CBGB Online

Per molto tempo il CBGB, il famoso club situato al 315 di Bowery Street, è stato la mecca della scena musicale di NY. È il luogo che ha lanciato gente come i Ramones, Patti Smith, Blondie, e i Talking Heads sulla scena internazionale. E nel 2006 ha chiuso.

Per chi non ha fatto in tempo a vederlo, oggi rivive sotto forma di un virtual tour.

Air and Simple Gifts

Anche la parte musicale dell’Inauguration Day di Obama è atata finalmente resa pubblica e così potete ascoltare (e vedere) Yo Yo Ma al violoncello, Itzhak Perlman al violino, Gabriela Montero al piano e Anthony McGill al clarinetto eseguire un nuovo brano composto per l’occasione da John Williams, “Air and Simple Gifts”.

In realtà, da quel che sento, si tratta di un collage di arie popolari, alcune delle quali appaiono in Appalachian Spring di Copland, uno dei compositori preferiti da Obama. Il tutto in perfetto stile americano.

La cosa divertente, però, è che i succitati quattro dell’Ave Maria suonano in playback ufficialmente perché la bassa temperatura del 16 gennaio (la cerimonia era all’aperto) non permetteva loro di portar fuori i loro costosi strumenti e avrebbe reso la performance un po’ rischiosa. Così i quattro si esibiscono in playback con strumenti banali, ma, per rendere più realistica l’esibizione, suonano davvero, solo che gli archi sono stati “saponati” e i tasti del pianoforte sono stati sganciati dai martelletti.

Tienti stretto il Blackberry

Obama sta lottando per tenersi il Blackberry.

Generalmente non si sa, però il presidente USA non ha privacy. Non ha una email diretta, non può ricevere direttamente posta, tutte le sue comunicazioni passano attraverso la Casa Bianca. Agli amici viene dato un codice postale speciale a cui inviare la posta e gli addetti alla sicurezza devono avere i nomi di tutte queste persone perché sono istruiti a passare al presidente la loro posta senza controllarla. Lo stesso accade per il cellulare. Come ebbe a dire Clinton riferendosi appunto alla Casa Bianca: è la punta di diamante del sistema penale federale.

Nel caso specifico, gli addetti alla sicurezza vogliono togliere a Barack il suo Blackberry perché è considerato troppo facile da intercettare, ma lui non ne vuol sapere perché è il suo unico aggancio con una vita sociale normale.

A proposito, lo sanno i nostri governanti che citano tanto gli USA quando fa comodo, che in quel paese praticamente tutte le comunicazioni del presidente vengono controllate?

Ecco come si fa

Tanto per cominciare, Obama ha creato un CTO, ovvero un Chief Technology Officer che si occupa di determinare le priorità in campo tecnologico.

E come lo fa? Tanto per cominciare, ascolta le opinioni della gente. Su questo sito, ognuno ha 10 punti da distribuire fra le varie idee (max 3 punti ciascuna) e può anche introdurne di nuove e sottoporle al giudizio della comunità.

E quali sono quelle finora più votate? Vi elenco le prime cinque:

  1. Ensure the Internet is widely accessible & network neutral
  2. Ensure our privacy and repeal the patriot act
  3. Repeal the Digital Milennium Copyright Act (DMCA)
  4. Open Government Data (APIs, XML, RSS)
  5. Kick Start Research and Innovation in Energy

Non male!

