millenni non sono destinate alla gloria della specie umana, ma alla testimonianza della sua idiozia: sono i depositi delle scorie radioattive che decadono in 10 o 20.000 anni o il sarcofago di Chernobyl che racchiude 190 tonn. di uranio e una di plutonio, mortali per chiunque si avvicini.
Il Cage-OrgelProjekt, invece, è una costruzione culturale che non ha bisogno di grandi mezzi, ma è specificamente progettata sulla durata.
Una delle cose più intriganti di questo progetto, sempre ammesso che riesca, è proprio questa. Ripeto, 639 anni sono un sacco di tempo. Come cambieranno il mondo e la stessa razza umana in tutto questo tempo? Chi ci sarà, se mai ci sarà qualcuno, a vedere il rilascio dell’ultimo tasto? Sarà ancora umano?
E poi, che significato assumerà questo luogo in cui risuona un eterno bordone, fra 3 o 400 anni? E cosa ci sarà intorno? Sembrano domande banali, ma pensando alle sfide che ci aspettano, riscaldamento globale, conflitti economici, risorse naturali, ma anche tecnologia, spazio, ingegneria genetica, etc, mi fa un po’ rabbia il non saperlo.
Penso anche che la cappella di St. Burchardi e il suo eterno bordone siano un buon tema per un racconto di fantascienza (ho suggerito agli organizzatori di creare un concorso).
Qualcuno dice che una vita troppo lunga non ha senso, ma essere fra il pubblico alla fine mi piacerebbe, credetemi. Firmerei subito. Ho le mie ragioni.

Qui il sito del Cage-OrgelProjekt