Red-shifted Harmonies

 

DAC Crowell is a 41 composer from Illinois.
He hate describing his music, but he say

As for the sound of my own work, it often employs sounds that change _very_ slowly over time. So there are a lot of drone-type elements, things which appear to repeat, and the like…but the real fact is that there are very slow permutations going on, usually at a rate slower than most listeners’ perceptions. I also like a very ‘immersive’ sound, something which surrounds and envelops the listener. At first, this might seem like I’m trying to do something ‘New Age’, but I don’t think the term applies at all because I often like to add ‘noisy’ elements to my works, or use an overall feel that’s darker than the average fluffy New Age sound.

DAC Crowell è americano. Ha 41 anni e compone dei brani in lenta evoluzione pubblicati dalla netlabel Magnatune. Ha studiato.
Nella sua pagina in Magnatune trovate molte informazioni.
Mi piace la sua dichiarazione di amore per le onde corte. È una cosa che da bambino ho provato anch’io: passavo ore a giocare con la radio.

Years and years ago, around the same time I was first learning piano as a small child, I also encountered the shortwave radio. It fascinated me…this box of strange sounds, pulsations, voices from other places phasing in and out. And then later in the 1960s, I heard the first stirrings of the Moog synthesizer…and others as well, as I attended a concert given by David Rosenboom while still in the second grade, with him performing his meditative style of electronics on a massive ARP 2500 rig. I suppose it was that formative experience that cemented what I was to try and do in my life.

Dall’album omonimo del 2003, Red Shifted Harmonies.

Le Voile D’Orphée

Il solito Anablog, specializzato in musica analogica ormai fuori catalogo, pubblica Le Voile D’Orphée, composta da Pierre Henry nel 1953.
Si tratta della prima versione, di 27 minuti. Nel 1958, infatti, venne prodotta una seconda versione, più breve (circa 15′), utilizzata nel balletto di Maurice Bejart “Orpheus”.
Questo brano è uno dei più rappresentativi della prima musica concreta, basata su filtraggi, cambi di velocità e montaggi di nastri.
Qui Henry tratta i suoni concreti in modo quasi sinfonico. A circa 50 anni di distanza, questa musica conserva intatto il senso di mistero che la ispirava.
Dal sito dell’AvantGarde Project si possono scaricare entrambe le versioni del brano in formato flac (compressione senza perdita).

Pierre Henry – Le Voile D’Orphée I (1953)

faune y seis tormentas

faune & seis tormentas together in this release titled “zone de guerre” (2006) for the netlabels unshell records and pathmusick by Alex Cortex.

faune e seis tormentas insieme in questo “zone de guerre” del 2006 per le netlabel unshell records e pathmusick di Alex Cortex.
Trovo affascinanti queste fasce sonore composte di pochissimi elementi in perpetuo loop, quasi un residuo di qualcosa che è già stato a cui noi non abbiamo assistito e di cui non sappiamo nulla.
In effetti questa situazione mi ricorda un po’ Stalker, non tanto il film di Tarkovskij, quanto il racconto da cui è tratto: quel Picnic sul ciglio della strada (1971) dei fratelli Arkadi e Boris Strugackij

Come dopo un picnic sul ciglio della strada, a metà del viaggio fra una galassia e l’altra, gli extraterrestri hanno mollato i propri avanzi sul prato. “Avanzi” che hanno cambiato radicalmente leggi fisiche e natura di quei luoghi..

faune y seis tormentas – zone de guerre

zone 1
zone 2
zone 3
zone 4

Ionisation

Ionisation by Edgar Varèse on YouTube.

Solistes de l’Ensemble intercontemporain
Elèves du Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris
Susanna Mälkki, direction

Percussions : Gilles DUROT, Samuel FAVRE, Victor HANNA (Ensemble intercontemporain) / Matthieu DRAUX, Adelaide FERRIERE, Jean-Baptiste BONNARD, Noam BIERSTONE, Christophe DRELICH, Julien LACROUZADE, Thibault LEPRI, Sylvain BORREDON, Othman LOUATI
Piano : Sébastien VICHARD

Enregistré à la Cité de la musique le 20 novembre 2012, dans le cadre du Festival d’Automne à Paris

Il pianoforte ben temperato

la monte young

The Well-Tuned Piano (iniziato nel 1964, eseguito in prima assoluta a Roma nel 1974 e in fondo sempre in progress) è l’opus magnum di La Monte Young, il lavoro in cui molte delle sue teorie si cristallizzano e prendono forma.
Un pianoforte, il vecchio Bosendorfer dello stesso La Monte Young accordato secondo una delle possibili varianti della scala naturale (just intonation) assume sonorità molto particolari. L’accordatura esatta rimase segreta per 27 anni, fino a quando, nel 1991, Kyle Gann ne decodificò 10 note su 12 usando un computer, un DX7 e un CD player.
Perché solo 10? Perché una nota (il SOL#) non viene mai utilizzata e un’altra, il DO#, appare solo una volta in più di 5 ore di esecuzione. Comunque, a questo punto, l’accordatura venne resa nota e risultò essere come segue (riporto la tabella dal link di cui sopra, aggiungendo una riga):