Il problema è se poi lo fa…

Se vince il Nero

Riporto pari pari questo breve corsivo di Gramellini apparso su La Stampa di ieri, perché è troppo bello. La prima parte è una satira divertente di tutte le aspettative di cui il mondo intero sta caricando il povero Barack.
Verosimilmente, quando lo leggerete, saprete già se ha vinto il Nero o il Bianco. Probabilmente non cambierà molto in entrambi i casi (io non mi fido per niente di Obama), però pensateci un attimo: Barack non solo è nero, ma oltretutto non ha un nome normale. Non si chiama, che so, Michael Jordan o George Lennox e nemmeno Mr. Brown. Si chiama Barack Hussein Obama. È figlio di un keniota musulmano, ma forse agnostico, ex pastore di capre (così dice wikipedia vers. italiana), all’epoca studente straniero negli USA (alle Hawaii) e di Ann Dunham, proveniente da Wichita, in Kansas, bianca.
Quindi proviene già da una famiglia interrazziale, è nero, ha un nome improbabile e per niente americano e come se non bastasse, ha 47 anni! E non sarebbe il più giovane: Roosevelt divenne presidente la prima volta da vice, per l’omicidio di McKinley, a 42 anni e il più giovane presidente eletto dal popolo fu invece JFK, 43enne al momento della nomina nel 1960, mentre il più anziano fu Ronald Reagan, eletto nel 1980 all’età di 69 anni.
Insomma, questi sono nel mezzo di una pesantissima crisi economica e rischiano di eleggere un presidente nero, con un nome improbabile, di 47 anni. È uno dei (rari) giorni in cui ammiro davvero l’America.
Nel frattempo i giornalisti di qui continuano a sparare inesattezze fattuali. Lo chiamano “giovane avvocato”, mentre è laureato in scienze politiche. Faccio zapping e uno dei commentatori “autorevoli” è nientemeno che De Michelis. Agh.

Se vince il Nero
Massimo Gramellini
La Stampa del 4/11/08

Se vince il Nero, la crisi finirà. Se vince il Nero, ci sarà sempre il sole e comunque la pioggia cadrà più lieve. Se vince il Nero, la Gelmini ritirerà il decreto e sposerà un maestro veramente unico, Colaninno comprerà la Lufthansa, i banchieri pagheranno i mutui dei clienti, e gli arbitri convalideranno i gol del Toro. Se vince il Nero, Sabina Guzzanti ricomincerà a far ridere, ma soltanto in inglese, e Carla Bruni affitterà una mansarda accanto alla Casa Bianca, casomai. Se vince il Nero, i deboli di stomaco digeriranno anche il soffritto e i divorziati si metteranno di nuovo insieme. Se vince il Nero, ogni impresa diventerà possibile, persino prendere un treno regionale in orario. Se vince il Nero, gli automobilisti in coda manderanno baci dai finestrini, i petrolieri faranno la raccolta differenziata e le modelle smetteranno di tenere il broncio nelle sfilate. Se vince il Nero, i ghiacciai ghiacceranno, i buchi dell’ozono si tapperanno e l’effetto-serra cambierà vocale, diventando affettuoso.
Se vince il Nero, non accadrà nulla di tutto questo, lo so. Eppure, se vince il Nero, sarà come per lo sbarco sulla Luna: le vite degli uomini resteranno ferme, ma l’umanità avrà compiuto un passo avanti. Se poi il Nero si rivelerà all’altezza della sua bella faccia, a cui ognuno impresta le proprie speranze, e sarà costretto dalle aspettative degli altri a trasformarsi nel primo statista del secolo, allora avremo vinto tutti davvero.
Sempre che vinca, il Nero.

Homey Airport

Da circa un mese, l’aeroporto della famigerata Area 51, che vedete in questa foto da satellite (cliccatela per ingrandirla molto) ha formalmente un nome: Homey Airport.

Lo rende noto la newsletter dell’AOPA (Aircraft Owners & Pilots Association). Finora, infatti, l’aeroporto più famoso e segreto d’America compariva sui software di volo e sui GPS soltanto con una sigla: KXTA (acronimo di … cosa?), ma il sottoscritto ricorda ancora i bei tempi in cui il suo radiofaro rispondeva con il morse di Dreamland.

Non pensate, però, che adesso ci si possa tranquillamente atterrare. Nei software per i piani di volo Homey è descritto come “Private, VFR, No Fee, Customs Info Unavailable”.

Il nuovo nome conserva comunque un aspetto inquietante. Homey significa “familiare, casalingo”. Visto il segreto che lo circonda e l’impossibilità di atterrarvi, questo aeroporto è familiare e casalingo per chi?

Per ulteriori informazioni: Dreamland Resort che presenta anche questa stessa foto commentata.

