Neumi Ritmici

Neumes rythmiques (Neumi Ritmici) è il terzo dei Quattro Studi sul Ritmo di Olivier Messiaen, che comprendono anche il famoso Modi di Valori e di Intensità, ma è stato il primo ad essere terminato (1949).

In realtà il termine Neuma Ritmico è paradossale, perché i neumi sono una notazione melodica, ritmicamente indefinita, o, almeno, non definita con precisione. Qui, però, Messiaen opera una trasposizione e descrive così il brano:

Osservando le differenti figurazioni dei neumi nel canto piano, ho avuto l’idea di cercare delle corrispondenze ritmiche. La sinuosità melodica indicata dai neumi si muta in gruppi di durate. Ogni neuma ritmico è provvisto di una intensità fissata e di risonanze cangianti, più o meno chiare o scure, sempre contrastanti.

Traduzione mia:

come sentirete chiaramente, questo brano è formato da vari elementi melodico/armonici ben distinti. Ogni elemento è caratterizzato da un certo colore armonico fisso, una certa durata, che in partenza è fissa, e una data intensità, anch’essa fissa.

Così ogni elemento è, per Messiaen, un neuma. In tal modo, la successione dei neumi si tramuta in una successione di elementi, ciascuno con caratteri ben precisi e soprattutto, con una durata fissata. Di conseguenza, una serie di neumi determina una serie di eventi di colore armonico e intensità diverse, ognuno dei quali ha una precisa durata, caratteristica, quest’ultima, importante per il Messiaen dei Quattro Studi sul Ritmo, come il titolo suggerisce.

A complicare le cose, le durate subiscono delle mutazioni nel corso del brano. In una serie di neumi si espandono di un piccolo valore fisso, in un’altra cambiano seguendo una serie di numeri primi, mentre in una terza restano fisse.

Al di là della curiosità, questo studio è molto importante perché deriva dalla Cantéodjayâ, un lavoro basato sui talas (ritmi) indù che vi presenterò più avanti e anticipa l’inserimento dei canti degli uccelli, ognuno dei quali è assimilabile a un “neuma ornitologico”, nel senso che è un oggetto in sé dotato di caratteristiche ben precise.

The Turfan Fragments

Morton Feldman – The Turfan Fragments (1980), for chamber orchestra

The Turfan Fragments is pitched for a reduced chamber orchestra and marks the beginning of a pause in Feldman’s writing for orchestra that lasted a half decade (until he resumed it with Coptic Light).

The title refers to a significant trove of manuscripts in various languages discovered by German researchers in the early 20th century along the ancient Silk Road and which had been hidden away during the war. Feldman likely saw some of the collection when parts of it were again made available in Berlin, where he lived in the early 1970s. Feldman’s delicate stitching together of fragmentary but elusively repetitive particles hints at the enigmatic character of their namesake.

Feldman’s score repeatedly asks for an intensely subdued dynamic field (ppppp) which belies the tension of its chromatic blurs of dissonance and shifting pulsations. There are no violins to sweeten the palette, giving Feldman’s pointillist chords a tangier sound. Like Rothko’s lozenges of color, the musical fabric slowly draws out slight variations in perspective as fragments intersect and become absorbed into the whole, leaving us to savor their resonance.

A series of archaeological expeditions to East Turkestan, conducted by Sir Aurel Stein in the early part of this century, unearthed several fragments of knotted carpets dating from the third and sixth centuries. Though these fragments were too small to indicate either its design or provenance, they did convey a long tradition of carpet weaving. This is to a large degree the extended metaphor of my composition: not the suggestion of an actual completed work of “art”, but the history in Western music of putting sounds and instruments together.

Morton Feldman

A Carlo Scarpa architetto…

Luigi Nono
A Carlo Scarpa architetto, ai suoi infiniti possibili (1984)
per orchestra a microintervalli.
Sinfonieorchester des Südwestfunks, Michael Gielen, direction.