Notes: Eb E F F# G G# A Bb B C C# D
Ratios: 1/1 567/
512
9/8 147/
128
21/
16
1323/
1024
189/
128
3/2 49/
32
7/4 441/
256
63/
32
Cents: 0 177 204 240 471 444 675 702 738 969 942 1173
Temp Cents: 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100

Come si può notare osservando la linea “Cents”, che rappresenta l’accordatura delle singole note espresse in centesimi di semitono (100 cents = 1 semitono temperato), le differenze con l’accordatura temperata (quella comunemente usata, espressa nella linea “Temp Cents”) sono notevoli. Praticamente soltanto la 5a e la 2a maggiore sono invariate.
Vale la pena di ricordare che l’accordatura naturale (just intonation) si ottiene trasponendo all’interno dell’ottava gli armonici naturali. Il punto è che la maggior parte delle note si possono ottenere partendo da parecchi armonici, con intonazione leggermente diversa. La scelta determina la qualità della scala e il grado di frizione degli accordi costruita su di essa.
La sonorità della scala naturale, comunque, è migliore rispetto alla scala temperata (più naturale, appunto). Il prezzo da pagare, però, è immenso, almeno dal punto di vista della musica occidentale: funziona bene solo in una, massimo due tonalità. Addio alle modulazioni, che invece sono una pratica fondamentale nella nostra musica.
In questo estratto di alcuni minuti (sulle quasi 6 ore dell’opera), tratto dalla sezione iniziale, si può sentire come La Monte Young la utilizzi per costruire dapprima armonie ripetitive e poi nuvole di suoni a pedale quasi sempre premuto, dando vita a una serie infinita di risonanze che avvolgono l’intera trama.

La Monte Young – The Well-Tuned Piano (excerpt from section 1)

The Seasons

Il giorno in cui qualcuno si laurea con una tesi su John Cage seguita e ispirata dal sottoscritto deve essere celebrato, per cui mettiamo questo post.

All’inizio del 1947 John Cage scrisse The Seasons, un Balletto in un atto pensato per la compagnia di Merce Cunningham che la portò in scena nello stesso anno con scene e costumi di Isamu Noguchi.
Il brano prende la forma di una suite in 9 movimenti: Prelude I – Winter – Prelude II – Spring – Prelude III – Summer – Prelude IV – Fall – Finale (Prelude I).
Si tratta di una composizione dolce e lirica che, come le Sonate e Interludi e lo String Quartet, si ispira, concettualmente, all’estetica indiana nella quale l’inverno è visto come uno stato di quiete, la primavera come creazione, l’estate come conservazione e l’autunno come distruzione.
È uno di quei pezzi in cui Cage tenta di “imitare il modo di procedere della natura”, altra idea tratta dalla filosofia indiana e il brano, pur nella sua complessità ritmica, ha un andamento ciclico, con la fine che equivale ad un nuovo inizio. Così anche Cage, come altri compositori, ha le sue stagioni in cui le cose nascono, crescono, mutano e si distruggono, ma qualche volta ritornano.

In realtà The Seasons esiste in due versioni. Quella per piano solo venne composta per prima e in seguito Cage la orchestrò con l’aiuto di Lou Harrison and Virgil Thomson.
Qui potete ascoltare lo stesso estratto (Prelude I e Winter) in entrambe le versioni e apprezzare le differenze di uno stesso testo affidato prima alla concentrazione monotimbrica del pianoforte in cui, proprio per questo, l’interprete deve giocare su sottili sfumature coloristiche e poi alla pluralità di suoni dell’orchestra, più ricca, ma anche meno definita dal punto di vista ritmico e armonico.

John Cage – The Seasons (1947)

solo piano version – Margaret Leng Tan, pianoforte

orchestral version – BBC Symphony Orchestra conducted by Lawrence Foster

Se un suono non ti piace è perché non l’hai ascoltato abbastanza

Difficile scrivere poche righe su La Monte Young.
Nato nel 1935, considerato come uno dei primi minimalisti e celebrato dalla suddetta scuola, sebbene formalmente abbia molto poco in comune con compositori come Glass e Reich, i suoi lavori sono considerati fra i più importanti e radicali nel panorama dell’avanguardia post-bellica e sperimentale.
Ispiratore del gruppo Fluxus, le sue composizioni concettualmente minimali investono la stessa definizione di musica. Molti dei suoi pezzi, infatti, sono costituiti da un eterno bordone.
Ricordo che, nella mia ormai lontana gioventù, 8) rimasi colpito da una sua partitura costituita unicamente da due note in 5a (mi pare SI e FA#), con la scritta “to be held for a long time”. Probabilmente il brano più lungo con la partitura più corta mai composto.
Rimasi anche colpito da una sua riflessione che investiva la nostra considerazione del tempo:

Se un giro di blues dura 12 battute, perché non può durare 12 giorni? 4 giorni in DO, 2 giorni in FA…..

