Post-human performance (was Aidoru)

Hatsune MikuQuando ho scritto questo post, nel 2010 con il titolo di Aidoru (Idol nella translitterazione inglese → giapponese), pensavo che Hatsune Miko sarebbe durata solo qualche anno, sostituita da qualche altro idolo in ologramma, invece è ancora lì, alive & kicking, e soprattutto per niente invecchiata 😛

Qui lo ripropongo e aggiungo qualche considerazione.


Canta, danza (o perlomeno si muove a tempo), è il più recente idolo dei teenager giapponesi ed è virtuale. Hatsune Miko (初音ミク) ha un vero pubblico, una vera band, ma è, apparentemente, un ologramma. In realtà si tratta di una proiezione 2D su uno schermo trasparente.

La sua voce è sintetizzata tramite il software Vocaloid Yamaha. In effetti Hatsune Miko è il secondo personaggio vocale completo messo a punto per Vocaloid (il primo rilasciato in Giappone) nel 2007 e il suo nome unisce primo (初, hatsu), suono (音, ne) e futuro (Miku ミク). La voce è quella dell’attrice Fujita Saki (藤田 咲) che si è prestata a registrare centinaia di fonemi giapponesi con una intonazione controllata.

Il fenomeno di Hatsune Miko non è il primo di questo genere. Segue la grande notorietà di Kyoko Date (DK-96) che è stato il primo net-idol, nel 1997. Il fenomeno delle star in Giappone risale ai primi anni ’70 e riflette il boom giapponese della cantante francese Sylvie Vartan con il film Cherchez l’idole (1963, in Giappone nel 1964).

Lo sviluppo degli idoli giapponesi è molto interessante.

Negli anni ’70 gli idoli avevano un’aura quasi mistica. Soltanto la parte pubblica della loro vita era nota ed era sempre perfetta e sapientemente orchestrata e la loro personalità visibile era falsa e accuratamente costruita. Nulla si sapeva della loro vita privata, se non alcune notizie essenziali (tipo, un matrimonio) e quello che traspariva del loro privato era altrettanto costruito. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: erano strettamente controllati e guadagnavano decisamente poco, perché la maggior parte del denaro andava nelle tasche dei loro produttori, ossia quelli che li creavano.

Negli anni ’80 la condizione degli idoli cominciò ad avvicinarsi a quella della gente comune, in parte perché le condizioni di vita in Giappone erano notevolmente migliorate, ma anche perché il controllo si era leggermente allentato e si permetteva loro di mostrare un po’ della loro personalità. Le major, infatti, iniziavano a sperimentare la competizione fra varie star e quindi alcune differenze dovevano emergere. Un po’ come Beatles e Rolling Stones: questi ultimi apparivano un po’ più selvaggi dei primi e probabilmente lo erano davvero.
Iniziarono anche a guadagnare un po’ di più, ma sempre poco, se paragonato al giro d’affari che creavano.

Gli anni ’90 videro molti cambiamenti. Invece di essere dipinti come delle persone superiori, gli idoli divennero gente comune che aveva solo qualcosa in più (un X-Factor?). In qualche situazione potevano anche essere tristi, un po’ fuori forma e ammettere di aspettare i saldi per comprare i vestiti. Nello stesso tempo, il loro ciclo di vita come idoli divenne più rapido.

Ma il grande salto avvenne quando, vedendo il grande successo dei personaggi di anime e videogames (es. Lara Croft), le major iniziarono a lavorare su personaggi virtuali. L’idea nacque dalla constatazione che il contatto fra i fans e le star era sempre mediato da qualcosa (internet, TV, film, stampa). Non si incontra una star della musica o del cinema per caso in un centro commerciale o al ristorante. E in realtà lo star system non vende una persona, bensì una immagine totalmente idealizzata. La maggior parte dei fans non ha mai visto il proprio idolo in carne ed ossa, ma solo attraverso i media. Una parte riesce a vederlo, da lontano, in qualche concerto o mentre entra in un hotel ed è tutto. Una sparuta minoranza riesce a toccarlo facendosi fare un autografo dopo un lungo appostamento davanti alla sua casa, ma è una quantità trascurabile.

