Frequenze di taglio degli MP3

La qualità di un MP3 dipende in gran parte dal codificatore. Le specifiche, infatti, dicono cosa fare, ma non come farlo (a differenza della decodifica, che invece è un processo puramente meccanico). Proprio per questo, un codificatore di bassa qualità è riconoscibile ascoltando persino un brano a 320 kbit/s. Ne consegue che non ha senso parlare di qualità di ascolto di un brano di 128 kbit/s o 192 kbit/s senza un riferimento al codec utilizzato. Una buona codifica MP3 a 128 kbit/s prodotta da un buon codificatore produce un suono migliore di un file MP3 a 192 kbit/s codificato con uno scarso codificatore.

I test, come quello del post precedente, sono eseguiti con L.A.M.E. (Lame Ain’t MP3 Encoder) che è riconosciuto come uno dei migliori (forse il migliore per compressione da 128 in su).

Proprio LAME ci dà le frequenze di taglio ai vari livelli di compressione. Nel processo di codifica, viene attivata una serie di filtri per la suddivisione del segnale in bande che si ferma a una altezza diversa per ciascun bitrate. La porzione di segnale che eccede l’ultima banda viene eliminata con un filtro passabasso che inizia la sua attenuazione a una certa frequenza (inizio in tabella) e taglia completamente oltre un certo livello (fine in tabella).

È possibile anche disattivare il suddetto filtro (c’è una opzione in LAME), tuttavia facendolo si rischiano artefatti identificabili, di solito, come un certo tipo di effetto che assomiglia un po’ ad un flanger (si sente spesso nell’audio dei film rippati e troppo compressi).

Ecco la tabella:

kbps area di taglio: inizio, fine
128 16538 Hz – 17071 Hz
160 17249 Hz – 17782 Hz
192 18671 Hz – 19205 Hz
224 19383 Hz – 19916 Hz
256 19383 Hz – 19916 Hz
320 20094 Hz – 20627 Hz

La tabella si legge così: per es. nel caso di 128 kbps, l’attenuazione delle frequenze inizia a 16538 Hz e aumenta fino a 17071 Hz, oltre i quali tutto viene eliminato. Quindi, in astratto, anche l’MP3 a 320 è sensibilmente inferiore alla qualità CD. Naturalmente qualcuno potrebbe dire che le frequenze oltre i 20 KHz difficilmente si sentono per una combinazione di qualità dell’impianto audio e orecchie dell’ascoltatore.

In realtà, come ha fatto osservare Angelo nel commento al post precedente, è un problema di educazione all’ascolto:

A test given to new students by Stanford University Music Professor Jonathan Berger showed that student preference for MP3 quality music has risen each year. Berger said the students seem to prefer the ‘sizzle’ sounds that MP3s bring to music.[27]
Others have reached the same conclusion, and some record producers have begun to mix music specifically to be heard on iPods and mobile phones.[28]
However, the study was criticized for being a short-term A/B test, which does not reflect the listeners preferences when they listen to music for prolonged periods.[29]
[wikipedia]

[27][28][29] sono riferimenti bibliografici citati in wikipedia. Cliccate i numeri per andare agli articoli. Il primo è l’articolo di Berger, gli altri sono commenti. Credo che dovremmo iniziare una seria riflessione sui cambiamenti delle modalità di ascolto sia della musica che dei suoni naturali.

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Differenza fra originale e MP3 128 kbps

Quello che vedete qui sotto è lo spettro di un brano dei Portished: Nylon Smile. Musica non classica e non acustica.

Sopra, i due canali del brano non compresso. Sotto, dopo la riga grigia e la scritta “unite – sync”, quelli dello stesso pezzo compresso in MP3 128 kbps. Lo spettro è volutamente in bianco/nero per evidenziare le differenze.

Se osservate attentamente noterete che, nello spettro superiore (non compresso), la posizione delle linea rossa che ho messo per segnare la frequenza più alta è oltre i 20000 Hz, mentre in quello inferiore si ferma prima, a circa 17000 Hz. Ecco, questa è la banda, visibile a una prima occhiata, che si perde con questo livello di compressione. Poi bisognerebbe entrare nei particolari per vedere se qualcosa manca anche sotto.

Ne consegue che il distribuire musica di qualsiasi tipo in formato MP3 a 128 kbps, come fa la maggior parte dei rivenditori via internet di musica genericamente pop, equivale a un furto di banda di circa 3 KHz e diffonde una abitudine a una banda più ristretta.

