Steve Hubback

Steve Hubback si autodefinisce “Percussionist and Metal Sculptor”. Nato come batterista, dal 1990 Hubback costruisce strumenti per se stesso e per altri percussionisti.
Le sue creazioni, oltre ad avere un bel suono, sono anche esteticamente apprezzabili, tanto da essere utilizzate anche per installazioni in cui si fondono con la natura, come in questo live al No Noise Festival 2023.
Il suono è affascinante, come testimonia un esempio tratto da questa pagina in cui ne potete trovare molti altri.

Steve Hubback’s Site

Litigio: Cage su Glass e ritorno

Tiding up old books I found this one: Desert Plants – conversations with 23 american musicians by Walter Zimmermann, Vancouver, 1976. An old style book, clearly printed and written with IBM electric typewriter. Questions in italic and answers in monospace fonts.
Browsing I found this gag:
Walter Zimmermann to Philip Glass:

John Cage describes your work as follows: “Though the doors will always remain open for the musical expression of personal feelings, what will more and more come through is the expression of the pleasures of conviviality. And beyond that a non-intentional expressivity: a being together of sounds and people.”
How do you relate this quote to your music?

A bothered Philip Glass:

Well, I think it has more to do with his music than mine.

Riordinando i vecchi libri mi è caduto in mano questo: Desert Plants – conversations with 23 american musicians by Walter Zimmermann, Vancouver, 1976. Un libro vecchio stile scritto con una macchina elettrica IBM. Le domande stampate in corsivo e le risposte nei classici caratteri da macchina da scrivere.
Sfogliando qui e là ho trovato questa gag:

Walter Zimmermann a Philip Glass:

John Cage describes your work as follows: “Though the doors will always remain open for the musical expression of personal feelings, what will more and more come through is the expression of the pleasures of conviviality. And beyond that a non-intentional expressivity: a being together of sounds and people.”
How do you relate this quote to your music?

Philip Glass, seccato:

Well, I think it has more to do with his music than mine.

 

In memoriam György Ligeti

Come è giusto i tributi sono molti. YouTube rilancia il video originariamente trasmesso da arté (la TV culturale che si vede ovunque in Europa tranne che in Italia) con l’esecuzione del Poema Sinfonico per 100 Metronomi.

There are many “in memoriam” tributes on the web. On YouTube you can see the arté video of the Poème Symphonique pour 100 Metronomes.

Morto György Ligeti

Odio scrivere coccodrilli così come dare brutte notizie. Comunque 2 giorni fa è morto a Vienna György Ligeti (83 anni).
Saltando le inutili formule di circostanza, per me e per la mia formazione l’importanza di Ligeti sta tutta nelle composizioni degli anni ’60, da Apparitions del ’59 al Doppio Concerto per Oboe e Flauto del ’72, passando attraverso lavori come il Requiem, il Cello Concerto, Lux Aeterna, Lontano, Ramifications, il Chamber Concerto, Melodien. Opere in cui Ligeti abbandona completamente armonia, melodia e ritmo tradizionalmente intesi per creare un personalissimo flusso sonoro formato da cluster, accordi, masse apparentemente statiche ma dotate di una complessa micropolifonia interna che danno vita a un tessuto sonoro più o meno cangiante in cui il ritmo e l’armonia si rovesciano nel timbro, traendo dagli strumenti delle sonorità quasi elettroniche.
Molte altre sue cose sono importanti, ma le emozioni che mi hanno dato questi pezzi quando li ascoltavo nei primi anni ’70 sono le cose che preferisco ricordare.