Quello che lo star system giapponese ha capito è che, se le cose stanno così, non è necessario che la star sia una persona vera. Può essere benissimo un personaggio virtuale. Per i fans non cambia proprio niente. E, si noti, alla base di questa idea non ci sono considerazioni economiche. Se è vero che le star virtuali non devono essere pagate, è anche vero che, al loro posto, bisogna pagare dei team di design e animazione che possono costare anche di più. Il punto è che un personaggio virtuale è totalmente controllabile e non pone problemi. Non ha comportamenti censurabili, a meno che non lo si voglia. Non è mai di pessimo umore, non si monta la testa, può lavorare sempre ed essere in TV anche la mattina dopo un concerto, fresco come una rosa.

Considerate, infine, che le star virtuali che sono state create non sono certo attori di teatro avvezzi a confrontarsi con le tragedie shakespeariane e nemmeno musicisti classici, ma, tipicamente, si tratta di cantanti con target adolescenziale. Hanno, al massimo, la profondità concettuale di un Justin Bieber.

Qui vediamo Hatsune Miku insieme a Megurine Luka (ルカ 巡音). Il cognome di quest’ultima combina la parola “Meguri” (巡, “intorno”) e “Ne” (音, “suono”), mentre il nome Luka evoca le omofone parole giapponesi “nagare” (流, “flusso”) e “ka” (歌, “canzone”) o “ka” (香, “profumo”. Il risultato dell’unione di queste parole può quindi essere “flusso di canzoni che si diffondono come profumo”) [da wikipedia con correzioni mie].

Megurine Luka è un passo avanti rispetto a Hatsune Miku. Infatti altro non è che l’incarnazione del terzo applicativo di Vocaloid, lanciato nel 2009 insieme al personaggio che lo rappresenta.

Questa tendenza giapponese ad “incarnare” i software fin dal momento del lancio è unica nel panorama mondiale. In occidente, infatti, l’eventuale incarnazione arriva dopo, quando il software, tipicamente un gioco, ha già raggiunto un successo planetario e allora il personaggio diventa vero, impersonato da un attore/attrice, non virtuale (il caso più emblematico è proprio quello di Lara Croft).

Holly Herndon

herndon

Holly Herndon (born Tennessee, 1980s) is an American composer, musician, and sound artist based in San Francisco, California. She has released two albums on the record label RVNG Intl. She often uses the visual programming language Max/MSP to create custom instruments and vocal processes, and has collaborated with artists such as Reza Negarestani. Her 2014 single “Chorus” was named Best New Track by Pitchfork, who stated “few artists have managed to meld the dark thump of techno with the intricate constructions of post-minimalist new music quite like Holly Herndon”.
[wikipedia]

Tutto sommato, mi sembra partire da certe performance vocali di Laurie Anderson, quelle più legate alla canzone piuttosto che al teatro, tipo O’ Superman, per intendersi.

Qui ascoltiamo proprio Chorus del 2014.

The Berlin Wall of Sound

SoundCloud ha pubblicato un post commemorativo per il 25mo della caduta del muro di Berlino.

Dal punto di vista musicale non è particolarmente significativo (è un collage di suoni e citazioni), ma probabilmente non era questo lo scopo. Il post, invece ha alcuni elementi interessanti sotto il profilo formale. Innanzitutto la durata: 7 minuti e 32 secondi è il tempo impiegato dal suono per percorrere i 155 km della lunghezza del muro. Poi i commenti, che sono 107, ciascuno con il nome di una persona morta nel tentativo di oltrepassare il muro (dovrebbero essere 120, forse qualcuno è collettivo).

 Marking the 25th anniversary of the fall of the Berlin Wall.

The Berlin Wall of Sound is an acoustic reconstruction of the Berlin Wall.

Its duration of 7:32 minutes reflects the time sound needs to travel the 155 kilometres length of the Berlin Wall. Its sound wave’s shape mirrors the wall of concrete and its watchtowers. There are no comments – the tags depict the victims and mark where they were killed.

The Wall of Sound is not easy to bear. But 27 years locked behind the concrete Berlin Wall were unbearable.

