La giovane netlabel SHSK’H (pronuncia ssshhk’ah aspirata), è ormai defunta ma si trova sull’Internet Archive. Nata nel 2007 a New York da Jody Pou and Igor Ballereau proponeva da subito lavori di qualità, seppure di generi diversi, distribuiti in CC e scaricabili liberamente.
Il primo volume contiene musica per ensemble o per piano solo dello stesso Ballereau, molto delicata e piena di silenzi. Non priva di fascino, almeno per me che ascolto nel silenzio della notte. Gli strumenti più o meno utilizzati nei vari brani sono voci, pianoforte, chitarra, violino, viola, violoncello, percussioni.
Da qui ascoltiamo Frottola per voce, piano, chimes, violino, viola, cello.
La seconda release è composta da tre brani di musica tradizionale giapponese per voce e koto eseguita da Etsuko Chida. Affascinante e leggermente aliena per noi a causa delle differenze di intonazione rispetto alla nostra scala.
Da qui vi propongo Shiki no Fuji (il monte Fuji nelle quattro stagioni).
Sul sito di SHSK’H su IA trovate anche le releases seguenti.
Un brano per percussioni e live electronic di Mei-Fang Lin (1973), compositrice cinese di Taiwan attualmente negli USA.
Note di programma:
Multiplication Virtuelle (2003) is a musical work written for solo percussionist performing on a wide array of pitched and non-pitched acoustic instruments. Audio signals taken from microphones placed in close proximity to each instrument are used to control a real-time computer-based electroacoustic component. The percussionist plays and interacts with the electronic part that is triggered by the percussion attacks. The intensity of each attack is used to control the playback rate of the stored samples; in other words, the pitch of the sample is determined by how loud the percussionist plays. The execution of the electroacoustic score is managed by the computer in real-time using Max/MSP, a graphical software environment for music, audio, and multimedia.
As implied by the piece’s title and instrumental setup, ideas of circular motion and repeated patterns come into play in both the surface material in the music and the global structure of the piece itself. Specific rhythmic patterns are repeated (or, in a more visual sense, multiplied) before moving on to new but related patterns. The structure proceeds in a circular motion in how its rhythmic patterns evolve. The piece also thwarts the audience’s musical expectations by blurring the distinction between sample-based sounds and their acoustic counterparts. This effect is enhanced by carefully establishing and then breaking the connections between simultaneous visual and aural events.
Multiplication Virtuelle is dedicated to the percussionist Jean Geoffroy, who premiered the piece in 2004 in Paris. The work was funded in part by the Composer Assistance Program of the American Music Center.
Mei.Fang Lin, Multiplication Virtuelle (2003) per percussioni e live electronic.
Jean Geoffroy percussioni
Cosmic Pulses, ultimo lavoro di Stockhausen, presentato nel maggio 2007 a Roma in prima assoluta. Si tratta di musica elettronica che va a rappresentare la 13ma ora di KLANG (le 24 ore del giorno nella cosmogonia stockhauseniana). Il brano è composto da 24 loop melodici, ognuno dei quali ha un diverso numero di altezze, fra 1 e 24, distribuite su 24 registri per un totale di circa 7 ottave. Ciascun loop ha anche una diversa velocità di rotazione (ciclo) compresa fra 240 e 1.17 ripetizioni al minuto.
Gli stessi loop sono sovrapposti iniziando dai più bassi per terminare con i più alti, con tempi che vanno dai più lenti ai più veloci e terminano nella stessa sequenza. È facile immaginare che tutto ciò dà luogo ad una fascia il cui movimento va dal registro basso a quello più alto, con velocità sempre maggiore e densità dapprima crescente e poi calante, via via che gli strati finiscono.
Per rendere meno ovvia la cosa, però, ad ogni loop vengono applicate delle leggere variazioni di velocità e dei glissandi abbastanza stretti intorno alle melodie originali. Inoltre la varsione da concero è distribuita su 8 canali audio e ogni loop descrive una diversa traiettoria spaziale (24 in totale), Traiettorie che, ovviamente, vanno perse in questa versione stereo. Qui trovate una descrizione accurata..
Ho appena terminato un primo ascolto e personalmente trovo il tutto abbastanza prevedibile e deludente. Anche le sonorità mi sembrano vecchie. Immagino che le cose cambino parecchio in concerto con 8 casse e un bel volume, ma questo non fa altro che dissuadermi ulteriormente dall’acquisto del CD.