Le isole senza lunedì

beringVisto che siamo in tema di ferie…

Lo stretto di Bering, situato fra l’Alaska e l’estremo oriente della Russia, è largo solo 53 miglia (circa 85 km). Considerato che nel mezzo dello stretto ci sono due isole, l’una russa e l’altra americana, separate da un braccio di mare di soli 3 km e che l’intero stretto è ghiacciato per tutto l’inverno, è la zona in cui l’Eurasia e l’America arrivano praticamente a toccarsi, è l’unico luogo in cui è possibile attraversare quell’immane fossa che è l’Oceano Pacifico, ma è anche il punto di contatto fra due realtà culturali diverse e per decenni nemiche.
Non è sempre stato così. Durante le ere glaciali, l’area dello stretto emergeva dalle acque formando un ponte di terra, detto Beringia, che poteva essere attraversato a piedi. I primi esseri umani arrivarono nel continente americano in questo modo durante l’ultima era glaciale, e si diffusero successivamente verso sud.
Lo stretto prende il nome da Vitus Bering, un esploratore russo (danese di nascita) che lo attraversò nel 1728. L’isolamento, il clima estremo, ma soprattutto le tensioni geopolitiche hanno fatto di questo luogo un limbo ghiacciato ai confini della realtà.
Ma la cosa più curiosa sono le due isole che si trovano esattamente nel mezzo.
islands
Diomede IslandsLe isole Diomede, così chiamate perché Bering vi mise piede il 16 agosto 1728, giorno di San Diomede, (russo: острова́ Диоми́да; ostrova Diomida, in inglese: Diomede Islands o Gvozdev Islands) sono due isolette rocciose conosciute con vari nomi: la più occidentale (russa) è detta, a seconda delle diverse lingue e culture, Grande Diomede (Big Diomede), Imaqliq, Nunarbuk, Isola di Ratmanov; l’isola orientale (USA) è invece detta comunemente Piccola Diomede, oppure, in alternativa, Isola di Krusenstern o Inaliq.
Le isole sono entrambe abitate principalmente da eschimesi che vivono in villaggi stabili dedicandosi alla pesca. Il villaggio USA, su Little Diomede, si chiama, ovviamente, Diomede City, dove city sembra essere un termine un po’ eccessivo, visto che gli abitanti, nel 2000, erano 146 (19.8 per km2, un luogo piuttosto tranquillo).
Fu al tempo della vendita dell’Alaska dalla Russia zarista agli Stati Uniti (1867) che il confine (linea gialla) venne fatto passare fra le due isole separando

equidistantly Krusenstern Island, or Ignaluk, from Ratmanov Island, or Nunarbuk, and heads northward infinitely until it disappears completely in the Arctic Ocean.

Ma non è solo il confine a dividere le due isole. Ci passa anche la linea di cambiamento data ed è la cosa più divertente perché questo significa che, quando a Little Diomede sono le 12 di lunedì, a Big Diomede sono le 12 di martedì. Di conseguenza gli americani possono letteralmente vedere il domani guardando verso ovest e dato che il domani appare invariabilmente uguale all’oggi, presumo che i casi di depressione non siano pochi. Di contro, il luogo è consigliato a coloro che non amano i cambiamenti.
Il lato positivo è che si possono vivere due volte le feste passando dall’isola ad ovest a quella a est. Quando, per es, a Big Diomede sono le 4 di mattina del primo dell’anno e ormai la festa sta scemando, basta farsi una camminata di 3 km sul ghiaccio per trovarsi in un villaggio in cui sono le 4 di mattina del 31/12, andare a dormire e rifarsi il capodanno.
La cosa letteralmente grandiosa è che qui si possono saltare completamente i lunedì.
Ragionate. Se ci si trova in Big Diomede alla mezzanotte della domenica, una camminata (o una remata) ci porta in Little Diomede alla mezzanotte del sabato. Si continua divertirsi, poi si va a dormire la domenica e alla mezzanotte della domenica si ritorna in Big Diomede, dove sta iniziando il martedì. Fantastico. Il lunedì è completamente sparito, sostituito da una doppia domenica. Wow!
Nell’immagine qui sotto: Diomede City.
Diomede Village