Adesso mi direte che, tanto, la banda ristretta la diffondono già le maledette cuffiette, però….

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La fine del CD (ma anche degli MP3 < 256)

…almeno a casa mia.

Dunque, stanco di avere la musica dispersa fra alcune migliaia di CD, altrettanti vinili e molti file su computer (tutti rigorosamente acquistati, CC o digitalizzati da dischi che possiedo), ho deciso di digitalizzare il tutto, metterlo su un HD in rete e utilizzare un vecchio portatile come jukebox (ovviamente con linux).

Un gran lavoro che, per ora, ho fatto solo su un quarto circa dell’insieme, il che spiega anche la non assidua continuità dei post di settembre.

Il sistema, alla fine, è composto da un sistema RAID da 2 terabytes (di cui si usa solo una piccola parte) letti da un portatile di vecchia generazione (avrà 5 anni, monoprocessore da 2.8 GHz) su cui gira un Ubuntu Jaunty con scheda M-Audio, collegata a un micro mixer che va a due casse auto-amplificate Event ALP 5 oppure Yamaha HS80M.

Come software uso Rhythmbox (sto provando anche Banshee). Il software si fa un database di tutto ciò che è audio e lo indicizza in base ai tag. Poi si possono selezionare i brani in base a autore, titolo e/o genere. Inoltre il computer è in rete, quindi si può ascoltare qualunque cosa si trovi su internet, comprese radio, netlabel, podcast etc.

Bene, considerando che la mia discoteca è alquanto eterogenea e va da Luigi Nono fino ai Sex Pistol, sono stato colpito dalla bassa qualità degli MP3. Con casse di questo tipo, che comunque sono lontane dal top, gli MP3 a 128 kbps risultano fastidiosamente ed evidentemente privi delle frequenze alte, non solo con la musica classica, ma anche ascoltando i Rolling Stones. Perfino a 192, la differenza con l’originale si sente e per avere qualcosa di accettabile bisogna arrivare almeno a 256 kbps.

Per quel che riguarda la musica classica, lo sapevo già, ma quello che mi ha colpito è che il degrado è sensibile anche con musica il cui punto di forza non è certamente la pulizia e la chiarezza del suono (tipo Rolling Stones, appunto). Notate che, al di là delle buone casse, non ho una stanza particolarmente insonorizzata o similia. È una stanza normale.

In effetti, all’inizio pensavo di convertire in FLAC (compressione senza perdita) gli album più raffinati e usare MP3 intorno ai 192 kbps, o meno, per il resto. Invece un po’ di prove mi hanno convinto (direi quasi costretto) a usare MP3 solo a 320 oppure con bitrate variabile alla massima qualità per i gruppi un po’ “rumorosi” e andare in FLAC per tutto il resto.

L’effetto collaterale è che non compro più musica in MP3 inferiore a 256 kbps e solo se il prezzo è basso. Altrimenti mi devono dare un file compresso ma senza perdita (FLAC, APE, LA).

La massificazione dell’MP3 si traduce in una perdita della qualità appena conquistata con il passaggio al CD. Magari lo sapevamo già, ma vederlo e sentirlo è un’altra cosa.

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Jliat

site site

La home page del sito del rumorista inglese Jliat (James Whitehead) offre ottime cose, come una serie di drones liberamente scaricabili, esempi:

I suoi lavori si collocano sempre agli estremi: nella più assoluta cacofonia o nella quiete più totale. In ogni caso vivono in una immobilità irraggiungibile.

Si possono scaricare da Youtube e Soundcloud

Tornado

coverUn po’ di sana aggressione sonora in stile post free jazz europeo non fa mai male. Dalla netlabel Insubordinations, l’ultimo lavoro del gruppo svizzero Diatribes, un duo formato da cyril bondi (drums, percussions) e d’incise (laptop, obects, treatments), attorno ai quali gravitano molti musicisti ospiti.

Diatribes,a strongly libertarian ensemble, began its existence in a Geneva basement in Winter 2004. Their idea was to mix distinct various types and approach of the sounds, in order to develop a malleable musical mass. The instruments merge into the electronics treatments in a primary dance, where construction and deconstruction coexist, and envy and disgust unite. There are no limits in the way of playing, where rhythms, melodies and noise meet sporadically, merging into each other until they are almost forgotten. Free jazz in its approach, acoustic and electronic in its execution, the trio is capable of exploring the minute like the intense.
Initialy a trio with Gaël Riondel on saxophone, diatribes became a polymorphous formation, extending its spectrum with guest musicians such as the guitarist Christian Graf, the electroacoustician Nicolas Sordet, the pianists Jacques Demierre and Johann Bourquenez, the bassist Dragos Tara or the saxophonist Piero SK..

