Ans Meer

Avrete sicuramente notato che gli ultimi post sono dedicati al Giappone. Fare una piccola rassegna della musica contemporanea giapponese è un modo per essere vicino a questo paese, in cui sono stato e che ho amato, e alla sua gente.

Hosokawa Toshio è uno dei più interessanti compositori contemporanei giapponesi. Nato nel 1955 a Hiroshima, ha studiato in Germania, per cui la sua musica ha assunto delle sonorità marcatamente europee, ma, nel contempo, non ha dimenticato la tradizione del suo paese, come dimostrano i suoi brani derivati dal Gagaku di cui abbiamo già parlato.

Qui ascoltiamo Ans Meer del 1999, un concerto per piano e orchestra, che appartiene al versante più “occidentale” della sua produzione.

Takemitsu Soundtrack Documentary

Su You Tube c’è un bel documentario sulla musica da film scritta da Toru Takemitsu, una parte molto importante e significativa della sua produzione.

Il documentario è sottotitolato in inglese e include varie interviste con il compositore e con alcuni dei famosi registi per cui ha lavorato, oltre a numerosi estratti musicali.

Questa è la prima parte. I link alle altre sono riportati sotto. Purtroppo la parte 2 è stata bloccata dal solito idiota “per motivi di copyright”, ma tutte le altre sono visibili.

Cosmic Womb

Somei Satoh 佐藤聰明 was born in 1947 in Sendai (northern Honshu), Japan. He began his career in 1969 with “Tone Field,” an experimental, mixed media group based in Tokyo. In 1972 he produced “Global Vision,” a multimedia arts festival, that encompassed musical events, works by visual artists and improvisational performance groups. In one of his most interesting projects held at a hot springs resort in Tochigi Prefecture in 1981, Satoh places eight speakers approximately one kilometer apart on mountain tops overlooking a huge valley. As a man-made fog rose from below, the music from the speakers combined with laser beams and moved the clouds into various formations. Satoh has collaborated twice since 1985 with theater designer, Manuel Luetgenhorst in dramatic stagings of his music at The Arts at St. Ann’s in Brooklyn, New York.

Satoh was awarded the Japan Arts Festival prize in 1980 and received a visiting artist grant from the Asian Cultural Council in 1983, enabling him to spend one year in the United States.

He has written more than thirty compositions, including works for piano, orchestra, chamber music, choral and electronic music, theater pieces and music for traditional Japanese instruments.


Somei Satoh is a composer of the post-war generation whose hauntingly evocative musical language is a curious fusion of Japanese timbral sensibilities with 19th century Romanticism and electronic technology. He has been deeply influenced by Shintoism, the writings of the Zen Buddhist scholar DT Suzuki, his Japanese cultural heritage as well as the multimedia art forms of the sixties. Satoh’s elegant and passionate style convincingly integrates these diverse elements into an inimitably individual approach to contemporary Japanese music.

Like Toshiro Mayazumi an Toru Takemitsu, the most well-known of contemporary Japanese composers outside Japan today, Satoh has succeeded in reshaping his native musical resources in synthesis with Western forms and instrumental sonorities. His work cannot, however, be considered within the mainstream of contemporary Japanese art music, for he writes in an unreservedly non- international style, remarkably free from any constraints of academism. This may be attributed to the fact that being primarily self-taught, he has never been subjected to a formal musical education. Satoh has on occasion, been referred to as a composer of gendai hogaku (contemporary traditional music). Much as Satoh is reluctant to be so classified, this assessment of his writing has some validity if one views him as reworking the traditional Japanese musical aesthetic in a broader, abstract context infusing it with a new vitality.

Minimalism, that Eastern-derived Western phenomenon born of the sixties, has much in common with the hypnotic, regular pulsations of rock. “Litania” and “Incarnation II”, among others of Satoh’s compositions which rely primarily on the prolongation of a single unit of sound, draw upon this repetitive element. In Satoh’s case, however, the repetitions are perceived more as vibrations because of the rapidity of the individual beats in conjunction with an extremely slow overall pulse. This creates the sensation of being in a rhythmic limbo, caught in a framework of suspended time which is typically Japanese. This experience can be summed up in the Japanese word ‘ma’ which may be defined as the natural distance between two or more events existing in a continuity. In contrast to the West’s perception of time and space as separate entities, in Japanese thinking both time and space are measured in terms of intervals. It is the coincidental conceptualization of these elements which is perhaps the main feature distinguishing Japan’s artistic expression from that of the West. In Satoh’s own words,

My music is limited to certain elements of sound and there are many calm repetitions. There is also much prolongation of a single sound. I think silence and the prolongation of sound is the same thing in terms of space. The only difference is that there is either the presence or absence of sound. More important is whether the space is “living” or not. Our [Japanese] sense of time and space is different from that of the West. For example, in the Shinto religion, there is the term ‘imanaka’ which is not just the present moment which lies between the stretch of past eternity and future immortality, but also the manifestation of the moment of all time which is multi-layered and multi-dimensional …. I would like it if the listener could abandon all previous conceptions of time and experience a new sense of time presented in this music as if eternal time can be lived in a single moment.