A Carlo Scarpa architetto, ai suoi infiniti possibili è opera dell’ultima vertiginosa stagione creativa del compositore veneziano, segnata dall’assoluta libertà formale, da un tessuto musicale fatto di lancinanti frammenti e importantissimi silenzi divarie sfumature, di anticipi e tensioni a quello che ancora mancao a quello che a fatica si ode. Dopo i trent’anni di una splendida stagione creativa, dai contenuti umanissimi e politici, Nono approda all’Unklangbar di Wittgenstein, alla violenza espressiva dell’irresonabile (come può tradursi il neologismo wittgensteiniano). Il compositore, anima autenticamente rivoluzionaria, intesse le sue partiture di pianissimo (sino a sette p!) contro la violenza non solo acustica del quotidiano contemporaneo ma anche contro la violenza di un passato musicale spesso subìto, cerca un “mondo lontanissimo e misterioso […] per sognare vari possibili futuri”. Il lavoro compositivo è sempre più fatto con altri, che sia l’Iperuranio di menti elevate che abitano gli studi, le letture e il lavorìo intellettuale del compositore, che sia fisicamente il lavoro sperimentale fatto con i musicisti interpreti, ormai consustanziale all’idea creativa: “ascoltare nel silenzio gli altri l’altro”. Il suono si carica del senso dell’essere e la sua naturale evidenza, non piegata da ragioni formali, crea una condizione di tensione permanente sentita come l’unica autenticamente umana. Evidentemente non c’è nulla di superfluo in questi luoghi sonori di arrischiata immaginazione. Se già del Canto sospeso erano stati rilevati la concentrazione eloquente e il riserbo, le isole di suono dell’ultima produzione, “infiniti colori-suoni-echi-spazi”, sono le illuminazioni di un mistico. E Nono trova il motto del suo ultimo ciclo di lavori, “caminantes, no hay camino, hay que caminar” a Toledo nel chiostro di un convento francescano del XVIII secolo.
In A Carlo Scarpa risuona l’utopia degli infiniti possibili, in perfetta consonanza col lavoro creativo dell’architetto amico, che parimenti usava dello spazio come elemento compositivo. Una natura aristocraticamente artigianale, il genio per i dettagli tecnologici, la raffinata sensibilità materica e la tensione creativa verso spazi possibili (e impossibili) avvicinano Scarpa a Nono, che nell’opera in memoria dell’amico realizza i suoi frammenti su due sole note mosse da microintervalli di 1/4, 1/8 e 1/16 di tono, sugli aloni e gli “infiniti colori-suoni-echi-spazi” derivati  da una impressionante gamma di dinamiche: “Microintervalli di altezza e di dinamica sono tecnicamente possibili evitando banali approssimazioni ed effetti inquinanti di ottave, articolando tecnica e qualità del suono, vari gradi di sua presenza-pensiero, varie gradualità possibili tante, tutte da poter ascoltare”.
L’orchestra è attentamente pensata: mancano gli oboi e la tuba e sono rafforzati i flauti e i tromboni, il gruppo ascetico delle percussioni (campane, timpani e 7 triangoli di diversa altezza) è come un’orchestra Zhou (Cina 1075-221 a.C.) e gli archi senza secondi violini sono otto per sezione. Ne nasce un’opera ieratica, di spazi cupi e sacri che potrebbero essere occupati da silenziosi e misteriosi rituali.
Non si può tacere il nome di Scelsi parlando di un lavoro sulle variazioni microtonali di due unici suoni, e tutto sommato il nome di Scelsi getta luce sul percorso estremo di Nono legato a tante fascinazioni alchemiche, al confine del non poter dire – un processo che Cacciari, che così spesso ha trovato all’ultimo Nono le
parole per dire, definisce kenotico, di svuotamento. Dunque anche Nono verso una riduzione che apre l’ascolto di tempi e spazi inauditi; il ricercare luoghi sonori abitati da una tensione verso l’infinito avvicina Nono a Scelsi, e a Scarpa, come Scelsi più consapevole dell’Oriente presente in tale percorso. Eppure per Nono, diversamente che per Scelsi, non si tratta di una liberazione dal mondo ma di una liberazione del mondo, dall’imposizione che lo condanna al male dell’insignificanza o alla meccanicità dell’accadere, sognando un futuro concretamente possibile, come gli infiniti di Carlo Scarpa, per “non dire addio alla speranza”.
[Luciana Galliano]