L’intero album è scaricabile qui.

  • Diatribes – Tornade
    cyril bondi: drums, percussions – d’incise: laptop, objects – jacques demierre: grand piano – johann bourquenez: grand piano

Hosokawa Toshio

cover“Music,” says Toshio Hosokawa, “is the place where notes and silence meet.” This identifies his aesthetic concept as a genuinely Japanese one. It is found both in Japanese landscape painting and in the music, such as the courtly gagaku, in which audible sound always stands in relation to nonsound, i.e. to silence. In their rhythmic proportions Hosokawa’s compositions are oriented around the breathing methods of Zen meditation, with their very slow breathing in and very slow breathing out: “Each breath contains life and death, death and life.”

Hosokawa Toshio (細川俊夫) è nato nel 1955 a Hiroshima. Ha studiato composizione in Europa, a Berlino e Friburgo con Isang Yong e Klaus Huber.

Di lui conoscevo solo Circulation Ocean per orchestra. Poi ho trovato questi pezzi per fisarmonica e shō (un organo a fiato tipicamente asiatico; esiste in varie fogge dall’India alla Cina; vedi wikipedia).

Alcuni di essi, come quello che potrete ascoltare, derivano da brani tradizionali del Gagaku, altri sono stati composti da Hosokawa, ma tutti sono modellati su un ritmo lentissimo, con i suoni dei due strumenti, quasi sempre nel registro acuto, che diventano praticamente indistinguibili.

Ina

Chaya Czernowin è una compositrice israeliana nata nel 1957. Vive in Austria.
Vi faccio ascoltare Ina, un buon brano con sonorità particolari, per flauto basso e 6 altri flauti (basso e ottavino) preregistrati.

Ulteriori informazioni su di lei si trovano nella sua pagina.

Chaya Czernowin – Ina, per flauto basso e 6 flauti preregistrati

Pacific Fanfare

coverPacific Fanfare (1996) è un breve brano di Barry Truax composto per celebrare il 25° anniversario della Vancouver New Music Society e del World Soundscape Project, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa.

È basata su 10 “soundmarks” registrati nell’ambito del WSP vari anni prima (chi ascolta le nostre proposte sonore riconoscerà subito la sirena della nave con cui iniziava “Entrance to the Harbor” nel post di cui sopra.

Il concetto di “soundmarks” è fondamentale nel lavoro del WSP e designa quei suoni che caratterizzano un determinato paesaggio sonoro. Questi suoni riproposti in Pacific Fanfare sia nella loro versione originale che elaborata mediante riduonatori digitali (una riverberazione artificialmente colorata) e time-stretching (allungamento temporate del suono di solito senza alterazione della frequenza).

Il brano è incluso nel CD Islands, acquistabile sul sito dell’autore.

Crumb: Zeitgeist

George Crumb completed the final revisions for Zeitgeist (Six Tableaux for Two Amplified Pianos, Book I) in 1989. The work is approximately twenty-eight minutes in duration. It was commissioned by the Degenhardt-Kent piano duet. The first performance took place at the Charles Ives Festival in Duisburg, Germany in 1988.

After that. the composer reworked the piece to his liking. Like the rest of the Crumb catalog, this work includes enigmatic sounds and titles for the movements, such as “The Realm of Morpheus (” … the inner eye of dreams”).” The extended techniques involves the players reaching into the piano to attack the strings directly in order to achieve specific timbres that would not otherwise be available from without.

Like many of the composer’s earlier works, elements of the work suggest a coherent and exotic belief system or world view in all its eccentricities. Like his Makrokosmos series for amplified piano(s) in the 1970s, the listener is often drawn to the poetic allusions as potential clues to unlocking the arcane secrets of the composer’s mind.

The sound suggests some very concrete ideology or mystic purpose behind his clear yet unique musical formations. Webern had his naturalist Catholicism; Crumb’s point of departure is anybody’s guess. Part of its enduring interest is its lack of posturing. Scriabin, for example, reveled in the role of the eccentric, mystic genius, and played it up. Satie did something similar, though in a more modern and self-stylized way that was grounded in the Rosicrucians. It was less of a romantic cliché than was the hackneyed persona of his Russian peer.