(from the liner notes by Margaret Leng Tan to New Albion’s release, “Litania” NA008)

Listen to

  • Somei Satoh 佐藤聰明 – Cosmic Womb (1975), for 2 pianos with digital delay – Margaret Leng Tan, piano

Somei Satoh page on Facebook and on wikipedia.

Aidoru

Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.

La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.

Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).

Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.

Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.

Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.

Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.
Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. Le star virtuali non devono essere pagate, ma questa considerazione è secondaria perché al loro posto bisogna pagare dei tecnici di animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi.

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Bombardato due volte

Yamaguchi TsutomuIl 4 Gennaio di quest’anno è morto Tsutomu Yamaguchi (山口 彊, 16 March 1916 – 4 January 2010), una delle poche persone ad aver subito due bombardamenti atomici ed essere sopravvissuto.

Yamaguchi era a Hiroshima il 6 agosto 1945 per un viaggio di lavoro per la società per cui lavorava, la Mitsubishi Heavy Industries. Stava scendendo dal tram quando la prima bomba atomica, Little Boy, fu sganciata sulla città.

L’esplosione gli provocò notevoli lesioni, distrusse i suoi timpani, lo accecò seppure temporaneamente e gli lasciò serie ustioni sulla metà superiore sinistra del suo corpo. Fu avvolto in bendaggi per le sue ferite e divenne completamente calvo.

Trascorse la notte successiva in un rifugio antiaereo prima di tornare alla sua città natale, Nagasaki, il giorno seguente. Yamaguchi stava spiegando ai suoi supervisori quanto vicino alla morte era stato, quando, a circa 3 km di distanza, fu sganciata la seconda bomba, Fat Man.

Anche questa volta sopravvisse. Nel 1957 gli venne riconosciuto lo status di hibakusha (vittima dell’esplosione) per la bomba di Nagasaki. Per molti anni tenne per sé la sua storia. Solo a ottant’anni scrisse un’autobiografia riguardante la sua esperienza e fu invitato a partecipare ad un documentario (nel 2006) intitolato Nijuuhibaku (“Bombardati due volte”) sulle 165 persone vittime di entrambe le bombe atomiche giapponesi.

La piscina alchemica ;-) di Osarizawa

Questa immagine (clicca per ingrandire), che a me ricorda un po’ un antico sito Inca con profonde pozze circolari come quelle dei Maya, è in realtà una miniera abbandonata di oro e rame, nei pressi di Osarizawa, in Giappone.

Le prime attività estrattive nella zona risalgono a circa 1300 anni fa. In epoca moderna è stata sviluppata la miniera, poi chiusa nel 1978.

La zona, che sembra essere piuttosto inquinata. è attualmente di proprietà della Mitsubishi ed è interdetta al pubblico. Ciò nonostante l’autore delle foto, Michael John Grist, è riuscito a intrufolarsi nell’impianto, pagando una multa di 1000 yen.

C’è anche un breve video su You Tube.

From Out of Ruins, dove potete vedere altre immagini.

Butoh

Butoh è il nome di varie tecniche e forme di danza contemporanea ispirate dal movimento Ankoku-Butoh (ankoku=tenebre) attivo in Giappone negli anni ’50. Aspetti tipici del butoh sono la nudità del ballerino, il corpo dipinto di bianco, le smorfie grottesche ispirate al teatro classico giapponese, la giocosità delle performance, l’alternarsi di movimenti estremamente lenti con convulsioni frenetiche. Non esiste una messa in scena tipica del butoh. Le sue origini vengono fatte risalire a Tatsumi Hijikata ed a Kazuo Ohno. [wikipedia]

 

Green Island

Green Island è un progetto visionario, utopistico e provocatorio per una Tokyo più verde.

Queste immagini, create via computer graphic, vogliono attirare l’attenzione sulla mancanza di verde nella metropoli, che pure ne ha ben di più della media delle città giapponesi. Comunque sono di grande impatto ed è incredibile pensare a una Tokyo così (click image to enlarge).

Green Island