Back in 1989, SoundCloud’s headquarters would have been part of the Death Zone next to the Berlin Wall. We dedicate the Wall of Sound to the 120 women, men and children, who lost their lives in their attempt to live in freedom. We will not forget.

Major original quotes used:

Walter Ulbricht (former leader of the GDR and responsible for the construction) saying a few days before the construction started: „Nobody has the intention to raise a wall“

Heinz Hoffmann (former GDR secretary of defense): „To those, who don’t respect our border – they will feel the bullet.“

Erich Honecker (longtime and most powerful leader of the GDR) celebrating 40 Years of the GDR in 1989: „The German Democratic Republic will exist another 40 years and beyond.“

Alla fine, comunque, devo dire che, se da un lato un muro che cade fa sempre piacere, non concordo con la retorica semplicistica che circonda queste commemorazioni, secondo la quale noi abbiamo la libertà mentre loro erano un regime oppressivo.

La pagina originale è qui.

Requiem elettroacustico

chion requiemIl Requiem elettroacustico di Michel Chion è del 1973 (non 1993 come riporta erroneamente il video su You Tube qui sotto).

Quando l’ho ascoltato (sarà stato il 1977/78), mi ha fatto una notevole impressione. È un lavoro che ridefinisce completamente i canoni della musica concreta francese. Li supera con l’uso massiccio di sonorità puramente elettroniche a cui sono accostati suoni naturali, loop concreti e frammenti musicali, spesso trattati elettronicamente in modo evidente, ma soprattutto voci recitanti con modalità fra loro diverse: intense, sussurrate, urlanti, lontane, in coro, fino a una voce di bambino che legge, con qualche esitazione, una parte del testo.

È un’opera drammatica e intensa, emozionale, che va molto al di là del puro esercizio compositivo.

Note dell’autore:

The Form of this music was not meant as an excuse to deploy refined geometry over a time frame seen as space. And if Requiem as a whole is built on a system of echoes and correspondences that seem to be symmetrically organized (see graphism) around an axis represented by the work’s middle point, it is not my fault. The form was developed in the course of the process, as a dramatic scheme that played off the listener’s memory and premonitions, since once the listener has heard the work more than once, they can predict as well as recall. The musical analysis I came to perform, and of which I am disclosing a few pieces here, I did long after composing the work and for my own enjoyment. It should be understood as a game, not as the Key of Dreams, and it is surely not essential.

Echoes and correspondences of what ? Themes, musical motives, ranging from the most elemental (a loop, raw matter) to the most elaborated (a musical development), and which are reprised, quoted or announced at various moments of the work – some are easily identifiable as “leitmotivs” (theme-chorus from the Dies Irae quoted in the finale), while others are accompanying motives, matter that does not need to be memorized at a conscious level. An extreme case of such echo effect is found in the short movements 2 & 9, which use almost the same “music” cast under completely opposite sound lighting.

The centre of the work, the axis of that symmetry, is the 6th movement (Evangile), where happens a symbolical tear in the magnetic tape, a crack in the work itself, opening in the timeline a breach of eternity that lets us glimpse “something else.” This figure illustrates that breach as a sawtooh line, while the vertical line illustrates the pasted point, the moment (at the beginning of Sanctus) when the mass itself, like a broken reel of film at the cinema show, resumes. Within this large form in two parts, we find the small forms of each movement: forms with choruses and episodes, litanies, recitativo, levelled crescendos, etc. There is also another formal course delineated by the succession of several vocal characters, their timbre, intonation, and relation to the libretto. Without giving more details, it is worth mentioning that the only time a well-assured, peremptory voice is clearly heard is, once again, at that central moment in Evangile (“il va ressusciter” or “he will rise”), where its irruption seems to spread panic throughout the whole system and provoke the breach…

Like the great requiems of the classical era, this Requiem’s text is taken from the Funeral Mass, to which are added an Epistle, a Gospel and a Pater Noster. The texts are mostly said in their original language (Latin or Greek) and in French, in some rare cases.