I remember you well, in Chelsea Hotel…

chelsea hotel
…così inizia la canzone in cui Leonard Cohen ricorda la sua (breve) storia con Janis Joplin.
Ma la lista degli artisti che hanno abitato questo storico edificio al 222 West della 23ma strada è sterminata.
È il luogo in cui Dylan Thomas morì alcolizzato il 4 novembre 1953, Arthur Clarke scrisse 2001 Odissea nello Spazio, Allen Ginsberg e Gregory Corso si scambiarono idee e poesie, Sid Vicious accoltellò la sua girlfriend, Nancy Spungen, il 12 ottobre 1978 e Charles R. Jackson, autore di The Lost Weekend (portato in film da Billy Wilder: Giorni Perduti) si suicidò il 21 settembre 1968.
Ma è anche il luogo in cui vissero e scrissero persone come Mark Twain, William S. Burroughs, Arthur Miller, Gore Vidal, Tennessee Williams, Jack Kerouac, Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre, Thomas Wolfe, Patti Smith, Virgil Thomson, Dee Dee Ramone, John Cale, Édith Piaf, Joni Mitchell, Bob Dylan, Jimi Hendrix, Richard Hell (e anche il sottoscritto per circa un mese :mrgreen: ).
Ci abitò la troupe di Andy Warhol quando girava The Chelsea Girls (1966) e qui vissero, spesso pagando i conti con quadri o foto, artisti come Christo, Arman, Richard Bernstein, Ralph Gibson, Robert Mapplethorpe, Frida Kahlo, Diego Rivera, Robert Crumb, Jasper Johns, Claes Oldenburg, Vali Myers, Donald Baechler, Willem De Kooning e Henri Cartier-Bresson.
“A rest stop for Rare Individuals”, così, a buon diritto, recita il sito del Chelsea Hotel per cui, però, sembra ormai giunta la fine. La famiglia Bard (attualmente rappresentata dal 72enne Stanley e da suo figlio David) che lo amministrava con illuminata magnanimità dal 1946, rifiutandosi di cedere alla logica degli alti prezzi degli alberghi di Manhattan è stata estromessa dal consiglio di amministrazione, che ha affidato il timone dell’hotel a un team reduce dalle ristrutturazioni di tre alberghi extralusso.
Così la storia di un hotel del quale The New York Times Book Review ha scritto che

si può considerare uno dei pochi luoghi civilizzati della città, se per civiltà si intende la libertà dello spirito, la tolleranza delle diversità, la creatività e l’arte

potrebbe finire, sacrificata sull’altare del libero mercato, diventando un luogo frequentabile solo da star extralusso che di storia non ne hanno e nemmeno la fanno.
In questo caso, il Chelsea Hotel potrebbe diventare solo un territorio dello spirito, come è stato per il Beat Hotel, leggendario centro della beat generation a Parigi, che ormai non esiste più. Ora al numero 9 di rue Git-le-Coeur è situato lo sciccoso Relais-Hotel du Vieux Paris.