Crumb has all the interior components of a similarly mystical artistic personality but none of the mannerisms or apparent affiliations. He is the anchor of his own spirit, and nothing else resembles his art, with the exception of a plethora of imitators.

When listening to a work such as Zeitgeist, being a world famous artist does not sound preoccupying to the composer. There is compassion to his music that does reflect back upon him as a leader of any wounded aesthetic congregation, as if he does not regard himself as the vital part of an equation consisting of listener, performer, and composer.

Above all, Crumb’s music is American. More precisely, it is nocturnal, pastoral Americana of the highest caliber, revealing a deeply compassionate, inquisitive, and independent imagination. A work such as Zeitgeist does not have more in common with the work of most composers from the United States than it does with the Europeans, with the exception of Charles Ives.

There is little in the scores themselves that verify this connection, but both demonstrate a relationship to the land that is difficult to pin down but easily recognized. Crumb uses fewer indigenous references than Ives, though the Zeitgeist’s fifth movement contains bits of an Appalachian folk song. It could be said that both composers felt less bound to music history than other composers; neither man sounds determined to either break with tradition or serve it.

The music simply is, and that is a rare quality. Even if the listener accepts these rather speculative conjectures, questions remain. Why Zeitgeist? What is the deeper meaning of its movements’ individual titles? It is the apparent importance of these questions that proves that the music is engaging. Many listeners are rarely satisfied to know a piece works. The rigor of Boulez’s syntax has everything to do with why the music works, and one can detect what is working by recognizing its nature, if not its particulars. Crumb’s music remains a mystery, a beautiful one, even with repeated listening.
[All Music Guide]

Excerpts: I have already published a post about the 3rd mov. (Monochord) here. Now go listen to the 4th and 6th.

George Crumb – Zeitgeist (Six Tableaux for Two Amplified Pianos, Book I)

The Carrillo 1/16 Tone Piano

piano 1/16 di tonopiano 1/16 di tonoQuesto, che a prima vista sembra un pianoforte normale (cliccare l’immagine per ingrandire), è in realtà accordato a 16mi di tono.

Sì. Al posto dei normali 2 semitoni, ci sono 16 suddivisioni. Di conseguenza, fra un Do e un Do#, che di solito sono contigui, qui troviamo ben 7 tasti.

La cosa è evidente ingrandendo (click) l’immagine a destra, in cui si vede chiaramente l’intervallo fra un fa (f) e un fa# (fis).

Questo strumento microtonale è costruito dalla Sauter rifacendosi alle teorie del messicano Julian Carrillo (1875 – 1965) che, nel 1895, iniziò a occuparsi di accordature microtonali. Nel 1925 ideò un sistema di notazione e fondò un ensemble che eseguiva brani microtonali insieme a Stokowski, con il quale andò in tour negli anni ’30.

Nel 1940, dopo aver depositato i brevetti di almeno 15 pianoforti microtonali, contattò la Sauter che gli costruì alcuni prototipi presentati, nel 1958, all’Expo di Bruxelles. Oggi due suoi pianoforti, accordati risp. a 1/3 e 1/16 di tono, si trovano al Conservatorio di Parigi. Altri sono a Nizza e a Mexico City.

Il piano a 1/16 di tono è accordato in modo che l’intervallo di quinta corrisponda a un semitono. Di conseguenza, l’intera tastiera copre circa una ottava, il che è sicuramente un limite. Sarebbe interessante pensare a un gruppo di 6/8 strumenti di questo tipo accordati su ottave diverse (ma mi viene un brivido immaginando la fattura dell’accordatore).

Il suono si può ascoltare in un disco da cui vi presento due estratti. Nel primo è subito evidente la peculiarità dello strumento. Val la pena di raccontare che, quando l’ho ascoltato senza sapere niente, ho subito pensato a un pianoforte elaborato digitalmente e mi sembrava interessante dal punto di vista sonoro. Solo quando ho avuto il disco mi sono reso conto che in realtà era uno strumento naturale. Il secondo, invece, non punta immediatamente sull’effetto sonoro. Alla prima nota, sembra un pianoforte normale, ma, dopo pochi accordi, chi ha un orecchio musicale si chiede cosa diavolo stia accadendo (è un po’ spiazzante, in effetti).

Il disco si intitola The Carrillo 1/16 Tone Piano (edition zeitklang, si trova per es. alla Naxos Music Library o a ClassicsOnline)