The Requiem was composed whilst thinking about the troubled minority of the living, rather than the silent majority of the dead. Also, I tried to turn this oratorio into a “great sonic show,” cinemascope music. One can detect the obvious (at least to me) influence of a few filmmakers and films, more in the way of playing with forms, time and space, than through realistic evocations. Thomas Mann’s Docteur Faustus was another influence, again acknowledged after the fact; the pages spent describing the imaginary works of Adrian Leverkühn might have inspired the megalomaniac dream of carrying bits and pieces of them into the sound world. With Requiem, my intention was not to deliver a message or a manifesto, whether pro- or anti-religious. Instead, this work is a personal testimony, into which listeners are invited to project their own self, if they care to inhabit it with their own experience and sensibility.

Too late, too far

sam salemSam Salem (n. 1982) è un compositore di Manchester che lavora principalmente in area acusmatica e audio/video.

È principalmente interessato ai suoni degli ambienti urbani. Molte delle sue composizioni si focalizzano sui suoni di luoghi specifici, ciò nonostante la sua musica non ha niente a che fare con l’ambient. Invece Salem esplora l’ambiente sonoro cercando di rivelare la musicalità nascosta nei suoni ambientali. In questo senso i suoi lavori vanno al di là del semplice paesaggio sonoro.

Quello che ascoltiamo qui, Too late, too far è del 2014. Note dell’autore:

Too late, too far is part of a larger work entitled The Fall, composed between 2012 and 2014. The compositional process began during a residency at STEIM in December 2011: Amsterdam was the source from which I collected the materials for this piece.

I think now of the unwitting owners of actions contained herein: the cyclists and joggers of Vondelpark, the man on a bridge who offered a bike for a cigarette, the swans calling across the Red Light District, the choir of Sint-Nicolassbasiliek, and the countless others, long since dispersed but not forgotten: shouting, singing, laughing, swearing, clapping. I think also of the creaks and rhythms of rocking boats, of passing trams, the ubiquitous bells and horns, the rain, wind and lapping water, and the 5am fireworks on New Year’s Day. I consider these materials as fragments of sound, but also, now, as fragments of time. Sometimes their shimmering light is obscured, sometimes it is revealed.

This work, “peopled by bad dreams” (and the occasional good one), balances somewhere between loss and hope: after more than two years of work, this is its final character.

 

Il canto della cometa

Ok. Dimenticate il titolo aulico. Quello di cui parliamo è un fenomeno scientifico che comunque ha anche dei risvolti audio e ci offre  l’occasione di parlare di una delle più affascinanti missioni spaziali degli ultimi anni.

Rosetta è una missione spaziale sviluppata dall’Agenzia Spaziale Europea e lanciata nel 2004. L’obiettivo ultimo della missione è lo studio della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, una cometa periodica che ritorna ogni 6.45 anni terrestri.

La missione è formata da due elementi: la sonda vera e propria Rosetta e il lander Philae. Quest’ultimo è destinato a staccarsi dalla sonda e atterrare sul nucleo della cometa, di cui la sonda ha già inviato splendide foto. Il distacco è avvenuto proprio oggi 12/11 e il lander sta scendendo verso il nucleo (incrociamo le dita).

La parte audio della faccenda è questa. Ovviamente la sonda trasporta molti strumenti per studiare da vicino la cometa. Cinque di questi costituiscono il cosiddetto Rosetta’s Plasma Consortium (RPC) e servono a studiare l’ambiente di plasma che circonda la cometa (il plasma è uno stato della materia che appare come un gas elettricamente conduttivo che circonda i campi magnetici e le correnti elettriche).

Già in Agosto, l’RPC ha scoperto che il campo magnetico della cometa ha una oscillazione con frequenza intorno ai 40-50 millihertz. Ora, qualsiasi oscillazione più o meno periodica può essere trasformata in suono. In questo caso il problema è che la frequenza è troppo bassa per essere udibile. Le frequenze più basse che siamo in grado di percepire stanno intorno a 20 Hz, mentre qui abbiamo a che fare con 0.05 Hz.

