Hans gioca con Lotte, Lotte gioca con Jane
Jane gioca con Willi, Willi è di nuovo felice
Suki gioca con Leo, Sacha gioca con Britt,
Adolf fa un falò, Enrico ci gioca.
Fischiettando melodie ci nascondiamo fra le dune lungo la spiaggia
Fischiettando melodie baciamo babbuini nella giungla
È un successo
Se gli sguardi potessero uccidere, probabilmente lo farebbero
in Giochi senza frontiere, guerra senza lacrime.
An old and loved Peter Gabriel’s song in a Massive Attack remix.
Good lyrics full of double meanings
Allora, finché qualcuno non mi indicherà un modo formale per distinguere il pop dal resto, andrò avanti con questo titolo.
1971. Robert Wyatt lascia i Soft Machine (altro gruppo che farà parte di questa serie) e forma i Matching Mole, che da un lato significa “le talpe combattenti” e dall’altro è una storpiatura in francese del nome della precedente band (machine molle).
Formazione
Robert Wyatt – drums, voice, mellotron
Phil Miller – guitar
Dave McRae – electric piano, organ
Bill McCormick – bass
David Sinclair – piano, organ
Intellettuali, comunisti, un pizzico di dadaismo. Interessanti trovate armoniche e vocalismi che Wyatt interpreta nel suo personalissimo modo, come un canticchiare sotto la doccia.
Qui abbiamo un pezzo che parla di sè stesso. Si intitola Signed Curtain. Il testo è quasi meta-musicale:
This is the first verse
The first verse
And this is the chorus
Or perhaps is a bridge
Or just another part
Of the song that I am singingThis is the second verse
Could be the last verse
The second verse
Probably the last verse
And this is the chorus
Or perhaps is a bridge
Or just another key changeNever mind
It doesn’t hurt
And only means that I
Lost faith in this song
‘Cause it won’t help me reach you…
Questo è il primo verso
Il primo verso
E questo è il ritornello
O forse un ponte
O un’altra parte
Della canzone che sto cantandoQuesto è il secondo verso
E potrebbe essere l’ultimo
È il secondo verso
Probabilmente l’ultimo
E questo è il ritornello
O forse un ponte
O solo un’altra modulazioneNon importa
Non fa male
Significa solo che
Ho perso fiducia in questa canzone
Perché non mi aiuta a raggiungerti…
Se riuscite a non svenire, ecco una versione dub dell’intero Dark Side of the Moon ovviamente reintitolata dub side of the moon.
Eccovi The Great Dub (Gig) in the Sky (resistete fino alla parte della cantante, ne vale la pena) e un Time con tanto di voce dai sussulti reggae.
Finalmente esce il nuovo disco DGG in cui Sting canta Dowland accompagnato da Edin Karamazov, di cui tutti dicono un gran bene.
Considerato lo spirito con cui Sting ha registrato questi pezzi (“Per me queste sono canzoni pop del 1600, e così le eseguo; bellissime melodie, testi fantastici e geniale accompagnamento”), questi due brani, gli unici che ho ascoltato, non mi sembrano niente male, anche se, in questa stessa ottica, preferivo Maddy Prior (Steeleye Span).
A volte Sting suona un po’ finto, nel senso che sembra si sforzi di cantare in un modo più controllato del solito. Un’altra cosa che a tratti noto, soprattutto nel primo dei due pezzi, è un certo contrasto fra la non abitudine di Sting a queste musiche e la naturalezza del suono di Edin Karamazov, per cui Dowland è la cosa più normale del mondo.
Comunque l’idea che per ora mi sono fatto non è negativa. Anzi, pensandolo come un disco da top ten, avercene di dischi così.
Una cosa che, invece, mi disturba, è il fatto che, in copertina, il nome di Dowland è alto 1/10 di quello di Sting (e peraltro, anche quello di Karamazov che non è proprio un comprimario banale, quasi non si vede). Non dite che esagero. Nemmeno Abbado se lo può permettere e comunque non lo penserebbe neppure.
Mi spaventano, inoltre, le cazzate totali sparate dai soliti giornalisti le cui dita hanno da tempo dichiarato la secessione dal cervello. Oggi l’Indipendent scrive: “Sting plucks lute composer from obscurity”.
Obscurity? Dowland è uno che viene eseguito da 500 anni e tuttora viene saccheggiato a man bassa dai cantautori. Sting non so.