Mi viene anche in mente che altri brani di Stockhausen sono stati spazialmente ridotti per andare su disco: dal glorioso Gesange (orig. 5 canali) fino a Sirius, ma in quei casi la pregnanza del materiale era tale che la musica non ne soffriva più di tanto…
Enchanted Preludes is a birthday present for Ann Santen, commissioned by her husband, Harry, and composed in gratitude for their enthusiastic and deeply caring support of American music. It is a duet for flute and cello in which the two instruments combine their different characters and musical materials into statements of varying moods. The title comes from a poem of Wallace Stevens: The Pure Good of Theory, “All the Preludes to Felicity,” stanza no.7:
Felicity, ah! Time is the hooded enemy,
The inimical music, the enchanted space
In which the enchanted preludes have their place.
The score was given its first performance by Patricia Spencer, flute, and André Emelianoff, cello, of the Da Capo Chamber Players in New York, on May 16, 1988.
[Elliott Carter]
Un software realizzato in PureData (pd su linux, il software simile a Max/MSP) controlla 8 solenoidi che picchiano su diversi oggetti producendo una ritmica. Il finale rivela la scarsa attitudine compositiva dell’autore, ma è comunque una applicazione che mostra le infinite possibilità del mezzo.
A software-sequencer controls 8 solenoids, that knock on different things and therefore produce some rhythmic noise. Made with PureData, an arduino board and a selfmade relayboard to control the solenoids.
Mr. Murail’s L’esprit des dunes (1993-94), for amplified ensemble and electronics (sampled sounds triggered by a MIDI keyboard), starts with a characteristic ascending figure that is passed back and forth between the oboe and the sampled sounds, mediated by the flute.
Over the course of the piece the origin of this motif is progressively revealed by the gradual accumulation of partial-strata that occasionally fill in the whole spectrum at sonorous anchor points. In the composer’s words:
There is melody within a single pitch; the melody is created through the pitch’s harmonics. It’s both a sound and a melody. And while the opening notes of the oboe constitute a phrase, it is also a sound.
The origin of the motif is in fact a snippet from an overtone “melody” found in Mongolian chant, a tradition that can be described as the art of creating (overtone-) melodies out of a single (sung) pitch. The vocal paradigm is felt in various forms throughout the piece: strands of kinetic energy that produce a pattern of tension and release; the alternation of compact and diffuse ensemble writing with the occasional appearance of re-synthesized Tibetan chant; the overall dynamic curve of the form make the piece breathe in a curiously organic way.
Cassandra’s Dream Song (1970), di Brian Ferneyhough, per flauto solo, è uno di quei brani che hanno contribuito a ridefinre i limiti dello strumento. Considerato dapprima ineseguibile, venne eseguito per la prima volta da Pierre-Yves Artaud al Royan Festival (una rassegna francese di musica contemporanea attiva dal 1964 al 1973 in cui furono realizzate molte prime esecuzioni, sostituita, poi, dai Rencontres Internationales d′Art Contemporain di La Rochelle). Con l’evoluzione della tecnica strumentale, questo brano è ormai entrato a far parte del repertorio solistico del flauto.
Composta unicamente di due densissime e grandi pagine, la partitura è aperta. Ogni pagina contiene varie sezioni che l’esecutore deve eseguire alternando i due fogli (una dal primo e una dal secondo). Tuttavia, sul primo foglio deve seguire l’ordine dato procedendo dalla 1 alla 6, mentre la successione delle sezioni del secondo è libera.
In tal modo, qualsiasi effetto narrativo viene sovvertito, ma non completamente, grazie alla successione fissa del primo foglio. Pur ereditando alcune modalità espressive dal serialismo alla Boulez, Ferneyhough è spesso sorprendente perché, nella linea melodica, passa da momenti estremamente complessi ad episodi quasi lirici, centrati su poche note, fino ad istanti in cui affiorano atmosfere Debussy-like e perfino frasi quasi tonali.
Flute: Evgenios Anastasiadis Live Recording , Concert Hall, Folkwang Universität der Künste July 2021
Brian Ferneyhough (n. 1943) è il maggior rappresentante della cosiddetta “nuova complessità”, una corrente definita come “a complex, multi-layered interplay of evolutionary processes occurring simultaneously within every dimension of the musical material” (vedi questa interessante voce, in inglese, su wikipedia).