Il problema si può risolvere trasponendo (ovvero accelerando) il tutto di circa 10000 volte. Così 0.05 Hz diventano 500 Hz che sono perfettamente ascoltabili e il suono che ne esce è questo:

Ecco un’immagine del nucleo della cometa (il piccolo 747 che vedete al centro non è alieno; è lì per confronto; clicca per ingrandire)

nucleo cometaUna nota finale. Prima di delirare con toni mistici intorno al canto della cometa, rendetevi conto che qualsiasi fenomeno periodico può essere convertito in suono. Per esempio, la rotazione terrestre è periodica. Il giorno solare medio dura circa 24 ore, cioè 86400 secondi. Di conseguenza. dato che la frequenza è l’inverso del periodo, esso ha una frequenza di 0.000011574 Hz, troppo bassa per sentirla, ma basta trasporla di 24 ottave per avere circa 194.18 Hz, che corrispondono a una nota perfettamente udibile: un Sol appena calante (con La = 440 Hz).

Mappa dei generi

Forse finalmente capirò qualcosa di tutti quei maledetti nomi di generi musicali che mi sembrano venuti fuori dalla mente depravata di qualche kritiko allucinato in preda a frenesia classificatoria.

Andando su questa enorme pagina (Every Noise at Once) e cliccando un nome, parte un esempio audio. Tutto questo è possibile grazie alle API di Echo Nest che forniscono ogni sorta di informazioni su generi, artisti rappresentativi, generi simili e collegamenti a risorse sul web.

Le istruzioni a fine pagina permettono di passare ad altre mappe, per data, luogo, artista e altro.

mappa generi

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E’ un virus

Tom WaitsAnni fa, Tom Waits, che notoriamente non è mai accomodante verso le corporation, ha scritto una bella lettera polemizzando con i musicisti che permettono che le loro canzoni vengano inserite negli spot commerciali in cambio di una manciata di soldi.

La lettera, pubblicata, fra gli altri da Dangerous Visions, Letters of Note e The Nation, contiene alcuni concetti non banali, che a una prima lettura del fenomeno possono sfuggire. Per esempio:

  • quando vendete alle aziende la vostra musica, vendete anche il vostro pubblico perché loro la useranno per convincere la gente ad acquistare automobili, drink e biancheria;
  • le corporation sperano di dirottare i ricordi di una cultura verso i loro prodotti (che invece non ne sono per nulla collegati);
  • loro vogliono il pubblico di un artista, la sua credibilità, la sua reputazione e tutta l’energia che le sue canzoni hanno concentrato con il passare degli anni.

Mi rendo conto che parlare di etica nel 2014 può sembrare perfino da bacchettoni, ma la realtà è che un musicista che raggiunge la notorietà è portatore di un certo grado di potere sulla gente e non deve permettere che venga utilizzato per qualsiasi cosa in cambio di denaro. È il lato bello del copyright: la possibilità che il compositore ha di vietare che la propria musica venga utilizzata in determinati contesti. E non è detto che ci si perda, come Ligeti e lo stesso Tom Waits insegnano: a volte le corporation sono così sfacciate che, chiamandole in causa, si vince (Ligeti ha vinto contro i produttori do 2001 Odissea dello Spazio che avevano smontato e usato il suo brano Atmosphères, mentre Tom Waits ha ottenuto 2.6 milioni di $ da Frito-Lay che aveva rifatto una sua canzone).

Ecco la lettera originale, già ripubblicata qui

Thank you for your eloquent “rant” by John Densmore of The Doors on the subject of artists allowing their songs to be used in commercials [“Riders on the Storm,” July 8]. I spoke out whenever possible on the topic even before the Frito Lay case (Waits v. Frito Lay), where they used a sound-alike version of my song “Step Right Up” so convincingly that I thought it was me. Ultimately, after much trial and tribulation, we prevailed and the court determined that my voice is my property.

Songs carry emotional information and some transport us back to a poignant time, place or event in our lives. It’s no wonder a corporation would want to hitch a ride on the spell these songs cast and encourage you to buy soft drinks, underwear or automobiles while you’re in the trance. Artists who take money for ads poison and pervert their songs. It reduces them to the level of a jingle, a word that describes the sound of change in your pocket, which is what your songs become. Remember, when you sell your songs for commercials, you are selling your audience as well.