Autore del Well Tuned Piano (il pianoforte ben temperato), un’opera monumentale per piano solo accordato secondo la scala naturale (just intonation), la cui durata in alcune esecuzioni supera le 6 ore ed è documentata in una edizione in 5 CD da Grammavision (e poi in DVD per la sua etichetta Just Dreams), è stato un pioniere dello studio degli effetti generati da intervalli musicali naturali mantenuti a lungo e insieme con Marian Zazeela ha realizzato una serie di Dream Houses, ambienti in cui si combinano i suoi tappeti di onde sinusoidali in just intonation con le sculture di luce in forme simmetriche e quasi calligrafiche di Zazeela.
Ha anche studiato musica classica indiana con Pandit Pran Nath a cui è dedicato questo brano composto unicamente da un bordone di tampura e messo in linea da AnaBlog.
È lungo e sempre uguale e ricordate, se un suono non vi piace è perché non l’avete ascoltato abbastanza.

La Monte Young – The Tamburas of Pandit Pran Nath

Yuki

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Un altro brano di Takemitsu con sonorità decisamente notevoli.
Questo pezzo fa parte della colonna sonora del film Kwaidan (怪談, Kaidan: Storie di Spettri) diretto da Masaki Kobayashi nel 1964, un lavoro considerato un po’ come The Twilight Zone giapponese, anche se questa definizione non è del tutto appropriata. Si tratta di quattro storie di spettri tratte dalle raccolte di leggende giapponesi di Lafcadio Hearn.
Qui la musica di Takemitsu si fa onirica e perde anche le sue connotazioni orchestrali. Non ci è dato conoscere la formazione, anche perché questi brani non sono pensati per essere eseguiti dal vivo. Si indovinano sonorità percussive e di strumenti tradizionali giapponesi, ma a tratti il suono fa anche pensare a qualche elaborazione elettronica.
Grande lavoro di sound design per un film affascinante.

Asterism

Toru Takemitsu (武満 徹, Takemitsu Tōru, Tokyo, 8 ottobre 1930 – Tokyo, 20 febbraio 1996) è stato un personaggio chiave nella musica contemporanea giapponese. È il compositore che, più di ogni altro, è riuscito a coniugare le innovazioni stilistiche della nuova musica occidentale con le sonorità e a tratti anche lo spirito della musica tradizionale giapponese (ma non le forme: “Non amo usare melodie giapponesi come materiale. Nessuna forza… nessuno sviluppo. Le melodie giapponesi sono come il Fuji – belle ma eternamente immobili”).
Non rifiutò però di utilizzare gli strumenti della tradizione giapponese, inserendo in molte opere, sia orchestrali che da camera, biwa (un liuto a 4/5 corde e 4/5 tasti) e shakuhachi (il flauto traverso tradizionale).
L’anima giapponese di Takemitsu è presente, però, in maniera forse anche più significativa e profonda, ossia nell’astratto, nella filosofia, nell’ideologia che aleggia fra le sue note (notare anche l’importanza del silenzio o la concezione di un brano come libero flusso musicale non strutturato).
Takemitsu non crea, quindi, una semplice fusione di due stili, quello occidentale e quello orientale, ma ne crea uno nuovo, frutto di una piena conoscenza dei due, nel quale è impossibile fare divisioni accurate. Il compositore giapponese sembra quindi coronare il suo desiderio di “nuotare nell’oceano che non ha né Oriente né Occidente”, desiderio all’insegna di una visione a 360 gradi della musica
Nella sua formazione musicale, Takemitsu fu quasi totalmente un autodidatta; subì molte influenze dalla musica francese, in special modo da autori come Claude Debussy e Olivier Messiaen.
Scrisse anche circa 100 colonne sonore per film come Ran di Akira Kurosawa (1985) e l’incredibile Kuroi ame (Pioggia nera) di Shohei Imamura (1989), sul dopo-Hiroshima.

Recentemente l’Avant Garde Project ha iniziato a distribuire vari brani di Takemitsu ormai fuori catalogo in occidente, disponibili in formato FLAC (compressione senza perdita, quindi di qualità massima) in questa pagina.
Forse non fra i pezzi più famosi, ma sempre belli. Questo Asterism (1968), per piano e orchestra con una sezione di percussioni allargata, “rispettosamente dedicato a Yuji Takahashi e Seiji Ozawa”, è un brano composito in cui convivono una scrittura fatta di figurazioni quasi esplosive per pianoforte, arpa e glockenspiel accanto ad accordi impressionisti nel registro alto degli archi e accordi di ottoni in stile Messiaen, fino al finale in cui, dopo un crescendo di pattern ciclici quasi scoordinati, la musica entra in uno stato di sospensione in cui emerge una tessitura trasparente che sfuma nel silenzio, fino all’ultima, singola nota del piano.

Toru Takemitsu – Asterism (1968), per piano e orchestra
Toronto Symphony Orchestra – Seiji Ozawa (conductor) – Yuji Takahashi (piano)