György Ligeti on Wikipedia

Nuovi Strumenti: Audiopad

Audiopad è stato sviluppato da due neolaureati del MIT (James Patten and Ben Recht) ed è una delle più interessanti interfacce musicali esistenti. Può essere utilizzato come strumento autonomo perché include una propria libreria di campioni audio ed è in grado sia di suonare che di eseguire operazioni di elaborazione audio nello stesso tempo, ma può anche essere usato come controller di un software di sintesi in realtime che gira su un computer esterno (come Max/Msp) oppure anche di una serie di sintetizzatori MIDI.
La cosa più interessante, però, è sicuramente l’interfaccia. Si basa su una grande superficie orizzontale su cui appaiono dei simboli, in modo simile a uno schermo piatto. Fin qui non ci sarebbe niente di diverso da un grande touch-screen, ma sulla superficie di Audiopad, gli esecutori muovono anche degli oggetti la cui posizione e movimento sono rilevati dal sistema.
Audiopad genera musica interpretando il movimento di tali oggetti e la loro posizione rispetto ai simboli che si trovano sullo “schermo”.
Ovviamente il tipo di simboli e il loro significato, così come l’interpretazione del movimento e della posizione degli oggetti, può cambiare in base al software. Per esempio, i simboli possono rappresentare diversi strumenti e gli oggetti delle parti strumentali. In tal caso, il fatto che l’esecutore muova un oggetto su un simbolo significa assegnare quella parte a quello strumento. Oppure un oggetto può essere un microfono e allora muovere uno strumento vicino/lontano dal microfono significa alzare/abbassare il suo volume.
Inoltre il display non è statico, ma può cambiare quando l’esecutore porta un oggetto in determinate posizioni aprendo così nuove vie di elaborazione audio o interpretazione. Il tutto è fluido perché guidato dal software.
Audiopad, quindi, è molto diverso dalla tradizionale interazione con il computer basata sul modello desktop, tastiera, mouse e per questa ragione è anche difficile da descrivere. In questo caso l’immagine vale decisamente più di 1000 parole, così vi invito a vedere questo buon filmato.
Sfortunatamente Audiopad non è ancora in vendita. L’unica cosa sul mercato che va in questa direzione è Lemur (ne parleremo), ma è solo un passo perché, per quanto carino, si tratta solo di un touch-screen programmabile, molto lontano dalla complessità di Audiopad.

Frank Zappa


Per commemorare i 40 anni dall’uscita di Freak Out (1966, uno dei dischi più sperimentali nella scena rock dell’epoca), ricordiamo qualche curiosità relativa a Frank Zappa.

Finora gli sono stati dedicati:

    • Due asteroidi: “3834 Zappafrank” e “16745 Zappa”.

3834 Zappafrank è un piccolo asteroide (fra 5 e 11 km di diametro) che appartiene alla fascia principale orbitante fra Marte e Giove (periodo orbitale 4.08 anni) scoperto da Ladislav Brožek nel 1980 all’Osservatorio di Kleť (CZ).
La campagna per dedicarlo a Frank Zappa è stata guidata da John V. Scialli, uno psichiatra forense di Phoenix e si è tenuta via internet nel 1994, un anno dopo la morte di FZ, coinvolgendo fans di 22 paesi.
La motivazione dice:

Named in memory of Frank Zappa (1940-1993), rock musician and composer of innovative contemporary symphonic, chamber and electronic music. Zappa was an eclectic, self-trained artist and composer with incredible energy and a biting wit, and his music transcends the usual music barriers. Before 1989 he was regarded as a symbol of democracy and freedom by many people in Czechoslovakia.

Di 16745 Zappa so solo che è stato scoperto nel 1996 in Italia, all’Osservatorio San Vittore (BO).
Comunque non è stata la prima volta: tutti i Beatles hanno dato il nome a un asteroide (‘Lennon’, ‘McCartney’, ‘Harrison’ and ‘Starr’, Nos. 4147 – 4150), così come Eric Clapton (‘Clapton’, No. 4305), Mike Oldfield (‘Oldfield’, No. 5656), and Jean-Michel Jarre (‘Jarre’, No. 4422). Mi sembra che anche Jerry Garcia ne abbia uno.

  • Un gene: “ZapA”, gene del microbo Proteus mirabilis che, a dispetto del suo bellissimo nome, è causa di infezioni del tratto urinario. In realtà si tratta di una famiglia di geni, da ZapA a ZapE.
  • Una medusa: Phialella zappai, così chiamata dal suo scopritore, il ricercatore italiano Ferdinando Boero, di Genova.
  • Un pesce: Zappa confluentus, scoperto nel 1978 da Tyson Roberts nelle paludi fangose del Fly River (Papua Nuova Guinea) e identificato come appartenente a un nuovo genere solo 10 anni dopo da Ed Murphy che gli ha attribuito il nome.
  • Un mollusco estinto: Amauratoma zappa, un bivalve che si nascondeva nel fango.
  • Un ragno: Pachygnatha zappa, così chiamato a causa di un segno addominale che ricorda i baffi di Zappa. Nome attribuito nel 1994 dai biologi belgi Robert Bosmans and Jan Bosselaers che stavano catalogando le nuove specie scoperte fra l’81 e l’83 dai loro colleghi dell’Università di Gent (Gand) nel corso di alcune spedizioni nel Congo.
  • Una scheda madre prodotta dalla Intel nel 1995. Nome interno Advanced/ZP; proc/chipset Pentium P54C, Socket 5, 82430 FX Triton Chipset; bus PCI/ISA.