When I was a kid, if I saw an artist I admired doing a commercial, I’d think, “Too bad, he must really need the money.” But now it’s so pervasive. It’s a virus. Artists are lining up to do ads. The money and exposure are too tantalizing for most artists to decline. Corporations are hoping to hijack a culture’s memories for their product. They want an artist’s audience, credibility, good will and all the energy the songs have gathered as well as given over the years. They suck the life and meaning from the songs and impregnate them with promises of a better life with their product.

Eventually, artists will be going onstage like race-car drivers covered in hundreds of logos. John, stay pure. Your credibility, your integrity and your honor are things no company should be able to buy.

TOM WAITS

Il Kosmofono

Musica pilotata dai raggi cosmici. Non è una rarità. Ogni tanto qualcuno fa esperimenti del genere. Effettivamente, da quando note e frequenze possono essere espresse numericamente e inviate agli algoritmi di sintesi, la cosa non è così complessa: bisogna solo scegliere come riscalare i dati di partenza.

Da alcuni anni questi procedimenti hanno anche assunto una valenza scientifica con il nome di sonification. La trasformazione di dati di qualsiasi tipo in audio, infatti, consente di individuare più facilmente schemi ripetuti, differenze e altre caratteristiche del fenomeno su cui si indaga.

Ovviamente, dal punto di vista compositivo la faccenda assume tutto un altro aspetto. Il fenomeno fisico che origina i dati non si preoccupa minimamente di assumere un andamento che per noi possa essere sensato o significativo. Anzi, di solito il risultato è ripetitivo, noioso e monotono (spesso anche monotòno, nel senso matematico che indica movimento sempre verso la stessa direzione, per es. una curva logaritmica che sale o scende sempre approssimando un limite).

Il Kosmophono di cui parliamo è abbastanza “anziano”, essendo in attività almeno dal 2005 (sito). Si tratta di uno spettrometro a raggi gamma che opera nel range di 3-7 MeV, il cui output viene inviato al MIDI IN di un sintetizzatore.

Una breve spiegazione. La maggior parte dei raggi gamma è prodotta da fenomeni extra-solari (nello spazio lontano) di grande potenza. Le onde prodotte da tali fenomeni non sono audio (altrimenti non arriverebbero fin qui), ma fanno parte dello spettro elettromagnetico (come le onde radio e la luce che vediamo). Inoltre ne occupano la parte più bassa in termini di lunghezza d’onda (< 0.006 nanometri = 6 millesimi di milionesimo di millimetro), che equivale alle frequenze più alte, circa 5×1019 Hz e sono anche molto dannose per noi.

Fortunatamente, non arrivano fino al suolo ma si infrangono sugli strati alti dell’atmosfera e sono queste collisioni che lo spettrometro rileva. Ognuno di questi eventi produce una emissione di energia che viene misurata e convertita da un ADC a 12 bit di cui i 7 più alti vengono utilizzati come pitch MIDI e i 4 seguenti come velocity (l’ultimo bit si butta via).

Il player è un sintetizzatore MIDI, di solito un Roland JX-305 o un Alesis QSR.

Ora si può ascoltare una singola sequenza inviata al Roland. Essendo una sequenza singola è monofonica e piuttosto noiosa, però serve per capire il range e la densità degli eventi. È un MP3.

Percettivamente, le cose cambiano quando si sovrappongono due sequenze. La sovrapposizione non è in tempo reale. Semplicemente vengono mandate alla porta MIDI due sequenze salvate in tempi diversi (una è la sequenza precedente). Ne consegue che le due sequenze sono del tutto scorrelate, però è interessante notare che il nostro sistema percettivo (almeno quello di chi è abituato ad ascoltare un certo tipo di musica contemporanea) tende a fabbricare delle correlazioni. In effetti, complice anche il fatto che qui si utilizzano due timbri diversi, questo frammento è più interessante del precedente.

Un’altra sovrapposizione di varie sequenze a cui sono assegnati diversi timbri, ma tutti riconducibili a suono “biologici” (uccelli, insetti, miagolii, etc). Il risultato è decisamente piacevole perché tutti i suoni ricadono in una ben determinata tipologia e il nostro cervello ha gioco facile nel costruire delle connessioni e interpretare il tutto come un paesaggio sonoro abbastanza coerente.

Nel sito del Kosmofono potete ascoltare vari altri esempi.

Kosmophone