Il deposito dei 10000 anni

signalFinora, il sarcofago di Chernobyl era additato come il più evidente monumento alla follia autodistruttiva dell’uomo, destinato ad essere conservato integro per migliaia di anni e utilizzato dagli oppositori del nucleare per dimostrare la sua pericolosità.
I fautori dell’energia nucleare, invece, sostengono, a ragione, che la centrale di Chernobyl era un impianto vecchio e insicuro, ma ora, negli Stati Uniti, additati come dimostrazione dell’esistenza di centrali sicure, è quasi completo un altro monumento a mio avviso ancora più folle, perché non è frutto di un incidente, ma di un pensiero lucido e razionale.
Si tratta del Waste Isolation Pilot Plant (WIPP), una discarica nucleare sotterranea situata nel deserto del New Mexico, profonda fino 2150 piedi (ca. 650 m).
Qui sono stati depositati per anni tutti i rifiuti radioattivi provenienti dalle centrali nucleari degli USA e quando sarà pieno (ed è quasi pieno) dovrà essere sigillato definitivamente.
Certamente il WIPP è sicuro. Test continui anche di terze parti, hanno dimostrato che nessuna radiazione sfugge dal deposito sotterraneo e si può anche camminarci sopra in assoluta sicurezza. Se è per questo, ci credo, ma il punto non è questo.
Il punto è che, dal momento della chiusura, sarà necessario segnalare chiaramente che chi scava qui, muore. E non solo: scavando si potrebbe aprire un vaso di pandora in grado di avvelenare una vasta area, prima che la fonte venga identificata e richiusa.
Fin qui niente di strano. Il governo americano è certamente in grado di impedire l’accesso all’area. Il problema, però, sta nel fatto che questo divieto dovrà essere mantenuto per almeno 10.000 anni, tale è il periodo di tempo necessario perché le scorie diventino relativamente innocue.
10.000 anni sono un periodo di tempo inimmaginabile. I monumenti più antichi che abbiamo, le piramidi, esistono dalla metà di questo tempo.
Il problema che i tecnici stanno affrontando è di far sì che questa informazione vitale venga tramandata e si conservi intatta per questo inimmaginabile periodo di tempo.
Guardate queste immagini:

Per noi sono chiarissime, ma cosa diranno ai nostri discendenti anche fra “soli” 3000 anni? Come sarà la razza umana fra 10000 anni? Come progettare un messaggio che mantenga intatto il suo significato nonostante le inimmaginabili differenze culturali che si produrranno?
Se ne è occupata la Sandia Corporation, producendo un suggestivo rapporto in cui si immagina di costruire strutture che evochino un senso di pericolo, come quella nell’immagine di apertura. Suggerimenti solo in parte accolti dal governo, che ha optato per soluzioni più tradizionali, ma qualsiasi soluzione, a mio avviso, è insufficiente di fronte alla curiosità umana.
Così come le maledizioni e le iscrizioni non ci hanno impedito di entrare nelle tombe dei faraoni, nessuna struttura è in grado di impedire che i nostri lontani discendenti cerchino di capire cosa c’è lì, anzi, per me, la presenza di costruzioni strane e uniche come quelle proposte nel rapporto di cui sopra, sarebbe solo un incentivo a scavare.

Tenete lontani i vostri bambini

VRT
Boing Boing riporta una trasmissione radio della NPR in cui viene descritto questo interessante ordigno, sviluppato dalla Integrated Wave Technologies, che i soldati americani utilizzano per “comunicare” con gli indigeni (nella fattispecie, gli iracheni).
Si tratta di un traduttore che capisce un numero limitato di frasi ed è in grado di ripeterle in 15 lingue, spesso in forma più dettagliata.
Quello che mi colpisce è il tono della descrizione. È per questo che ho scritto “comunicare” fra virgolette. Dice:

Per esempio, quando il soldato dice una semplice frase come “keep kids back”, il Voice Response Translator (VRT) traduce in arabo accrescendo il dettaglio. In questo caso, la traduzione è “Tenete i vostri bambini lontano da noi o intraprenderemo delle azioni contro di voi”

il che, detto da un marine che, come minimo, ti tiene un M16 puntato addosso, è estremamente rassicurante, favorisce il dialogo e lo stabilirsi di un clima di fiducia.
La dichiarazione del produttore è ancora più allucinante:

Comunicazioni semplici come questa possono salvare vite, sia fra i civili che fra i militari. Questo elimina il tirare il grilletto come prima opzione nel trattare con gli indigeni.

Maledizione, io capisco che in guerra sia utile impartire istruzioni chiare ai civili e magari questo oggetto serve, ma un po’ di diplomazia, no? Forse “tenete i bambini in casa, qui è pericoloso” sarebbe stato meglio.
E l’ultima frase significa forse che senza il VRT, la prima opzione è tirare il grilletto?
I consulenti per la comunicazione che gli USA pagano profumatamente, cosa ci stanno a fare? E chi sono?