I dettagli di alcune di queste storie si trovano qui.
Statua di Zappa
Una statua dedicata a Zappa a Vilnius, Lituania.
La discografia di Zappa è sterminata:
qui alcuni estratti di Zappa serio diretto da Boulez (att.ne: sono estratti da vari pezzi e cambiano improvvisamente);
qui estratti da Hot Rats del 1969 (idem);
qui trovate molti altri estratti (att.ne: cliccate sull’altoparlante, non sul titolo).

Musica senza input

La citazione con cui iniziava il post precedente è di David Lee Myers, un compositore che si trova nella scomoda situazione di essere sconosciuto al grande pubblico perché non fa “pop” e sconosciuto agli accademici perché i suoi lavori non si inseriscono nella tradizione “colta”. Però è conosciuto dagli sperimentatori a oltranza, da quelli che non si accontentano di ri-elaborare delle idee maturate nell’ambito di una corrente, quelli un po’ scontenti e un po’ solitari che regolarmente disfano quello che hanno appena fatto per il gusto di ricominciare da capo.
Proprio le considerazioni di cui al precedente post hanno condotto D. L. Myers alla pratica di una musica estrema, totalmente priva di input: niente partitura, nessuna tastiera, nessun suono da elaborare, nessun sistema di sintesi propriamente detto. Una musica in cui sia i suoni che le strutture non nascono dalla pressione di un tasto o dal fatto che qualcuno mette giù un accordo, ma dall’interazione spontanea di una serie di circuiti collegati fra loro in retroazione che l’essere umano si limita a controllare.
Quello che Myers faceva, già nel 1987 con apparecchiature analogiche, era feedback music.

Il feedback positivo in una catena elettroacustica è stato sperimentato, con fastidio, da chiunque abbia usato un microfono e lo abbia inavvertitamente puntato verso gli altoparlanti. In breve si produce un fischio lancinante, mentre i tecnici si lanciano verso il mixer per abbassare il volume.
Questo problema, meglio conosciuto come Effetto Larsen, si verifica perché il microfono, a volume un po’ troppo alto, capta dei suoni che vengono amplificati e inviati all’altoparlante. Se gli stessi suoni, in uscita dall’altoparlante, vengono nuovamente captati dal microfono, amplificati e ri-inviati all’altoparlante, si crea una retroazione positiva tale per cui entrano in un circolo chiuso in cui vengono continuamente amplificati fino ad innescare un segnale continuo a forte volume.
Come si può immaginare, il feedback è un po’ il terrore di tutti i tecnici del suono, ma in determinate circostanze può essere controllato e se può essere controllato, può anche diventare uno stimolo per uno sperimentatore.
Bisogna puntualizzare che non si tratta di una idea di Myers. Ai tempi della musica elettronica analogica questo effetto è stato utilizzato in parecchi contesti. Io stesso ne ho fatto uso in una installazione audio-video del 1981 (si chiamava “Feedback Driver”, appunto), ma credo che negli anni ’80 l’abbiano provato un po’ tutti, con alterni risultati. I miei primi ricordi relativi a questa tecnica risalgono al lavoro di Tod Dockstader, un ricercatore e musicista americano relativamente poco noto, anche se alcune sue musiche sono finite nel Satyricon di Fellini.
Quello che distingue Myers dagli altri, però, è l’averne fatto una vera e propria poetica. Lui non sfrutta il feedback per elaborare qualcosa, non parte da elementi esterni o da algoritmi di sintesi, ma collega in retroazione una serie di dispositivi (principalmente mixer e multi-effetti) e variando i volumi sul mixer (che a questo punto diventa la sua “tastiera”) e cambiando tipo e profondità degli effetti ne trae una serie di sonorità suggestive, sempre in bilico fra il fascino di una musica che si muove in modo quasi biologico e il totale disastro delle macchine fuori controllo.
Senza dubbio, Myers è un virtuoso, ma, a differenza del virtuoso tradizionalmente inteso, lui non domina il proprio strumento. Piuttosto lo asseconda, cercando di spingerlo in una direzione, come nei due brani qui sotto. Qui la composizione consiste nel definire una rete di collegamenti fra i dispositivi e la tecnica si fa estetica.
Sul suo sito, nella sezione “releases“, troverete molti altri estratti.