Per dimostrare, se ce ne fosse ancora bisogno, la potenza della condivisione…
I Soft Machine con Robert Wyatt alla batteria non si erano praticamente mai visti qui da noi. Proprio 3 giorni fa spunta su YouTube questo video di 6 minuti registrato dal vivo al festival di Kralingen in Olanda nel 1970.
Il brano è “Out bloody rageous”, tratto dal doppio album Third. La formazione è Elton Dean, Mike Ratledge, Robert Wyatt, and Hugh Hopper.
Update: ho aggiunto “Moon in June” registrato dal vivo al Bilzen Jazz And Pop Festival, 1969
Buona visione.
The power of sharing at work…
Videos of the Soft Machine with Robert Wyatt on drum are vary rare and difficult to find. I found on YouTube this 6 minutes video recorded at the Kralingen (NL) festival in 1970.
The piece is “Out bloody rageous”, from double album Third. Players are Elton Dean, Mike Ratledge, Robert Wyatt, and Hugh Hopper.
Update: added “Moon in June” live at Bilzen Jazz And Pop Festival, 1969.
Nel 1989 il musicologo americano Alan W. Pollack ha iniziato la sua analisi delle canzoni dei Beatles, pubblicando i risultati in internet.
Nel 1991, dopo aver terminato le prime 28 canzoni, ha deciso, coraggiosamente, di continuare. 10 anni dopo, nel 2000, ha completato l’analisi dell’intero corpus ufficiale delle canzoni dei Beatles che consiste di 187 pezzi e 25 cover. Ora la rivista soundscapes.info ha riorganizzato il grande lavoro di Pollack e creato degli indici (alfabetico, cronologico e canonico). Il tutto è liberamente consultabile in rete qui.
Il lavoro è notevole. Per ogni canzone Pollack esamina la struttura generale del pezzo soffermandosi poi su stile, forma, melodia, armonia e arrangiamento. Segue poi una analisi dettagliata sezione per sezione. Una risorsa imperdibile per un cultore di popular music.
Ieri, 16 agosto, erano 29 anni dalla morte di Elvis Presley (1977, l’anno prossimo sarà il trentennale, preparatevi).
La fama di Elvis non accenna a diminuire. “The Pelvis”, che da morto è molto più comodo che da vivo, fattura attualmente più di 30 milioni di dollari l’anno fra diritti d’autore e di sfruttamento dell’immagine, tanto che le major del disco hanno già in mente di proporre, anche per l’Unione Europea, una estensione del periodo di tutela dei produttori discografici, sulla scorta del “Sonny Bono Copyright Term Extension Act”, con il quale gli Stati Uniti hanno portato tale termine a 95 anni dalla data di registrazione (con grande soddisfazione della Walt Disney, che ha così scongiurato il pericolo di veder liberamente utilizzata l’immagine di Topolino).
La fama di Elvis, però, supera anche quella di Topolino. C’è, per esempio, un libro intitolato “Dead Elvis: A Chronicle of a Cultural Obsession” che raccoglie tutti gli avvistamenti di Elvis dopo la sua morte (nessuno, invece, sostiene di aver visto Topolino 😛 ).
Nel 1993, il compositore americano Michael Daugherty ha scritto un brano, il cui titolo è ancora “Dead Elvis”, in cui il fagotto solista impersona Elvis Presley e dove si racconta la storia di una rock&roll star che vende la propria anima a Hollywood in cambio della fama, in uno scenario faustiano che cita, anche nella formazione, l’Histoire du Soldat in cui un soldato vende il suo violino e la sua anima al diavolo per un libro magico (note di programma qui).
Questo pezzo è forse uno di quei collage post-modern contro cui si scaglia Boulez (vedi post precedente).
Per celebrare il cinquantenario della propria chart degli album più venduti, l’Observer Review pubblica una classifica dei “50 album che hanno cambiato la musica” con tanto di note esplicative. La segnalo solo come curiosità, perché, come tutte le iniziative di questo tipo, anche questa lascia il tempo che trova, ma può essere vista come qualcosa di cui discutere in spiaggia, o in qualsiasi altro posto, nell’ozio più totale.
Ovviamente, l’area musicale di cui si parla è il pop (inteso nel senso più generale possibile, nell’accezione di popular music). Non si arriva nemmeno al jazz, al massimo c’è Miles Davis.
In ogni caso, può essere uno stimolo per i più giovani per ascoltare qualcosa di “nuovo”.
Ai primi posti troviamo:
The Velvet Underground and Nico (1967), l’album con la banana di Warhol in copertina.
The Beatles – Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967)