A Pierre. Dell’Azzurro silenzio, inquietum

Luigi Nono: A Pierre. Dell’Azzurro silenzio, inquietum (1985)
a più cori, per Flauto contrabbasso in Sol, Clarinetto contrabbasso in Si bemolle e live electronics(1985)

Roberto Fabbriciani, Flauto
Ciro Scarponi, Clarinetto

Possibilmente ascoltatelo con qualcosa di meglio delle cassettine da computer.

Dedicato a Pierre Boulez per i suoi 60 anni (compiuti il 26 marzo 1985), A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum fu eseguito per la prima volta il 31 marzo 1985 a Baden-Baden, con Roberto Fabbriciani, Ciro Scarponi e la realizzazione live electronics dell’Experimentalstudio di Friburgo. La partitura porta la data 20 febbraio 1985.

La collaborazione con Fabbriciani (flauto) e Scarponi (clarinetto) e l’indagine sui loro strumenti ha un posto di grande rilievo nella ricerca dell’ultimo decennio di Nono, nello scavo nella vita interiore del suono compiuto con l’aiuto dell’elettronica dal vivo e di alcuni interpreti congeniali. La ricchezza di armonici del flauto contrabbasso è uno degli aspetti indagati nel pezzo, dove l’apporto degli strumentisti dal vivo e quello del live electronics è difficilmente distinguibile, perché si persegue una compiuta integrazione, una fusione tra suoni dal vivo e suoni elaborati elettronicamente: insieme formano una fascia sonora ininterrotta caratterizzata da un continuo fluttuare, da una mobilità interna delicatissima e incessante, composta nello spazio e per lo spazio, alle soglie tra il suono e l’ “azzurro silenzio”.

Mobilità e spazialità sono aspetti decisivi e spiegano perché Nono può usare a proposito di un pezzo per due strumenti l’espressione ‹‹a più cori››, riprendendo la terminologia veneziana del secolo dei Gabrieli, da lui usata in molte altre occasioni (ad esempio chiamò “cori” i sette gruppi strumentali di No hay camino, hay que caminar…Andrej Tarkovskij).

Scrisse nel breve testo di presentazione:
Più cori continuamente cangianti per formanti di voci-timbri-spazi interdinamizzati e alcune possibilità di trasformazione del live electronics ‹‹Più cori continuamente cangianti››: di questo appunto si tratta. Nella parte dei due solisti, con dinamiche quasi sempre comprese tra “piano” (p) e “pianissimo” (ppppp), con rare incursioni fino al “mezzo forte”, è richiesta una continua varietà di modi di emissione, dal suono in emissione ordinaria a quello in cui prevale il rumore d’aria, con presenza variabile o assenza di altezze determinate, dai sovracuti suoni “eolien”, ai suoni con fischio, ai cluster, ai bicordi di armonici, dove talvolta dovrebbe apparire, come intermittente, discontinuo “suono ombra”, il suono fondamentale dei bicordi.

L’elettronica, determinante per l’articolazione nello spazio, aiuta a rendere percepibili i suoni degli strumenti, di incorporea levità, li trasforma e se ne appropria attraverso il “delay”, facendo in modo che con breve “ritardo” il suono registrato entri a far parte del suono complessivo. Con il delay il suono dello strumento si ascolta anche quando il solista tace, e anche in questa continuità si riconosce un aspetto della fusione tra strumenti ed elettronica che è determinante nel pezzo.
[Paolo Petazzi in cematitalia]

Nota mia:
Il ritardo di cui sopra non è propriamente breve, musicalmente parlando. Si tratta di due delay di 12 secondi, a tratti utilizzati anche in serie per un totale di 24 secondi. In questo modo si crea il continuum sonoro.