Sotto molti aspetti si tratta di una estremizzazione del serialismo, anche se ormai la serialità è stata abbandonata in favore di una prospettiva evolutiva del materiale musicale. Ciò nonostante, la complessità grafica della partitura rimane elevata, nella forma di una iper-codifica diffusa. Di conseguenza, la musica di Ferneyhough spesso richiede enormi sforzi tecnici da parte degli interpreti (talvolta, come nel caso del brano Unity Capsule per flauto solo, le sue partiture sono talmente dettagliate e complesse che risulta quasi impossibile una realizzazione totale di quanto vi è scritto). Nella sua personale filosofia compositiva, lo scopo di ciò è quello di liberare la creatività dell’interprete, il quale dovrà decidere su quali particolari concentrarsi, e quali altri verranno invece tralasciati (ecco una pagina della partitura di Unity Capsule, cliccatela).
Il brano che vi presentiamo è Lemma-Icon-Epigram, del 1981, un pezzo tripartito, per piano solo, dedicato a Massimiliano Damerini che ne è l’interprete. Qui vedete anche la prima pagina della partitura (come al solito, cliccabile).
Di questo brano l’autore dice:
Over the years, the detritus of images associated with my alchemical and metaphysical studies, or Renaissance studies, began to accumulate round a core, and this core was, as I said, the idea of Denkbilder: pictures to help you think or “thinking pictures”. So the first part of the piece is the whirlwind of the not-yet-become: the idea of processes, not material, forming the thematic content of the work.
So this is the Lemma, the superscription. The second part, the Icon, is the description of the possible picture put into actual pictorial form. I’m dealing here with the expansion and contraction of rhythmic and chordal cycles. There are only seven chordal identities, and this middle part is the same thing seen from many perspectival standpoints. I have what I call a “time-sun”. That is, I imagine a framework within which these chords are then disposed on several levels, like objects. Then there is a sun passing over them: the shadows thrown by the sun are of different lengths, different intensities, impinging in different ways upon different objects, themselves also moving upon the space defined by this frame. The third part is the Epigram. This is the attempt to unite these two elements that have appeared previously.
Non fatevi ingannare dal titolo, non è musica antica. Questo, invece, è uno dei miei brani preferiti nella produzione di Mauricio Kagel. Forse anche uno dei più eversivi perché qui il compositore trae sonorità inaudite da un corpus strumentale, quello della musica antica, che nessuno aveva stravolto fino a questo punto.
In realtà avevo già pubblicato questo brano del 1965/66 senza alcun commento in occasione dell’epitaffio del suo autore, ma oggi lo ripropongo alla vostra attenzione, corredato dalle note dello stesso Kagel:
This work contains neither prediction, pointers to the future, nor a comforting return to the past: the use of Renaissance instruments here has no programmatic purpose in any general sense. The only decisive fact is that these instruments correspond to my tonal concept better than any present-day stringed and wind instruments could.
The systematic alienation of conventional instrumental sound, which comes into its own in the material and methods of the most modem music, seemed to me to justify an attempt, for once, to reverse the normally accepted view on the subject of the composition of tone colour. The individual quality of restraint which belongs to the nature of these Renaissance instruments made it all the easier for me to introduce each of them in its own unadulterated tonal character. While still a student of musicology in Argentina I began to sketch a similar piece, but I dropped the project at that time, since one of the essential conditions for bringing the idea to fruition-the formation of a truly orchestral ensemble of early instruments-could not then be fulfilled. In the renaissance of the Renaissance which we are now experiencing such an ensemble has become feasible, because copies of most of the instruments have recently been made, and numerous musicians have become proficient in playing them.
Only the formation of complete families of typical instruments, played by 23 musicians, could produce a sound picture true to the period in question. All the Renaissance instruments required for my composition were represented in the Theatrum Instrumentorum of the “Syntagma Musicum” by Michael Praetorius (1619). During recent years I have become so familiar with each of the instruments used that I could think out its tonal function afresh, and have been able to develop the performing techniques beyond the conventional limits. Even an instrument such as the recorder, which is closely associated with home and school music making of a very different kind, proved to be extremely versatile, and more suitable for use in new instrumental music than, for example, the transverse flute.
Each instrumental part of this work was composed like a solo line. However, the parts were put together as a full score, written in more or less normal notation. Other versions of the work are also possible, using any number of players from two to twenty-two, in every combination of instruments drawn from the original scoring. These reduced versions are entitled “Chamber Music for Renaissance Instruments”. The concept of an ad hoc orchestra made up of whatever instruments are available–in accordance with the performing practice of the Renaissance period–is here taken literally, so that a degree of variation is possible which cannot be foreseen by the composer. This work (1965/66) was written in memoriam Claudio Monteverdi. Nevertheless it contains no collages of old music.
Mauricio Kagel – Music for Renaissance Instruments (1965/66)
Collegium instrumentale, conducted by Mauricio Kagel
Il brano è scaricabile in formato flac dall’AGP40.