Sonorità Liquide

Sonorità Liquide è una proposta del gruppo Handmade Music, dedito alla progettazione e costruzione di strumenti elettroacustici e sculture sonore.

Il filmato, che spiega anche il funzionamento delle sculture sonore, si riferisce alla rassegna del 2007, rinnovata, con altre installazioni, pochi giorni fa, il 15 luglio, sempre alla Casa da Música a Porto.

I patch di composizione algoritmica e di sintesi sono sviluppati in Max/MSP mentre i sensori sono stati elaborati basandosi sull’Arduino board. Ideazione e realizzazione di Rui Penha con la collaborazione di Luís Girão.

Vaporetti e orologi

Dopo una visita alla Biennale di Venezia, Andreas Bick ha composto un brano formato unicamente dai suoni dei vaporetti. I vaporetti sono una parte fondamentale del paesaggio sonoro veneziano e spesso sono vissuti con fastidio (io li chiamavo “grande sforzo, piccolo movimento”), ma qui diventano una sogente sonora ricca e interessante.

Eroica Spettrale

Jeff Harrington definisce la sua musica come:

Music that is tonal and intensely contrapuntal inspired by New Orleans and classical music traditions.

Se così fosse, non sarebbe molto interessante per me. Ma poi, invece, estrae dal cappello un brano come questo:

Sonic rainbows descend from the clouds of the Eroica. The beginning of Beethoven’s Third Symphony hyper-spatially paraphrased through time extension, pitch warpings and deep space phase-shifting effects; immensely vast, sublime, beyond…
[…]
Credits: Ludwig van Beethoven, musical vision. Realized in part with SuperConductor software. Eroica Symphony interpeted by Dr. Manfred Clynes. Adjuctant consultant/composer Elsie Russell. Csound realization with reverb and phase-shifting orcs by Sean Costello; Feedback Delay Network Reverb model from Julius O. Smith, III.

Jeff Harrington – Eroica Spettrale

Steampunk synth

Queste bellissime immagini (clicca per ingrandire) si riferiscono a un sintetizzatore modulare + sequencer & switchboard in perfetto stile steampunk. A quanto ho capito, questo oggetto è stato costruito da tale Christian Günther per Moritz Wolpert, già noto per il suo Heckeshorn, uno strumento a corde pizzicate o percosse, di foggia altrettanto steampunk, di cui potete vedere alcuni video qui sotto.

Si tratta, in pratica, di una slide guitar arricchita da un capotasto mobile al posto del tubo infilato nel dito. La musica è banalmente tonale, ma è talmente minimale e priva di fronzoli da risultare piacevole.

Dox Orkh

La visione di Xenakis di un concerto per violino: Dox Orkh per violino e 89 strumenti.

Il titolo accosta le parole Orkh (in greco Orchestra) e Dox, che significa strumento ad arco.

L’analisi che segue è tratta da All Music Guide:

The music does proceed in traditional ritornello fashion, with statements by the violin being followed by answers from the orchestra, and so on. Rarely does the soloist play with the full orchestra. Xenakis had by this point written a number of pieces for the violin, both as a solo instrument (Mikka, Mikka “S”) and in a chamber context (Dikhthas, Ikhoor, Tetras, etc.). The solo part, then, is extraordinarily virtuosic, as any good concerto should be, but many of the technical difficulties are peculiar to this composer’s style. After a lengthy hiatus from using his characteristic sliding string glissandi (the solo violin piece, Mikka (1971), is nothing but glissandi!), Xenakis reintroduced the glissando in this piece. Indeed, this style of playing is one of the main features of the solo part in Dox-Orkh. The music proceeds episodically, the sinewy, at times frenetic, lines of the violin trading off with dense orchestral sonorities. Xenakis uses clusters widely, playing off the bright colors of high woodwinds with massive string blocks and aggressive brass sounds. There is what might be thought of as a typical “slow” movement in the middle of this continuous piece. The texture thins, leaving the violin and the horns to unfold a rather plaintive, modal-sounding melody. The melody is also the harmony, a tricky feat achieved by overlapping the instruments and having each sustain its melodic note past the next one. The violin, too, is asked to sustain a note on one string while playing the next note on an adjacent string, holding the first one until the note following. No doubt it is difficult for the violinist to keep fingers from getting tied in knots! The strings fill out a background pad at different points in this section, gradually increasing the activity until the texture changes definitively. As the music builds momentum and density, Xenakis inserts a funny little dance break, with cluster chords being bounced around the orchestra in rhythmic fashion. Not regular rhythms, but it certainly seems so at first hearing. The music winds up, building to a powerful orchestral passage, then dissipates, finishing with grating double-stops in the violin, and soft, slow-moving clusters in the orchestral strings.

The newly obtained freedom of the spirit

Gubaidulina’s entire piano output belongs to her earlier compositional period and consists of the following works: Chaconne (1962), Piano Sonata (1965), Musical Toys (1968), Toccata-Troncata (1971), Invention (1974) and Piano Concerto “Introitus” (1978). Some of the titles reveal her interest in baroque genres and the influence of J.S. Bach.

The Piano Sonata is dedicated to Henrietta Mirvis, a pianist greatly admired by the composer. The work follows the classical formal structure in 3 movements: Allegro (Sonata form), Adagio, and Allegretto. Four motives (pitch sets) are utilized throughout the entire sonata, which also constitute the cyclical elements upon which the rhetoric of the piece is constructed. Each motive is given a particular name: “spring”, “struggle”, “consolation,” and “faith.”

There are two elements in the primary thematic complex of the first movement: (1) a “swing” theme, characterized by syncopation and dotted rhythms and (2) a chord progression, juxtaposing minor and major seconds over an ostinato pattern in the left hand. The slower secondary theme introduces a melodic element associated with the ostinato element of the previous theme. In the development section, these sets are explored melodically, while the dotted rhythm figure gains even more importance. In the recapitulation, the chord progression of the first thematic complex is brought to the higher registers, preparing the coda based on secondary theme cantabile element, which gradually broadens. The second movement shifts to a different expressive world. A simple ternary form with a cadenza-AB (cadenza) A, the B section represents an acoustic departure as the chromatic figurations in the left hand, originating in section A, are muted. In the cadenza the performer improvises within a framework given by the composer, inviting a deeper exploration of the secrets of sound. It consists of two alternating elements- open-sounding strings, stroke by fingers, with no pitch determination, and muted articulation of the strings in the bass register-separated by rests marked with fermatas. The third movement is constructed of 7 episodes, in which there is a continuous liberation of energy accumulated during the previous movement.

Musical expression in this work is achieved through a variety of means. Rhythm is a very important element in the construction of the work, articulating a distinct rhetoric, as well as in the development of the musical material. Exploration of a wide range of sounds, within the possibilities of the instrument, involving both traditional and nontraditional methods of sound productions are another important mean.

Some examples of the nontraditional sounds produced are a glissando performed with a bamboo stick on the piano pegs against a cluster performed on the keyboard, placing the bamboo stick on vibrating strings, plucking the strings, glissando along the strings using fingernail, touching the strings creating a muted effect.

Two distinct aspects of the sonata-the driving force and the meditative state-can be seen through the architecture of the work as portraying the image of the cross. The first movement is related to the “horizontal” line, which symbolizes human experience while the second movement reflects the “vertical” line, which represents man’s striving for full realization in the Divine. The meeting point of these two lines in music happens at the end of second movement, and that reflects transformation of the human being at crossing this two dimensions. The third movement “celebrates the newly obtained freedom of the spirit”.

[from wikipedia]